“Riecco gli attempati. I migliori siamo noi, tutti politici vintage”

Leoluca Orlando è il rappresentante naturale dell’usato sicuro, della politica vintage, dei mister Rieccolo. Ventitrè anni, finora, come sindaco di Palermo e non è finita qui.

Il sondaggista Nando Pagnoncelli pronostica un ritorno in auge dei candidati attempati dopo la scolorita e caotica prova giovanilista offerta dai Cinquestelle.

Si cerca di nuovo, al mercatino della politica, l’esperienza. E l’esperienza è il nome, diceva Bernard Shaw, che diamo ai nostri errori.

Siamo già al riflusso? Ritorniamo sui meno peggio, senza molto entusiasmo e senza molte aspettative. Meglio i vecchi dei giovani?

Sa che io sono stato per quattro volte il più votato del più votato nel consiglio comunale di Palermo? E quando sono entrato in municipio, era il 1985, il consigliere anziano era Sergio Mattarella?

Leoluca Orlando era un fior di giustizialista.

Oggi ex giustizialista.

Populista.

Oggi ex populista.

Combattente e resistente alla mafia.

Oggi sono resiliente.

Ah.

La resistenza è contro qualcuno, è antagonista per natura e quello è il suo limite. Ha bisogno di un nemico. La resilienza invece accompagna te nel cammino. Adegui incessantemente il tuo agire al tempo in cui ti trovi ad operare.

La resilienza è muro di gomma.

Sbagliato. Se questa classe politica ha una colpa grave è certamente quella di non aver avuto una scuola di politica. È giunta ignorante, sbandata, affetta da una sindrome compulsiva dell’istante. L’istante cioè come il quadro di riferimento della lotta politica.

Ora sta parlando di Salvini.

Lui ha un problema enorme. Non ha coscienza del tempo, dunque non vede ciò che potrà essere domani. Guarda all’oggi e nell’oggi fa le battaglie sulle minutaglie, sui dettagli. Un urlatore seriale, uno spacciatore di vittorie effimere. Perciò perderà la leadership del centrodestra. Lo fregherà la Meloni, che invece ha più capacità di prendere le misure con i problemi, cosciente che non potrà risolverli in un battibaleno.

Però Salvini sia a Roma che a Milano ha candidato, senza troppa fortuna, gli over settanta Bertolaso e Albertini. Anche lui capisce che il nuovo o non c’è o se c’è non paga.

A Napoli è però in campo Antonio Bassolino, un ex di lusso. Noi attempati siamo i più forti.

I più forti?

Sappiamo misurare la nostra capacità, e anche valutare la dimensione temporale degli obiettivi che possiamo centrare. I grillini sono dei giovanotti capaci di inneggiare a una vittoria epocale per una cosuccia ottenuta in Parlamento, e a mortificarsi senza requie se patiscono una sconfitta tutto sommato trascurabile.

Primo comandamento: il candidato vincente deve saper perdere.

I Cinquestelle devono ripassare la storia di Joe Biden. È presidente degli Usa perché i suoi competitori del partito democratico si sono fatti di lato temendo di perdere il match con Trump. Biden invece non ha avuto mai paura di perdere. La sua lunga storia politica era del resto disseminata di insuccessi.

La politica concede agli sconfitti sempre una chance.

Non una, ma due, tre. E dunque bisogna persino pianificarla. La sconfitta è il posizionamento verso la vittoria. Mi spingo oltre: a volte è persino necessario perdere.

Quindi i grillini per vivere devono un po’ morire.

Devono accettare il tempo. Non possono pensare che vanno al governo e cambiano tutto. In cinque anni non si cambia quasi niente. Io lo so. E anche gli italiani ora lo sanno. Perciò ritornano gli attempati, la classe degli over.

Lei quando era giustizialista, anche un po’ demagogo, diceva altro.

Ero.

Oggi misura i passi.

So, per esempio, che non potremo mai completare i progetti del Recovery nei sei anni che ora definiamo limite invalicabile. Non abbiamo la tecnica, il capitale umano, la leva in grado di imprimere una accelerazione così forte. Me lo dice l’esperienza.

E qui torniamo a quel che ci ha insegnato Shaw.

L’esperienza è la parola che diamo ai nostri errori.

La sai l’ultima?

 

Belgio Un contadino locale sposta di 2,29 metri il confine con la Francia per passare col trattore

Risiko è tra noi. La scorsa settimana il Belgio è avanzato di un paio di metri all’interno del territorio francese. Il merito non è degli eserciti ma di un contadino locale: infastidito dalla pietra di confine proprio in mezzo al percorso del suo trattore, l’ha presa e spostata di 2,29 metri rispetto alla posizione originaria. Come scrive la Bbc, ad accorgersi dello spostamento dei confini è stato un appassionato di storia locale, durante una passeggiata. Prima che diventi un caso diplomatico – si legge sull’Huffington Post – “le autorità del Belgio stanno cercando di contattare l’agricoltore per chiedergli di riportare la pietra nella sua posizione originale. Se ciò non dovesse accadere, il caso potrebbe finire nelle mani del ministero degli Esteri belga, che dovrebbe convocare una commissione di frontiera franco-belga, ormai inattiva dal 1930”. La cartina d’Europa è nelle mani di un agricoltore belga e delle traiettorie del suo trattore.

 

Taranto Volatili in fuga: il pappagallo Pedro scappato dalla voliera si consegna a una volante della polizia

Il titolo di questa notizia è un po’ enfatico ma molto efficace: “Pappagallo in fuga si consegna alla Polizia”. Succede a Taranto e lo scrive Leggo. Anche se la realtà è un po’ meno pittoresca di come sembra: “Ha spiccato il volo per respirare un po’ di libertà. Poi però ha deciso di fermarsi ed è atterrato proprio su una volante della Polizia di Taranto. Protagonista della curiosa vicenda il pappagallo Pedro, splendido esemplare di razza esotica regolarmente custodito da un tarantino residente del rione Paolo VI. Gli agenti hanno quindi ‘catturato’ il pappagallo, anche se in realtà è come se si fosse ‘consegnato’, e poco dopo lo hanno riconsegnato al legittimo proprietario”. Pare che Pedro sia famoso nel quartiere e altrettanto note siano i suoi brevi tentativi di evasione dalla voliera. Alla fine però torna sempre a casa: anche stavolta quando gli agenti l’hanno ricondotto al domicilio è subito volato sul braccio del suo padrone.

 

Roma Due arresti tra i “Diabolik”: il fratello chiama il 112 ma si fa trovare dai sanitari con una pistola addosso

Giornataccia per la famiglia Diabolik. Non parliamo dell’(anti)eroe mascherato ma dei meno affascinanti Piscitelli, congiunti del noto ultras della Lazio ucciso nel 2019 per questioni di malavita. I parenti a quanto pare operano nello stesso ramo d’azienda e in un giorno ne sono stati arrestati due. Il fratello, ironia della sorte, si è fregato da solo chiamando il 112. Il personale dell’ambulanza che l’ha soccorso gli ha trovato addosso una pistola e ha avvertito i carabinieri. Inutile il tentativo maldestro di gettare l’arma in una siepe: per Diabolik junior “è scattato l’arresto per detenzione e porto illegale in luogo pubblico di arma comune da sparo e ricettazione – scrive Roma Today – visto che dagli accertamenti è emerso che della pistola, una Beretta, era intestata a una persona deceduta”. Il giovedì da leoni dei Diabolik si è concluso con la notizia dell’arresto del nipote di Fabrizio Piscitelli: il 22 Nicolò è stato arrestato a Tor Bella Monaca per spaccio di droga.

 

Cilento Incidenti domestici: “Spara al cinghiale ma è la moglie, una 64enne finisce in ospedale”

Un altro titolo memorabile ci viene regalato dal Corriere del Cilento: “Spara al cinghiale ma è la moglie: 64enne in ospedale”. Con sei parole strette strette si apre un piccolo mondo stupefacente e becero; una frase capace di offendere con naturalezza sensibilità multiple, dagli animalisti alle femministe. Urge sottolineare che la signora sta abbastanza bene. La cronaca dell’episodio è meno brillante della titolazione: “Spara alla moglie con un fucile da caccia, ferendola a una spalla, pensando che fosse un cinghiale. L’incidente è accaduto ieri sera a Giungatelle, frazione di Montecorice. La donna, 64 anni, soccorsa da un’ambulanza della Misericordia di Ascea, è stata trasportata all’ ospedale di Vallo della Lucania, ma le sue condizioni di salute non sono gravi. Secondo una prima ricostruzione, l’uomo, 70 anni, ha sparato involontariamente con un fucile alla moglie, pensando che si trattasse di un cinghiale, che già da tempo rappresentava una minaccia per il loro orto”.

 

Germania Scatta l’allarme per una bomba abbandonata nel bosco. Gli artificieri “disinnescano” un sex toy

Scambiare un dildo per arsenale bellico inesploso: fatto. In Baviera gli artificieri sono stati allertati dalle preoccupate e preoccupanti segnalazioni di alcuni campeggiatori, convinti di aver visto una granata abbandonata in un boschetto nei pressi della città di Passau. Non era una bomba ma degli inoffensivi sex toys. Lo racconta Today: “L’oggetto, di gomma, era contenuto dentro una busta di plastica trasparente, come raccontato in un comunicato stampa della polizia di Hauzenberg diffuso dai media tedeschi. ‘Dopo un attento esame del contenuto della borsa, gli agenti si sono subito resi conto che si trattava di un oggetto di gomma. La borsa è stata svuotata e il contenuto è stato esaminato. Si sono scoperti un tubicino vuoto di lubrificante, due preservativi inutilizzati e un cavo Usb. Gli agenti hanno poi approfondito le ricerche, trovando sul web dei sex toy a forma di bomba a mano. I giocattoli sono stati smaltiti dalla polizia, ma come siano arrivati nel bosco e chi ce li abbia portati rimane ancora un mistero”.

 

Giappone La motociclista-influencer con 24mila follower è in realtà un uomo di 50 anni con la parrucca e i filtri FaceApp

Notizie che lasciano perplessi dal Giappone: un’avvenente motociclista-influencer con 24mila follower su Twitter si è rivelata essere un uomo di 50 anni che si mascherava con i filtri di FaceApp. La centaura aveva fatto sognare il suo pubblico con i lunghi capelli lisci, il sorriso brillante e le pose plastiche su una Yamaha da corsa. Il risveglio è stato violento: la bella motociclista era un 50enne con una parrucca e un sacco di tempo da perdere. “A scoprirlo – racconta il sito Meteoweek – sono stati alcuni utenti insospettiti dai riflessi negli specchietti della moto: le forme del viso non combaciavano con quelle della ragazza”. Il caso si è ingrossato: “Gli indizi raccolti su Twitter hanno portato anche un’emittente televisiva giapponese ad indagare. Di fronte all’evidenza, l’uomo ha quindi accettato di svelare la propria identità in tv”. Si è spiegato così: “Nessuno vuole vedere un vecchio zio sui social, così mi sono trasformato in una bellissima ragazza”. Signore, lei ha una personalità disturbante.

 

Usa Il gatto-zombie seppellito dai suoi padroni “resuscita” dopo 5 giorni e viene adottato da una nuova famiglia

Gatti zombie ne abbiamo? Ma certo: basta chiedere alla Zampa.it, il sito sugli animali della Stampa.it. Questa settimana ci regala la storia pulp, molto pulp, del gatto Bart, “tornato a casa 5 giorni dopo il suo funerale”. I padroni, un po’ troppo ansiosi di constatarne il decesso dopo che era stato investito da un auto, l’avevano seppellito prima che esaurisse le proverbiali sette vite. La povera bestia era svenuta e ridotta male, ma tutt’altro che pronta ad arrendersi: Bart si è “disseppellito” da solo ed è tornato a casa sulle sue zampe. Correva l’anno 2015. Ne è scaturita una controversia: “L’Humane Society di Tampa Bay, dove il gatto redivivo è stato portato per essere curato, non ha voluto restituirlo ai proprietari per delle ‘circostanze’ legate alle ferite”. Dopo 20 mesi di battaglia legale Bart è stato dato in adozione a un’altra famiglia, probabilmente più compassionevole e meno incline a dichiararlo stecchito. Sei anni dopo le sue esequie, il gattone ha perso un occhio ma guadagnato diversi chili: se la passa più che bene.

Dosi finite in Lazio e Campania

Basta prenotazioni dei vaccini Pfizer nel Lazio, almeno fino a nuovo ordine. Sono infatti “esauriti” gli slot disponibili per la prenotazione per il mese di maggio visto che, a quanto pare, tutte le dosi disponibili sono già state programmate. L’Unità di crisi della Regione ha però sottolineato che ci sono ancora, sempre per maggio, 100mila slot di prenotazione per AstraZeneca e per il monodose di Johnson e Johnson. “Con i prossimi arrivi – hanno aggiunto – verranno ulteriormente alimentati gli slot di prenotazione di tutti i vaccini”.

Uno stop in una Regione in cui la campagna è proseguita spedita e senza grossi problemi e che in parte rispecchia anche l’efficienza della rete di somministrazione dei vaccini rispetto ai noti limiti numerici della fornitura generale. In Lazio sono state infatti raggiunte, ad ora, 2.276.057 somministrazioni, di cui 1.527.583 prime dosi, pari al 31,5% della popolazione target, e 748.474 seconde dosi.

In modalità allarme invece la Campania dove le dosi a disposizione di alcuni centri vaccinali sono finite prima della nuova data di consegna, prevista per mercoledì. “Avendo esaurito le scorte di vaccino Pfizer, e in considerazione del programma delle prossime forniture, è ormai evidente che da lunedì non sarà possibile garantire le somministrazioni nei centri vaccinali di Mostra d’Oltremare e hangar Atitech” annunciava ieri la Direzione strategica dell’Asl Napoli 1 Centro, ribadendo “l’assoluta mancanza di dosi di vaccino a m-Rna con quantità sufficiente rispetto alla capacità di somministrazione”.

Per due giorni e mezzo (e in attesa quindi che da Roma arrivino nuove forniture) la campagna a Napoli potrà proseguire solo “a scartamento ridotto compromettendo di fatto il raggiungimento dell’obiettivo minimo giornaliero assegnato dalla Regione Campania”. Così, in tv, il governatore Vincenzo De Luca ha ribadito il suo vero punto, cioè che “a gennaio abbiamo deciso tutti insieme di inviare prima più dosi nelle Regioni con una popolazione più anziana, con l’intesa però che ad aprile si recuperassero”. Poi è iniziata la distribuzione sul principio “un cittadino un vaccino” e “non abbiamo recuperato le 200mila dosi in meno che abbiamo ricevuto. Gravissimo, perché pesa sulla Regione con più la alta densità abitativa d’Italia”. Oggi, come ogni settimana, è il giorno in cui la struttura del commissario Figliuolo farà il punto sulle forniture in arrivo.

Intanto, alle 17 di ieri il conteggio dei vaccini in Italia era a quota 23.8 milioni di dosi, 7,3 milioni gli immunizzati (di cui 6,5 milioni over 80). Cala la curva dei contagi (ma si riduce il numero dei tamponi) mentre è il tasso di positività che passa dal 3% di ieri al 3,6% di oggi. Le persone decedute sono state139: è il numero più basso dal 25 ottobre, quando furono 128.

L’Ue ferma AstraZeneca. Si tratta solo con Pfizer

Stop al rinnovo del contratto tra AstraZeneca e la Commissione Europea per le forniture del vaccino: ad annunciarlo, ieri, il commissario per il Commercio interno europeo Thierry Breton ai microfoni di France Inter. Una decisione che arriva dopo settimane di lettere, avvertimenti, repliche e tensione. “Non abbiamo rinnovato l’ordine dopo giugno – ha sottolineato il commissario facendo riferimento alla scadenza dell’ attuale contratto -. Vedremo cosa succederà”.

La necessità di non entrare in conflitto pubblico con la casa farmaceutica e al tempo stesso di non indebolire ulteriormente la reputazione del vaccino (quanto più necessario se si pensa al flop dell’evento di Matera: una notte di vaccino AstraZeneca aperta a tutti gli ultra 60enni che, come risultato, ha registrato un avanzo di 500 dosi su 750) fa sì che le parole di Breton non appaiano polemiche. Il commissario ha ribadito infatti che si tratta di “un vaccino molto interessante e molto buono”, soprattutto “per le condizioni logistiche e le temperature a cui può essere conservato”. La scelta, è il succo, è esclusivamente di tipo strategico, guidata dalla volontà e dalla possibilità di fare di Pfizer il principale interlocutore, fatti salvi i rapporti con gli altri fornitori. Ora, ha sottolineato “abbiamo iniziato con Pfizer a lavorare con la seconda fase e i vaccini di seconda generazione”. Sabato, infatti, è stato annunciato un accordo per altre 900 milioni di dosi di vaccino, più un’opzione su ulteriori 900 milioni di fiale entro il 2023.

Su AstraZeneca, in questi mesi, c’è stato un bel problema di numeri. La Commissione aveva annunciato un’azione legale con l’accusa di non aver rispettato il contratto e, soprattutto, di non aver mostrato piani affidabili a garanzia di consegne puntuali. Il contratto in corso era stato siglato ad agosto dell’anno scorso e prevede una fornitura di 300 milioni di dosi con l’opzione di ulteriori 100 milioni. Nei primi tre mesi dell’anno, però, ne erano state consegnate solo 30 milioni. Per il secondo trimestre erano previste almeno 80 milioni di fiale e le prospettive non sembrano migliorare, con 70 milioni nel secondo trimestre al posto dei 180 prospettati. AstraZeneca aveva replicato rammaricandosi “della decisione della Commissione Ue” e annunciando che si sarebbe difesa in tribunale. “Dopo un anno senza precedenti, la nostra azienda – aveva detto – sta per fornire quasi 50 milioni di dosi ai paesi Ue entro fine aprile, in linea con le nostre previsioni”. AstraZeneca sosteneva inoltre di aver rispettato pienamente l’accordo. L’obiettivo, adesso, è riuscire a vaccinare entro luglio il 70% della popolazione adulta dell’ Ue. “La capacità dell’Ue di procedere sulla campagna vaccinale – ha detto Breton – è letteralmente schizzata alle stelle. Questo sarà il primo fattore per ridare fiducia ai cittadini nella possibilità di tornare a viaggiare”. Ha parlato anche del “Digital Green Certificate” che concede l’ingresso nei Paesi Ue a tutti coloro che hanno ricevuto un vaccino approvato dalla Ue. “Sono fiducioso che sarà pienamente operativo entro la fine di giugno”.

Intanto, in Spagna, a mezzanotte di ieri, in centinaia si sono riversati nelle piazze per festeggiare la fine dello stato d’emergenza dichiarato dal governo il 14 marzo 2020. A Madrid però molti giovani , vicino alla Puerta del Sol, erano senza la mascherina e non hanno rispettato la distanza di sicurezza (le regole sono infatti ancora in vigore) formando assembramenti e calche. Nella capitale la polizia ha dovuto effettuare 450 interventi. Grande festa anche a Barcellona dove le forze dell’ordine hanno disperso 6.500 persone. A Palma il bilancio di una manifestazione non autorizzata contro il coprifuoco è stata di 16 fermati e quattro agenti feriti.

Nel 2014 Matteo avvisò B. che Letta sarebbe caduto

Il 6 febbraio 2014 Silvio Berlusconi, due settimane dopo il Patto del Nazareno siglato il 18 gennaio nella sede del Partito Democratico, sapeva che entro pochi giorni Matteo Renzi avrebbe fatto cadere il governo di Enrico Letta per sostituirlo a Palazzo Chigi. Cosa che avvenne il 13 febbraio, 7 giorni dopo. A rivelarlo è una parte fin qui inedita dell’audio dell’incontro tra Berlusconi e uno dei giudici che lo aveva fatto condannare per frode fiscale, Amedeo Franco, e l’allora sottosegretario alla Giustizia berlusconiano (oggi renziano), Cosimo Ferri. Report la manderà in onda stasera. Franco, dopo la condanna, si era pentito e voleva incontrare Berlusconi riuscendoci tre volte, due delle quali con l’intermediazione di Ferri, anche lui magistrato, già leader di Magistratura indipendente e forte di una fitta rete di relazioni nei Palazzi romani. Così i tre si incontrarono il 6 febbraio 2014 a Palazzo Grazioli e cosa si dissero oggi possiamo saperlo proprio perché Berlusconi registrò quella riunione. Come ha rivelato Report lunedì scorso, il giudice Franco disse a Berlusconi che la sentenza con cui era stato condannato nell’agosto precedente era una “porcheria”: “Il presidente della Repubblica lo sa benissimo di questa cosa” era stata la frase di Franco. “Ma cosa sa il presidente che…” la risposta di Berlusconi. “Lo sa che è stata una porcheria” aveva concluso il giudice di Cassazione.

In quella riunione però non si parlò solo della sentenza Mediaset ma anche della situazione politica che in quei giorni era caratterizzata dai forti contrasti tra Renzi e Letta (fino alle dimissioni del viceministro Stefano Fassina) e dal patto del Nazareno con cui il segretario del Pd aveva riportato al centro della scena politica il pregiudicato Berlusconi e Forza Italia, passata all’opposizione dopo la decadenza dell’ex premier dal Senato e la scissione con Ncd di Angelino Alfano. Dopo diverse settimane in cui Renzi bombardava Letta, il 17 gennaio il segretario dem era andato alle Invasioni Barbariche da Daria Bignardi per tranquillizzare il premier: “Enrico stai sereno, nessuno ti vuole prendere il posto”. Il giorno dopo, il 18 gennaio, Renzi ricevette al Nazareno Berlusconi e il suo braccio destro, Gianni Letta, per siglare un accordo teoricamente sulle riforme istituzionali (Italicum e abolizione del bicameralismo perfetto) ma che poi si allargò ad altre questioni inconfessabili: da una clausola anti-Prodi per sostituire Giorgio Napolitano al Quirinale, alla riforma della Giustizia finanche alla possibile grazia per il leader di Forza Italia. Ma forse già ne parlavano da tempo, come della sorte del governo Letta. Così, ai suoi interlocutori Ferri e Franco, il 6 febbraio Berlusconi anticipò cosa avrebbe fatto Renzi pochi giorni dopo: “Adesso vediamo cosa fa Renzi, accetto scommesse: entro il 20 febbraio manda a casa questo governo e si mette lui presidente del consiglio. Noi cosa facciamo? Io resto all’opposizione e voto le riforme” è la frase chiave. Scommessa vinta visto che 7 giorni dopo, il 13 febbraio, la direzione del Pd voterà a maggioranza bulgara una mozione proposta da Renzi per chiedere le dimissioni di Letta e il 17 febbraio il Presidente della Repubblica Napolitano darà l’incarico proprio al segretario del Pd. Il 21 nasce il governo Renzi. Berlusconi aveva sbagliato solo di un giorno.

007, Report sbugiarda Renzi. E Iv dà la caccia alle fonti Rai

Questa sera Report manda in onda, coperto, il padre di quella che i renziani chiamano “la professoressa bionica”, la testimone dell’ormai noto e discusso incontro del 23 dicembre 2020 all’autogrill tra il capo di Italia Viva e il dirigente dei Servizi segreti Marco Mancini, che aspirava a una promozione. L’anziano signore è costretto a spiegare che soffre “di una patologia che mi obbliga ad assumere dei farmaci abbastanza potenti per una leucemia mieloidecronica (…) Questi farmaci producono questi effetti (…) attacchi ripetuti per cui sono stato costretto a entrare e uscire dal bagno diverse volte…”. E questo per giustificare che la figlia, insegnante, si sia trattenuta nel parcheggio dell’autogrill di Fiano Romano durante i circa 40 minuti del colloquio tra Matteo Renzi e Mancini, abbia scattato alcune foto – che ha spedito subito al Fatto, purtroppo non le abbiamo viste – e girato un video di 28 secondi.

Ma soprattutto Report prova a ricostruire il dossier che gira da tre mesi e ora è finito in un’interrogazione del renziano Luciano Nobili contro la trasmissione di Sigfrido Ranucci, annunciata dallo stesso Renzi mentre spiegava di Mancini. Parla di una fattura da 45mila euro che la Rai avrebbe pagato a una società lussemburghese in relazione a un imprecisato aiuto che un ex manager di Finmeccanica, Francesco Maria Tuccillo, avrebbe dato a Report per il servizio di novembre 2020 su Alitalia e Piaggio Aerospace, che coinvolgeva Renzi. La fattura non si trova, Nobili non ce l’ha e a Report dice “non avete solo voi quelle informazioni, ce le abbiamo anche noi le informazioni”, accenna a “fonti giornalistiche stanche del fatto che la Rai ricorra a professionalità esterne”, a “dipendenti Rai”.

Il problema è che sa di Tuccillo, mai andato in onda. “Non è una nostra fonte” ma “l’abbiamo incontrato, una sola volta”, racconta Ranucci. “Che Nobili ne fosse a conoscenza – osserva – è un fatto gravissimo, per la libertà di stampa ma anche per il funzionamento democratico di un Paese”. Ranucci ricorda che Tuccillo “è stato tra i manager di Piaggio Aerospace che più si sono opposti al nuovo management filoarabo, sponsorizzato dal governo Renzi. Fu proprio Renzi che aprì le porte di un’azienda strategica per la sicurezza del Paese come Piaggio Aerspace, che produce tecnologia militare, agli Emirati Arabi. (…) Inolte Tuccillo aveva contribuito a catturare Roberto Vito Palazzolo, in arte Roberto Von Palace, il boss su cui aveva indagato Falcone e che da latitante in Sudafrica riciclava i soldi di Cosa nostra e avrebbe aiutato Finmeccanica a vendere gli elicotteri”. Anche Tuccillo nega. La società lussemburghese dice di non conoscerlo.

Le fonti dei giornalisti sono protette dalla legge sul segreto professionale, infatti ci allarmiamo se sono esposte a perquisizioni e intercettazioni e a maggior ragione se finiscono nel mirino di un partito che gioca alla controinformazione sui giornalisti sgraditi. Sarebbe inquietante se la magistratura cedesse alla richiesta di Renzi di perquisire l’insegnante perché sostiene di essere stato “intercettato”, quando al più è stato filmato per 28 secondi in luogo aperto al pubblico, senza captare una parola. Sarebbe un’intimidazione per chiunque accetti di parlare riservatamente con un giornalista.

Infatti Franco Bechis, direttore del Tempo e Augusto Minzolini, oggi editorialista del Giornale, non risulta abbiano denunciato chi, tre mesi fa, consegnò loro il dossier finito poi ai detective di Italia Viva. Entrambi spiegano a Report di averlo ritenuto falso, ma ne usarono una parte su Rocco Casalino: si parlava di mail tra l’ex portavoce di Giuseppe Conte e Ranucci, chiamato “un conduttore Rai”, a proposito di contenuti da mandare in onda. Entrambi hanno smentito, nessuno mostra le mail.

L’incontro tra Renzi e Mancini non è uno scandalo in sé ma è una notizia, se non altro per la location autostradale; la concomitanza con la crisi del governo Conte 2 che si consumava anche sul tema della delega ai Servizi tenuta per sé dall’ex presidente del Consiglio; la figura di un dirigente dell’intelligence passato indenne per vicende oscure (Abu Omar, lo spionaggio Telekom) anche grazie al segreto di Stato, con un’ampia rete di relazioni e in conflitto con altri settori degli apparati, che aspirava a una vicedirezione e non l’ha avuta. Infatti il Comitato parlamentare di controllo sui Servizi sentirà Gennaro Vecchione, capo del Dis e di Mancini. È ben più scandaloso che Renzi reagisca con un’interrogazione basata sul dossier falso che qualcuno ha fatto arrivare a tre giornali e a Italia Viva.

Riecco i migranti. E anche Salvini

Non solo le riaperture e il coprifuoco. Con l’arrivo della bella stagione e la ripresa massiccia degli sbarchi sulle coste italiane, Matteo Salvini apre un nuovo fronte nel governo Draghi: quello dei migranti. Nelle ultime settimane il leader della Lega lo andava ripetendo ai suoi: “La gestione di Lamorgese sugli sbarchi è folle, il governo deve cambiare rotta” diceva agitando le tabelle del Viminale secondo cui nel 2021 i migranti arrivati in Italia sono più che decuplicati rispetto al 2019 (12 mila a 900), quando al ministro dell’Interno c’era lui e il suo principio guida era quello dei “porti chiusi”. Sicché ieri il leader della Lega ha colto la palla al balzo dei 1400 migranti sbarcati a Lampedusa nelle ultime 18 ore per aprire un nuovo scontro nell’esecutivo chiedendo un incontro al premier Draghi: “Con milioni di italiani in difficoltà non possiamo pensare a migliaia di clandestini” twitta Salvini di prima mattina. A cui si unisce anche il sottosegretario leghista all’Interno Nicola Molteni, padrino dei decreti Sicurezza ma tenuto fuori da Lamorgese sulle politiche sui migranti visto che il ministro ha tenuto la delega per sè: “La situazione è allarmante – dice Molteni – Senza una risposta europea, oggi totalmente assente, serve un immediato intervento nazionale”. Per tutto il pomeriggio il centrodestra si butta a capofitto sugli aggiornamenti da Lampedusa per chiedere di fermare gli sbarchi. Giorgia Meloni vorrebbe il “blocco navale” perché “l’immigrazione clandestina va fermata: vanno fermati gli scafisti e le Ong immigrazioniste che speculano sulle tragedie” mentre la capogruppo di Forza Italia al Senato, Anna Maria Bernini, dice che “non si può tornare all’accoglienza indiscriminata”.

Il sindaco di Lampedusa Totò Martello invece accusa Salvini di “fomentare l’odio” e definisce il blocco navale “una sciocchezza”. Nel tardo pomeriggio Salvini scrive un paio di sms al ministro Lamorgese per chiederle un incontro al più presto con Draghi sui migranti: “Serve un piano per fermare l’escalation in vista dell’estate” scrive il leghista. Dal Viminale però si fa sapere che Lamorgese sta già lavorando a un nuovo accordo di Malta chiedendo alla Commissione Ue e ai propri omologhi di prevedere un meccanismo di redistribuzione. Il 20 maggio Lamorgese volerà a Tunisi insieme al commissario europeo Ylva Johansson per parlare del tema con le autorità locali. Ieri mattina, inoltre, dopo gli sbarchi a Lampedusa, Lamorgese e Draghi si sono sentiti al telefono per studiare una cabina di regia ad hoc da istituire prima dell’estate: oltre a lei, ne faranno parte i ministri Luigi Di Maio (Esteri), Lorenzo Guerini (Difesa) e Trasporti (Enrico Giovannini). Nessuno della Lega.

Ora Conte sposa la Raggi. Via Zinga, arriva Gualtieri

Giuseppe Conte sblocca l’enpasse delle Amministrative. E costringe il Partito democratico al piano B nella corsa più importante del lotto 2021: quella a sindaco di Roma. Il suo endorsement di ieri pomeriggio a Virginia Raggi ha convinto definitivamente il segretario dem Enrico Letta ad abbandonare il pressing su Nicola Zingaretti – mai davvero entusiasta all’idea di lasciare la Regione Lazio per correre al Campidoglio – e a puntare tutto su Roberto Gualtieri, che dunque parteciperà come nome “ufficiale” alle primarie cittadine di coalizione del 20 giugno. La mossa di Conte, anticipata da Il Fatto, ha determinato un effetto domino. Intorno alle 16, sono iniziate a trapelare le dichiarazioni dell’ex premier. “Il M5S su Roma ha un ottimo candidato: si chiama Virginia Raggi, il sindaco uscente – ha detto l’ex premier – Il Movimento l’appoggia in maniera compatta e convinta, a tutti i livelli. Virginia Raggi sta dando un nuovo volto alla citta”. Ne è seguita una riunione-lampo al Nazareno e, intorno alle 18, il tweet dell’ex ministro dell’Economia: “Mi metto a disposizione di Roma, con umiltà e orgoglio. Costruiamo insieme il futuro della nostra città. Io ci sono!”. Cinguettìo subito condiviso da Letta, con a commento il grido: “Roberto!”. Il non detto è che così regge il patto romano fra M5S e Pd: se uno fra Raggi e Gualtieri dovesse arrivare terzo al primo turno, questi appoggerà l’altro al ballottaggio.

Quello di ieri è stato indubbiamente un colpo di scena, giunto nelle ore in cui sembrava certo che Zingaretti fosse ormai il candidato del Pd per la Capitale. L’ex segretario nazionale avrebbe dovuto ufficializzare la sua discesa in campo sabato mattina, all’uscita dall’hub della Stazione Termini dove si era recato per ricevere il vaccino. Ma il suo silenzio ha dato la percezione di una situazione in evoluzione. L’operazione Zingaretti sindaco, su cui Letta ha lavorato dal suo arrivo al Nazareno, era decisamente complessa. Innanzitutto avrebbe creato un corto circuito non indifferente a Roma, dove il governatore e la sindaca litigano a corrente alternata ormai da cinque anni: come si sarebbe giustificato l’apparentamento al ballottaggio? L’altra questione, più pratica, riguarda la Regione Lazio. Alla Pisana è in atto una guerra interna al centrosinistra. Dopo il caso Concorsopoli, Zingaretti è ormai ai ferri corti con il suo vice, il franceschiniano Daniele Leodori, fino a poco tempo fa il successore ideale dell’ex segretario alla Regione. Così ora Nicola vede bene come futuro candidato l’attuale assessore alla Sanità, Alessio D’Amato, molto popolare per la gestione positiva dell’emergenza Covid ma inviso per la sua sovraesposizione a gran parte dei colleghi. Nei giorni scorsi era stato sondato anche il sottosegretario Pierpaolo Sileri, che però ha declinato. E poi, come non accorgersi del “forte imbarazzo”, ribadito ancora ieri in una nota ufficiale dalle assessore regionali pentastellate, Roberta Lombardi e Valentina Corrado, rispetto a un Nicola Zingaretti sostenuto in Regione dal M5s e in corsa a Roma contro la candidata del M5s stesso?

Il risultato? L’altro dato importante di giornata, è il dietrofront del Partito democratico, che riporta indietro le lancette quattro mesi e punta sul cavallo di riserva. Già, perché Gualtieri era già la quarta scelta un anno fa. Al rifiuto di David Sassoli, Dario Franceschini e dello stesso Enrico Letta, la scommessa sul deputato del centro storico non aveva ripagato in termini di sondaggi. In uno, pubblicato a marzo da Repubblica, era addirittura terzo, alle spalle di Raggi e Guido Bertolaso (che però si è sfilato di nuovo). Poi Gualtieri è stato messo da parte, per provare a tirare dentro Zingaretti, che però a quel punto avrebbe dovuto sostenere la richiesta di dimissioni da governatore da parte di Raggi stessa. In generale, non il massimo per chi da cinque anni spara ad alzo zero contro la sindaca ma non è riuscito a costruire in tempo un’alternativa, salvo ora – per orgoglio – rifiutare di appoggiarne la ricandidatura. Ma la mossa di Conte ora sblocca anche la partita nel centrodestra. Lega, FdI e Forza Italia lavoreranno col manuale Cencelli alla mano per decidere i candidati sindaci a Roma, Torino, Milano e Napoli. Nella Capitale, l’obiettivo era marcare a uomo il Pd. Ora che c’è Gualtieri in campo, il profilo potrebbe essere anche diverso dal “manager” ipotizzato con Bertolaso o Andrea Abodi: alla fine, Giorgia Meloni potrebbe proporre di schierare la sua “figlioccia” Chiara Colosimo, che in Regione Lazio può vantare di aver dato filo da torcere a Zingaretti, cavalcando le inchieste giornalistiche su mascherine e assunzioni.

Ma mi faccia il piacere

Dice a noi? “Mattarella: fare piena luce sugli anni di piombo” (Repubblica, 9.5). Mo’ me lo segno.

Come s’offre. “Recovery buono finché c’è Draghi” (Carlo Cottarelli, Stampa, 3.5). E finché Cottarelli è consulente del governo Draghi.

Fatturato giudiziario. “I tribunali come aziende, ecco il piano: è l’ora di manager e premi di produttività” (Cottarelli, Stampa, 7.5). Previsto anche il cottimo sulle condanne.

Forchettoni. “Così Letta, Conte e Di Maio imbavagliano il popolo italiano” (Roberto Formigoni, pregiudicato per corruzione, Libero, 9.5). Certo, come no, intanto tu sgancia la refurtiva.

Ah Sudamerica. “Macelleria Report. L’agguato della Rai a Renzi: roba da America Latina anni 70” (Piero Sansonetti, Riformista, 5.5). Ma un senatore che incontra una spia all’autogrill non s’era mai visto neppure in Sudamerica. Fortuna per Samsonite che i continenti non possono querelare.

Procreare, ma perché? “E perché Berlusconi dovrebbe essere escluso dalla corsa al Colle? Ha tutte le carte in regola, è un grande uomo di sport e un grande imprenditore: ha dato prestigio al Paese a livello internazionale…” (Antonio Tajani, vicepresidente FI, 29.4). “Una famiglia senza figli non esiste, la famiglia va difesa” (Tajani, 7.5). L’idea è la madre dei cretini sempre incinta.

Chiamate l’esorcista. “Ponte sullo Stretto pronto in 10 anni, diventerà il simbolo della ripartenza. Sarà a tre campate e ci passerà la ferrovia. Si tratta di un progetto nazionale che riguarda tutta Italia, non solo il Sud: saremo il collegamento tra Europa e Africa” (Giancarlo Cancelleri, viceministro M5S Trasporti, Stampa, 9.5). Cavaliere, è lei?

Transizione enologica. “Bruxelles approva il Recovery italiano” (Roberto Cingolani, ministro della Transizione ecologica, Stampa, 5.1). Il vino è buono: l’ha detto l’oste.

Il giureconsulto. “Con Pd e M5S nessuna riforma della giustizia in questo Parlamento” (Matteo Salvini, segretario Lega, 7.5). Per riformarla, devi essere perlomeno imputato.

Faraon de’ Faraoni. “Ma come si può considerare i sondaggi credibili quando uno trasmesso da La7 dice che Iv è all’1,7% e un altro trasmesso dalla Rai dice che è al 4.5%?” (Davide Faraone, capogruppo Iv Dubbio, 5.5). Stai sereno, quello giusto è il primo.

La prova regina. “Andrea, compagno di scuola della ragazza: ‘Grillo e gli amici non mi piacevano’” (Repubblica, 7.5).

“Dopo la notte in casa Grillo, Silvia era stordita e poco lucida”. “Sembrava confusa, non riuscì a finire la lezione. Mi è parsa timida” (Francesca, istruttrice di kite surf, Repubblica e Corriere della sera, 9.5). Inutile fare il processo: è già stupro sicuro.

Il suo nome è Nessuno. “Qui non sono nessuno: non posso firmare un pezzo di carta nè stanziare un euro. Dovrei stare all’ultimo piano di Palazzo Lombardia a dire cosa mi sembra giusto o sbagliato. Invece sono qui a incastrare numeri” (Guido Bertolaso, Corriere della sera, 23.3). “Ora la locomotiva sui vaccini è la Lombardia” (Bertolaso, Corriere della sera, 4.5). Per forza: lui non contava nulla.

Col permesso de li superiori. “Informazione più affidabile se si investe nel suo futuro. Oggi è la Giornata della libertà di stampa. Lo Stato deve supportare l’editoria di qualità. L’occasione del Recovery Plan” (Messaggero, 3.5). La famosa stampa libera col cappello in mano sotto palazzo Chigi.

La sua Africa. “Non mi candiderò a Roma. Penso a una campagna vaccinale da organizzare in Africa” (Bertolaso, ibidem). Con tutti i guai che ha l’Africa, le manca solo quello.

Il tutore dell’ordine. “Tomaso Montanari è molto invitato nei talk in quota ‘anti-Draghi’… Ordinaria commedia tv” (Aldo Grasso, Corriere della sera, 9.5). In effetti, che esista ancora qualcuno che non lecca culi, è una vera tragedia.

Slurp/1. “Billy Berlusconi, lo scienziato partito da un garage di Genova. L’operoso figlio di Paolo. Il nipote di Silvio, 39, anni. Ha creato dal nulla la fabbrica degli ‘avatar’ dove duplica gli esseri umani generando il loro doppione digitale” (Tiziana Lapelosa, Libero, 1.5). Avevamo il nuovo Einstein in casa e nessuno ci diceva niente.

Slurp/2. “Sospetto che Draghi soffra il disagio dell’abbondanza e non sia così contento di sé come gli italiani lo sono di lui” (Francesco Merlo, Repubblica, 8.5). Quindi dev’essere contentissimo.

Il titolo della settimana/1. “La speranza di Bruxelles: ‘Draghi premier fino al 2023’” (Claudio Tito, Repubblica, 3.5). Il tempo di abolire le elezioni, poi può pure continuare.

Il titolo della settimana/2. “Lezione sugli intellettuali di destra. Scanzi scorda D’Annunzio, Pirandello, Prezzolini e tanti altri” (Renato Farina, Libero, 6.5). Infatti parlava di quelli vivi, tipo te.

Il titolo della settimana/3. “A che serve punire dopo 40 anni?” (Tiziana Maiolo, Riformista, 5.5). A metter dentro gli assassini latitanti per 40 anni.

Il titolo della settimana/4. “L’ergastolo implacabile. Certezza della pena non significa buttare la chiave” (Adriano Sofri, Foglio, 8.5). Non prima di averla usata per chiudere la cella.

Duccio Forzano e Luca Vullo raccontano quanto è forte (e italico) “Il potere dei gesti”

Italiani popolo di santi, di eroi e di gesticolatori, verrebbe da dire guardando Il potere nei gesti, il nuovo prodotto di casa TvLoft il cui primo episodio è in streaming da giovedì scorso. Ogni settimana e fino al 3 giugno, un viaggio attraverso la comunicazione non verbale del Paese che, non a caso, lo psicologo Adam Kendon definì proprio “la babele dei gesti”.

Il cicerone d’eccezione è l’esperto e performer Luca Vullo, che si definisce “l’ambasciatore della gestualità italiana nel mondo”, dopo anni passati ad affrontare la tematica nelle università a livello internazionale e a formare compagnie teatrali sprovvedute nel tentativo di padroneggiare questa così italica essenza. Co-autore del programma assieme allo storico regista Rai Duccio Forzano – anni di Che tempo che fa e svariate edizioni del Festival di Sanremo nel curriculum, solo per ricordare una minima parte delle sue gesta –, Vullo si muove su un palcoscenico minimale, occupando lo spazio con un linguaggio del corpo esuberante e guidando gli spettatori nelle pieghe di qualcosa che è loro pane quotidiano, quindi naturale all’apparenza, ma straordinario agli occhi di chi osserva da fuori.

Uno studio dell’Università Roma Tre ha calcolato in 250 il numero medio di gesti che facciamo in una giornata normale, sottolinea il Nostro: figurarsi cosa può accadere in situazioni e contesti straordinari. È un conglomerato debordante di cenni, smorfie e pose la gestualità italiana, “patrimonio immateriale dell’umanità” per Vullo che ha lanciato anche una petizione per chiederne il riconoscimento all’Unesco. Un’unione unica di mimica e prossemica che fa del nostro un popolo naturalmente “poliglotta”, costantemente immerso in un insieme straordinario di lingue e linguaggi che non ha eguali nel mondo. Non siamo gli unici a gesticolare ovviamente, ma nessuno lo fa come noi: una varietà e una ricchezza semica e semantica che sembra generare direttamente dalla nostra storia stratificata e plurale, quella di una penisola luogo di incontro e di scontro di popoli e nazioni, congerie di culture, campanili e tradizioni. Una nube di filosofia che si nasconde dentro una grammatica della spontaneità, potremmo dire parafrasando Wittgenstein.

E ce n’è proprio di ogni ne Il potere nei gesti: dall’olifrastica mano “a carciofo” – o a “tulipano”, che dir si voglia – che tutto il mondo ci imita, all’irriverente “gesto dell’ombrello”, volgare ma sofisticato nell’ampiezza di sfumature e declinazioni che può assumere. E guai a pensare che sia solo una questione linguistica: di mezzo ci finiscono la politica e la costruzione della leadership – ricordate il teatrino montato al Senato da Salvini mentre il presidente del Consiglio Conte lo sbugiardava a reti unificate prima di andare a dare le dimissioni al Quirinale sancendo la fine del governo gialloverde? – ma anche in generale la nostra capacità di costruire relazioni sociali durature, così fortemente indebolita e minata dall’esperienza della pandemia.

Esilarante e leggero, Luca Vullo diverte ma fa divulgazione. Le sue lezioni sono brevi (poco meno di 20 minuti), ma intense e accattivanti. Sospettiamo che il giovedì diventerà appuntamento fisso per molti. Difficile sottrarsi dalla curiosità e dalla voglia di arrivare alla fine del percorso.