Il Tribunale vuole chiarezza su Amara

L’ombra di Eni sonnecchia dietro il pirotecnico scandalo della (presunta) loggia Ungheria. Non solo perché Piero Amara, protagonista del caso, era l’avvocato che ha avuto per anni incarichi milionari dalla compagnia petrolifera. Ma anche perché il suo comportamento processuale è strettamente legato alle indagini (transitate da Trani a Siracusa fino a Milano) sul cosiddetto complotto che avrebbe egli stesso ordito per infangare i nemici di Eni e rallentare e intorbidare le indagini sulle tangenti di cui Eni era accusata per affari in Algeria e in Nigeria (per cui la compagnia è stata infine assolta). Amara era contemporaneamente indagato e testimone, regista di complotti e possibile denunciante delle manovre e dei depistaggi di cui era stato autore: in proprio (come ripete Eni), o per conto di autorevoli mandanti (come sostiene, forse con qualche intermittenza, Amara, indicando i vertici del Cane a sei zampe)?

Rebus per ora senza soluzione. In questa storia il vero e il falso sono sempre abilmente miscelati, perfino con un pizzico di voluttà, secondo un’antica tradizione italiana. Come trattare, allora, un tale centauro? Come valorizzare le sue accuse, se vere, ma ripulendole dal fango? Su questo si sono slabbrati e poi lacerati i rapporti tra magistrati valenti, Paolo Storari da una parte, Francesco Greco, Fabio De Pasquale e Laura Pedio dall’altra. Nelle ultime ore, sono scesi in partita anche gli altri inquilini del Palazzo di giustizia milanese, il presidente del Tribunale, Roberto Bichi, e il procuratore generale, Francesca Nanni. Questa ha chiesto al procuratore Greco una relazione sulla vicenda Amara, in nome del suo “potere di vigilanza” sull’attività della Procura. Bichi ha invece acquisito nei giorni scorsi dalla Procura di Brescia gli atti di un fascicolo che ha a che fare proprio con Amara e con Eni. A farlo aprire erano stati Greco e Pedio, che erano andati a portare al procuratore di Brescia Francesco Prete, competente sulle toghe milanesi, uno piccolo stralcio dei verbali di Amara ora diventati caso nazionale: quello in cui l’avvocato sosteneva di aver saputo (de relato, da voci interne a Eni) che due autorevoli avvocati della compagnia, Paola Severino e Nerio Diodà, ritenevano il presidente del processo Eni-Nigeria, Marco Tremolada, giudice al quale potevano “avere accesso”.

Poi, il 5 febbraio 2020, i pm del processo Eni-Nigeria, Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro, avevano chiesto direttamente al Tribunale presieduto da Tremolada di sentire Amara, su “interferenze di Eni su magistrati milanesi in relazione al processo”. Tremolada aveva rigettato la richiesta. E nel dicembre successivo la Procura di Brescia aveva archiviato l’indagine, senza aver iscritto alcun nome sul registro degli indagati.

 

Ora s’indaga su 4 mila euro trovati alla funzionaria Csm

Sono due gli aspetti che la Procura di Roma intende verificare nell’ambito dell’indagine sulla diffusione di verbali secretati degli interrogatori resi da Piero Amara, ex legale esterno dell’Eni già coinvolto in diverse indagini, ai magistrati milanesi e poi arrivati nei mesi scorsi ad alcune testate giornalistiche e al Csm. Da una parte i magistrati vogliono capire se altri consiglieri del Csm, oltre i nomi già noti, siano venuti in possesso di quegli interrogatori in cui Amara parla di una fantomatica loggia denominata “Ungheria”. Dall’altra procedono anche le indagini su Marcella Contrafatto, ex funzionaria del Csm, perquisita nelle scorse settimane e sospettata di aver avuto un ruolo nella fase finale del dossieraggio, cioé la consegna di alcuni plichi con i verbali. I pm stanno cercando di risalire la filiera per capire due cose: chi le ha dato le carte e perché le ha diffuse ai giornali.

Non solo. C’è un altro elemento finora inedito: durante le perquisizioni, secondo indiscrezioni, è stata trovata nella disponibilità della donna anche una busta con all’interno circa 4 mila euro. Sulla busta è riportata una data, di poco precedente – secondo gli investigatori – a uno degli invii dei plichi. È una circostanza che potrebbe non avere alcun peso nell’indagine, ma gli inquirenti stanno cercando capire la provenienza di quel denaro (che, ripetiamo, potrebbe essere tranquillamente lecita). Il Fatto ieri ha provato a contattare sia la funzionaria Csm che il suo legale, senza riuscirci. I pm potrebbero chiedere conto di quel denaro alla signora Contrafatto qualora decidessero di interrogarla (in passato si è avvalsa della facoltà di non rispondere). La donna – indagata a Roma – lavora da tanti anni al Csm (è stata ora sospesa) ed è stata fino a ottobre scorso la segreteria di Piercamillo Davigo. Proprio l’ex consigliere Csm (estraneo alle indagini) sarà sentito oggi dai pm di Roma come persona informata sui fatti.

Ed è qui che ci si addentra in quelli che saranno gli ulteriori accertamenti dei magistrati capitolini: chiarire cioè se ci sono altri consiglieri del Csm che hanno ottenuto i verbali di Amara. Davigo li aveva: glieli consegnò nella scorsa primavera il pm di Milano, Paolo Storari, convinto che i suoi superiori, il procuratore capo Francesco Greco e l’aggiunto Laura Pedio, non volessero spingere l’acceleratore sull’inchiesta innescata dalle dichiarazioni di Amara sulla presunta loggia massonica. Davigo sostiene di aver spiegato la situazione al vicepresidente del Csm David Ermini, con quest’ultimo che a sua volta informò il Quirinale e poi incontrò nuovamente l’ex pm di Mani Pulite, porgendogli i ringraziamenti del Colle e il messaggio che a quel punto non era necessario intraprendere ulteriori iniziative. Ermini al Fatto ha confermato solo la prima parte della versione di Davigo: “Confermo solo che me ne parlò”. Quei verbali, che contengono anche un passaggio sul consigliere Sebastiano Ardita, arrivano, ma stavolta in un plico anonimo, anche a Nino Di Matteo, il quale è andato in Procura a Perugia per denunciare il dossieraggio ai danni del collega.

Anche il Fatto, a fine ottobre 2020 (come Repubblica seppur in un momento diverso), ha ricevuto quei verbali in forma anonima. Non erano firmati e sospettando una manovra di dossieraggio, Il Fatto ha scelto di non pubblicare. Non solo. Il giornalista Antonio Massari li ha portati in Procura a Milano per gli accertamenti del caso sulla fuga di notizie.

Turismo, in arrivo le “green card”

Dalla metà di maggio il turismo italiano prova a ripartire. Il meccanismo individuato per liberalizzare gli spostamenti è quello del “passaporto” vaccinale o di guarigione dal Covid che permetterebbe di spostarsi liberamente evitando quarantene. Questo, almeno, è quanto annunciato ieri dal presidente del Consiglio Mario Draghi: “A partire dalla seconda metà di giugno – ha detto il premier introducendo le conclusioni del G20 del Turismo – sarà pronto il Green pass europeo. Nell’attesa il governo italiano ha introdotto un pass verde nazionale, che entrerà in vigore a partire dalla seconda metà di maggio”.

Il certificato, nelle intenzioni del governo, dovrebbe consentire ai cittadini europei immunizzati, guariti dal Covid o negativi al tampone di circolare liberamente nell’Unione. Per il turismo interno, invece, si partirebbe in anticipo: “Il green pass nazionale – ancora Draghi – permetterà alle persone di muoversi tra le regioni. Quindi non aspettiamo la seconda metà di giugno per avere quello europeo, già dalla seconda metà di maggio i turisti potranno avere quello italiano”.

Sul rilancio della stagione turistica anche la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen era intervenuta per sollecitare la ripresa in vista della stagione alle porte, proponendo un “meccanismo di freno d’emergenza Ue” nel caso dovessero presentarsi varianti del coronavirus.

Draghi ha sottolineato la necessità di “offrire regole chiare, semplici per garantire che i turisti possano venire da noi in sicurezza”. Con l’introduzione del pass europeo, ha aggiunto, “i turisti saranno in grado di spostarsi da un paese all’altro senza quarantena a patto che possano dimostrare di essere guariti dal Covid, vaccinati o negativi a un tampone: queste son le condizioni che normalmente si richiedono nel green pass”.

Il turismo, ha continuato, “avrà un ruolo essenziale nella ripresa” economica del Paese e “il G20 e le direttive per il futuro del Turismo sono una base per una ripresa del turismo a livello globale e affermano il bisogno di renderlo più sostenibile e inclusivo, per proteggere anche l’ambiente e fare in modo che ci sia un’inclusione delle comunità locali”.

E pur sottolineando che “l’economia dopo la pandemia sarà diversa – ha continuato – non ho dubbi che il turismo si riprenderà e sarà più forte di prima, anche migliore. Nel frattempo continuiamo a fornire supporto economico concreto al settore e con il Pnrr lavoriamo per il futuro“. E ha concluso: “È arrivato il momento di prenotare le vostre vacanze in Italia, e naturalmente non vediamo l’ora di riaccogliervi di nuovo“.

I vaccini solo ai Paesi ricchi. Altro round brevetti al Wto

Oggi e domani si riunisce il consiglio generale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (Wto) per discutere nuovamente della moratoria temporanea per i brevetti dei vaccini anti-Covid. La proposta, avanzata per la prima volta nell’ottobre scorso dai governi di India e Sudafrica, finora non ha ottenuto il via libera a causa dell’opposizione di alcuni membri importanti del Wto come Stati Uniti, Unione europea, Regno Unito, Giappone e Brasile.

Nel frattempo, però, gli equilibri politici sono cambiati, anche se non ancora in modo determinante per una svolta. La scorsa settimana il Senato del Brasile, dove i tassi di contagio restano tra i più allarmanti al mondo, ha approvato una legge che permette il ricorso alle licenze obbligatorie e, quindi, la sospensione temporanea dei brevetti per i vaccini anti-Covid. La norma, che per entrare in vigore deve passare anche il vaglio della Camera, sconfesserebbe la linea finora tenuta dal presidente Jair Bolsonaro, contrario alla moratoria.

Nel frattempo anche negli Usa la pressione per un cambio di rotta da parte dell’amministrazione Biden sta aumentando. Nelle scorse settimane 175 tra ex capi di Stato e Premi Nobel hanno scritto una lettera al presidente degli Stati Uniti per chiedere che sostenga la proposta di India e Sudafrica. Tra i firmatari ci sono molti esponenti della sinistra internazionale come gli economisti Joseph Stiglitz e Muhammad Yunus, ma anche politici tra cui gli ex premier Gordon Brown, Francois Hollande e Romano Prodi. Biden non si è ancora espresso ufficialmente, ma alcuni segnali (come il fatto che la rappresentante Usa per il Commercio, Katherine Tai, abbia fatto sapere di aver parlato del tema con i vertici di Pfizer e AstraZeneca) fanno pensare che sulla questione Washington potrebbe cambiare idea. Un via libera degli Usa alla moratoria potrebbe attirare proseliti in altre parti del mondo.

Mentre i governi discutono sul da farsi, le vaccinazioni a livello internazionale evidenziano una disuguaglianza crescente tra Paesi ricchi e Paesi poveri. Secondo gli ultimi dati del sito Our World In Data, il 15% della popolazione mondiale ha ricevuto almeno una dose del vaccino. È guardando i dettagli sui singoli Paesi che saltano all’occhio le differenze. Negli Usa la prima iniezione è stata fatta al 74% della popolazione, nel Regno Unito al 75%, in Germania al 36%, in Italia al 35%. Anche tra i Paesi a reddito alto le differenze ci sono, ma il divario con le nazioni più povere appare incolmabile. In Bangladesh ha ricevuto la prima dose solo il 5,4% della popolazione, nelle Filippine l’1,8%, in Pakistan l’1%, in Nigeria lo 0,6%. La sintesi l’ha fatta qualche settimana fa l’Onu: mentre nelle nazioni ricche attualmente una persona su quattro ha già ricevuto la puntura, in quelle più povere il rapporto è infatti di un vaccinato ogni 500 persone.

Paradossale la situazione dell’India: è uno dei Paesi al mondo che produce il maggior numero di vaccini, ma solo l’11,3% della popolazione ha ricevuto la prima puntura, perché buona parte delle dosi realizzate in loco viene esportata.

“L’aumento dei decessi in tutto il pianeta è in stretta correlazione con la disponibilità dei vaccini, che le aziende titolari dei brevetti non sono in grado di assicurare, per cui bisogna urgentemente coprire il fabbisogno mondiale: la sospensione temporanea dei brevetti sui vaccini è l’unica scelta da fare con urgenza”, dice Vittorio Agnoletto, portavoce della Campagna Europea -Right2Cure #NoprofitOnPandemic, che ha raccolto oltre 174 mila firme a favore della moratoria. Lo scorso 19 aprile il comitato italiano, che rappresenta un centinaio di associazioni e sostiene la proposta, ha inviato una lettera a Mario Draghi per chiedere al governo italiano di appoggiarla in sede Wto. “Draghi non ci ha ancora risposto”, dice Agnoletto.

Arriva il “decreto Scuola” con la sanatoria per i precari

È una parola che al ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi non piace perché non rispecchia in pieno la sua idea di scuola. Ma come che si voglia chiamarla, la sanatoria per i docenti precari arriverà lo stesso. Dunque meglio utilizzarla, pur tenendo nel dovuto conto le complesse situazioni che l’hanno generata. In queste ore al ministero dell’Istruzione e a Palazzo Chigi si lavora infatti su un decreto ad hoc che prevede, tra le altre cose, proprio la sanatoria.

La motivazione è apparentemente incontestabile: garantire che a settembre ci siano in cattedra quanti più docenti a tempo indeterminato possibile. Alla conta, come da tradizione, mancano verosimilmente circa 120mila insegnanti di ruolo. Nell’immediato si potrà contare su quelli che hanno partecipato al concorso straordinario proprio per i precari che si è concluso da poco. Non saranno disponibili invece gli insegnanti che avrebbero dovuto svolgere il concorso ordinario, bloccato dalle norme anti-Covid.

Come nei migliori auspici di Pd, sindacati e Lega – e qui si passa al nodo politico – si inizia a parlare seriamente di sanatoria o, in altri termini, di assunzione semplificata dei precari che non hanno partecipato (o non hanno superato) il concorso straordinario. Una traccia era già nelle linee programmatiche presentate ieri dal ministro in audizione davanti alle Commissioni Cultura di Camera e Senato. Nella parte sul reclutamento dei docenti, tra la necessità di “ridisegnare le procedure concorsuali a regime” e l’intenzione di dare “periodica continuità alle prove” si fa riferimento a un periodo di “transizione” per il quale si dovranno identificare “procedure mirate alle diverse forme con esperienza di docenza a tempo determinato”. Tradotto: bisogna capire come contemperare la stabilizzazione dei precari (chiesta a gran voce da Lega e centrodestra, più velatamente ma non meno tenacemente da buona parte del Pd) e le inevitabili proteste di chi ha partecipato al concorso straordinario e – soprattutto neolaureati – intendeva partecipare a quello ordinario. Una delle ipotesi tecniche prevede: formazione continua nel corso dell’anno e una valutazione finale del docente, ma potrebbe non bastare (tutti i docenti di ruolo già affrontano l’anno di prova).

Fonti parlamentari, peraltro, parlano delle perplessità del ministero dell’Economia: intanto, dice il Mef, la copertura di quei posti è già stata autorizzata per entrambi i concorsi (straordinario e ordinario); in secondo luogo, la previsione del “calo degli studenti indotto dalle dinamiche demografiche” (dice il Def) porterà nel tempo a una riduzione degli investimenti sull’istruzione. Uno scoglio quest’ultimo che anche l’ex ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, aveva incontrato nella sua intenzione – appoggiata formalmente anche da questo governo – di lavorare per ridurre il numero di alunni per classe.

Un’Altra vittoria dei sindacati della scuola e dei loro referenti in Parlamento (che non piacerà alle famiglie) riguarda la cosiddetta “mobilità”: ora i docenti assunti a tempo indeterminato devono rimanere nello stesso posto per almeno 5 anni per garantire la continuità didattica. Dopo mesi di contrasti e mediazioni, il governo sembra garantisce che i docenti potranno spostarsi anche prima del tempo. La prima a gioire è la senatrice di Fratelli d’Italia Tiziana Drago: “Approvato un ordine del giorno che impegna il governo alla proroga della mobilità straordinaria per il personale docente di ruolo e autorizza la mobilità straordinaria per i dirigenti neoassunti”.

Quanto alle linee programmatiche presentate ieri, non mancano le sorprese. Per le scuole superiori, ad esempio, un obiettivo è aumentare la collaborazione con l’industria del territorio: partendo dalla sacrosanta volontà di potenziare le materie Stem (scientifiche e matematiche) si approda a “interventi diretti a colmare il cosiddetto skill mismatch tra educazione e mondo del lavoro” potenziando “l’offerta formativa, in particolare nelle competenze abilitanti 4.0, correlate alla vocazione produttiva del territorio di riferimento”. Il fine? “Adeguare la risposta del sistema di istruzione alla forte domanda di professionalità in termini di competenze manageriali, scientifiche e di elevata specializzazione tecnica”. Sarà contenta Confindustria.

Formigoni&C.: il 18 si decide sul ricorso contro i vitalizi

Il 18 maggio il Consiglio di Garanzia del Senato esaminerà il ricorso della segretaria generale di Palazzo Madama contro la sentenza con cui in primo grado la Commissione Contenziosa ha ridato il vitalizio a Roberto Formigoni e anche a tutti gli altri ex senatori condannati. Cancellando con un tratto di penna la delibera del 2015 voluta dall’allora presidente Pietro Grasso che disponeva la sospensione degli assegni per i parlamentari che si fossero macchiati di reati gravissimi come mafia, terrorismo e corruzione. Un colpo di spugna che vale una riabilitazione per i condannati che torneranno a beneficiare del vitalizio nonostante le polemiche e l’indignazione generale: la petizione promossa dal Fatto per chiedere al Senato di fare marcia indietro impugnando la decisione della Commissione presieduta dal forzista Giacomo Caliendo e composta dai leghisti Simone Pillon e Alessandra Riccardi e due membri laici nominati dalla presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati, è già stata sottoscritta da oltre 126mila persone. Nella petizione si chiede di sollevare alla Consulta un conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato a fronte dell’invasione di campo di un organo di natura giurisdizionale come la commissione contenziosa rispetto alle regole adottate nel 2015 dal massimo organo politico del Senato ossia il Consiglio di presidenza; di impugnare la decisione in appello con la richiesta di sospensione degli effetti della sentenza di primo grado messa immediatamente in esecuzione dalla Casellati. A cui viene chiesto infine di farsi parte attiva affinché, in questo momento di grave difficoltà per gli italiani, anziché prodigarsi per i vitalizi degli ex con la fedina penale sporca, i senatori offrano un contributo di solidarietà sacrificando una parte delle loro indennità.

Casellati, altro weekend di voli di Stato per tornare a Padova

Un altro volo blu nonostante le polemiche: come se nulla fosse Maria Elisabetta Alberti Casellati non cambia spartito. Anche lunedì ha fatto ritorno a Roma grazie alla flotta dello Stato. Lo racconta un servizio delle Iene in onda ieri sera su Italia 1 e destinato a rinfocolare le polemiche di chi ne chiede le dimissioni. O le sollecita chiarimenti come hanno fatto alcuni parlamentari “semplici” costretti alla promiscuità di treni e aerei di linea nonostante il morbo o a macinare chilometri in autostrada per fare la spola con Roma: lei, Sua Presidenza Maria Elisabetta Alberti Casellati non ci sta e continua a viaggiare con i voli di Stato, avanti e indietro da Padova, il suo secondo regno dopo il Senato. Che ha di nuovo raggiunto alla fine del weekend appena trascorso nella città natia con la ormai consueta modalità: nell’ultimo anno avrebbe usufruito del servizio ben 128 volte. Anche per andare in Sardegna in vacanza con soggiorno in villa bordo mare dell’Aeronautica militare a Porto Conte, secondo quanto ha riferito il quotidiano La Notizia. Sarà vero? Il Fatto ha provato a chiederlo all’Aeronautica che sulla illustre ospite tiene la bocca cucita. “No comment, chiedete a lei”.

Lei di rispondere non ne ha proprio voglia: al massimo sulla faccenda dei voli di Stato, Sua Presidenza si è concessa l’altro giorno uno sfogo in quel di Milano che non è sfuggito ai microfoni di Giulia Innocenzi delle Iene. Eccola concionare fitto fitto con Beppe Sala il 1° maggio alla cerimonia di intitolazione di alcune vie delle aree ex Expo: le domande sui suoi viaggi in quota rimangono senza risposta. Ma poi sotto la mascherina – video off – rivendica col sindaco quel che le spetta e che qualcuno ha l’ardire di rinfacciarle. “Tutto per arrivare a lavorare: non c’erano treni, non c’erano aerei, questo nessuno lo dice”.

Le Iene nel servizio in onda ieri sera, fanno di più: provano a farle i conti in tasca. “Ha surclassato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella che conterebbe soli 5 voli negli ultimi 7 mesi. Lasciato ancor più indietro il presidente della Camera Roberto Fico con 3 soli voli di Stato in questa legislatura. Addirittura doppiato dalla Casellati chi deteneva il record fino ad oggi, Angelino Alfano, che, tra il 2016 e il 2017, da ministro degli Esteri avrebbe utilizzato ben 68 voli di Stato”, si racconta nel servizio.

Che poi continua così: “Per 97 volte l’aereo della presidente del Senato sarebbe stato utilizzato dall’aeroporto Roma Ciampino a quello di Venezia Marco Polo e viceversa”. Possibile che per via delle restrizioni dovute al Covid non ci sarebbero stati né treni né aerei, come sostiene lei? Macché. Le Iene fanno qualche esempio: lunedì 8 febbraio 2021 sarebbe partita da Venezia con il volo di Stato alle 15.53 in direzione Roma, anche se 20 minuti prima era partito un aereo di linea dell’Alitalia che percorreva la stessa tratta. E poi lunedì 1° marzo, quando la presidente Casellati avrebbe preso l’aereo di Stato alle 15.40 da Venezia per arrivare a Roma, appena 5 minuti prima che partisse un volo dell’Alitalia. E ancora due settimane dopo, lunedì 15 marzo, l’aereo presidenziale decolla alle 15.34 da Venezia, 4 minuti prima di quello di linea, diretti, entrambi, a Roma.

Nonostante le polemiche anche sui costi dei voli di Stato, Sua Presidenza non demorde: alle 18 e 50 di lunedì scorso rieccola a Ciampino in arrivo da Venezia. Ad attenderla, come racconta il servizio, “il dispiegamento di uomini indaffarati tra scatole, valigie, trolley e borsoni, ci sono tre auto di scorta, l’aereo ha il codice di volo normalmente assegnato alla Presidente”. Che quando si tratta di volare non è seconda a nessuno. Memorabile l’impresa dello scorso giugno: eccola in piena pandemia a benedire dall’alto su un elicottero dell’Esercito la sua Padova: a bordo anche la statua di Sant’Antonio protettore della città a cui la famiglia Casellati è devota. Suo marito l’avvocato Giambattista è uno dei presidenti della Veneranda Arca, l’ente che gestisce l’immenso patrimonio cresciuto attorno al culto del Santo. Che è un’istituzione almeno come Sua presidenza.

La carica dei 300 per il cda Rai

Sono circa 320 i curricula arrivati in Parlamento per candidarsi al nuovo Cda Rai: 180 al Senato e 140 alla Camera. Cifra che però non tiene ancora conto dei doppioni: bisogna infatti verificare (ed è quello che i funzionari stanno facendo in queste ore) se tra di essi ci siano persone che hanno presentato la candidatura in entrambe le Camere. Nel 2018 i candidati (sfrondati dai doppioni) furono 236: 96 a Montecitorio e 169 a Palazzo Madama. Il Senato, dunque, resta ancora il più appetibile, forse perché considerato più “facile”.

Ma i funzionari non stanno valutando solo i doppioni: i curricula vengono analizzati anche per controllare requisiti ed eventuali conflitti d’interessi. Sulle candidature, che potrebbero essere pubblicate già domattina, gli uffici mantengono il massimo riserbo. Qualcuno l’ha resa pubblica, come Giovanni Minoli, altri l’hanno smentita, come Giovanni Valentini e Francesco Storace. Altro ancora trapela dalle forze politiche. Il Pd, che perde l’uscente Rita Borioni, potrebbe puntare su Flavia Barca, sorella di Fabrizio e già in Rai (Ufficio Studi) o sull’ex direttrice di Rai Quirinale, Daniela Tagliafico. In calo le quotazioni di Silvia Costa dopo le parole con cui Enrico Letta ha detto di non gradire ex parlamentari o “riciclati”.

Altro nome uscito nelle ultime ore è quello di Francesca Bria, presidente di Cdp Venture Capital: non è chiaro, però, se sia sponsorizzata dai dem o dai 5 Stelle. I quali, finora, hanno sempre sostenuto di voler confermare l’uscente Beatrice Coletti. Fratelli d’Italia, come si sa, punta a piazzare di nuovo Giampaolo Rossi, così come la Lega a riconfermare Igor De Biasio. Nome, quest’ultimo, su cui qualcuno, tra la Rai e il Palazzo, avanza obiezioni per la sua carica di ad di Arexpo, società pubblico/privata che si occupa del riutilizzo dell’area ex Expo a Milano. Carica che, quando fu eletto nel 2018 al Cda Rai, ancora non ricopriva.

Poi c’è Forza Italia, che sta tenendo coperte le sue carte, ma è difficile che possa convergere sul candidato leghista. I consiglieri di nomina parlamentare, del resto, sono 4 (su un totale di 7) e non ci sarà posto per tutti i partiti della larga maggioranza Draghi. E se Rossi, per essere l’unico in quota opposizione, diventa intoccabile, a M5S, Pd, Lega e FI toccherà spartirsi gli altri tre posti. I forzisti resteranno fuori anche a questo giro?

Continuano, intanto, le roventi polemiche del dopo-Fedez, con i partiti a rinfacciarsi chi lottizza di più. “Non accetto lezioni da Pd e M5S, che in Rai hanno occupato ogni scantinato e posacenere”, dice Matteo Salvini, rispondendo alle accuse dei dem e avanzando la proposta di “scegliere Ad e presidente per concorso”. Peccato che, per farlo, bisognerebbe cambiare l’attuale legge sulla governance.

Agcom: i due Matteo dominano i tg e i talk

Se i minuti in tv fossero voti, Matteo Renzi dormirebbe sonni tranquilli. A dispetto dell’1,7 per cento di cui è accreditata Italia Viva nei sondaggi, il partito dell’ex premier vola nei palinsesti, come certificano i dati Agcom relativi al primo trimestre del 2021. Dodici settimane che risentono della crisi di governo aperta proprio da Renzi e che si trasforma in manna dal cielo per il contatore televisivo del “senatore semplice”, dominatore dell’etere a braccetto con l’altro Matteo.

Una elaborazione dei dati Agcom arriva da Youtrend e dimostra come nei tg Italia Viva abbia approfittato di ampi spazi soprattutto nelle reti Mediaset: qui Iv è terzo partito con 186 minuti di “tempo di parola” (quello in cui parlano direttamente esponenti politici), dietro a Pd (253 minuti) e Forza Italia (227 minuti), altro caso anomalo ma se non altro facilmente spiegabile, essendo il partito di casa.

Per avere un’idea, da gennaio a marzo sui tg Mediaset Fratelli d’Italia parla per 88 minuti, la metà di Iv, pur essendo ormai vicino al 20 per cento nei sondaggi. Il dato si attenua un po’ se si considerano anche i tg Rai e La7, che riequilibrano in parte gli spazi concessi: nel totale dei minuti a disposizione, domina il Pd con 469 in tre mesi, seguito da Forza Italia (367), Lega (340), M5S (328) e proprio Italia Viva (281), che comunque stacca FdI (209) e lascia a distanza Leu (72).

Ma Matteo Renzi può sorridere anche per i numeri che lo riguardano personalmente. L’analisi sul tempo di parola dei leader conferma che la crisi di governo ha fatto bene alle ambizioni televisivi dell’ex premier, che a gennaio è andato in onda per un’ora e mezza sui tg, superando Matteo Salvini, secondo. Giusto per dare un ordine di grandezza, il segretario del Pd Nicola Zingaretti ha potuto contare su circa 45 minuti di messa in onda al mese. Il successo dei tg è replicato nei programmi, ovvero i molti talk show politici. Anche qui Renzi domina gennaio parlando per undici ore e mezza, più del premier Giuseppe Conte e poco meno del doppio di Salvini. Si pensi che Mario Draghi, che tra febbraio a marzo tiene le sue prime conferenze da presidente del Consiglio, in due mesi sfiora le dodici ore, rendendo l’idea dello spazio mediatico conquistato da Renzi nel solo mese di gennaio.

A proposito di talk show, ferma restando l’egemonia del Pd (95 ore complessive su tutte le reti), legata anche alle dimissioni di inizio marzo dell’ex segretario Zingaretti e all’avvicendamento con Enrico Letta, va sottolineato come anche qui Iv sia “fuori scala” rispetto alla forza del partito, tanto nei minuti a disposizione (45 ore) batte sia Forza Italia che FdI (40 ore a testa), lasciando il passo solo ai dem, alla Lega (quasi 60 ore) e al M5S (50 ore). E curioso è proprio il caso del Movimento, vicino all’estinzione nei talk delle reti Mediaset. Delle circa 50 ore trascorse dai politici 5 Stelle nei programmi tv, appena 5 sono su Rete4, Canale 5 o Italia 1, l’11 per cento del totale. Se prendiamo il totale dello spazio che Mediaset dedica ai partiti, il M5S ricopre soltanto il 6 per cento, fanalino di coda rispetto a tutte le altre maggiori forze politiche. Il tutto a dispetto di un gruppo parlamentare che è ancora il più numeroso e di un consenso non certo paragonabile al passato, ma stabile sopra il 15 per cento e rinvigorito dalla scelta di Conte di assumere la leadership del Movimento.

L’audio boomerang di B. Provò a scegliere i giudici

“Il procuratore di Cassazione, andiamo a toccarlo con un nostro amico”. Mesi di campagna martellante, sui giornali e le tv berlusconiane, per tentare di ribaltare la sentenza del 1 agosto 2013 che rende definitiva la condanna a Silvio Berlusconi per frode fiscale. La pistola fumante doveva essere l’audio di un giudice, Amedeo Franco, che faceva parte del collegio di Cassazione presieduto da Antonio Esposito ed era stato registrato (di nascosto) durante un colloquio ad Arcore: “Berlusconi deve essere condannato a priori… ha subito una grave ingiustizia… tutta questa vicenda è stata guidata dall’alto… hanno fatto una porcheria”. Ma la pistola si è ora ritorta contro chi l’ha impugnata: l’audio integrale, mandato in onda da Report su Rai3, non prova il complotto contro Berlusconi, ma in compenso documenta il tentativo di Berlusconi di condizionare la sentenza e di scegliersi i giudici.

Dall’audio si capisce infatti che Gianni Letta, prima della sentenza, sarebbe andato dall’allora presidente della Cassazione, Giorgio Santacroce, a tentare – invano – un cambio di collegio: “È andato Gianni Letta da Santacroce e ci ha detto: ‘Ormai avete quel collegio lì e ve lo tenete. Abbiamo un relatore assolutamente sopra le parti’”. Relatore era quel giudice Franco che firma pagina per pagina la sentenza, salvo poi andare ad Arcore a scusarsi con il condannato. E ancora: “Il procuratore di Cassazione, andiamo a toccarlo con un nostro amico”. Il riferimento è ad Antonio Mura, oggi procuratore generale di Roma, allora sostituto procuratore generale della Cassazione.

È lunga, la storia del rapporto di Berlusconi con i giudici amici. Comincia con le sentenze comprate e vendute dalle “toghe sporche” di Roma. Regista delle manovre nei palazzi della capitale allora era Cesare Previti, avvocato, gran tessitore di rapporti e conti all’estero alimentati dalla Fininvest e poi parlamentare di Forza Italia.

Da presidente del Consiglio, a Berlusconi è perfino sfuggito un lapsus fulminate: “Per difendermi in tribunale, in questi anni ho speso ben 200 milioni per i giudici”, ha scandito nella conferenza stampa del 9 ottobre 2009 a Palazzo Chigi. La correzione è arrivata dopo l’intervento all’orecchio di un ministro al suo fianco: “Scusate, per gli avvocati”.

Intanto a Napoli il 12 maggio un Gip dovrà decidere se archiviare o far ripartire l’indagine chiesta dal giudice Esposito sui tre lavoratori dell’Hotel Villa Svizzera di Lacco Ameno (Giovanni Fiorentino, Domenico Morgera e Michele D’Ambrosio), dipendenti del senatore di Forza Italia Domenico De Siano, e sull’avvocato Bruno Larosa che il 3 aprile 2014 ne raccolse le dichiarazioni poi allegate a un ricorso di Berlusconi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. I tre ischitani accusano Esposito di gravi pregiudizi su Berlusconi, definito più volte “bella chiavica, se mi capita l’occasione devo fargli un mazzo così” durante vacanze precedenti alla sua sentenza.

Esposito ha depositato un’opposizione per riaprire le indagini, affinché accertino senza dubbi la falsità di quelle parole e si vada a fondo su alcune domande rimaste senza risposta. Tra cui una: chi informò Berlusconi che quei tre lavoratori erano in possesso di informazioni utili contro il giudice che lo condannò? De Siano? Per Esposito c’è un modo per saperlo e lo indica al pm: convocare Berlusconi e chiederglielo.