Bose, il decreto che caccia padre Bianchi: “Non ha rinunciato a governare comunità”

L’ex priore Enzo Bianchi “ha mostrato di non aver rinunciato effettivamente al governo, interferendo in diversi modi, continuamente e gravemente sulla conduzione della medesima comunità e determinando una grave divisione nella vita fraterna. Si è posto al di sopra della regola della comunità e delle esigenze evangeliche da esse richieste, esercitando la propria autorità morale in modo improprio, irrispettoso e sconveniente nei confronti dei fratelli della comunità provocando lo scandalo”. Ecco le ragioni che hanno spinto il Segretario di Stato Vaticano, Pietro Parolin, a chiedere, l’allontanamento a tempo indeterminato dell’ex fondatore della comunità di Bose. A svelare il decreto singolare approvato in forma specifica da Papa Francesco il 13 maggio 2020, è stato il blog Silerenonpossum.it di Marco Felipe Perfetti. Il giovane avvocato che, secondo alcuni monaci di Bose, avrebbe una gola profonda in Vaticano, ha pubblicato il provvedimento, rimasto finora inedito e secretato. Nell’atto sono specificati i motivi che hanno convinto la sede apostolica ad intervenire nei confronti dell’anziano monaco e non solo: “Tale clima di estrema tensione e divisione è favorito da un gruppo di membri della comunità, in particolare e soprattutto da Goffredo Boselli, Lino Breda e Antonella Casiraghi che fanno riferimento esclusivo a fratel Enzo Bianchi e non riconoscono, di fatto, l’autorità del legittimo priore in carica, ostacolandone gravemente l’esercizio”. Da qui la decisione di nominare delegato pontificio per un periodo ad nutum Sanctae Sedis, 
padre Amedeo Cencini, “con pieni poteri”. Nell’atto, pubblicato dal blog di Perfetti, sono indicati anche i provvedimenti presi per il fondatore e gli altri tre. Bianchi “si trasferirà, per un tempo indeterminato e senza soluzione di continuità, in un monastero o altro luogo scelto dal delegato pontificio, in accordo per quanto è possibile con l’interessato”. Non solo: l’ex priore “si asterrà dal rientrare a Bose o in una delle fraternità e dall’intrattenere in alcun modo, relazioni e contatti con i membri della comunità senza l’autorizzazione previa ed esplicita del delegato pontificio”. È “fatto divieto a Enzo Bianchi di fondare comunità, associazioni o altre aggregazioni ecclesiali”. Stesse decisioni anche Boselli, Breda e Casiraghi. In più fratel Goffredo non potrà “risiedere nello stesso domicilio di Enzo Bianchi” e dovrà “ interrompere i contatti con lui”.

Cucchi, l’appello aggrava le pene per i carabinieri

“Il mio pensiero va a Stefano e ai miei genitori che oggi non sono qui in aula. È il caro prezzo che hanno pagato in questi anni”. È emozionata Ilaria Cucchi al termine della sentenza che ha condannato in appello i carabinieri che uccisero il fratello. Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro dovranno scontare 13 anni (in primo grado erano 12) per omicidio preterintenzionale, colpevoli dell’aggressione al geometra romano dentro la caserma di Casilina, nella notte del 15 ottobre 2009, che ne provocò la morte per le lesioni riportate.

Condannati per falso a 4 anni il maresciallo Roberto Mandolini (all’epoca comandante della Stazione Appia), e a 2 anni e 6 mesi il carabiniere Francesco Tedesco. I legali presenteranno ricorso in Cassazione. In parallelo, prosegue il processo sul presunto depistaggio, istruito dal pm Giovanni Musarò, in cui sono imputati altri 8 uomini dell’Arma accusati di aver coperto e favorito i loro colleghi, prima nel 2009 e poi nel 2015, impedendo di risalire alla verità sulla morte di Cucchi.

Già 100mila euro per la famiglia di Luana D’Orazio

Già oltre centomila euro raccolti per sostenere la famiglia di Luana D’Orazio, l’operaia morta sul lavoro pochi giorni fa, e il futuro di suo figlio di soli cinque anni.

Il caso, anche per via della giovanissima età della ragazza, morta a 22 anni, ha scosso l’opinione pubblica al punto che diversi enti si sono messi insieme per aiutare la famiglia di Luana, grazie anche al coordinamento del Comune di Montemurlo. E così, in pochi giorni, sono arrivate donazioni per oltre centomila euro, come confermato ieri dal vicesindaco del Comune toscano, Giuseppe Forastiero, intervenuto a Radio Cusano Campus: “Non ci si capacita del fatto che nel 2021 sia successo questo, è inaccettabile che una ragazza di 22 anni non torni a casa. L’idea della raccolta fondi è venuta al nostro sindaco Calamai. Ci telefonano da tutta Italia per chiedere informazioni su come fare il bonifico, si è attivata l’Italia intera per aiutare questa famiglia”. I dettagli dell’iniziativa sono pubblicati sul sito internet del Comune di Montemurlo.

“Nelle indagini a Milano non ci furono anomalie”

È stato rapido, il procuratore di Milano Francesco Greco, a rispondere al procuratore generale milanese Francesca Nanni, che all’inizio di maggio gli aveva chiesto una relazione sul caso Amara, sui verbali segreti trafugati e sui contrasti con il sostituto procuratore Paolo Storari. Ieri mattina la relazione è arrivata sul tavolo della magistrata, il cui ufficio ha anche il compito di vigilare sull’operato della Procura, con addirittura il potere di avocarne le indagini, qualora ravvisasse inerzia nelle attività investigative dei colleghi (è già successo in passato, per esempio quando il predecessore di Nanni ha mandato i suoi sostituti procuratori generali al posto dei pm della Procura a rappresentare l’accusa in un processo su Expo al sindaco Giuseppe Sala). Poi Greco è volato a Roma, dove ha incontrato il procuratore Michele Prestipino, che oggi interrogherà Storari, indagato per aver passato copie di verbali segreti al componente del Consiglio superiore della magistratura Piercamillo Davigo.

La relazione di Greco al procuratore generale è stata depositata con alcuni allegati, tra cui scambi di messaggi email con Storari e parti non omissate di verbali. Ora l’ufficio di Francesca Nanni esaminerà il materiale, per poi procedere in almeno due direzioni. Da una parte, valuterà i comportamenti di Storari, aggiungerà possibili accertamenti integrativi (tra cui, eventualmente, una sua relazione sui fatti) e poi trasmetterà tutto il materiale raccolto al procuratore generale della Cassazione, Giovanni Salvi, per una eventuale azione disciplinare nei confronti di Storari. La seconda direzione potrebbe riguardare l’operato della Procura, in particolare nei confronti di Piero Amara, indagato da quattro anni in una delle più complesse e delicate inchieste che la Procura milanese sta conducendo, quella sul cosiddetto complotto che Amara avrebbe messo in campo per frenare le indagini in corso su presunte tangenti Eni in Algeria e Nigeria. In astratto, esiste la possibilità che la Procura generale chieda l’avocazione per sostituirsi alla Procura nella conclusione delle indagini.

La relazione Greco fa il punto sull’ultima fase dell’inchiesta su Amara, quella aperta dagli interrogatori del dicembre 2019-gennaio 2020 in cui l’ex avvocato esterno di Eni racconta l’esistenza di una fantomatica loggia “Ungheria” a cui apparterrebbero magistrati, politici, avvocati, ufficiali delle forze dell’ordine. Il procuratore ricostruisce i fatti, allinea gli avvenimenti, registra le reazioni. Prende atto che alcuni verbali “apocrifi” di Amara, copie di lavoro senza firme dei pm, arrivano in buste anonime a due quotidiani, al Fatto e poi a Repubblica. Racconta la scoperta che a far uscire dalla Procura milanese quei verbali era stato il pm Storari, che li aveva passati a Davigo, per il timore che la Procura non volesse indagare sulle dichiarazioni di Amara, sconvolgenti sia nel caso fossero rivelazioni, sia nel caso si trattasse di calunnie e falsità.

Greco spiega che lui e il procuratore aggiunto Laura Pedio non hanno mai ricevuto critiche severe da parte di Storari, ma hanno registrato solamente divergenze normali in ogni lavoro di gruppo. E ribadisce che il complesso e delicatissimo lavoro di verifica delle affermazioni di Amara non è mai stato abbandonato, se pur rallentato dal fatto che a partire dai primi di marzo 2020 è scattato il durissimo primo lockdown anti-Covid e il Palazzo di giustizia è stato chiuso, con la necessità per il procuratore di riorganizzare da zero il lavoro, trasformandolo in lavoro digitale a distanza.

Conte-Acqua Marcia, inchiesta a Perugia “Prestazioni corrette”

L’indagine partita dalle dichiarazioni di Pietro Amara sull’incarico da 400 mila euro ricevuto da Giuseppe Conte (e su altri incarichi di altri professionisti) nell’ambito del concordato Acqua Marcia, partita da Milano, è passata per Roma per poi approdare a Perugia per competenza territoriale.

Amara nel suo verbale del 14 dicembre 2019 ha raccontato ai pm milanesi Laura Pedio e Paolo Storari che l’ex vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura Michele Vietti (non indagato) gli avrebbe chiesto di interessarsi del concordato preventivo del gruppo Acqua Marcia. Come è noto, l’importante gruppo immobiliare di proprietà dell’imprenditore Francesco Bellavista Caltagirone era in crisi. Secondo Amara, Vietti (che ha categoricamente smentito la sua versione) sapeva che era molto importante per Caltagirone ottenere l’omologa del concordato dal Tribunale di Roma, Sezione Fallimentare. L’allora responsabile delle relazioni istituzionali dell’Acqua Marcia era Fabrizio Centofanti, poi indagato per altre vicende, in ottimi rapporti allora con Amara.

Centofanti gestiva le nomine dei professionisti che si occupavano dei vari aspetti legali e societari. Amara sostiene che Vietti gli avrebbe chiesto di far ottenere incarichi ad avvocati e professionisti che gli erano vicini. E fu in quell’occasione che Amara chiese a Centofanti di nominare come professionisti Enrico Caratozzolo, Giuseppe Conte e Guido Alpa. Le dichiarazioni di Amara – la cui attendibilità per gli inquirenti è tutta da verificare – sono state trattate con le pinze dai pm milanesi. Il procuratore di Milano Francesco Greco le ha spedite a Roma, dove il Procuratore Michele Prestipino le ha affidate alla pm Maria Sabina Calabretta, sotto il coordinamento dell’aggiunto Paolo Ielo. I due pm capitolini hanno spedito la Guardia di Finanza a chiedere già alcuni mesi fa tutte le carte concernenti i compensi degli incarichi conferiti dalle società del gruppo Acqua Marcia. Probabilmente per completezza, o per non fare trapelare la notizia e tutelare il riserbo delle indagini, sono stati chiesti a 360 gradi i compensi e gli incartamenti di tutti gli incarichi, non solo quelli dei tre professionisti indicati da Amara.

In un altro verbale del 6 dicembre, sempre davanti ai magistrati di Milano, Amara aggiunge che Centofanti gli disse che il compenso di Conte, per l’incarico affidato a sua detta nel 2012, dunque quando svolgeva soltanto la professione di avvocato, sarebbe ammontato a 400 mila euro e che Centofanti era “arrabbiato” perché considerava il lavoro del futuro premier sostanzialmente inutile trattandosi della rivisitazione del contenzioso. Oggi al Fatto Centofanti sul punto offre una versione ben diversa: “Al di là di chi mi abbia proposto il prof. Conte come consulente per la valutazione del contenzioso attivo e passivo del gruppo Acqua Marcia, di cui ho risposto nelle opportune sedi giudiziarie, rivendico la correttezza sia professionale sia economica di quell’incarico conferito nell’interesse del Gruppo. In merito alla parcella di circa 400 mila euro per 26 società in concordato per un valore tra attivo e passivo di circa 2 miliardi di euro mi sembra ci abbia trattato molto bene!”. Dopo una prima lettura delle carte concernenti l’incarico a Conte e agli altri professionisti, al Fatto risulta che anche i pm romani si sono convinti che il compenso fatturato possa essere congruo.

La frase chiave del verbale, quella che ha determinato la competenza, è questa: “Mi disse Vietti che la nomina era condizione per ottenere l’omologa del concordato”. In sostanza Amara collega l’incarico a Conte con l’omologa che è un atto del Tribunale di Roma. Anche se non c’è alcuna relazione tra l’incarico all’avvocato e l’omologa del Tribunale, la Procura di Roma ha ritenuto doveroso trasmettere alla Procura di Perugia, competente sulle questioni che riguardano i giudici. Ecco perché ora il fascicolo è sul tavolo del procuratore di Perugia Raffaele Cantone che ha sentito alcune persone informate dei fatti, in testa Fabrizio Centofanti. Però, anche a seguito delle prime verifiche il fascicolo è rimasto a modello 45, cioè quello formato da “atti non costituenti notizia di reato”.

Davigo diede anche un rapporto scritto al vicepresidente Ermini

Entrano in scena un nuovo testimone, il presidente della commissione parlamentare antimafia Nicola Morra, e un’informativa scritta e consegnata dall’ex consigliere del Csm Piercamillo Davigo al vicepresidente del Csm David Ermini.

Partiamo da Nicola Morra. Il senatore ha voluto inviare ai pm di Roma una nota scritta nella quale ricostruisce quel che sa sulla questione dei verbali consegnati in copia informale dal pm Paolo Storari (indagato per rivelazione di segreto, sarà interrogato oggi a Roma) all’allora consigliere del Csm Piercamillo Davigo nell’aprile del 2020, a Milano.

Al Fatto risulta che questa sia la versione di Morra: il senatore andò a parlare con Piercamillo Davigo intorno al giugno dello scorso anno perché era dispiaciuto della sua frattura con Sebastiano Ardita. I due consiglieri del Csm sono stimati e considerati dal senatore un riferimento. Quando Morra cercò di comporre la frattura però spiega il senatore: “Davigo mi mostrò queste carte e mi disse che mi parlava in qualità di presidente della commissione antimafia, tanto è che io ho mantenuto il riserbo finora anche perchè attendevo che si facessero i riscontri doverosi. Ricordo che mi fece andare sulla tromba delle scale come se ci fossero problemi a mostrarle nel suo studio. Se non ricordo male lui aprì un armadio con un’anta a vetri e li prese. Ci allontanammo dalla stanza e mi raccontò che c’era un collaboratore di giustizia che stava rendendo delle dichiarazioni a una Procura del nord. Non mi disse né la città, né il nome dei pm, né il nome del collaboratore. Non parlò di un dissidio tra sostituto e procuratore capo. Mi mostrò le carte ma io non sono uno specialista e non so se un consigliere del Csm avesse diritto ad averle. Questo collaboratore – mi disse Davigo – stava rendendo dichiarazioni sull’esistenza di una loggia massonica occulta alla quale apparteneva anche Sebastiano Ardita (circostanza diffamatoria come ha dichiarato al Csm il consigliere Antonino Di Matteo). Poi con il tempo ho riflettuto e ho pensato che senza riscontri quelle accuse non valevano nulla. Tanto che dopo quella conversazione ho continuato a collaborare con Ardita e ho anche presentato il suo libro (Cosa Nostra Spa, Paper First) senza che lo stesso Davigo avesse nulla da ridire”.

Morra si è deciso a scrivere per mail ai pm romani dopo averne parlato con due persone che stima, cioé Di Matteo e Ardita. La versione di Davigo combacia soltanto in parte con quella di Morra. Conferma sia l’incontro, sia l’intento pacificatorio, sia di avergli spiegato che il distacco da Ardita era legato ai verbali milanesi sulla loggia Ungheria. Poi vincola Morra al segreto d’ufficio in qualità di presidente della commissione Antimafia. Certo, va detto che Morra non è un componente del Csm – come invece nel caso di Ermini e del procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi – e non ha nessuna competenza. Comunque Davigo ne parlerà poi anche con i consiglieri del Csm Giuseppe Marra, Fulvio Gigliotti e Giuseppe Cascini. Anche in questo caso per motivare, dinanzi alle loro domande, la distanza presa da Ardita e sempre vincolando i suoi colleghi al segreto. In totale, quindi, tra maggio e giugno 2020 Davigo parla della vicenda con il primo presidente della Corte di Cassazione Pietro Curzio, Ermini (che mette al corrente il Quirinale), Salvi, Morra, Marra, Gigliotti e Cascini. Con tutti parla senza stilare atti formali e a chi gli contesta la modalità scelta obietta con due argomentazioni. La prima è che non ha formalizzato la questione perché il Csm non avrebbe potuto aprire una pratica nei riguardi dei due consiglieri citati da Amara (Ardita e Marco Mancinetti) perché altrimenti avrebbe rivelato l’esistenza di un’indagine in cui si parlava di loro. La seconda è che nessuno tra Ermini, Salvi e Curzio, che come i consiglieri Marra, Gigliotti e Cascini, sono tutti pubblici ufficiali, ha avuto nulla da obiettare altrimenti avrebbero dovuto denunciarlo e questo non è accaduto. Un atto scritto però esiste: Davigo sostiene di aver consegnato un’informativa al vicepresidente del Csm David Ermini, quando, dopo averlo informato della vicenda, parlandogli anche di Ardita, lo stesso Ermini avverte il Quirinale, torna portandogli i ringraziamenti del Colle e gli dice che non sono necessarie misure ulteriori.

L’Rt risale, ma l’Iss rassicura: “L’epidemia non è in ripresa”

“La curva è in decrescita. sempre lenta, ma questa settimana in tutte le regioni”. Il presidente dell’Istituto superiore dio Sanità Silvio Brusaferro, nella consueta illustrazione del monitoraggio settimanale, non nasconde un cauto ottimismo. Tutti gli indicatori epidemiologici sono in ribasso, fatta ecczioni per l’indice Rt e per i contagi nella fascia di età 0-9 anni.

Due conseguenze prevedibili, data la riapertura delle scuole e di altre attività, ma che al momento non destano eccessive preoccupazioni. Nella settimana compresa tra il 26 aprile e il 2 maggio l’indice Rt sale a 0,89 rispetto allo 0,85 e allo 0,81 delle due settimane precedenti, “ma con un intervallo di confidenza ben al di sotto del valore 1 (0,85-0,91) – dichiara Brusaferro –. Ciò significa che in questa fase l’epidemia non sta ripartendo”. Da segnalare, tuttavia, che l’Rt calcolato al 2 maggio, essendo basato sui casi sintomatici, potrebbe non tenere conto delle conseguenze delle riaperture disposte il 26 aprile: “L’Rt è un indicatore molto sensibile alle variazioni e fino a ora ha funzionato – spiega Brusaferro – Detto questo ci stiamo avvicinando verso un nuovo scenario dove il numero di persone vaccinate sta crescendo rapidamente. Con questo nuovo scenario anche il modello di valutazione del rischio deve essere modificato. C’è un gruppo di lavoro promosso dal ministero della Salute che sta finalizzando le proprie rilfessioni e nelle prossime giornate arriverà a un traguardo”. Il dato, certo preoccupante, dell’aumento dei contagi in fascia 0-9 anni, è compensato dalla decrescita dei contagi in tutte le altre fasce, rapida soprattutto nella fascia over 80 e, seppur meno rapidamente, in quelle 70-79 e 60-69: un chiaro effetto tangibile della campagna di vaccinazione. L’età media dei casi scende a 41 anni, quella dei ricoveri a 65, 76 quella dei decessi.

Diminuisce anche l’incidenza del contagio per 100 mila abitanti, che diminuisce da 146 positivi ogni 100 mila abitanti di una settimana fa a 127: “Il dato significativo – ancora Brusaferro – è che questa settimana la decrescita riguarda tutte le regioni. E soprattutto in alcune regioni ci si sta avvicinando al valore di 50 casi per 100 mila, il valore soglia per rendere possibile il tracciamento” e dunque una relativa normalità.

Dato questo scenario, lunedì nessuna regione sarà rossa. In arancione (da rosso) passa la Valle d’Aosta e arancioni rimangono Sardegna e Sicilia. Tutte le altre in giallo. Diminuisce, lievemente, anche la pressione sul sistema sanitario nazionale. Per quanto riguarda l’area medica, la percentuale di occupazione dei posti letto (soglia critica 40%) scende al 29% rispetto al 32% della settimana precedente, mentre sul fronte delle terapie intensive la saturazione (soglia critica 30%) il 27%, contro il 30% della settimana precedente.

Per quanto riguarda le aree mediche, sopra la soglia critica risultano Calabria (44%) e Puglia (42%), mentre superanoil tetto della saturazione delle terapie intensive Toscana (38%), Lombardia (37%), Puglia (34%) e Marche (33%). Comincia a intravedersi anche un costante calo della mortalità giornaliera, ma, specifica Brusaferro, “la curva è ancora in fase iniziale”.

Il bollettino del 7 maggio registra 10.544 nuovi contagi (tasso di positività calcolato sul totale dei tamponi effettuati al 3,2%, 10% se calcolato sul totale dei soggetti testati) e 207 morti. Il totale da inizio pandemia sale a 122.470 vittime. Gli attualmente positivi risultano essere in tutto 397.564, pari a -5.238 rispetto alle 24 ore precedenti.

Diminuiscono i posti letto occupati nei reparti Covid ordinari (-536, il totale è ora 16.331 ricoverati), e diminuisce (-55) anche il saldo dei malati ricoverati in rianimazione, portando il totale ricoverati in terapia intensiva a 2.253, con 109 nuovi ingressi in rianimazione.

Fronte vaccini: alle 17:28 del 7 maggio risultavano 22.807.444 dosi somministrate e 6.945.793 italiani vaccinati completamente con la doppia dose.

“Errore allungare il tempo tra prime dosi e richiami”

Professoressa Antonella Viola allungare il periodo tra prima dose e richiamo di Pfizer e Moderna è sbagliato?

È azzardato per due motivi: la prima dose protegge la metà o poco più rispetto all’efficacia del vaccino; a livello di comunità, immunità parziale e alta circolazione del virus rendono possibile la generazione di nuove varianti. Gli inglesi hanno adottato questa strategia, è vero, ma con un lockdown durissimo, mentre noi adesso siamo anche in fase di riaperture.

È giusto sospendere i brevetti dei vaccini?

È giusto aumentarne la produzione, stringere accordi, dare la possibilità a più aziende, che sono in grado di farlo, di produrre. Ma serve un accordo, mentre decidere che il brevetto non c’è più potrebbe creare problemi perché rischia di disincentivare le aziende farmaceutiche a lavorare sui vaccini. Servono invece stanziamenti per comprare vaccini ai Paesi più poveri. La tecnologia a mRna certo non può rimanere nelle mani di due sole aziende, ma a Pfizer e Moderna va riconosciuto lo sforzo fatto in questa direzione, importantissimo per il futuro.

Ha superato il suo scetticismo su AstraZeneca?

Non del tutto. Resta meno efficace degli altri, è stato comunicato male, molto male, e ora viene vissuto come problematico dalla popolazione. Inoltre la questione dei mesi di distanza tra una dose e l’altra non aiuta nella percezione, perché soprattutto adesso che si potrà viaggiare le persone vorrebbero avere al più presto il loro certificato, la green card. Rispetto al rischio trombotico è più forte tra le donne giovani, quindi non toglierei il limite di età, anche perché le donne giovani hanno un rischio basso di Covid severo, quindi il rapporto rischi-benefici pare evidente.

L’Italia pare in miglioramento, qual è il rischio?

La situazione migliora perché le temperature si alzano e il rischio di contagio all’aperto è basso. È giusto procedere con riaperture graduali osservando come incidono sull’indice Rt, perché una riapertura generalizzata potrebbe essere una stupidaggine… poi ci sono alcune cose che bisogna definire meglio: sono stata al cinema, 50 per cento di capienza ma tutti dalla stessa parte della sala; e poi le mascherine: ne ho viste troppe inutili di stoffa, renderei obbligatorie le ffp2 per cinema e teatri o almeno le chirurgiche.

La festa per lo scudetto a Milano era all’aperto.

Però stare all’aperto non vuol dire assembramento. I tifosi erano uno sopra l’altro e molti senza mascherine: comportamenti sempre rischiosi. Invece si potrebbe pensare a ridare la possibilità di assembramenti a concerti o eventi di questo tipo con mascherine ffp2 e tampone negativo, come ha dimostrato esser possibile un esperimento a Barcellona.

Il suo libro, Danzare nella tempesta, è una guida per affrontare il nuovo mondo post pandemico?

È un libro di scienze che racconta il sistema immunitario, com’è fatto e come va reso più forte. Ed è un ragionamento sul rapporto tra scienza e società, tra scienza e politica. Dà una visione: razionalità, equilibrio, grazia per situazioni difficili come la pandemia, affrontata troppo spesso in modo scomposto, anche da parte di una comunità scientifica risultata impreparata nel rapporto con la comunicazione.

Brevetti: a Oporto, Europa spiazzata e divisa su Biden

L’Ue, spiazzata dall’improvvisa apertura di Joe Biden all’idea di sospendere i brevetti sui vaccini anti-Covid, si ritrova costretta a dibattere la questione, sebbene l’abbia snobbata sin dall’inizio della pandemia. Le rivelazioni dell’Ong Corporate Europe Observatory (Ceo) dimostrano che né la commissione europea né i governi hanno finora preso in seria considerazione le possibilità di allentare il monopolio di Big Pharma per massimizzare la produzione e la distribuzione dei vaccini.

Ieri all’euro-vertice informale di Oporto i 27 capi di Stato e di governo hanno cercato di ricucire il divario tra i favorevoli alla posizione del capo della Casa Bianca, Draghi e Macron, e la grande oppositrice, Merkel. La disponibilità a discutere la proposta di Biden espressa dalla presidente della commissione Ue Ursula von der Leyen, riscatta tardivamente la condotta pro-industria tenuta finora. Secondo i documenti confidenziali intercettati dal Ceo, i vertici dell’esecutivo di Bruxelles hanno privilegiato gli incontri con le lobby farmaceutiche, contrarie per principio alle deroghe sulla proprietà intellettuale, chiudendo la porta alle associazioni che chiedevano di dibattere l’equo accesso ai dispositivi e farmaci contro il Covid. Dal 1° marzo 2020, i colossi e le associazioni del settore hanno avuto rispettivamente 44 e 117 incontri con gli euro-commissari coinvolti nella risposta all’emergenza sanitaria. La stessa Von der Leyen ha rifiutato di incontrare l’Ong Global Health Advocates sul tema degli ostacoli al trasferimento di tecnologia che è fondamentale per consentire a terzi di produrre i vaccini.

La sospensione dei brevetti sarebbe infatti inutile se l’industria non collaborasse attivamente nel fornire competenze e know-how. Finora nessuna casa farmaceutica ha aderito al Technology Access Pool, il programma di condivisione di tecnologie lanciato dall’Oms. Respinto anche l’incontro previsto tra Christos Christou, presidente internazionale di Medici senza frontiere, che si batte per l’accesso ai vaccini nei Paesi a medio e basso reddito, con l’euro-commissario per la salute Stella Kyriakides.

Inaccessibile ai paladini dell’equità vaccinale è anche l’euro-commissario al commercio, Valdis Dombrovskis, che si è invece intrattenuto ripetutamente con l’Associazione europea dell’industria farmaceutica (Efpia). È Dombrovskis il deux ex machina del veto comunitario alle deroghe richieste da India e Sudafrica al Trattato internazionale che tutela la proprietà intellettuale in seno al Wto, l’Organizzazione mondiale del commercio.

La proposta, appoggiata dai Paesi in via di sviluppo che la considerano l’unica soluzione per colmare i loro ritardi nella campagna di immunizzazione, è stata di nuovo bloccata dai Paesi ricchi al meeting Wto di aprile. I governi dell’Ue hanno finora spalleggiato il diniego della Commissione (come evidenziato dalle minute delle riunioni del comitato Ue per la politica commerciale che riunisce i delegati nazionali responsabili in materia). Il cambio di rotta degli Usa, però, potrebbe far sterzare anche l’Ue in favore della liberalizzazione dei brevetti, come richiesto più volte dall’Europarlamento, in previsione della prossima sessione del Wto sulla questione brevetti fissata a giugno.

L’Istituto Spallanzani di Roma, intanto, ricolge un appello al governo italiano affinchè appoggi con decisione la linea Usa: “Bene la proposta di Biden, ci aspettiamo che anche il nostro governo, oggi autorevolmente rappresentato da una autorità che anche in Europa può farsi sentire, si aggiunga alla voce di Biden e aiuti a uscire da logiche di guerra industriale, politica, geopolitica” spiega il direttore sanitario Francesco Vaia.

Csm: Ciechi Muti Sordi

Anche nell’amarissimo caso Amara, il Csm si conferma l’acronimo di Ciechi Sordi e Muti, per non dire di Centro di Salute Mentale. L’avvocato esterno dell’Eni, noto depistatore, taroccatore di prove, corruttore di magistrati (ha patteggiato) mette a verbale a Milano una nuova loggia P2 chiamata Ungheria, piena di magistrati, politici, avvocati, big di vari apparati. Il pm Storari litiga coi capi perché vuole iscrivere subito Amara e gli altri due che ammettono di far parte della loggia, mentre i capi vanno coi piedi di piombo e aspettano cinque mesi. Storari ne parla per autotutela con Davigo e gli mostra il contenuto dei verbali (senza violare il segreto, che Davigo – membro del Csm – è tenuto a custodire). Davigo scopre che Amara tira in ballo due colleghi del Csm, il suo compagno di corrente Ardita e Mancinetti. Quindi non può seguire le vie formali, cioè investire tutto il Csm con una relazione di servizio. Altrimenti i due consiglieri verrebbero a sapere delle accuse (o calunnie) a loro carico. E lui commetterebbe due reati: violazione di segreto e favoreggiamento personale.

Il 4 maggio, nella prima trasferta a Roma dopo il lockdown, racconta tutto al vicepresidente Ermini (anche lui tenuto al segreto), perché ne informi il presidente Mattarella. Ermini lo fa. Davigo avvisa anche gli altri due membri del Comitato di Presidenza: il Pg della Cassazione Salvi e il primo presidente Curzio. Dice qualcosa anche a tre consiglieri che gli chiedono perché non parla più con Ardita, vincolando anch’essi al segreto. Poi lo mandano in pensione. La sua ex segretaria – secondo l’accusa – prende i verbali non firmati passati da Storari a Davigo e li porta al Fatto, che non li pubblica e li porta a Milano. Per quattro motivi. 1) Siamo un giornale, non una buca delle lettere. 2) Amara è un depistatore e potrebbe averli fabbricati a tavolino. 3) La loggia Ungheria potrebbe essere una sua invenzione e pubblicare i suoi verbali sputtanerebbe decine di innocenti. 4) La loggia Ungheria potrebbe esistere davvero e spiattellarla coram populo a inizio indagini significherebbe rovinarle e rendersi complici di un depistaggio per salvare chi ne fa parte. Ora che i fatti iniziano a emergere, poche cose sono chiare come questa: se Davigo, tentando di avvertire i vertici del Csm senza perforare il segreto sulle indagini, ha sbagliato qualcosa, perché i colleghi a cui ne parlò glielo contestano dopo un anno? Tra i pochi con cui ne parlò c’era il Pg Salvi. Se riteneva che Davigo dovesse stilare una relazione, perché non gliela chiese? E, se pensava che avesse violato qualche norma, perché non gli attivò un’azione disciplinare, di cui è il titolare? Quando ciascuno si assumerà le proprie responsabilità, sarà sempre troppo tardi.