Pomeriggio romano. “Dovevo raggiungere mio padre in una piazza. Mi avvicino, da lontano lo saluto e contestualmente mi rendo conto che una famiglia, seduta accanto a lui, mi aveva riconosciuta. Si alzano per venirmi incontro, volevano un autografo, e vengo colta dal panico. Fuggo. Corro. Poco dopo mi giro e proprio papà arriva da me con queste persone sotto braccio, sorrideva: ‘Carlottina, ti vogliono conoscere’; e poi, a quattr’occhi, ‘lasciali sognare, il pubblico ne ha bisogno: devi firmare autografi, e se ti chiedono del lavoro devi rispondere che è bello, semplice e divertente. Non ti lamentare mai di orari, pause e assenze’”.
Piero Natoli è il burino irrisolto di Ferie d’agosto (“quando ho visto quel film sono stata malissimo”), l’eterno immaturo di Compagni di scuola, l’amante di Stefania Sandrelli ne L’ultimo bacio; Piero Natoli era un documetarista (“ne ha realizzati 107 per la Rai”) e un regista alla vecchia maniera, quella del basta accendere la macchina da presa, possedere un po’ di pellicola e la vita – finalmente – poteva confondersi dentro a un film.
Piero Natoli è morto l’8 maggio 2001, a soli 53 anni, “e per fortuna non ho nessun rimpianto, sono riuscita a esprimergli tutto prima dell’addio”.
Tonino Zancardi sosteneva: “Piero era il vero indipendente. Non voleva produttori, non voleva legacci”.
Era uno spirito libero e soffriva quando era costretto a incastrarsi, preferiva gestire tutto da solo: dopo la morte ho trovato un suo quaderno nel quale spiegava, punto per punto, come si realizza un film, a partire dai soldi chiesti ad amici e conoscenti,
Cioè?
Quando decideva di girare, chiamava all’appello tutti, dal pizzicarolo (il piccolo alimentari) alle amiche di mia madre, e sempre sullo stesso quaderno segnava nome e cifra da restituire; ho sempre pensato che il suo modo di muoversi rendeva il cinema un qualcosa di vicino all’artigianato.
La sua famiglia ha origini nobili.
Sicuramente mia madre, mentre papà, già quando ero piccola, mi offriva la sua visione dei titoli nobiliari: “Carlottina, noi due siamo siciliani normanni, perché alti, belli e con gli occhi azzurri”. E aggiungeva: “Mamma sarà anche contessa o contessina, ma noi siamo principi”. Non gli ho mai creduto.
E invece…
Anni dopo la sua morte, la sorella di mio padre mi invia una carta: eravamo gli ultimi eredi di un castello a Sperlinga in Sicilia, oramai un rudere. Quindi aveva ragione; (torna a prima) lui mi ha insegnato un cinema materico, e ripeteva: “Qualunque cosa accade sul set, vai avanti, non ti fermare, c’è la pellicola e la macchina da presa”. E guai a chiamarla “camera”.
Ha lanciato molti attori, tra questi Valerio Mastandrea.
Con lui siamo molto legati, per me è un fratello, ma una volta l’ho preso per un orecchio: “Dici sempre che ti ha lanciato Costanzo, ma il primo film lo hai girato grazie a mio padre”. Era Ladri di cinema.
E in teoria non era neanche nel cast…
Aveva accompagnato Vera Gemma per un provino e quando mio padre lo vide gli disse: “Voglio pure te”. “Con quale parte?” “Non ti preoccupare, poi vediamo”; (sorride) durante le riprese Valerio chiamò papà: “Scusa Piero, ma domani non posso venire sul set, ho un altro impegno”. “Non ti preoccupare, ti taglio la scena, faccio dire a un personaggio che sei in ospedale”; l’idea di Ladri di cinema era quella di reclutare una squadra di sette persone, come I magnifici 7.
Il western?
Mi ha cresciuta a pane secco, latte e film di cowboy; per me papà era povero, me lo aveva detto mia nonna.
Lo era?
Viveva con due spicci, ma li gestiva benissimo; dopo il funerale mi chiamò il direttore della sua banca: “Non aveva tanti soldi, ma era perfetto”. Mi ha lasciato senza un debito, aveva un’integrità etico-morale, viveva in una casa piccolissima, non avevo neppure una stanza per me; una mattina avevo fame, ma in casa c’era solo pane secco e latte; e lui: “Insieme sono buonissimi, ci mettiamo lo zucchero”. E io, dentro di me: “Oddio, quanto è povero”.
E…
È stata la colazione più buona della mia vita, con zucchero a volontà; per anni e anni ho comprato il pane per seccarlo e riprovare quella sensazione.
Come mai i western?
Si riteneva figlio di John Wayne; mio nonno è morto quando lui aveva quattro anni e per una ferita di guerra mentre cavalcava un cammello nella guerra d’Africa, ferita poi diventata fatale mentre giocava a carte in infermeria, e in mano aveva un poker servito; di conseguenza mio padre scelse John Wayne come genitore putativo: a casa era appeso un suo manifesto, e quando entravo mi invitava a “salutare nonno”.
Viveva sempre dentro un film…
Per lui, vita e cinema erano la stessa cosa, anche io sono così e soffro quando mi portano fuori da questo binario.
Il suo primo ricordo sul set.
Ero in Salto nel vuoto di Bellocchio, quando in una scena Michel Piccoli mi poggia una mano sulla spalla, mi giro e vedo lui sorridere. Questa scena poi è stata tagliata, ma è nel mio cuore perché quel gesto lo inquadro come quanto di più vicino all’affetto di un vero nonno: quello sguardo dolce, da anziano, non l’ho più ritrovato.
E quando ha capito di voler intraprendere il mestiere di suo padre?
Dopo Con… fusione; (cambia tono) portammo il film a Venezia, lui rammaricato: “Porca miseria, siamo qui proprio l’anno in cui hanno tolto i secondi e i terzi premi”. Alla fine ha preso una coppa.
Secondo Virzì era “un uomo di mondo, chiacchierone, colto e sofisticato. Il suo lato buffo era la vanità, si considerava bello”.
Era un seduttore, ma non un reale amatore: amava una donna alla volta, a cicli di sette anni, sempre innamorato, però…
Di lei era geloso?
Questa domanda non me la sono mai posta, però sminuiva tutti i miei fidanzati, e partiva dalla domanda: “Gioca a pallone?”. E poi: “Carlottina ricorda: nella vita non c’è niente di serio eccetto il calcio”.
Per chi tifava?
Quando l’anno seppellito ho sentito il becchino commentare: “E poi dicono che questo era mezzo daaa Roma e mezzo daaa Lazio”, cioè uno né carne né pesce; in realtà era romanista ma non anti laziale; (sorride) è stato sepolto nella tomba della famiglia di mia madre, famiglia che lo odiava, perché non siamo riusciti a trovare altro.
Alla frase del becchino cosa ha pensato?
Di stare dentro un film di papà; quel giorno abbiamo organizzato due funerali: prima religioso e poi laico, tra i presenti anche Walter Veltroni: papà è stato il suo insegnante di Educazione fisica al liceo.
Educazione fisica?
Da giovanissimo, però, invece dei rudimenti da attività fisica, si fregiava di insegnare politica, e quando incontrava Veltroni gli ricordava: “Sono stato io a portarti sulla rotta giusta”; poi si iscrisse a Legge perché innamorato di Perry Mason: sostenne tutti gli esami, non la tesi perché era arrivato il ’68.
Chi ha parlato al funerale?
Tanti; ricordo Paolo Agosti e il suo racconto del loro viaggio a Cuba: allora partecipavano ai campi di lavoro e alla fine della giornata, i leader gridavano: “Dobbiamo impegnarci otto ore al giorno e anche di più!”. L’unico che manifestò qualche dubbio, fu proprio mio padre: “Forse otto ore sono un po’ troppe…”; (sorride) poi ricordo Angelo Orlando, disse che papà non sapeva giocare a pallone. Ed era vero. Ma allora ci rimasi male.
Era molto amico di Fantastichini.
Papà lo ha aiutato in un momento molto difficile: Ennio era una persona cupa, vanitosissima, autodistruttiva, ma generosa. Tendeva, e oltre, alla depressione.
In Ferie d’agosto suo padre, a Fantastichini, per sbaglio, ha slogato una spalla “perché passava il suo tempo in palestra”.
Mica vero, andava giusto lì per una sauna, una doccia seria, non come quella di casa e due chiacchiere; dopo la sua morte sono andata in palestra e l’usciere, con le lacrime agli occhi, ma ha restituito la sua ultima sceneggiatura: gli aveva chiesto un parere; (ci pensa) non era come gli pseudo intellettuali di sinistra con gli atteggiamenti snob, la sua sinistra prevedeva un’apertura mentale priva di preconcetti, quindi chiedeva consiglio a chiunque; (cambia tono) lo ha distrutto il diventare attore, non l’attività fisica.
Tradotto?
In Ferie d’agosto è stato meraviglioso, sublime, talmente bravo da sconvolgermi: sono scappata dal cinema, da figlia non lo potevo vedere così squallido, così pover’uomo; quel film lo ha massacrato.
Cioè?
Doveva essere nominato ai David come miglior attore non protagonista, così gli avevano riferito, e invece niente: ci rimase malissimo; (ci pensa) ma il vero problema era psicoanalitico: lui era regista e non attore.
Differenza…
L’attore è sottoposto sempre a una gogna, quindi deve avere o una grande sicurezza affettiva o una grandissima superficialità, perché ti distrugge psicologicamente; lui, da regista, era nella posizione del padre, era lui lo sguardo, e ci si ritrovava; poi gli sono arrivati dei film da attore, ed era lui a dover sottostare allo sguardo del padre, senza mai averne avuto uno, ed è stata dura. Si è perso.
Da Ferie d’agosto…
Si è incrinato qualcosa nel suo equilibrio.
In Compagni di scuola?
Quello è precedente, si è divertito, non era ancora in discussione con se stesso; ma papà era più che altro un documentarista, per la Rai ne ha girati 107 e alla Rai li ho chiesti più volte ma senza risultato. “Mi trattano da cialtrone, ma li vedrai tutti al mio funerale”. Aveva ragione; attenzione: non lo voglio beatificare, era anche un fijo de ’na mignotta.
Esempio.
Non si è comportato linearmente con tutti, a mia madre non ha mai riconosciuto alcun contributo economico, non mi ha mai portata in vacanza.
Da uomo di sinistra, perché John Wayne?
Aveva il fisico, la stazza, il carisma, ti dava un senso di argine; io ho scelto Gene Hackman come zio.
E ha sposato un attore.
Gli attori si possono accompagnare solo ad altri attori; io sono stata con persone esterne a questo lavoro, ma non ci capiamo.
Quell’ultima sceneggiatura di suo padre ha mai pensato di realizzarla?
Un tempo sì, ma non ho voglia di perdermi in tutti i processi di un film, e poi mi sono resa conto che per lui ho fatto pure troppo: sono stata un’ottima figlia, meglio di lui come padre, anche se è stato grande. E con la sua morte mi ha in qualche modo liberata del complesso di Edipo.
Chi era lui?
Un figlio della guerra.
Cosa vuol dire?
Ha vissuto tutti i miti post-bellici, dalla bionda della pubblicità Coca Cola – e tutte le sue fidanzate dovevano essere alte e bionde – a John Wayne, fino al cinema come strumento di liberazione e politico; poi, quando la società è cambiata, si è trovato con gli occhi sbarrati sull’abisso ed è riemerso l’orrore; (pausa) è stato il primo attore di quella generazione, a morire, e ha sorpreso tutti, perché lui era il poeta bambino.