Nella versione di S. due contraddizioni. Difese all’attacco

Ci sono due punti del verbale di Anna che molto probabilmente verranno utilizzati dagli avvocati dei quattro ragazzi indagati per sottolineare le contraddizioni del racconto di S.J. e minarne la credibilità. Due dettagli apparentemente secondari, che però, nella ricostruzione difensiva, si aggiungono a un quadro in cui non mancano incongruenze e qualche ombra. Il primo elemento riguarda la data dei messaggi scambiati sulla pillola del giorno dopo: la versione di Anna smentisce la tempistica riferita da Silvia e il viaggio alla farmacia di Palau il giorno dopo la serata del Billionaire. In quel lasso di tempo, vari giorni, secondo le difese dei quattro indagati, la vita della ragazza sembra andare avanti apparentemente senza scosse, fino all’arrivo in Sardegna della madre (sebbene questo comportamento potrebbe essere indice di un tentativo di rimozione tipico di molte vittime di abusi). Il secondo riguarda la collocazione di tutti e quattro i ragazzi sulla scena della violenza di gruppo. In realtà, dalle testimonianze e anche dal video, sembra sganciarsi da quel momento della serata Francesco Corsiglia, che dice di aver avuto un rapporto consenziente con Silvia e di essersi poi addormentato. Corsiglia non compare nemmeno in foto e video successivi.

A questo si aggiungono altre due considerazioni. La prima riguarda il messaggio mandato da Silvia all’istruttore di kitesurf: “Ho fatto una cazzata”, “da cinque dita sulla faccia”. Parole che possono essere interpretate in chiave difensiva (la giovane potrebbe far riferimento a una situazione sfuggita al suo controllo) tanto quanto accusatoria (si potrebbe colpevolizzare per essersi messa in una condizione di pericolo). E ancora: ai pm Gregorio Capasso e Laura Bassani Silvia ha negato di aver baciato Grillo sui divanetti della discoteca, un fatto riferito invece dall’amica Roberta (R.M.) e da A., l’amico che ha lasciato il locale prima di loro.

A pesare invece sui quattro ragazzi, a vantaggio della posizione delle parti offese, ci sono sostanzialmente tre elementi. Il primo è la minorata difesa: il consumo di alcol della ragazza, ammesso dallo stesso Vittorio Lauria durante un’incauta intervista rilasciata a Fabrizio Corona, rischia di essere il punto di caduta di tutte le congetture. Va dimostrato, ovviamente. Ma se emergesse che Silvia era ubriaca cadrebbe la possibilità che possa aver espresso un vero consenso, a prescindere da ciò che mostra il video di alcuni atti sessuali girato dagli stessi ragazzi (foriero di altri potenziali reati). Il secondo elemento riguarda il passaggio dal primo rapporto, che coinvolgeva il solo Corsiglia, a quello di gruppo, che introduce l’elemento della superiorità fisica e numerica. Terzo e ultimo punto nodale: le foto che Grillo, Capitta e Lauria sono accusati di essersi scattati in pose oscene addosso a Roberta, mentre la ragazza dormiva, da sole valgono la contestazione di un’altra violenza sessuale.

Quello che è certo è che quello di Tempio Pausania si preannuncia un processo molto difficile, non solo per la pressione e l’esposizione che accompagna la vicenda. In aula potrebbe andare in scena un copione in parte anticipato sui media, con una lotta durissima tra accusa e difesa che rischia di travolgere tutti i giovanissimi protagonisti e le loro famiglie.

La compagna di banco di S.: “Così mi raccontò quella notte”

Il giorno dopo la lunga notte di Porto Cervo, S. è una ragazza divisa in due. Da un lato ci sono i suoi post sui social, simili a quelli di qualunque ragazza della sua età in vacanza. Dall’altro c’è il dramma interiore, che confida a un’amica. A.M., sua compagna di classe, che chiameremo Anna. È la prima persona a cui S. racconta di essere stata violentata. “Quel pomeriggio ho ricevuto un suo messaggio su Snapchat – ricorda l’amica – mi diceva: ‘Ti devo raccontare cosa è successo’. Sapevo mi avrebbe scritto un messaggio lunghissimo, era il suo modo di farmi sapere qualcosa che avrebbe richiesto un po’ di tempo”.

Snapchat è un social network molto in voga tra i ventenni, una delle sue caratteristiche è la scadenza e la cancellazione dei contenuti scambiati. È un dettaglio importante perché Anna, ad oggi, è l’unica testimone ad aver visto apparenti segni di violenza sul corpo di S.: “Ricordo di alcune foto di lei davanti a uno specchio – si legge – in cui si vedevano chiaramente alcuni lividi sul costato a sinistra, sulla scapola destra e sulla coscia o all’altezza del bacino. Disse di avvertire dolori nelle parti intime. Purtroppo l’applicazione cancella foto e messaggi subito dopo la lettura. E io non li ho salvati perché avevo timore di metterla in imbarazzo, poiché stava perdendo molto peso in maniera molto preoccupante e non era seguita da alcun specialista”.

Anna fa riferimento ad alcune fragilità dell’amica, che definisce “una ragazza solare, molto educata e di buona famiglia”, ma “con una mentalità un po’ infantile” e “un po’ troppo influenzabile”. È il 5 settembre 2019. A raccogliere la testimonianza di Anna sono i carabinieri della Compagnia Duomo di Milano. I militari hanno già perquisito i quattro ragazzi genovesi indagati: Ciro Grillo, figlio di Beppe, e gli amici Francesco Corsiglia, Edoardo Capitta e Vittorio Lauria. “Io e S. ci raccontiamo tutto”, esordisce Anna. “Mi aveva anche confidato di un’altra violenza subita in Norvegia, tra gennaio o febbraio”.

Su Snapchat, S. (i nomi sono di fantasia) racconta ad Anna la serata passata al Billionaire con l’amica R., Roberta nome di fantasia: “Mi scrisse che dopo erano andate da questi ragazzi e che Roberta si era addormentata sul divano. Lei aveva iniziato a baciarsi con uno di loro, Francesco, ma quando lui aveva voluto di più e lei aveva rifiutato, lui l’aveva costretta a stargli sotto, l’aveva spogliata e poi avrebbe abusato di lei. In seguito l’aveva portata in bagno e mi disse che mentre era sotto la doccia sentiva gli altri che bussavano alla porta. Terminato il rapporto, Francesco era uscito e lei era andata da R., ma lei avrebbe fatto un gesto come se non le importasse, continuando a dormire”. A questo punto, S. viene raggiunta da due ragazzi sulla veranda: “Dopo aver rifiutato della vodka, loro l’avrebbero obbligata a bere. Sentiva i postumi dell’alcol, poi mi ha scritto di aver avuto un black-out. Ricorda di aver trovato i quattro ragazzi nudi nella stanza”. Da qui inizierebbe la violenza di gruppo. “Era molto arrabbiata con Roberta – dice Anna – perché non l’aveva difesa. Mentre A., l’altro amico con loro al Billionaire, voleva picchiare i ragazzi. Il 21 luglio mi chiese un consiglio per evitare un’eventuale gravidanza. Io le ho suggerito di prendere la pillola dei 5 giorni dopo, cosa che poi mi ha scritto di aver fatto”.

Ai carabinieri Anna riferisce altri episodi: “Ultimamente S. ha ripreso un po’ di peso e ha più confidenza con il suo fisico e, purtroppo, sta mostrando alcune sue foto a ragazzi, che io non conosco, utilizzando Instagram o forse anche altre app. Quando era in Norvegia mi disse che utilizzava spesso Tinder (un social di incontri, ndr) e ha scambiato più foto con più ragazzi. Tra le nostre conoscenze è rispettata dalle ragazze, mentre per i ragazzi è considerata più facile di altre. Un cameriere di un locale di Milano mi disse che alcuni ragazzi dell’Università Cattolica dicevano in giro di essere già stati con lei, in tempi diversi”.

“L’ex segretaria indagata mi disse che aveva ricevuto un plico anonimo”

“Davigo mi disse che nei verbali sulla loggia Ungheria si parlava di Ardita”. Parola del consigliere Csm Fulvio Gigliotti, che nell’intervista al Fatto aggiunge un particolare inedito: la segretaria di Davigo, Marcella Contrafatto, indagata e sospettata di essere la postina che ha diffuso ai giornali i verbali si è difesa così: “Mi disse di averli ricevuti per posta”.

Quando il consigliere del Csm Antonino Di Matteo ha parlato delle dichiarazioni sul collega Sebastiano Ardita ha paventato il “timore che il dossieraggio anonimo potesse collegarsi a un tentativo di condizionamento dell’attività del Consiglio”. Quante persone al Csm sapevano che Pietro Amara aveva reso dichiarazioni ai pm di Milano su una fantomatica Loggia Ungheria? Quanti sapevano che Amara inseriva nella loggia fantomatica il collega Ardita? Di Matteo ha subito capito che il verbale aveva “forma evidentemente diffamatoria se non calunniosa e come tale accertabile” e lo ha portate ai pm di Perugia.

Il collega Piercamillo Davigo, che le ha ricevute dal pm Paolo Storari, invece, ne ha parlato con altri consiglieri. Anche con il laico Fulvio Gigliotti, professore ordinario a Catanzaro, eletto nel 2018.

Consigliere Gigliotti, cosa le ha detto Davigo dei verbali sulla Loggia Ungheria?

Mi aveva detto che c’erano queste dichiarazioni che riguardavano una struttura di cui avrebbero fatto parte, secondo il dichiarante, una serie di personaggi tra cui anche il consigliere Sebastiano Ardita.

Davigo ha messo lei in una situazione di imbarazzo.

Il consigliere Davigo ne aveva parlato certamente con altri consiglieri.

Secondo Il Corriere avrebbe parlato anche ad altri componenti della corrente di AeI: Marra e Pepe.

Sì certo, ma deve chiederlo a loro

Poi ne ha parlato con il procuratore generale, membro del Csm, Giovanni Salvi e con il vicepresidente Ermini.

Mi disse anche questo Davigo, che ne aveva parlato sì.

La sua sensazione è che Davigo credesse alle affermazioni di Amara (per Di Matteo diffamatorie e ‘accertabili come tali’, Ndr)?

Non sono nella testa altrui. A me fu rappresentata la situazione oggettiva che esistevano queste dichiarazioni sulla loggia massonica, mi pare disse anche il nome Ungheria.

Davigo le disse che il pm Storari era la sua fonte?

Mi parlò della situazione di contrasto a Milano ma non ricordo onestamente se mi disse il nome del sostituto.

Quando è accaduto?

Non saprei dire se prima o dopo l’estate. Ne parlammo qui in cortile al Csm.

La dottoressa Marcella Contrafatto, indagata, è la sua segretaria solo formalmente perché lavora in una stanza lontana dal suo ufficio. Le ha detto qualcosa?

Qualche giorno dopo la perquisizione mi ha informato. Non perché ci fosse un rapporto di confidenza. Solo perché non poteva prestare servizio in quanto sospesa. Mi disse che aveva subito una perquisizione perché sospettata di aver diffuso degli atti contenenti notizie che potevano contenere accuse calunniose nei confronti dei magistrati. Io le chiesi come aveva avuto questi atti e lei disse che li aveva ricevuti per posta in un plico anonimo. A me sembrò strano.

Quindi la tesi difensiva è che li ha ricevuti, come Di Matteo e Il Fatto, per posta?

Lei mi ha detto di avere ricevute un plico per posta e che lei non c’entrava niente con l’invio a Di Matteo.

Mettiamoci nei panni del consigliere Ardita. Amara dichiara cose contro di lui, false. I verbali segreti sono consegnati dal pm Storari a Davigo che poi parla con lei, con Ermini, con Salvi. Forse con Marra e Pepe. Poi la segretaria di Davigo è sospettata di aver fatto circolare il verbale con le accuse contro di lui. Ora che si sa tutto non meriterebbe un po’ di solidarietà in più da voi consiglieri al Csm?

Io sto lavorando a un progetto editoriale e ho chiesto ad Ardita di partecipare. Anche se lui mi ha detto di no. Se avessi avuto ragioni di diffidenza glielo avrei chiesto? Tragga lei le conclusioni.

Davigo dai pm: “Sui verbali di Amara nessuna violazione”

Ha agito nell’ambito delle sue funzioni di consigliere del Csm, non c’è stata dunque alcuna violazione né una rivelazione del segreto d’ufficio. È la linea tenuta ieri dall’ex consigliere del Consiglio superiore della Magistratura Piercamillo Davigo, sentito per ore dai magistrati romani. Il procuratore capo Michele Prestipino e la pm Lia Affinito lo hanno interrogato come persona informata sui fatti nell’ambito della vicenda con al centro alcuni verbali di Piero Amara, in cui l’avvocato siciliano, già coinvolto in diverse indagini, parla dell’esistenza di una presunta loggia massonica denominata “Ungheria”. Verbali che nei mesi scorsi sono arrivati ad alcune testate giornalistiche e al Csm. Davigo aveva una copia di quei verbali: nella scorsa primavera glieli aveva consegnati il pm di Milano Paolo Storari, convinto che i suoi superiori, il procuratore capo Francesco Greco e l’aggiunto Laura Pedio, non volessero spingere l’acceleratore sull’inchiesta innescata dalle dichiarazioni di Amara sulla presunta loggia.

Davigo ha spiegato ieri ai magistrati romani che ha ricevuto quegli atti nell’ambito delle sue funzioni di consigliere. Su quei verbali arrivati al Csm dunque, ha spiegato, non si possono apporre segreti come dimostra una circolare che ieri l’ex pm di Mani Pulite avrebbe anche consegnato ai magistrati.

Secondo quanto ricostruito dal Fatto, Davigo dopo aver ricevuto i verbali sostiene di aver spiegato la situazione al vicepresidente del Csm David Ermini, con quest’ultimo che a sua volta informò il Quirinale e poi incontrò nuovamente l’ex pm di Mani Pulite, porgendogli i ringraziamenti del Colle e il messaggio che a quel punto non era necessario intraprendere ulteriori iniziative. Ermini al Fatto ha confermato solo la prima parte della versione di Davigo: “Confermo solo che me ne parlò”. Poi il consigliere ora in pensione ne avrebbe parlato, in modo informale, anche con altri consiglieri del Csm. I nomi li avrebbe fatti ieri nel corso dell’interrogatorio.

Davanti ai pm quindi Davigo ha spiegato che la consegna di quei verbali da parte di Storari nasceva dalla necessità del pm milanese di autotutelarsi rispetto a un’indagine che a sua detta andava a rilento.

La testimonianza di Davigo riguarderebbe anche il ruolo di Marcella Contrafatto, la sua ex segretaria, ora indagata e perquisita nelle scorse settimane. Secondo la Procura di Roma, la Contrafatto sarebbe la “postina” che fece arrivare quei verbali ad alcune testate giornalistiche. Circostanza sulla quale Davigo avrebbe spiegato di non sapere nulla. Dopo la sua testimonianza si capirà meglio anche la questione della competenza territoriale. Secondo l’Ansa, la consegna dei verbali sarebbe avvenuta a Milano. Se confermato, una parte del fascicolo potrebbe essere trasferito a Brescia, ma solo ciò che riguarda l’uscita dei verbali dalla Procura di Milano e che vede già indagato Paolo Storari per rivelazione di segreto d’ufficio. Il pm milanese sarà interrogato sabato.

Sul coprifuoco decide Draghi

Coprifuoco alle 23 dal 17 maggio e via del tutto il 1° giugno. Il confronto nel governo è aperto, deciderà Mario Draghi. E per riaprire le Rsa non basta un’ordinanza del ministro Speranza.

La prossima settimana si decide, le Regioni e la Lega vorrebbero un Consiglio dei ministri già a metà della prossima settimana per accelerare le riaperture, in particolare per spostare un’ora in avanti il divieto di circolazione notturno a partire da lunedì 17 ed eliminarlo dal 1° giugno. Il ministro Roberto Speranza e l’ala più prudente del governo preferirebbe attendere almeno i dati del monitoraggio di giovedì/venerdì prossimi, che peraltro non potranno tener conto di eventuali peggioramenti del quadro epidemiologico dopo le riaperture del 26 aprile e quello che ne è seguito, compresa la pericolosa festa a Milano per lo scudetto dell’Inter. “Siamo tutti d’accordo sul principio delle riaperture graduali, entro al massimo 10 giorni si decide quando e come”, sintetizza un ministro. Deciderà Mario Draghi, che con l’abolizione dal 15 maggio della quarantena per chi arriva dall’estero ha dato un altro segnale aperturista. Il 15 maggio tocca anche alle piscine all’aperto, le Regioni riaprono le spiagge.

I numeri consentono un ottimismo moderato: ieri eravamo a 127 nuovi casi ogni 100 mila abitanti negli ultimi 7 giorni, il 16,1% in meno rispetto ai 151 di 7 giorni fa; la pressione sugli ospedali è scesa e i morti (ieri 267) sono scesi dai 322 in media al giorno della scorsa settimana ai 249 degli ultimi 7 giorni. Le vaccinazioni proseguono. Ma abbiamo già avuto un pur lieve aumento dell’indice di riproduzione Rt da 0,81 a 0,85 dopo la riapertura delle scuole (7 aprile), quindi il margine è limitato e anche i dati di venerdì 14 si riferiranno alle infezioni avvenute prima della ripresa di bar e ristoranti all’aperto.

Purtroppo è più complicato del previsto anche riaprire le Rsa alle visite dei parenti, per gli anziani ospiti il lockdown non è mai finito e ci sono proteste in mezza Italia. Sandra Zampa, ex sottosegretaria e ora consulente di Speranza, ha assicurato un’ordinanza del ministro che doveva arrivare già ieri. Ma non è ancora arrivata, perché l’ordinanza non basta: la norma che lascia ai direttori sanitari delle Rsa la decisione su tempi e modalità è contenuta nel Dpcm di marzo, fonte superiore che non può essere abrogata da una di rango inferiore. Finché la regola è quella molti direttori non riaprono, temono di rispondere di eventuali contagi. Si discute anche delle modalità, del distanziamento ecc… La Salute ha preparato un emendamento al decreto legge Sostegni bis di cui il Senato sta discutendo la conversione. Il sottosegretario Pierpaolo Sileri suggerisce di “procedere intanto con l’ordinanza, in attesa del voto sul decreto emendato”.

Vaccini: obiettivo 500mila raggiunto solo per 2 giorni

Dopo la volata del 29 e del 30 aprile, in cui hanno superato la soglia delle 500 mila vaccinazioni giornaliere, le Regioni hanno frenato. Da sabato scorso a ieri non hanno mai raggiunto l’obiettivo fissato dal Commissario all’emergenza Francesco Paolo Figliuolo, rimanendo sotto quota 400 mila sia domenica (poco più di 366 mila) che lunedì (394.448) e superandola di poco negli altri due giorni: martedì 4 maggio si sono fermate a 403 mila. “Un rallentamento fisiologico – dicono però dalla struttura commissariale –. I target sono stabiliti insieme alle Regioni ma non sempre tutto procede perfettamente in linea con quanto programmato. I bilanci è meglio farli settimanalmente”.

Le variabili in gioco sono tante. A partire, banalmente, da chi non si presenta all’appuntamento negli hub vaccinali. Poi c’è il fatto che le serie storiche dimostrano che la domenica e il lunedì sono sempre giorni in cui si rileva un calo. Senza dimenticare la necessità di mantenere le scorte dei vaccini necessarie per assicurare i richiami. La frenata in ogni caso non preoccupa il Commissario e non cambia la tabella di marcia che ha fissato. Per il mese di maggio si aspetta 17 milioni di vaccinazioni, in pratica qualcosa di più di una media di mezzo milione di somministrazioni al giorno. E maggio è considerato comunque un mese di transizione, in attesa (in giugno) della consegna di 27 milioni di sieri, tra Pfizer, Moderna, Vaxzevria (AstraZeneca), Johnson&Johnson e anche CureVac: di quest’ultimo – vaccino tedesco basato sull’mRna per il quale si attende l’autorizzazione dell’Agenzia europea del farmaco – dovrebbero arrivare 7 milioni di dosi. Nel frattempo da ieri è iniziata la distribuzione di altri lotti: un totale di quasi 2,5 milioni di dosi, tra Pfizer (2,1) e Moderna (360 mila).

“Ma se già ora potessimo avere più dosi potremmo procedere con maggiore velocità”, spiega lo staff di Figliuolo, che intanto ha ricucito lo strappo col presidente della Sicilia, Nello Musumeci, dopo che quest’ultimo aveva annunciato di voler partire con le vaccinazioni delle persone nella fascia di età compresa tra i 50 e i 59 anni, nonostante la regione sia ancora indietro gli over 80. I due si sono parlati ieri pomeriggio. La Sicilia ha nei frigoriferi molte scorte di Vaxzevria e non vuole stare ferma. Da qui la decisione: da oggi alle 20 sulla piattaforma di Poste saranno aperte le prenotazioni per gli over 50. Le somministrazioni inizieranno, poi, il 13 maggio.

Del resto, è probabile che Aifa riveda nei prossimi giorni anche la raccomandazione di utilizzare in via preferenziale il vaccino di AstraZeneca sulle persone che hanno più di 60 anni. Da rilevare che la circolare con la quale ieri il ministero della Salute ha prolungato l’intervallo tra la prima dose e la seconda dose per Pfizer e Moderna, portandolo a 42 giorni, potrebbe evitare invece alla Lombardia il classico collo di bottiglia.

Qui nelle ultime settimane è stato quasi sempre superato il target giornaliero di somministrazioni fissato da Figliuolo. Il 26 aprile la Regione, per assenza di scorte, aveva sospeso per una settimana le vaccinazioni con Vaxzevria, ripiegando su Pfizer e Moderna. Ma c’era il problema della seconda dose, da garantire entro 21 giorni per Pfizer, entro 28 per Moderna. Con il rischio concreto, per la Regione, di dover rallentare bruscamente le prime somministrazioni per assicurare i richiami.

Ieri intanto Figliuolo ha incontrato Francesco Del Deo, sindaco di Forio d’Ischia e presidente di Ancim, l’associazione dei Comuni delle isole minori. Incontro al quale erano presenti anche cinque ministri, da Roberto Speranza (Salute) e Mariastella Gelmini (Affari regionali) a Massimo Garavaglia (Turismo). E dal quale è arrivato il via libera alle vaccinazioni di massa, che potrebbero iniziare già dalla prossima settimana con il supporto dell’esercito e della Protezione civile. Il criterio? Si partirà dalle isole che hanno maggiori fragilità, sia per quanto riguarda la percentuale di popolazione anziana sia per la capillarità della rete delle strutture sanitarie.

“Figliuolo si è mostrato disponibile a inviare unità mobili dell’esercito in alcune isole”, conferma Del Deo. In Campania, tra Procida, Capri e Ischia, si è già quasi arrivati alla fine. Le polemiche? “Si è detto che le isole volevano essere privilegiate ma non è così – prosegue –. Dal punto di vista sanitario le popolazioni delle isole minori sono fragili”.

Roma, sabato il Pd annuncia il “sindaco”: Zinga

Comunque vada, sabato ci sarà il nome del candidato sindaco di Roma del Pd. E anche se la possibilità sembrava ormai tramontata, con ogni probabilità sarà Nicola Zingaretti. Enrico Letta ce la sta mettendo tutta per creare le condizioni e convincerlo. E Francesco Boccia, responsabile Enti locali dem, sta conducendo una trattativa sia sulla Capitale sia su Napoli nel nome dell’unità della coalizione Pd-M5S.

Il carattere dell’ex segretario del Pd è tale che fino all’ultimo secondo utile un margine di incertezza rimane. Anche perché vuole tutte le garanzie del caso, a partire dalla certezza che la giunta del Lazio non cadrà. Contatti in corso per questo anche con Giuseppe Conte e Luigi Di Maio. Ma le condizioni politiche sono tali che è difficile pensare a un finale diverso. Il segretario del Pd, da quando è arrivato al Nazareno, ha cercato di convincerlo a correre. I contatti sono stati continui. Fino a una riunione di martedì sera tra lui e Zingaretti che avrebbe sbloccato la situazione, portando l’ex segretario a riconsiderare il suo no. E a prendere le ultime 72 ore di tempo.

I vertici del Pd spingono guardando ai sondaggi: Zingaretti avrebbe addirittura 25 punti di vantaggio su Virginia Raggi. E Carlo Calenda – se decidesse di candidarsi comunque – scenderebbe al 4%. Numeri tali che giustificano il pressing e la ricerca di ogni tipo di soluzione. Zingaretti aveva posto una condizione: che non si votasse nello stesso giorno per Roma e per il Lazio, proprio per poter presentare in Regione una candidatura unitaria, difficile nello stesso giorno di una corsa contro la Raggi. E la garanzia di un accordo per la successione nel Lazio. Lo stesso Letta sta lavorando per trovare il modo di distanziare i due voti. Al Nazareno, tra le ipotesi che si fanno, ci sarebbe quella di non far dimettere Zingaretti da governatore, fino a settembre, data di formalizzazione della candidatura. Questo permetterebbe di votare per Roma a ottobre e nel Lazio a dicembre.

Soluzione, questa, che però ha delle controindicazioni. In giunta nel Lazio ci sono i Cinque Stelle: come essere certi che non la farebbero cadere, una volta che Zingaretti si candidasse a sindaco? Le trattative sono febbrili per trovare una strategia condivisa. Nella partita, c’entra pure la guida di Napoli. E il Pd sta lavorando per convincere Vincenzo De Luca ad accettare la discesa in campo di Roberto Fico. Nonostante il nome di Gaetano Manfredi prenda sempre più quota. Va detto che lo stesso Manfredi, pur se pronto a correre, non lo farebbe mai senza un via libera di Giuseppe Conte. Altra variabile nel tentativo di costruire una coalizione.

La scelta di Fico sarebbe una delle contropartite da mettere in campo per chiedere ai Cinque Stelle di non lasciare la Regione. E per lo stesso motivo, per la futura guida del Lazio, si parla non solo di Alessio D’Amato, assessore alla Sanità, che sarebbe il prescelto da Zingaretti, ma anche di Roberta Lombardi (M5S).

L’ex segretario, in pubblico e in privato, non si sbilancia, continua a negare. Anzi, ieri si è spinto a dire che “si augura” che Roberto Gualtieri sia sindaco di Roma. Perché c’è anche un altro fattore da tenere presente: il rapporto con lo stesso Gualtieri, che sarebbe pronto a correre ormai da settimane. Un annuncio – il suo – sempre pronto, ma che alla fine non arriva. Si era detto negli ultimi giorni che si sarebbe dovuto candidare oggi. In realtà Zingaretti stesso gli ha chiesto ancora tempo per sciogliere definitivamente la riserva. I due si parlano continuamente. Ed è fondamentale per il presidente della Regione che la scelta sia comunque condivisa dall’ex ministro dell’Economia. Una figura che il Pd continua a ritenere centrale.

Intanto, ieri sono saltati gli incontri previsti di Letta con i dirigenti romani: il quadro è in movimento. Così come la riunione prevista ieri per stilare il Regolamento delle primarie è stata “sconvocata” e aggiornata a domani sera. Da sabato mattina si raccolgono le firme: a quel punto, il nome sarà ufficiale. E Zingaretti potrebbe cedere a quella che ormai è una pressione che arriva da tutti. Essere pregati e fungere da salvatore della Patria: una precondizione che nessuno mette mai davvero esplicitamente, ma che gioca sempre un ruolo essenziale nelle scelte. E per il Pd di Letta conquistare Roma resta un obiettivo di vita o di morte.

Iscritti, voto e statuto: tutto da rifare

In un giorno di primavera, tre magistrate della Corte d’appello di Cagliari scrivono nero su bianco che per i Cinque Stelle è notte, fonda. Talmente spessa che ora la strada per riemergere dal crepaccio potrebbe essere cancellare tutto e ripartire da capo.

Con una nuova associazione, un nuovo simbolo e soprattutto nuovi iscritti per il nuovo M5S di Giuseppe Conte. Da reclutare con una campagna d’iscrizione a tamburo battente, nel segno della ripartenza e di una nuova stagione politica.

È questa la mossa di cui discutono fino a tarda sera l’ex premier e i maggiorenti del Movimento, che ad oggi non ha un capo politico e quindi un rappresentante legale certo. O almeno questo si evince dal decreto della Corte che respinge il ricorso del reggente Vito Crimi contro la nomina di un curatore speciale per il M5S. Il provvedimento, è bene notarlo, non entra nel merito di chi sia questo rappresentante, o meglio “non ne ha accertato l’insussistenza in via definitiva“ come legge nel testo. Se sia o meno Crimi quello dovrebbe deciderlo chissà quando il processo civile in corso nel capoluogo sardo (prossima udienza, il 6 luglio), mosso da un ricorso di un’ex consigliera regionale del Movimento. Ma va già benissimo così all’avversario, cioè a quel Davide Casaleggio che da mesi accusa Crimi di non avere titolo per agire da capo, perché prorogato in modo illegittimo dal Garante Beppe Grillo, e che proprio per questo rifiuta di consegnargli il tesoro che ha in pancia, ovvero l’elenco degli iscritti alla piattaforma Rousseau e quindi al M5S. Indispensabili per votare il nuovo Statuto e il nuovo organigramma del Movimento e tutto il resto, insomma per dare vita al nuovo M5S del rifondatore Giuseppe Conte che infatti boccheggia in panchina da settimane: anche se Statuto e Carte dei valori, assicurano, sono pronti da giorni. Ma il groviglio di norme, errori politici e vendette incrociate ora fa pendere la bilancia per Casaleggio, che infatti rialza la posta dal blog delle Stelle: “Il voto per un nuovo comitato direttivo va fatto sulla piattaforma Rousseau”. Perché c’è anche, anzi soprattutto questo di rischio: ossia che il curatore speciale nominato dal giudice a Cagliari come rappresentante (nel processo) del Movimento indica una votazione per un comitato direttivo che guidi i 5Stelle, come avevano stabilito quegli Stati generali fatti a fine anno e archiviati in un amen. Dal Movimento sostengono che il curatore non avrebbe comunque questo potere (“lui può agire solo nel processo”). Ma lui, l’avvocato Silvio Demurtas (cognome adatto al contesto, sussurravano ieri alcuni grillini) non si tira mica indietro: “Potrei dover essere io a indire eventuali votazioni, nel caso in cui la Procura di Cagliari dovesse decidere così”. E il quadro non potrebbe essere più complicato di così per Conte, che in serata sente Luigi Di Maio e i big del Movimento per capire come uscirne. E c’è chi propone di aggirare Rousseau facendo votare gli iscritti il nuovo Statuto per posta, ipotesi già raccontata dal Fatto settimane fa. Una proposta che però incontra una selva di obiezioni: “A che titolo potremmo raccogliere i dati? E poi il voto va fatto online”. Ha più senso un’altra opzione, quella di una causa con un procedimento d’urgenza, per far stabilire a un altro giudice che i dati appartengono al M5S e che Crimi venne prorogato in carica in modo legittimo dal Garante, cioè Grillo. “Ma ci vorrebbero almeno due o tre settimane” fanno notare: sempre che si vinca. E poi una nuova piattaforma al posto di Rousseau non c’è ancora.

Il M5S ne ha visionate diverse. E se si dovesse correre, spiega una fonte, “la metà delle aziende contattate ci permetterebbe di votare in sette giorni”. Ma senza i dati (e un capo politico) non si può fare nulla. Per questo, dentro il Movimento più d’uno quasi si augura che da Cagliari indicano una votazione, “così almeno facciamo un passo avanti”. Un organo collegiale in cui Conte potrebbe essere il primus inter pares, magari temporaneo, per poi votare il nuovo Statuto e Conte capo politico, affiancato da una larga segreteria e da una struttura con vari referenti regionali, così come ha già immaginato l’ex premier. Ma è tutto incerto, scivoloso. “Forse bisogna provare a riparlare con Casaleggio, offrirgli almeno parte dei 450mila euro che chiede” sibila un veterano mentre le agenzie raccontano di un Movimento che esplode di malessere. Stefano Buffagni, non proprio un sodale di Crimi, approfitta del 5 maggio per citare Napoleone: “Non esistono cattivi reggimenti, solo colonnelli incapaci”. Mentre Vincenzo Spadafora spara sull’Huffington Post: “Se non si cambia il M5S finisce qui, la scissione è a un passo”. Sono decine, soprattutto alla Camera, che vogliono chiarezza sul primo dei crucci, il vincolo dei due mandati. “Altrimenti non versiamo più nulla” hanno detto in diversi a Crimi.

Altra benzina per il motore del nemico, del Casaleggio che dal blog apre volentieri un altro varco che potrebbe essere voragine: “Le espulsioni fatte dai capigruppo di Camera e Senato su indicazione di un ex capo politico sono chiaramente viziate, potrebbero essere annullate e impegnano la responsabilità personale di coloro che, esercitando un potere non posseduto, le hanno disposte”. Evoca l’annullamento e soprattutto risarcimenti danni, il figlio di Gianroberto. Ma dal Movimento ribattono che, giurisprudenza alla mano, il capo politico e rappresentante legale era e sarebbe ancora Crimi. “ Secondo una pronuncia della Cassazione – sostiene Eugenio Saitta, capogruppo in commissione Giustizia alla Camera – anche per le associazioni come il Movimento 5 Stelle, così come per i casi che riguardano la cessazione degli amministratori di società, si applica la perpetuatio”. Si discute in punta di diritto, mentre l’ex non troppo ex, Alessandro Di Battista, viene bombardato di messaggi e telefonate. “Mi dispiace davvero per tutto questo” risponde, Conte invece consulta gli avvocati e sente i big. E con lo scendere della sera prende sempre più corpo l’ipotesi più netta e liberatoria, ripartire da zero. “Non vedo molte alternative” conferma un grillino di primissimo piano. Ma è tutto ancora da vedere, nel Movimento appeso alle ipotesi. Da tanto, troppo tempo.

“Ci rivolgiamo a Draghi: si chiarisca quell’incontro”

L’incontro del 23 dicembre tra Matteo Renzi e il capo reparto del Dis Marco Mancini documentato da Report finisce anche in Parlamento. L’interrogazione rivolta al presidente del Consiglio Mario Draghi, responsabile dei Servizi segreti, è stata presentata alla Camera dalla deputata del M5S Vittoria Baldino, capogruppo in Commissione Affari costituzionali.

Onorevole Baldino, cosa chiede nell’interrogazione?

È necessario fare chiarezza su tre aspetti: in primo luogo vogliamo sapere se la presidenza del Consiglio fosse informata dell’incontro. Poi se dopo il colloquio sia stato redatto un verbale o un documento, infine se il Dis avesse autorizzato Mancini o qualsiasi altro suo dirigente a incontrare leader politici nonostante il Copasir fosse operativo. Quest’ultimo è un aspetto ancora più interessante visto che Renzi in quel periodo stava programmando la caduta del governo Conte proprio sulla questione dei servizi segreti. Oggi il Copasir si riunirà e noi chiederemo chiarezza.

I renziani, e anche Salvini, però dicono che è normale che i politici incontrino uomini dei Servizi.

Potrebbe essere normale se un parlamentare ricevesse esponenti dell’intelligence nell’ambito delle sue funzioni, nel suo ufficio e con ingresso registrati. Invece è molto strano che questo incontro, tutt’altro che fugace visto che è durato 40 minuti, si sia svolto in un autogrill. Io non incontro personaggi così importanti in autogrill, ma li ricevo nel mio studio.

C’è un collegamento tra l’incontro Renzi-Mancini e la caduta del governo Conte?

Non lo so e non faccio illazioni, ma bisogna chiedere che sia fatta chiarezza. Faccio solo notare che quello della delega ai Servizi era uno dei temi che in quel momento attanagliava di più Renzi: lui riteneva di fondamentale importanza che Conte non fosse l’unico a gestire i Servizi. Tant’è che se gli attacchi di Renzi sul Mes erano strumentali, quelli sull’intelligence no: lui era particolarmente interessato al dossier.

E perché, secondo lei?

Non lo so ma mettiamola così: il governo Conte aveva una congiunzione astrale avversa ed è caduto per molti interessi. Sicuramente l’ex premier dava fastidio a un apparato di potere che Renzi rappresenta: i poteri internazionali, i grandi gruppi industriali e quelli interessati ai fondi del Recovery Plan.

Come noto, il capo reparto del Dis Mancini stava cercando una vicedirezione e voi del M5S non gli eravate ostili, anche se poi la nomina è saltata. Come si pone rispetto a questo?

Chiunque fosse stato il dirigente dei Servizi in questione avremmo chiesto lo stesso di fare chiarezza. Poteva essere anche Gennaro Vecchione (Dis) o Mario Parente (Aisi).

I renziani prima della messa in onda hanno annunciato un’interrogazione parlamentare al Mef per capire se Report abbia pagato una fonte in Lussemburgo contro Renzi. Cosa ne pensa?

È singolare che l’interrogazione sia stata annunciata nel giorno della libertà di stampa. Renzi poi ha parlato di un servizio complottistico, ma in questo modo il complotto lo sta creando lui: è un tentativo di delegittimare Ranucci ed è molto strano che l’interrogazione sia stata presentata prima della messa in onda del servizio.

È un attacco contro i giornalisti liberi?

Certo, questa è stata la settimana degli attacchi alla tv pubblica. Prima i componenti leghisti della Vigilanza contro Fedez e poi i renziani contro Report. Ma la Rai deve essere libera e indipendente. E invece i due “Matteo” fanno tutto il contrario.

Casellati: già spariti dal sito Mediaset i voli “blu” delle Iene

Puff! Con un tocco di magia il servizio delle Iene sui voli di Stato di Maria Elisabetta Alberti Casellati andato in onda due sere fa è sparito nel nulla. Non compare più da nessuna parte, né sul sito né sulla pagina Fb del programma e nemmeno sui canali Mediaset: peggio di una damnatio memoriae. E sì che aveva fatto il botto con 2,5 milioni di spettatori incollati alla tv a godersi le performance aree di Sua Presidenza. Che erano andate forti pure sui social, ad alimentare una polemica che va avanti da giorni senza che Casellati senta l’esigenza di dare conto degli oltre 120 voli che ha preso nell’ultimo anno per fare la spola tra Roma e Padova, ma pure per andare in vacanza in Sardegna come se il Falcon fossi un taxi personale.

Sentite qui il commento di Alessandro Di Battista che prende spunto dalla vicenda per bastonare i suoi ex compagni di strada del M5S. “In un Paese normale la seconda carica dello Stato pizzicata ad abusare dei suoi privilegi andrebbe a casa, e senza aereo blu stavolta. Da noi, salvo eccezioni, passa tutto in cavalleria. Lo scoop l’ha fatto Repubblica, oggi ci apre il Fatto, ieri le Iene hanno realizzato un servizio (condividiamolo)”. Raccolgono l’invito in migliaia prima che lo stesso di Battista rinnovi l’appello a farlo subito nel timore che venga fatto sparire con la stessa modalità in cui è scomparso “misteriosamente” sui canali Mediaset. “Il contenuto non è più disponibile perché potrebbe essere stato rimosso” si legge per esempio su Dagospia che sul servizio delle Iene Giulia Innocenzi e Marco Occhipinti ci si era buttato a pesce condividendo il contenuto dal sito delle Iene. A provare a cercarlo tramite Mediaset player viene segnalato che il video non è accessibile. Stessa solfa a usare altri link che danno “Errore404”: il servizio insomma pare che il Biscione l’abbia imbertato in maniera scientifica. Perché quelli andati in onda nella stessa puntata, quella del 4 maggio, sono ancora lì a disposizione e in bella vista. Dal servizio denuncia sulla condizione dei rider alla sentenza per l’omicidio Vannini, da Vladimir Luxuria con Pio e Amedeo al processo all’antimafia di Pino Maniaci passando per Conte (l’allenatore) dell’Inter campione d’Italia. E chi più ne ha più ne metta, compreso il dramma del popolo degli Uiguri.

Della predilezione di Sua Presidenza per i voli di Stato invece nemmeno l’ombra: il sospetto che dopo la messa in onda del servizio in casa Mediaset sia successo il finimondo è forte. Sì, ma cosa precisamente? “Se vuole sapere se mi ha chiamato la Casellati per chiedermi di togliere il servizio dalla circolazione, la risposta è no: non mi ha chiamato. Ma del resto non ci occupiamo della parte digital. Il sito e il canale social del programma non lo gestiamo più noi del programma, ma direttamente Mediaset” dice il papà delle Iene Davide Parenti che giura di non saperne niente. “Non abbiamo avuto nessun problema a mandare in onda il servizio. Di telefonate io non ne ho ricevute. Poi non so… Non chiedete a me, posso solo dire che questa cosa è alquanto buffa”.

Ma insomma cosa può essere successo? Forse qualcuno ha fatto pressioni sull’azienda dell’ex Cavaliere sì caro alla presidente del Senato? Il Fatto ha interpellato l’ufficio stampa di Mediaset, ma non è arrivata nessuna risposta rispetto al servizio pubblicato e desaparecido. “Le faremo sapere”. Un caso da Iene, anzi da Chi l’ha visto?.