Sorprese romane. Il mistero del gabbiano Jonathan, mai affamato e dall’udito fino

Ieri sera ho conosciuto un gabbiano. Passeggiava tranquillamente con la sua andatura ondeggiante in Corso Vittorio Emanuele a Roma. Notoriamente i gabbiani sono uccelli marini o lacustri, quindi che ci faceva ieri sera un gabbiano nel centro di Roma? I gabbiani si nutrono prevalentemente di pesce, ma dove lo trovi il pesce a Roma? Solo in una pescheria, ma ci vogliono soldi. E i gabbiani non c’hanno una lira. Allora qual era lo scopo di questa passeggiata gabbianesca fuori sede? La risposta è semplice: il mare ospita sempre meno pesce, i laghi manco si ricordano com’è fatta una trota, e quindi ai poveri gabbiani non rimane che piazzarsi davanti ai ristoranti, in prossimità dei bidoni della spazzatura per cercare di trovare qualcosa di mangiabile.

Però, il gabbiano che ho visto io ieri sera, non sembrava interessato al cibo, si avvicinava ai bidoni della monnezza, annusava distrattamente, e proseguiva la sua passeggiata notturna rispettoso delle regole del vivere civile: aspettava il verde, attraversava sulle strisce pedonali, lasciava che le persone scendessero ordinatamente dagli autobus, insomma un cittadino esemplare.

Ho cominciato a seguirlo. Di colpo Jonathan, lo avevo battezzato così, si è fermato davanti al portone dell’accademia della musica. Dalle finestre dell’antico palazzo provenivano note e suoni celestiali. Jonathan guardava in alto come incantato, sembrava in estasi, poi piano piano ha cominciato a muoversi, a ondeggiare a tempo di valzer, polka e tango argentino. Un gabbiano danzatore! Intorno a lui si era radunata una folla entusiasta, io ero commossa, uno del pubblico si è avvicinato ballando proponendosi in un passo a due, Johnatan si è bloccato di colpo e ha eseguito un terribile e lunghissimo rutto. Non è facile ruttare in quel modo, specie se si è a digiuno.

 

Dio senza Dio. Il ritorno impetuoso delle religioni (prive di amore) che chiedono cieca obbedienza

Forse erano dei veri credenti, coloro che negli anni Sessanta hanno annunciato la morte di Dio. Lo erano nel senso che avevano vissuto davvero – con spirito di rivincita o angoscia di solitudine – coloro che si erano fatti portatori convinti di questo annuncio.

Il ritorno impetuoso e in forza (e anzi forzato, vedi la Polonia) della religiosità e della religione, non è un ritorno ma un drastico cambio della fede, di Dio e di quelle che una volta erano “le sue legioni” e adesso appaiono dominatori dell’intera vita pubblica del mondo. Al punto da rendere il Papa marginale, o ripudiabile, e l’intero insegnamento delle chiese (cattolica e protestanti) frutto di una modernizzazione disordinata e inaccettabile. Dunque il Dio che torna non è risveglio del Dio dato per morto. Questo è il paesaggio che vede e descrive e sul quale riflette Marco Ventura, professore di diritto Canonico (Siena) e autore di Nelle mani di Dio (Il Mulino). Saggio dal titolo bellissimo e ingannatore: usa la frase comune (di pietà e speranza) per dire che la nostra era è profondamente cambiata. Ora Dio non crede in Dio ma nella forza, nella politica, nella sottomissione, libero dai vecchi ornamenti dell’amore e della Misericordia che non servono al comando. Se Ventura fosse uno scrittore impetuoso e di parte, direbbe: Dio senza Dio.

Analizza intelligentemente la vera e ingombrante presenza di un Dio che non ha niente a che fare con il lutto o l’orgoglio della generazione precedente, credente ed atea. Qui, nella nuova epoca del “Dio padrone”, cominciano a vedersi, chiari e pesanti, i segni del nuovo Dio, chiamato a presiedere un rigoroso e arbitrario controllo della vita dei cittadini: l’unica verità di fede è l’obbedienza politica. Tutte le altre verità sono scelte dal passato (l’umiliazione della donna e la privazione di ogni suo diritto) per costruire uno Stato barricato contro ogni modernizzazione.

La mano armata di chi (nel Jihadismo e nelle milizie dei suprematisti bianchi) vuole essere un buon credente sa che Dio autorizza a prendere possesso di ciò che ti appartiene, senza trattative e compromessi. Nel racconto di questo nuovo Dio, prima c’è la “mano invisibile” del libero mercato e poi (non causa-effetto, ma sequenza storica) la “santa vittoria” del mercato stesso, con la caduta del muro di Berlino. Con Reagan e Thatcher nasce un nuovo modo di credere in cui il profitto è fede, ma anche modello di ordine e diritto a dirigere.È un Dio che vuole le classi e il loro brutale fronteggiarsi, col fatale esito della sottomissione dei poveri.

Le donne povere e credenti della Polonia soggetta al nuovo Dio perdono tutto e accettano tutto. Ma la Polonia non è che un modello di ciò che sta accadendo nel mondo, da Bagdad al Tibet, dall’India padrona all’India negata, dall’Etiopia al Tigrai. Il nuovo Dio è un Dio potente e irremovibile che beneficia, per ora, della diffusa persuasione che sia sempre lo stesso Dio, nelle cui mani cercare protezione e salvezza.

 

Nelle mani di Dio Marco Ventura – Pagine: 192 – Prezzo: 15 – Editore: Il Mulino

Zalone va in vacanza ma solo con Helen Mirren, “la Vacinada”

 

NON CLASSIFICATI

Galassia TikTok. Si possono fare milioni di click con un video dove certi tizi sbucciano banane, tagliano pizze, indossano calzini, versano e mangiano minestre, bevono un bicchier d’acqua e tante, tantissime altre cose divertenti? Sì, se il video orbita nella galassia TikTok, il social preferito da giovani e giovanissimi. L’autore della clip è Khaby Lame da Chivasso, provincia di Torino, e il suo capolavoro gli è valso il trono degli influencer d’Italia. Con più di 23 milioni di follower ha spodestato Gianluca Vacchi, il milionario brizzolato, celebre su internet per i sofisticati balletti da villaggio Valtur. Ora è Khaby, nato in Senegal 21 anni fa, il re di TikTok. E con merito, perché il suo video sfotte proprio i video “scemi” che spopolano sul social: c’è un tizio, per dire, che insegna a sbucciare banane con coltelli affilatissimi rischiando gli arti – poi stacco su Khaby, desolato, mentre sbuccia con le mani – segue un altro che si mette i calzini con un astruso marchingegno – e Khaby, ancor più stupito, che li indossa alla vecchia maniera – e avanti così per 12 minuti. Domanda: ma perché fare cose demenziali e inutili è diventata la scorciatoia social per la fama? Ma Khaby vuole volare alto: “Sto decidendo con la mia agenzia su quali format puntare per diversificare i contenuti”. L’agenzia si chiama “The Akkademia”, e sul sito descrive così TikTok: “La piattaforma strapopolata dai giovani open mind, cambia le opinioni riguardo ad suo un utilizzo marketing aziendale”. Urge un ripasso di grammatica: e ci sovvien che la scrittura è il fondamento della civiltà.

 

PROMOSSI

Il quaderno di Anna. Se sparissero i libri e gli umani dimenticassero l’alfabeto, dove andremmo a finire? Nelle caverne ad accendere il fuoco con le pietre. “Anna” di Niccolò Ammaniti, storia di una pandemia globale, illustra il concetto. Il romanzo del 2015 ha ispirato la serie tv andata in onda su Sky: un virus ignoto uccide tutti gli adulti (o quasi) e risparmia i bambini, ma solo fino alla pubertà. Superata la soglia dell’adolescenza, il virus non lascia scampo. Così il genere umano si avvia all’estinzione e i bimbi ancora in vita si arrangiano tra gli avanzi della civiltà. Anna e Astor combattono per sopravvivere nella Sicilia post-apocalittica, seguendo alla lettera il “Quaderno delle cose importanti” lasciato dalla mamma prima di morire. È un manuale di sopravvivenza, ad esempio: gestire con scrupolo un cadavere in putrefazione, controllare la scadenza e annusare i cibi in scatola. E chissà cosa accadrebbe ad Anna e Astor, se la mamma avesse scritto il Quaderno in modo indecifrabile. Per inciso: vedendo le scene dall’India e dal Brasile, si capisce che la fiction è scesa in Terra.

Una musica (si) può fare. Al concerto di Barcellona, 5 mila spettatori accalcati e urlanti con mascherina Ffp2, i contagi sono stati non più due. È il verdetto dell’esperimento del 27 marzo, quando sul palco del Palau Sant Jordi si sono esibiti i “Love of Lesbian”. Dopo 14 giorni, sei spettatori sono risultati postivi al Covid, ma 4 si sono contagiati dopo l’evento e sugli altri due aleggiano dubbi. Fan e musicisti possono sperare di riabbacciarsi, finalmente, e si vede la luce in fondo al tunnel del lockdown della musica (live). “Per l’ennesima volta abbiamo dimostrato che la cultura è sicura”, esulta la band. Meglio andarci piano, a Barcellona il protocollo è stato costoso e non semplice: ogni spettatore ha ricevuto una mascherina ed è stato sottoposto a un test rapido; il risultato è arrivato via app sul telefonino in 15 minuti. Bene così, perché l’industria non vive di solo streaming.

Il fascino del vaccino. Dopo “L’immunità di gregge”, sui bollori erotici degli italiani in lockdown, Checco Zalone mette in musica il fascino della donna vaccinata. Anzi, “Vacinada”: è il titolo del brano che sbanca youtube. A stuzzicare il desiderio basta la spalla scoperta dell’argentea Helen Mirren: “Vacinada?”, “Sì, certo”. E scatta la passione, pure con Astrazeneca.

 

La partita di Bettini (il “Richelieu” giallorosa) nel risiko delle alleanze

 

NON CLASSIFICATI

Espiazione. Chissà se Ursula von der Leyen – quando ha visto Erdogan e Charles Michel accaparrarsi le due poltrone centrali confinandola sul divanetto laterale – avrà pensato (più o meno consciamente) di esserselo meritata. Perché il senso di colpa è così, canaglia, s’insinua dentro e non te lo togli più di dosso, anche in contesti che con il peccato commesso non hanno nulla a che fare. Se la presidente della Commissione europea ha compiuto un errore per il quale irrazionalmente si aspettava di meritare una punizione, esso non ha niente a che fare con l’affaire turco e con la misoginia mista ad arroganza dei due presidenti poltronari. La von der Leyen è stata molto criticata per il modo in cui la Commissione ha gestito le trattative per i vaccini con le case farmaceutiche, a partire dalla scelta di eleggere Astrazeneca tra gli interlocutori privilegiati fino ad arrivare agli eccessivi freni ideologici che hanno ostacolato e rallentato gli accordi. A quanto pare, dopo la valanga di accuse ricevute, Ursula ha deciso di rifarsi e ha capito come l’unica persona che potesse davvero aiutarla fosse Albert Bourla, amministratore delegato di Pfizer. Una volta individuato l’obiettivo dunque, da presidente si è trasformata in stalker e ha cominciato ad assediare di telefonate e sms il suo potenziale salvatore, sfruttando anche l’atout di una laurea in medicina. E la sua motivazione dev’essere stata grande, se le ha permesso di convincere l’uomo più richiesto da presidenti e primi ministri di tutto il mondo a garantire proprio all’Europa 1 miliardo e 800 milioni di dosi di vaccino Pfizer tra il 2022 e il 2023. “Tra noi si è creata una profonda fiducia perché entravamo nei dettagli: conosceva tutti gli aspetti delle varianti, i particolari di tutto. Il che ha reso le discussioni più appassionanti”, ha dichiarato Bourla. Se questo secondo round permetterà all’Europa di salvare la partita ancora non si può dire, ma che per una volta il senso di colpa sia stato utile è un dato di fatto.

 

PROMOSSI

Eminenza Giallorosa. Goffredo Bettini non ha mai amato essere definito l’eminenza grigia o il consigliere occulto del Partito democratico. Eppure, sorvolando su quanto il suo agire avvenisse davanti o dietro le quinte, è innegabile che spesso le sue posizioni abbiano anticipato ed indirizzato il percorso della sinistra. È in quest’ottica che assume particolare valore l’incontro online da lui organizzato per far incontrare pubblicamente Giuseppe Conte ed Enrico Letta. Mentre il governo Draghi briga tra Recovery plan e vaccini, la vera partita politica del futuro si gioca sulle alleanze: nel “bailamme” generale, tra corteggiamenti incrociati a Forza Italia, suggestioni di maggioranze Ursula, strascichi post ideologici, Bettini ha messo a fuoco l’elemento imprescindibile per un centrosinistra competitivo: “Come è stato durante la nostra esperienza di governo degli ultimi due anni ci sembra essenziale il rapporto tra le due grandi forze democratiche e anti sovraniste, il Pd e il M5S. Nella loro diversità devono trovare il modo di intendersi, di collaborare e di unirsi in vista delle elezioni politiche”. Più che eminenza grigia, eminenza giallorosa. Voto 7

 

Sistema “dopato”. Il calcio scoppia di partite e l’Uefa aumenta i match (da vendere alle tv)

Da quanti anni si dice che nel calcio si gioca troppo, che i calendari sono intasati e che gli sportivi rischiano la nausea da indigestione e i giocatori il coccolone in campo? Da 10? Da 20? Ormai abbiamo perso il conto. Intanto però in nome del dio denaro (leggi: più partite, più soldi dalle tv e dai premi di partecipazione) la situazione oggi è fuori controllo. E nonostante sia sopraggiunta la pandemia Covid-19 con la spada di Damocle sempre incombente di rinvii e/o sospensioni di partite e tornei, all’alba della nuova stagione 2021-’22 il Mostro che ci attende a fauci spalancate è questo.

Format. Germania a parte, con la Bundesliga strutturata a 18 squadre, quindi con 34 giornate da disputare, gli altri 4 top-campionati (inglese, spagnolo, italiano e francese) si giocano ancora a 20 squadre, quindi con 38 giornate da affrontare. Nessuno snellimento, i tornei sono interminabili e sfibranti maratone. Preso atto di ciò, cosa ti combina l’Uefa, e cioè l’organizzatrice di Champions ed Europa League? Per quanto riguarda la Champions vara una riforma all’insegna del gigantismo che aumenta il numero dei club partecipanti da 32 a 36 e porta il totale delle partite da 125 a 209. Il che significa 84, diconsi ottantaquattro, partite in più. Se fino a oggi per vincere la Champions dovevi affrontare 13 match, da domani diventeranno 17. Il tutto cancellando la vecchia fase a gironi (con gli 8 gruppi a 4 squadre) e sostituendola con un campionatone a 36 squadre, un vero e proprio mammozzo che si svolgerà nel seguente, imbarazzante modo: ogni squadra giocherà 10 partite, 5 in casa e 5 in trasferta, sempre contro avversari diversi e alla fine di questa scombiccherata tenzone le prime 8 in classifica andranno agli ottavi, le altre 8 scaturiranno da playoff da disputarsi tra le 16 piazzatesi tra il 9° e il 24° posto mentre dalla 25ª in giù ci saranno gli eliminati. Non contenta, l’Uefa vorrebbe modificare sulla stessa falsariga, cioè introducendo il mammozzo Frankenstein iniziale, anche l’Europa League; e ha già annunciato la nascita di una terza coppa di cui nessuno avvertiva il bisogno, la Conference League, che (inutile dirlo) avrà le stesse sembianze delle sorelle maggiori post-lifting. Scoppieremo di partite, insomma.

Nazionali. Finita qui? Macché. Forse non lo ricordate, ma sempre l’Uefa aveva avuto l’idea, qualche anno fa, non bastando i Mondiali Fifa e gli Europei Uefa che si disputano a cadenza quadriennale sfalsata (2014 Mondiale, 2016 Europeo, 2018 Mondiale, 2020 Europeo ecc.), di dar vita a una nuova creatura, la Nations League, che a cadenza biennale andasse a tappare i buchi negli anni dispari. Ebbene, non solo l’insulso torneo, che ha messo il movimento a rischio esondazione, ha visto la luce senza incontrare alcuna resistenza (oggi è alla sua 2ª edizione in corso), ma anche sul suo conto, benché neonato, l’Uefa ha deciso di intervenire con una cura ormonale aggressiva che lo trasformerà da torneo di 138 partite a torneo da 162 partite, aggiungendone 24 così, tanto per gradire.

Se a tutto ciò aggiungete che 12 buontemponi stavano lavorando al varo di una Superlega strutturata su 20 partecipanti, 15 club unti dal Signore e 5 gentilmente ammessi con invito annuale – torneo che a loro dire si sarebbe semplicemente aggiunto al carrozzone, ma per fortuna è arrivato il 113 -, forse converrete anche voi con Flaiano: la situazione è grave, ma non è seria.

 

Il trucco dell’alcol. Da invisibile a disinibita: “Tutto sembra e nulla è, meglio non far sesso”

 

“Da ubriachi va tutto storto, con epilogo triste o pericoloso”

Cara Selvaggia, ti affido queste parole sperando siano comprese, sebbene sappia con grade lucidità di correre il rischio di non essere capita o, peggio, di venire strumentalizzata da lettori superficiali o in malafede. Rimarrò dunque anonima, con un certo dispiacere, perché dopo tanti anni ho smesso di nascondere le parti di me che non mi fanno comodo. Molti anni fa – ero ancora ragazza – passai una serata tra amici. Le scuole erano appena finite, andai nella casa di campagna, in Umbria, di uno dei ragazzi di un’altra classe (che era lì con amici) insieme a due mie amiche. Nessun adulto. Ci conoscevamo bene tutti perché andavamo fin da piccoli allo stesso oratorio. A me piaceva moltissimo il proprietario di casa, ma apparentemente non ero ricambiata, per cui avevo poche speranze di strappare anche solo un bacio. Va detto che non ero espansiva, avevo una vaga e unica esperienza sessuale che mi aveva lasciato addosso una certa delusione (sai quell’adolescenziale “tutto qui?”). Non dico che fossi una santa, ma certo ero incapace di ardimentose iniziative. Una delle mie amiche, invece, aveva molta più confidenza con con i maschi. Le piacevano, non lo nascondeva, adorava flirtare. Aveva fatto sesso con alcuni ragazzi, ci aveva raccontato cosa si fa e come si fa, quando del sesso si sapeva poco e niente (io avevo visto al massimo qualche rivista).

Fatto sta che in quella casa più angusta di come l’avevamo immaginata, dopo qualche ora di spensieratezza tra cena e scherzi innocenti, abbiamo cominciato tutti a bere. Io avevo sempre bevuto poco o niente, ma quella sera l’alcol mi serviva a prendere coraggio. Il tizio che mi piaceva non mi aveva degnata di uno sguardo, pareva più interessato alla mia amica. L’altra mia amica (la più carina) limonava con un ragazzo di cui le importava poco ma che ci sapeva fare (era quello che aveva detto le cose più interessanti durante la cena). Ognuno aveva il suo ruolo, il suo posto nel gruppo, io ero solo quella che aveva fatto la pasta per tutti. Come sempre, del resto, visto che non ho mai spiccato, a quell’età. Una media del 6 a scuola e nella vita. Ad ogni mezzo bicchiere di non ricordo cosa, quella sera, diventavo più simpatica. Mi rendevo conto che era una simpatia sintetica, ma per la prima volta avevo deciso di darmi “un aiutino” per risultare meno trattenuta e anonima. Mi sentivo sfigata, questo è il punto, credo. Fatto sta che divento l’attrazione della serata. Sai quando quella che non spiccica parola, votata all’invisibilità, improvvisamente diventa il giullare di corte e tutti si spanciano dal ridere nel vederla di colpo pazza e disinibita? Ecco, credo di essere stata quello, di aver goduto finalmente delle attenzioni di tutti, di averne sottovalutato pericolo ed ebrezza. Ricordo che a un certo punto mi rovesciai del vino sulla maglietta e urlai qualcosa come “chi viene a leccarlo?”, guardando verso il tizio che mi piaceva. Lui lo fece mentre gli altri gridavano e ridevano, alterati dall’alcol e dall’eccitazione delle prime trasgressioni della vita. Ricordo che poi mi sentii meno bene, l’euforia passava e sudavo, non mi sentivo lo stomaco a posto. Un altro ragazzo vomitò ridendo, lo aiutammo a pulire ma mentre pulivamo ci sporcavamo, eravamo completamente andati. I più sobri erano i due che limonavano imperterriti e dell’alcol se ne facevano poco.

Non sono in grado di ricostruire il passaggio preciso che ad un certo punto mi portò in camera da letto, con quello che mi piaceva che mi diceva “dai ti aiuto a cambiarti la maglietta che sei tutta sporca e puzzi di vino”. Non ricordo se quella maglietta me la levai io o me la levò lui. So che barcollavamo, entrambi, mentre cercavamo di aprire la mia valigia ancora chiusa e perfetta per cercare il cambio. Che mentre ero chinata sul pavimento lui mi si buttò addosso e iniziammo a fare sesso. Un sesso che a dire il vero faceva schifo, un sesso disinibito in un modo che era alterato dall’alcol e non dall’attrazione. Non mi sottrassi, sebbene non ne fossi entusiasta, e dopo una fiammata durata un po’, con troppa poca delicatezza per i miei gusti, finimmo con malinconia perché lui – forse complice l’alcol – perse l’erezione. E si addormentò. Io non dormii tutta la notte, vomitai due volte, ebbi un mal di testa orrendo e la mattina dopo provai vergogna per quella notte stupida e senza senso. Mi aveva violentata? No. Mi aveva trattata bene e con rispetto? No. Io mi ero trattata bene e con rispetto? No. Avrebbe accettato un no, quella sera? Non lo so. Io non gli ho detto no perché ormai, per una volta nella vita, mi sentivo nella parte della seduttrice? Non lo so. Però il giorno dopo mi feci accompagnare alla stazione e tornai a casa, solo io nel gruppo. Il disagio mi si appiccicò addosso, sentivo che qualcosa era andato storto e che quando desiderio e lucidità non sono allineati diventano, a seconda dei casi, materia pericolosa o triste da maneggiare. La mia materia, forse, era stata solo triste.

Tutta questa filippica, penserai, per dire chissà come saranno andate le cose in quella serata a casa del figlio di Grillo. No. Perché non ne ho idea e non mi permetterei mai. Ho raccontato questa cosa perché i discorsi di questi giorni e la mia esperienza di quella notte mi hanno lasciato un’unica certezza: da ubriachi è meglio non fare sesso. Mai, neppure se sembra un sì. Perché quando si è ubriachi tutto sembra e nulla è.

D.

 

Ecco. E visto che c’è chi scambia un no per un sì perfino da lucido, sono d’accordo con te. Grazie.

 

Fenomeni. Il Covid aggrava la crisi della Chiesa e provoca il boom dei telepredicatori pentecostali

Dalla Chiesa mondiale del Concilio Vaticano II, secondo la definizione del padre gesuita Karl Rahner, alla Chiesa globale di oggi, tra la crisi presente e le incognite del futuro. In un denso saggio sull’ultimo quaderno di Civiltà Cattolica, il quindicinale della Compagnia di Gesù, il teologo americano padre Thomas P. Rausch tratteggia le “sfide contemporanee del cattolicesimo globale”.

Innanzitutto i numeri, per inquadrare la questione. Su 2,5 miliardi di cristiani nel mondo, i cattolici sono 1,3 miliardi, oltre il 50 per cento del totale. Il resto: 37 per cento di protestanti, 12 delle varie Chiese ortodosse, appena l’uno per cento le comunità di mormoni, testimoni di Geova e altri ancora. A fronte di questi dati generali, le Chiese cattoliche d’Europa e Nord America stanno patendo una costante emorragia di fedeli: nel 1910 il Vecchio Continente vantava il 65 per cento dei cattolici nel mondo, oggi la quota è crollata a un preoccupante 24 per cento, colpa anche dei “bassi tassi di fertilità”.

Ma la vera insidia per Roma è rappresentata dal boom dei pentecostali, che in America Latina hanno provocato, scrive padre Rausch, un esodo di decine di milioni di cattolici. A fare la differenza è il cosiddetto vangelo della prosperità, ossia la buona novella trasfigurata in una sorta di materialismo cristiano. “Basandosi su un culto soprannaturale emotivo, e sulle preghiere di guarigione, spesso predicano il ‘vangelo della prosperità’, o vangelo della salute e della ricchezza, che affonda le radici sul pentecostalismo statunitense”. Insomma da un lato la centralità dei poveri nella Chiesa di papa Francesco, dall’altro il dorato sensazionalismo dei telepredicatori americani, sovente milionari.

I pentecostali sono in aumento anche in Asia, perfino in Cina, e adesso a favorire la loro diffusione è l’emergenza causata dal Coronavirus. A notarlo è Marco Ventura, ordinario di Diritto canonico ed ecclesiastico all’Università di Siena, nel suo ultimo libro, dedicato alla prevalenza del divino oggi: Nelle mani di Dio. La super-religione del mondo che verrà (Il Mulino, 190 pagine, 15 euro). Scrive Ventura: “Teologia e pratica insieme, il vangelo della prosperità è in gran parte coincidente con il movimento pentecostale e scommette su un’alleanza dell’uomo con Dio da cui derivano benessere economico e fisico”. Ed è questa la cultura “che ha prodotto Trump e che Trump presidente ha rafforzato”, annota l’accademico citando un saggio del 2018 di Marcelo Figueroa e padre Antonio Spadaro sulla Civiltà Cattolica, dai toni molto duri e critici.

Dopo tre anni, sulla stessa rivista dei gesuiti, padre Rausch conclude la sua lunga analisi sulla Chiesa globale, individuando proprio nelle comunità pentecostali, oltre che in quelle evangeliche e indipendenti africane, “una nuova sfida per l’ecumenismo”. Anche perché oggi il “cristianesimo sta esplodendo in Africa, in Asia e in America Latina”, il fatidico Sud del mondo. Ed entro il 2050 il continente con più cristiani sarà l’Africa, con almeno 1,25 miliardi di credenti. L’ennesimo colpo a quanti s’illudono di ritornare, dopo Bergoglio, a una Chiesa eurocentrica.

 

I politici oggi twittano, tutti hanno però lottizzato la tv

E fu così che nel giorno della festa dei lavoratori si finì per parlare solo di un cantante milionario che ha gridato alla censura col megafono offerto da chi l’avrebbe censurato (la Rai) e per niente dei lavoratori. Ed è finita, pure, che per attaccare la Lega, Fedez ha in realtà accusato di tentativo di censura la vicedirettrice di Rai 3 Ilaria Capitani, che è in quota Pd. E dunque Matteo Salvini ha potuto difendersi dicendo: “E mica ce l’ho messa io lì, chiedete al Pd”. Nel frattempo, la Rai si è difesa dicendo che il video di Fedez era tagliato ad arte e in effetti, dalla telefonata integrale, si evince che i toni della Capitani non fossero esattamente quelli della censura, per cui sì, Fedez aveva tagliato il video che neanche Le iene

nei loro giorni migliori. Mentre succedeva tutto questo, sui social era tutto un fioccare di tweet di politici che si rallegravano “Bravo Fedez!” dimenticando che alla lottizzazione della Rai partecipano pure i loro partiti, nessuno escluso. Intanto qualcuno faceva notare che da un po’ tempo Fedez e la Ferragni si sono rivolti ad una società di consulenza che indica ai Ferragnez i temi che stanno a cuore alla generazione Z, dal veganesimo alla fluidità di genere, per cui lei è passata dal promuovere un’azienda di carni agli snack vegani, e lui dallo scrivere testi tipo “

Si era presentato in modo strano con Cristicchi

‘Mi interessa che Tiziano Ferro abbia fatto outing. Ora so che ha mangiato più würstel che crauti. Si era presentato in modo strano con Cristicchi. Ciao sono Tiziano, non è che me lo ficchi?’” al diventare il paladino dei diritti Lgbt. Qualcuno ha fatto notare “chi se ne frega, l’importante è il risultato”. Il che è anche vero. Se sostieni il ddl Zan e spieghi a qualche ragazzo giovane (che magari lo ignora) che cosa sia la lottizzazione della Rai, va comunque bene, pure se lo fai senza quella scintilla di verità che ci vuoi far credere. Infine, in questo putiferio, qualcuno ha fatto sommessamente notare che Fedez è testimonial Amazon con cui ha un contratto a parecchi zeri. E che sarebbe stato coraggioso, nel giorno della festa dei lavoratori, ricordare al suo principale datore di lavoro le condizioni disumane in cui lavorano i suoi dipendenti costretti a fare la pipì nelle bottiglie. Lì sì che l’impavido rapper avrebbe avuto qualcosa da perdere. Che avremmo avuto un po’ più Ken Loach e un po’ meno Ferragnez. Perché si sa, il giocatore si vede dal coraggio, e qui il coraggio è stato quello di tirare un rigore a porta vuota. Attendiamo quello in cui Fedez giocherà partite più difficili e magari a porte chiuse. Chissà se, senza tifo, la voglia di correre sarà la stessa.

La sai l’ultima?

 

Giappone Il truffatore con 35 amanti: fingeva di innamorarsi di tutte per ricevere più regali

L’eroe della settimana si chiama Takashi Miyagawa, infaticabile giapponese che è riuscito a mantenere in contemporanea 35 fidanzate diverse, senza che nessuna sapesse dell’esistenza delle altre. La notizia, piuttosto inversosimile, è stata diffusa dall’emittente televisiva nipponica Mbs e ripresa da diverse testate nazionali. L’obiettivo di Takashi pare fosse ricevere un gran numero di regali: a ognuna delle sue compagne Takashi diceva di festeggiare il compleanno in un giorno diverso. Una strategia bizzarra e faticosissima che si è conclusa con l’arresto per truffa dell’iperprolifico amante giapponese. “Miyagawa – scrive il Messaggero – si fingeva venditore, di una società di docce e adescava le donne durante gli appuntamenti. Una volta iniziata la storia si comportava come se fosse l’uomo perfetto promettendo a tutte un matrimonio imminente. È riuscito a truffare almeno 35 donne prima della denuncia avvenuta a febbraio”.

 

Terni Due cani passeggiano in autostrada: interviene la “safety car” per proteggerli ed evitare incidenti

Una “safety car” in autostrada per scortare due cani pastore tedeschi, che stavano pericolosamente passeggiando lungo il battistrada. Succede vicino Terni, nel tratto umbro dell’A1 e ce lo racconta il sito LaZampa.it : “I due pastori tedeschi stavano rallentando pericolosamente la circolazione. Gli operatori – spiega la questura – hanno cercato sin da subito di tranquillizzare i due animali, che però si sono allontanati velocemente sulla corsia d’emergenza, in direzione del casello autostradale di Attigliano”. Si rischiava la tragedia. “Proprio in prossimità dell’uscita è stata predisposta una vera e propria operazione in sicurezza, durante la quale la pattuglia, operando come una ‘safety car’, ha fatto da scudo tra i cani e le auto che sopraggiungevano. Gli operatori della Stradale sono infine riusciti ad avvicinare e a tranquillizzare i due pastori tedeschi con del cibo, affidandoli poi al personale competente”.

 

Ancona Non si ferma al posto di blocco dei carabinieri, prova a scappare a piedi ma lascia in macchina la fidanzata

Splendide prove d’amor cortese dalla cronaca di Ancona. Qualche notte fa un giovane gentiluomo non si è fermato all’alt dei carabinieri per un controllo, ha tentato di scappare a piedi ma nella fuga ha dimenticato in macchina la sua fidanzata. Lo racconta Il Resto del Carlino: “I militari hanno intimato l’alt alla vettura che però non si è fermata ma ha tentato una fuga in velocità (…). L’uomo, un 45enne residente a Montemarciano, non si è arreso, ma ha aperto lo sportello ed ha tentato la fuga a piedi. In auto però, ha lasciato la compagna che, insieme ai carabinieri lo ha convinto a tornare indietro”. Il 45enne era molto probabilmente in stato di alterazione. È stato identificato dai militari ma non aveva la patente: è stato quindi inevitabilmente multato e si è beccato pure una denuncia per essersi rifiutato di fare l’alcool test. Chissà poi che gli ha detto la fidanzata.

 

Rimini Un dietologo abusivo con la mania di rubare i cartelli stradali è stato denunciato dai carabinieri

Ladro, feticista della segnaletica stradale e dietologo abusivo. Un meraviglioso 28enne di Coriano (Rimini) è riuscito a sommare queste tre peculiarità – tutte disturbanti – dentro un’unica persona. È stata la sua passione per i cartelli a tradirlo, come scrive Rimini Today: “A smascherare il giovane è stata un’inchiesta partita dopo una denuncia presentata dal Comune di Coriano che aveva riscontrato come sul territorio fossero spariti diversi cartelli della segnaletica stradale”. Grazie alle telecamere di videosorveglianza i carabinieri hanno individuato il 28enne. La successiva perquisizione ha regalato una sorpresa: non sono spuntati solo i cartelli rubati (“stop, limiti di velocità, segnalazioni di strade dissestate, indicazioni di vie e tanto altro”) ma il suo “studio” era pieno di documenti che testimoniavano la sua carriera da dietologo improvvisato. Denunciato a piede libero, dovrà ora rispondere di esercizio abusivo della professione e ricettazione.

 

Sardegna L’eremita Morandi, unico abitante dell’isola di Budelli, se ne va dopo 32 anni: “Mi sono rotto le palle”

Trentadue anni di vita da eremita e poi un annuncio, in fondo comprensibile: “Mi sono rotto le palle”. Mauro Morandi, custode solitario della splendida isola di Budelli, nell’arcipelago della Maddalena in Sardegna, ha deciso di abbandonare il luogo di cui è stato per oltre tre decenni l’unico abitante. Il “Robinson Crusoe italiano” – come è stato inevitabilmente soprannominato – ha dato battaglia per la salvaguardia del suo paradiso e ha respinto ogni tentativo di sfratto. Ora come Forrest Gump ha detto di essere un po’ stanchino. “Èuna ventina di anni che lotto contro chi mi vuole mandare via, ora però mi sono veramente rotto le palle e me ne andrò sperando che in futuro Budelli sia salvaguardata come io ho fatto da ben 32 anni”. L’Ente Parco Nazionale dell’Arcipelago di La Maddalena, proprietaria di Budelli, ha riconosciuto l’onore delle armi a Morandi: “Riconosciamo l’importanza del ruolo svolto dall’ex guardiano”. E non esclude “nuove possibili collaborazioni” con lui.

 

Trento Posta su Instagram la sua foto mentre prepara la marijuana. La polizia la vede e va ad arrestarlo

Un breve apologo sulla vanità di questi tempi: un ragazzo trentino posta su Instagram un selfie mentre riempie barattoli di marijuana, la polizia la vede e ovviamente va ad arrestarlo. Non ci sono più gli spacciatori di una volta, discreti, senza filtri di bellezza. L’uomo – scrive il Dolomiti – “era già conosciuto dalle forze dell’ordine per aver commesso diversi furti, rapine e altri reati in materia di stupefacenti”. Malgrado i precedenti questo fuoriclasse della microcriminalità ha voluto condividere con il suo pubblico di Instagram la sua tipica giornata di lavoro. “L’immagine è stata segnalata alle forze dell’ordine con l’app Youpol e questo ha fatto partire immediatamente le indagini da parte della Squadra Mobile di Trento”. Gli investigatori hanno rintracciato l’indirizzo di residenza e i depositi della merce. “Hanno fatto irruzione nell’appartamento del pregiudicato e hanno sequestrato 322,44 grammi di marijuana, 1300 euro in contanti, una bilancia di precisione e del cellofan utilizzato per confezionare la droga”.

 

Catanzaro Perquisiti dalla Digos, si proclamano cittadini di uno Stato inesistente e chiedono l’immunità diplomatica

La notizia è semplicemente meravigliosa. Leggete fino in fondo questo dispaccio poliziesco pubblicato dal Corriere della Calabria: “La Questura di Catanzaro, con personale della Digos, della Squadra Mobile, e del Commissariato Sezionale di Catanzaro Lido, questa mattina, su delega della Procura della Repubblica di Catanzaro diretta dal Procuratore Nicola Gratteri, ha eseguito un decreto di perquisizione locale e personale emesso dal pm Saverio Sapia nei confronti di alcuni soggetti che, in località Corvo di Catanzaro, si sono autoproclamati appartenenti alla ‘Repubblica Teocratica Del Sovrano Stato Antartico Di San Giorgio’”. Splendido: due calabresi perquisiti dalla Digos hanno invocato l’immunità diplomatica, in quanto appunto “cittadini del Sovrano Stato Antartico di San Giorgio”. Le forze dell’ordine, che nella sede “consolare” hanno trovato 275 grammi di marijuana, li hanno arrestati lo stesso, scatenando un probabile caso diplomatico con uno Stato inesistente. Mancò la fortuna, non la fantasia.

In India quasi 4 mila morti in un giorno

L’India è ancora in balia della “tempesta perfetta” scatenata dal Covid-19, com’è stata definita dall’Oms. I numeri sono impietosi e certificano un ennesimo record: 3.689 vittime in appena 24 ore. La comunità internazionale si è mobilitata in massa per inviare respiratori e altre forniture mediche. Inclusa l’Italia. Per aiutare a porre un argine ad un disastro sanitario che sta facendo crescere anche il malcontento nei confronti del governo guidato da Narendra Modi: le elezioni locali in diversi Stati chiave, infatti, hanno bocciato la gestione dell’emergenza da parte del premier in carica.

Da giorni, ormai, l’epicentro della pandemia è stabilmente in India, diventato il primo Paese al mondo a registrare oltre 400mila nuovi contagi in un giorno. Numeri da capogiro anche nel loro complesso, 19 milioni di casi e 215mila vittime, alimentati dalla temibile variante del virus a doppia mutazione e dai raduni di massa, mai del tutto evitati. Un disastro sanitario sottostimato, a causa dei pochi test e del mancato conteggio delle persone che muoiono da sole in casa, specialmente nelle remote zone rurali.

Le cronache di queste giornate drammatiche sono fatte di ospedali al collasso, carenza di posti letto ed ossigeno, e cimiteri pieni, tanto che i cadaveri vengono bruciati in strada. Di fronte a questo l’India ha accettato l’aiuto internazionale. Per la prima volta dopo tanti anni, rinunciando così ad una tradizione politica di autosufficienza. Oltre quaranta Paesi (dagli Stati Uniti alla Francia, dalla Russia alla Gran Bretagna) hanno inviato o promesso forniture di emergenza, a partire dai respiratori. Anche l’Italia ha fatto la sua parte. Un team è partito per Delhi, dove consegnerà un sistema per la produzione dell’ossigeno.

Aiuti internazionali, ma anche tanta prudenza, se è vero che molti governi hanno deciso di chiudere ai voli con l’India. L’Australia ha persino vietato ai propri cittadini di rientrare. Altrimenti, rischiano multe e fino a 5 anni di carcere.

Di fronte all’avanzare dell’epidemia, il governo Modi ha esteso la campagna di vaccinazione a tutti gli adulti. Ma il problema è che mancano le dosi: un paradosso, in un Paese che è il più grande produttore al mondo. Inoltre, il premier non sembra intenzionato ad adottare un nuovo lockdown nazionale (mentre i diversi stati come Delhi è una realtà), perché teme un crollo dell’economia alla prima ondata.

L’altro grande malato, il Brasile, con quasi 400mila decessi, continua ad avere il tasso di mortalità quotidiano per milione di abitanti più alto del mondo. Lo stesso si può dire del Giappone, dove i livelli dei pazienti in gravi condizioni sono da allarme rosso, malgrado l’entrata in vigore del terzo stato d’emergenza a poco più di due mesi e mezzo dalle Olimpiadi, che probabilmente si svolgeranno senza pubblico.