Leoluca Orlando è il rappresentante naturale dell’usato sicuro, della politica vintage, dei mister Rieccolo. Ventitrè anni, finora, come sindaco di Palermo e non è finita qui.
Il sondaggista Nando Pagnoncelli pronostica un ritorno in auge dei candidati attempati dopo la scolorita e caotica prova giovanilista offerta dai Cinquestelle.
Si cerca di nuovo, al mercatino della politica, l’esperienza. E l’esperienza è il nome, diceva Bernard Shaw, che diamo ai nostri errori.
Siamo già al riflusso? Ritorniamo sui meno peggio, senza molto entusiasmo e senza molte aspettative. Meglio i vecchi dei giovani?
Sa che io sono stato per quattro volte il più votato del più votato nel consiglio comunale di Palermo? E quando sono entrato in municipio, era il 1985, il consigliere anziano era Sergio Mattarella?
Leoluca Orlando era un fior di giustizialista.
Oggi ex giustizialista.
Populista.
Oggi ex populista.
Combattente e resistente alla mafia.
Oggi sono resiliente.
Ah.
La resistenza è contro qualcuno, è antagonista per natura e quello è il suo limite. Ha bisogno di un nemico. La resilienza invece accompagna te nel cammino. Adegui incessantemente il tuo agire al tempo in cui ti trovi ad operare.
La resilienza è muro di gomma.
Sbagliato. Se questa classe politica ha una colpa grave è certamente quella di non aver avuto una scuola di politica. È giunta ignorante, sbandata, affetta da una sindrome compulsiva dell’istante. L’istante cioè come il quadro di riferimento della lotta politica.
Ora sta parlando di Salvini.
Lui ha un problema enorme. Non ha coscienza del tempo, dunque non vede ciò che potrà essere domani. Guarda all’oggi e nell’oggi fa le battaglie sulle minutaglie, sui dettagli. Un urlatore seriale, uno spacciatore di vittorie effimere. Perciò perderà la leadership del centrodestra. Lo fregherà la Meloni, che invece ha più capacità di prendere le misure con i problemi, cosciente che non potrà risolverli in un battibaleno.
Però Salvini sia a Roma che a Milano ha candidato, senza troppa fortuna, gli over settanta Bertolaso e Albertini. Anche lui capisce che il nuovo o non c’è o se c’è non paga.
A Napoli è però in campo Antonio Bassolino, un ex di lusso. Noi attempati siamo i più forti.
I più forti?
Sappiamo misurare la nostra capacità, e anche valutare la dimensione temporale degli obiettivi che possiamo centrare. I grillini sono dei giovanotti capaci di inneggiare a una vittoria epocale per una cosuccia ottenuta in Parlamento, e a mortificarsi senza requie se patiscono una sconfitta tutto sommato trascurabile.
Primo comandamento: il candidato vincente deve saper perdere.
I Cinquestelle devono ripassare la storia di Joe Biden. È presidente degli Usa perché i suoi competitori del partito democratico si sono fatti di lato temendo di perdere il match con Trump. Biden invece non ha avuto mai paura di perdere. La sua lunga storia politica era del resto disseminata di insuccessi.
La politica concede agli sconfitti sempre una chance.
Non una, ma due, tre. E dunque bisogna persino pianificarla. La sconfitta è il posizionamento verso la vittoria. Mi spingo oltre: a volte è persino necessario perdere.
Quindi i grillini per vivere devono un po’ morire.
Devono accettare il tempo. Non possono pensare che vanno al governo e cambiano tutto. In cinque anni non si cambia quasi niente. Io lo so. E anche gli italiani ora lo sanno. Perciò ritornano gli attempati, la classe degli over.
Lei quando era giustizialista, anche un po’ demagogo, diceva altro.
Ero.
Oggi misura i passi.
So, per esempio, che non potremo mai completare i progetti del Recovery nei sei anni che ora definiamo limite invalicabile. Non abbiamo la tecnica, il capitale umano, la leva in grado di imprimere una accelerazione così forte. Me lo dice l’esperienza.
E qui torniamo a quel che ci ha insegnato Shaw.
L’esperienza è la parola che diamo ai nostri errori.