Superlega, e se fosse una recita per avere fondi dal Recovery?

Andrea Agnelli per la Juventus e Florentino Pérez per il Real Madrid, i due maggiori artefici della Superlega elitaria, si sono dovuti arrendere all’evidenza dei veti incrociati, dovuti a un’enorme mobilitazione dell’opinione pubblica a livello nazionale e continentale. Ricordiamoci che Agnelli aveva parlato di un “patto di sangue” tra top club, che è evaporato quasi con la stessa rapidità con cui era stato enunciato. Eccessiva fretta? Sottostima della reazione popolare? Una ridiscussione sui valori etici sportivi di base, i quali cercano di premiare, a parità di condizioni economiche, il più possibile il merito? I club non avrebbero potuto, inoltre, aspettare un momento differente, e forse più propizio, per avanzare questa iniziativa? A proposito del punto della reazione, un sondaggio commissionato da Swg tra i tifosi italiani ha dato un inconfutabile e netto parere negativo all’iniziativa.

I notevoli ammanchi economici accumulati dai grandi club a causa della pandemia provengono soltanto dai minori introiti negli stadi? Il discorso dei passivi economici societari di alto “rango”, in realtà, andrebbe esteso agli ingaggi decisamente spropositati di certi atleti, anche perché la maggior parte dei proventi dei top club arriva dalla vendita dei diritti tv, che non hanno avuto flessione, e in altri mass media a pagamento, per un rapporto complessivo del 90 per cento.

A questo punto bisognerebbe capire se le intenzioni di Agnelli, di Pérez e dei loro colleghi siano state dettate da un bisogno, all’apparenza improrogabile e insindacabile, di creare questa Superlega pena l’estinzione del calcio internazionale come lo conosciamo (afferma lo stesso Pérez, altrimenti “siamo tutti morti”), oppure se questo programma non abbia altri scopi. Quali? Che i club abbiano escogitato questo tipo di “messinscena” per apparire come vittime, con cinismo, della situazione sanitaria, e quindi per accedere a una fetta dei soldi del Recovery Fund, dirottandoli da obiettivi con maggiore urgenza sociale. Non vorremmo che, alla fine della guerra, i due contendenti, l’ex Superlega e la Uefa si mettessero d’accordo a spese di terzi. Questo sospetto è presente in quanto, negli ultimi giorni è calato un innaturale silenzio sulla vicenda.

Mentre il governo italiano sta attualmente discutendo in Parlamento sul Recovery, qualche dirigente calcistico di alto rango non starà forse tramando nell’ombra con i vertici dell’Uefa per dirottare le eventuali riserve del fondo? Un altro sospetto per la creazione della Superlega proviene dalla posizione in classifica, ormai a pochi turni dalla fine dei campionati, di alcuni dei 12 club “fondatori”, considerando che in Italia, così come in Inghilterra e Spagna accedono alla successiva edizione della Champions League le prime quattro squadre in graduatoria. Juventus e Milan non navigano in acque molto tranquille, così come Liverpool, Tottenham e Arsenal. Questa Superlega non potrebbe quindi servire per permettere a tali società “svantaggiate” in patria di accedere a un campionato fortemente elitario non potendo accedere all’altro, la Champions?

Il calcio, se si vuole davvero difenderlo per com’è nato e cresciuto negli ultimi 100 anni, va tutelato in ogni sua componente, preservando i vivai delle società e abbassando drasticamente le quote di ingaggi e degli sponsor che hanno creato differenze abissali tra tutte le serie agonistiche, non scordandosi mai che questo è uno degli sport più popolari e amati.

Per disputare una gara, in fondo, bastano soltanto una palla, due porte, magari qualche riga sul terreno e soprattutto l’ingrediente fondamentale: il puro e genuino desiderio di giocare per socializzare con altre persone, senza calcoli o interessi secondari.

 

I 2 Matteo e le riaperture chi si somiglia poi si piglia

L’avevamo detto al professor Galli: stia lontano dalla Tv, chi doveva capire ha capito, chi non capisce o è costituzionalmente impedito o ci marcia, andrà a finire che più parla e più il suo messaggio si depotenzia; ma lui niente. L’altra sera a #Cartabianca si è imbattuto nell’ennesima incarnazione dell’interlocutore aperturista, che stavolta era un politico, Stefano Bonaccini – le categorie a cui attingono gli autori di talk show per il “Galli contro tutti” quotidiano sono varie: albergatori/discotecari/ristoratori/chef stellati (che piangono miseria); direttori di testata salviniana e/o meloniana; seconde file leghiste e bolsonariani a vario titolo; ma condividono gli stessi argomenti: bisogna riaprire centri commerciali e ristoranti perché il Paese non ce la fa più. Galli, in qualità di simulacro del principio d’autorità (un’autorità scientista e un po’ ottusa, diversa dall’autorità paterna e in fondo benevola di Draghi, che si “fida del suo popolo”), ha la funzione di dire che si rischiano molti morti. Davanti a questo teatro primitivo, il telespettatore è appagato: la destra e i virologi simpatici (i minimizzatori) ci vogliono far uscire a mangiare una pizza; la sinistra, Speranza, i virologi antipatici come Galli e Crisanti – non uomini di mondo à la Bassetti – godono a tenere la gente chiusa in casa dalle 22 e a far morire di fame i pizzaioli.

La novità è che stavolta l’aperturista ottimista era un politico di sinistra, o meglio uno che si fa passare per tale, Bonaccini, per l’appunto, che con questa favoletta ha vinto le elezioni per la presidenza dell’Emilia-Romagna cavalcando tutta un’epica resistenziale contro la Borgonzoni telecomandata da Salvini, in ciò aiutato anche dalle Sardine, semmai servisse una prova del carattere pubblicitario dell’operazione. Ebbene, quando Galli ha ribadito l’ovvio, e cioè che le riaperture non sono state decise su base scientifica, ma politica, Bonaccini, contundente e manipolatorio come un berlusconiano nel 1996, ha preso a screditarlo: “Quindi lei sta sostenendo che Draghi e il governo sono degli irresponsabili?”. Il sofisma, benché demenziale, gli ha sturato il condotto da cui passano le villanie più grossolane e passivo-aggressive: “Non c’è bisogno che si arrabbi, lasci parlare anche gli altri, perché è così nervoso?”, che come anche i bambini sanno è un modo per far arrabbiare chiunque abbia un minimo di dignità. Non potendo, lui così ruspante, controbattere alle tesi dell’infettivologo, ha usato l’antica tecnica di infamare l’interlocutore additandolo agli occhi dei gonzi: “Se il professor Galli dice che il Paese è ipocrita…”.

La cosa in sé è talmente squallida e la figura di Bonaccini talmente indifendibile, a meno di non sembrare deficienti o in malafede, che infatti sui social c’è stata la corsa dei renziani a difendere Bonaccini. Ernesto Carbone, noto per il “ciaone” rivolto a chi era andato a votare al referendum contro le trivelle, ha insinuato: “Qualcuno può gentilmente promettere un seggio al Prof. Galli? Così la smette di fare politica con la pandemia”. Lo stratagemma, in sé auto-elidentesi (perché attacca l’uomo e non la sua tesi; perché finché Galli non si candida si tratta di un’illazione; perché è una fallacia basata sulla propria etica e la propria concezione della politica), richiama le tesi della destra complottista, per la quale c’è un potere mondiale, vaccinista e chiusurista, che simula una pandemia al fine di far comandare gli scienziati (che intanto, pare a noi, hanno sostituito i magistrati nel Walhalla degli orrori dei liberali). Del resto in giornata l’account Lega – Salvini Premier aveva rilanciato una card in cui Renzi dice che sta con Bonaccini, che il coprifuoco alle 22 non ha senso e che non bisogna lasciare questa battaglia a Salvini. Formidabile: la Lega, che è di bocca buona, utilizza le dichiarazioni di Renzi per farsi campagna elettorale (e questa è una notizia: vuol dire che non ritiene il personaggio screditato al punto da orripilare il proprio elettorato, ma abbastanza screditato da affascinarlo), e Renzi non si dissocia (e come potrebbe, la pensa esattamente come Salvini!). Battaglie di destra sostenute da politici di destra: non vi è attrito o dissonanza cognitiva, è tutto coerente. Salvini e Renzi sono da tempo d’accordo e i loro elettorati hanno molte affinità (nel 2016 Renzi disse di voler mantenere in vigore il reato di clandestinità perché c’era “una percezione di insicurezza”, cioè temeva di perdere voti), ma ultimamente, nell’horror vacui della sparizione e fintanto che c’è da ballare sui morti, i renziani sono indistinguibili dai salviniani. Che aspettano a mettersi insieme, magari con la benedizione di Verdini? L’1,9% a Salvini può far comodo: si sa che gli piace il salame, e poi del maiale non si butta via niente.

 

Filastrocca leghista “Caro Salvini, ritorna cafone ché porti consensi”

Gentile redazione, invio una filastrocca che ho scritto domenica. È difficile trovare un quotidiano o un settimanale che pubblichi opere dei lettori, che non siano lettere o poesiole. Forse l’unico che potrebbe apprezzare una filastrocca satirica contro Salvini è il Fatto. Ma non sentitevi minimamente impegnati. A me basta che voi la leggiate.

 

Salvini dialoga con Giorgetti

“Io son preoccupato/ mio caro Giorgetti/ la bionda mi insegue/ la bionda piccina/ io temo il sorpasso/ la sento vicina/ sarebbe un disastro/ un vero sconquasso”.

“Hai fatto cadere/ Giuseppi in agosto/ non ti ho mai capito/ di testa eri a posto?”.

“Avevo un accordo/ con l’altro Matteo”.

“Con l’altro Matteo?/ Sei matto, Matteo?/ Avevi bevuto/ al bar del Papeete?/ Bottiglie di vodka/ di whiskey, di vino?/ Ti eri ubriacato?”.

“No, qualche Mojito,/ di vodka e di whiskey/ soltanto un goccino”.

“E quando hai deciso/ di andare al governo/ quest’anno, d’inverno/ avevi bevuto?”.

“Neppure un bicchiere/ lo giuro, Giancarlo”.

“Avevo pensato/ che fossi drogato/ o almeno suonato”.

“Un po’ di rispetto/ Giorgetti, al tuo capo,/ t’ho fatto ministro”.

“Sei tu che mi devi/ un po’ di rispetto/ io ero contrario/ mi hai quasi costretto./ La Lega al governo/ con i comunisti/ un pugno allo sterno/ e intanto i fascisti/ che c’hanno votato/ van dietro alla bionda/ ci hanno lasciato/ e seguono l’onda./ Io scrivo le leggi/ che piacciono a Draghi/ e tu mi dileggi./ La Lega è al governo/ ricordalo, amico,/ l’invito è fraterno/ lo penso e lo dico./ In scarpe diverse/ tu vuoi camminare/ le lotte si fanno/ non dentro ma fuori/ i nostri elettori/ non sanno che fare./ Ma siamo al governo/ o all’opposizione?/ Ritorna, Matteo,/ ritorna al passato/ passato recente/ quando sei stato/ ministro e vincente/ dal giugno all’agosto/ un anno abbondante/ un anno felice/ dimentica agosto/ dell’anno seguente/ quel mese sì fosco/ quel mese perdente/ e scorda il Papeete/ la vodka, la birra/ tequila e mojito/ ritorna pentito/ all’oro e alla mirra/ ritorna ai presepi/ rimetti le croci/ riprendi i rosari/ ascolta le voci/ di chi ti vuol bene/ affidati ai preti/ ritorna il Salvini/ che urla, straparla/ racconta fandonie/ spaventa i bambini/ insomma il cafone/ del tempo passato/ che tanti consensi/ e tanta adesione/ ci ha sempre portato/ dall’opposizione”.

Avv. Guariente Guarienti

Mail box

 

Nel divorzio dei 5 Stelle date parola agli iscritti

Per quanto riguarda il destino dei dati degli iscritti su Rousseau, mi sembra che Casaleggio e i parlamentari del Movimento 5 Stelle si stanno comportando come una coppia che divorzia; considerano gli iscritti come dei minorenni senza voce in capitolo. Gli iscritti devono essere rispettati e tutte e due le parti devono chiedere a ognuno di loro cosa si può fare con i loro dati registrati. Mi auguro che, anche dopo il divorzio e il pagamento di quanto dovuto, si continui comunque a collaborare al servizio dei milioni di elettori ex-Movimento, se no si rischia di fare la stessa fine dell’Italia Morta dell’Innominabile.

Claudio Trevisan

 

Lettera di un tifoso al presidente della Juve

Grazie e complimenti Andrea Agnelli, nomen omen! Hai dimostrato che buon sangue non mente! Tuo bisnonno diventò senatore del Regno su nomina mussoliniana non per meriti morali o politici, ma per l’aiuto dato all’economia industriale fascista. Tu sei presidente della Juventus F.C. per merito del tuo nome e della proprietà ereditata, ma come tuo padre con Valletta, tuo cugino con Marchionne, senza un Marotta amministratore siete solo dei ricchi. Con l’operazione “SuperLega” sei riuscito a ridicolizzare nel mondo la squadra di calcio più amata e odiata d’Italia. Sotto le vostre giacche firmate non batte un cuore di tifoso, ma solo portafogli da riempire sempre a scapito degli altri. Non avete nessuna competenza, solo un nome famoso…

Guido Bertolusso, juventino disgustato e pentito

 

Ponte Morandi, fu strage: servono pene esemplari

Vorrei esprimere la mia preoccupazione riguardo ai tempi della giustizie e i capi d’imputazione. Ho come la sensazione che, nonostante l’evidenza delle cause del crollo e le pesanti responsabilità, private e pubbliche, dei coinvolti, si stiano cercando capi di accusa abbastanza blandi da contenere le pene entro limiti che garantiscono di non “visitare” le patrie galere! I 43 morti del 2018 devono essere considerati “omicidi”. Per tale delitto gli imputati dovrebbero essere processati, altrimenti sarà un’altra strage senza colpevoli.

Raffaele Fabbrocino

 

B. e le strane coincidenze tra ricoveri e processi

Non è che B. sta male quando lo chiamano i giudici, ma sono i giudici che lo chiamano sempre quando sta male!

C. C.

 

Avvocati in Parlamento e conflitti di interessi

Nella sua ouverture, Il Dubbio non ha capito che il senso di quello che chiama “clamoroso scoop del Fatto”, oggetto della sua penosa ironia, non è la presenza di numerosi avvocati in Parlamento, ma l’incompatibilità e il conflitto di interessi (on. avv. Bongiorno – sen. Salvini; on. avv. Ghedini – on. Berlusconi e via all’infinito). E che i Padri costituenti avvocati, che conoscevano molto bene il senso dell’onore e della dignità, mai avrebbero assunto la difesa di un imputato parlamentare o ministro. Ma tant’è! Diceva il Poeta: “Non ti curar di loro, ma guarda e passa”.

Giancarlo Faraglia

 

Caro Giancarlo, credo che abbiano capito benissimo, ma che facciano i furbi.

M. Trav.

 

Un test per valutare il servilismo della stampa

Per valutare il “grado di appecoronamento” di opinionisti mega-microdirettori, bisognerebbe rivolgere loro due semplici domande: “Chi ha garantito all’Italia la somma di oltre 209 miliardi di euro del Recovery fund?”; “Chi, dopo aver sostenuto la necessità del Mes, ha continuato a perorarne l’indispensabilità dopo che Draghi lo aveva liquidato senza riserve (non serve)?”. Azzardo una previsione sul numero delle risposte: “Nessuno, ti giuro nessuno!” (Mina).

Mario A. Querques

 

Draghi e Conte: “Tre uomini e una gamba”

Leggendo gli editoriali di Travaglio, che spesso vedono il confronto tra il Conte-2 e il Governo dei Migliori, mi viene in mente la scena di un film, Tre uomini e una gamba, quando due amici portano un terzo (il malcapitato) al pronto soccorso. Uno dei due suggerisce al medico la diagnosi e la cura, il medico stizzito lo redarguisce apostrofandolo “il professorone”, salvo poi confermare diagnosi e cura… e tutti zitti. Analogie che ci fanno ridere… per non piangere.

Francesco Facciolo

 

Travaglio al Tg1: è solo una fantasia

Caro Direttore, lei a capo del Tg1, (Santoro dixit)… accidenti come mi piacerebbe vederla. Questo sì che sarebbe un vero cambio di passo per questo vituperato Paese. Un’informazione libera a servizio del cittadino. Pagherei anche il triplo del canone se solo fosse un’ipotesi avverabile. Sarebbe un sogno per noi lettori del Fatto e un incubo per tutti palazzi del potere.

Giovanni Frulloni

 

Caro Giovanni, ho già rifiutato nel 2018. Sto benissimo al Fatto.

M. Trav.

Le zie dei giornalisti, i turisti occidentali e le parodie dei nazisti

Continuiamo il discorso sul razzismo (anche involontario) nella comicità. Commentarono negativamente il trailer di Tolo Tolo l’economista Giuliano Cazzola (“Nella clip c’è un’offesa agli stranieri in Italia. Rappresentare il problema degli immigrati con una caricatura è sbagliato”), l’attore Giulio Cavalli (“La satira attacca i potenti. Attaccare gli indifesi, i poveracci, i disperati, in questo caso gli immigrati, come in un altro film di Zalone gli omosessuali, non è satira”) e il costituzionalista Roberto Zaccaria (“La satira si rivolge contro i potenti e il potere in generale, non contro i soggetti più deboli. Il trailer del film è una giustificazione del razzismo, direi quasi un’istigazione al razzismo. Il grande successo mi sembra un’aggravante, purtroppo”). Imprecisa, invece, l’evocazione da parte di Cazzola della “canzone a sfondo umoristico dedicata agli ebrei” cantata al Tingel-Tangel, un cabaret berlinese, all’epoca della Germania di Weimar. Quella canzone (An allem sind die Juden schuld, alla lettera “La colpa di tutto è degli ebrei”: shorturl.at/dgrMX) non prendeva in giro gli ebrei: era una satira feroce contro i nazisti che accusavano gli ebrei di ogni nefandezza. Divenne famosissima, ed era cantata dagli anti-nazisti. Il testo, paradossale, sostiene che “Se piove e se fa freddo/ se il telefono è occupato/ se la vasca da bagno perde/ se ti sbagliano la dichiarazione dei redditi/ se il principe di Galles è un finocchio/ se la Garbo ha un dente cariato/ è proprio tutta, ma tutta colpa degli ebrei”. Il brano parodiava l’Habanera della Carmen di Bizet (“Tutto l’amore viene dai gitani”) e ne conservava la musica, ad accentuare l’assurdità della canzone, che, nella rivista satirica di cui faceva parte (Fantasmi a villa Stern), era cantata da un personaggio nazista. Autore di tutto, il compositore ebreo Friedrich Hollaender, gestore del Tingel-Tangel. Scrisse canzoni per Marlene Dietrich, fra cui due delle più struggenti che abbia mai ascoltato in vita mia: Ich weinicht, zu wem ich gehöre (shorturl.at/ikvLW) e Eine kleine Sehnsucht (shorturl.at/beLOZ).

La tecnica della gag di Hollaender (quel testo, su quella musica, cantato da un nazista) fa ridere satiricamente contro i nazisti. La tecnica del trailer di Luca Medici fa ridere prendendo per il culo gli immigrati: molti italiani lo trovano normale, e se la prendono con chi obietta. Altri, invece, sono sveglissimi. Commentando la gag di Striscia sui cinesi, il giornalista M. B. (non importa chi sia, mi colpisce il suo modo sbilenco di ragionare, che è frequente) ha twittato: “Una mia zia nel 1968 andò a visitare il Giappone. Alla base del monte Fuji dei bambini che non avevano mai visto degli occidentali ridevano schiacciandosi gli occhi per farli a palla. Ridere delle differenze e di ciò che conosciamo poco è un modo per non averne paura. In più effettivamente i cinesi parlano italiano con la L al posto della R, e noi in cinese non diciamo niente di giusto mai. Si potrebbe fare così: parlarsi poco per evitare di offendersi, non scherzare, non discutere, non confrontarsi. Per alcuni è rispetto. Per me no. Se non rido mai di qualcuno è perché non me ne frega niente, non voglio averci a che fare, mi è indifferente o mi disgusta. Meno rispetto, più curiosità. Meno orgoglio, più serenità. Il mondo è grande e sempre più multiforme: se ci smolliamo tutti un po’ secondo me è meglio. FINE. Scusate. Postilla. Non guardo Striscia e Iene da molti anni per scelta. Sono certo che fosse una brutta battuta”. Le repliche non si sono fatte attendere, e tutte micidiali. Marina: “Ma che significa?” Giannizzero: “Che siccome due bambini hanno preso per il culo sua zia 50 anni fa, allora vale tutto”.

(6. Continua)

 

Il paradiso in terra del piano Cingolani

La transizione ecologica è una cosa meravigliosa. Finalmente ne parla il titolare, il ministro ad hoc Roberto Cingolani. Lo fa con un’intervistona a tutta pagina sull’adorante Repubblica. È una sinestesia: vedi il colore – verde – e senti gli odori, i profumi del mondo del futuro, finalmente libero dal puzzo mefitico del carbone e dai disastri delle energie fossili. Più che un’intervista – le domande sono appoggiate, “a piacere” – è un trionfo, l’esposizione di un manifesto. Tanti numeri, tanti soldi: “5 miliardi ad agricoltura ed economia circolare, 15 alla tutela dei territori e delle risorse idriche, 15 all’efficienza energetica degli edifici e quasi 24 alla transizione energetica e alla mobilità sostenibile”. Anidride carbonica sciò: sarà ridotta del 55% entro il 2030 “installando 65-70 gigawatt di energie rinnovabili” in 10 anni e così “il 72% dovrà essere prodotta prevalentemente da centrali eoliche o fotovoltaiche”. Un sogno. Trattori a gas, auto elettriche, niente termovalorizzatori. Il programma Cingolani è paradisiaco. Ci sarà bisogno di smontare il codice appalti, rompere un po’ meno le scatole con i controlli, ma è un (altro) rischio calcolato: “Nessuno vuole trovare scorciatoie, però i tempi devono essere certi. Si può far danno al Paese non solo facendo male, ma anche perdendo tempo”.

Colle o chigi un Draghi è per sempre

“Un governo Draghi anche dopo il 2023? Il punto è che la credibilità di Draghi è un asset. L’Italia di Draghi può fare deficit e debito senza pagarne le conseguenze nel giudizio dei mercati” (Renato Brunetta sul Corriere della Sera). “Draghi oltre la pandemia. Siamo sicuri che un governo tra forze politiche ideologicamente opposte debba essere considerata come un’esperienza unica piuttosto che una nuova normalità?” (Michele Salvati sul Foglio). Lo stesso giorno, e più o meno lo stesso concetto. Draghi forever a Palazzo Chigi. Due indizi che sono per ora una coincidenza? O una mezza prova? A gennaio di quest’anno, quando già molto si parlava di lui a Palazzo Chigi al posto di Giuseppe Conte, non erano in pochi a chiedersi se con la rischiosa cucina di governo (e con le inevitabili mandrakate di Matteo Salvini) il possibile futuro premier avrebbe potuto compromettere, da superfavorito, la corsa al Quirinale del 2022. Mentre altri sostenevamo che, al contrario, Palazzo Chigi sarebbe stato il trampolino ideale per scalare il Colle, e in tempo utile per consegnare le patate bollenti in mani altrui, possibilmente fidate.

Brunetta coglie il punto essenziale quando dice di Draghi che “chiunque lo facesse cadere avrebbe la strada sbarrata, perché porterebbe l’Italia al default”; e “invece di avere un Paese potenzialmente leader in Europa avrebbe un Paese fallito”. Infatti è un’ipotesi che, allo stato attuale, neppure un Salvini caricato a mojito prenderebbe in considerazione. Anche se la domanda è un’altra: quanto e per quanto tempo conviene a Draghi rivestire il ruolo di “garante” del mostruoso debito italiano, oltre che del Recovery plan

e del connesso, accidentato Pnrr? Vero è che il programma del Recovery“ è di sei anni e vincola anche il prossimo governo, essendo un contratto” (ancora Brunetta). Ma quando, in autunno, il premier dovrà dare attuazione concreta alle famose riforme di struttura annunciate in Parlamento (Pubblica amministrazione, Giustizia, Fisco e ammortizzatori sociali) – tutta roba tosta, senza contare a che punto sarà il decorso della pandemia – cosa potrebbe accadere? Siamo così sicuri che rinuncerà al certo (il settennato al Quirinale) per una navigazione di governo imprevedibile per definizione? E, nel caso, Brunetta e soci del centrodestra a chi vorrebbero spianare la strada verso il Colle? Qualcuno ipotizza l’illustre degente inquisito. Peggio di un horror fantasy.

Miracolo a Dubai: la copia del David è un’“opera nuova”

“Firenze ha la vergogna di essere una di quelle città che non vivono col lavoro indipendente dei loro cittadini vivi, ma con lo sfruttamento pitocco del genio dei padri e delle curiosità dei forestieri. Non vivete per voi stessi la vita di oggi, ma siete continuamente occupati in questo ignobile esercizio: levare i quattrini dalle tasche degli stranieri, facendo loro vedere i rimasugli dei vostri celebri defunti. Se volete essere come i vostri padri, dovreste imitarli meglio: lavorare per arricchire e aiutare la nuova arte che sorge, invece di rabberciare e sfruttare quella passata, che ormai è morta e sepolta nei musei”. Sarebbero queste parole (pronunciate dal fiorentino Giovanni Papini nel 1913) la didascalia perfetta per la copia in scala naturale del David di Michelangelo che il ministro degli Esteri Di Maio e il sindaco di Firenze Nardella hanno appena recapitato all’Expo di Dubai, affogandola in un’imbarazzante orgia di retorica in cui la frase più sobria recita “la sua immagine contribuirà alla rinascita dell’Italia”. D’altra parte, non era facile per Nardella essere all’altezza del predecessore, che ha appena venduto un Nuovo Rinascimento ai vicini dell’Arabia Saudita (in cambio di un modesto appannaggio annuo).

Ma il sindaco purtroppo non si è fermato qua, rivelando a una folla attonita che “il segreto (del David) è la luce interiore: il segreto dell’anima, una bellezza spirituale che riveste il corpo atletico e che trascende l’umano e che rifugge anche in questo gemello, forse una nuova opera”. Ed è un vero peccato che gli arabi non abbiano potuto apprezzare le fonti del geniale pastiche rappresentato dalle parole del coltissimo sindaco: un po’ Mario Luzi, un po’ dottor Armà (l’indimenticabile mercante d’arte televisivo creato da Corradi Guzzanti). Il culmine è certo nel finale, dove una copia in resina rivestita di polvere di marmo (la versione monumentale dei souvenir che infestano Firenze: un oggetto kitsch che Michelangelo avrebbe distrutto a martellate con terribile sdegno) assurge al ruolo di “opera” – ma solo “forse”.

Non pago, il primo cittadino della povera Firenze ha aggiunto un finissimo affondo iconologico: “Michelangelo volle eliminare da quella statua tutti i simboli della violenza”. Dove ci si chiede cosa Nardella pensa che sia l’oggetto che il David sorregge con la sinistra (che è la fionda con cui uccide Golia): forse un rotolo di carta igienica?

Ma la censura della violenza inseparabile dall’intenzione originale di questa statua potrebbe avere una ragione più seria: potrebbe perfino rappresentare un freudiano ‘ritorno del represso’. La psicologa dell’arte Miriam Mirolla, infatti, ha notato come “portare il David di Michelangelo a Dubai, un nudo di 5 metri, sia l’ennesimo atto di noncuranza nei confronti di una cultura in cui lo sguardo e la rappresentazione del corpo sono tabù”. In effetti, proprio mentre si dichiara (in modo del tutto gratuito, arbitrario, antistorico) che il David sarebbe un manifesto contro ogni violenza, si compie la (piccola ma fastidiosa) violenza di imporre agli arabi un’immagine clamorosamente incompatibile con la loro sensibilità culturale. Sono gli incidenti che succedono a chi pensa di servirsi di storia, arte e cultura senza conoscere storia, arte e cultura. La scelta più sensata sarebbe stata quella di commissionare a qualche giovane artista italiano un’opera capace di mostrare che la nostra cultura non è una stella morta che continua a brillare: laddove c’è invece qualcosa di malato (qualcosa di morto) nel farci rappresentare dalla copia di un’opera di 500 anni fa. E una delle conseguenze è proprio l’incapacità di guardare al presente, di dialogare davvero con le altre culture, di aprirsi allo scambio e alla diversità. L’incapacità di ascoltare l’altro e di mettersi in gioco, invece di continuare ad affermare perentoriamente una identità immutabile, buona per tutte le latitudini e tutte le occasioni – un’identità, peraltro, mille volte e in mille modi rinnegata e tradita.

Proprio a causa dell’ostruzionismo di Renzi e Nardella, i musulmani a Firenze non hanno una moschea in cui pregare: perché un minareto avrebbe turbato la cartolina del Rinascimento di cui parlava Papini. Ora, finalmente, pare che il Comune si stia dicendo possibilista: ma se verrà applicata la stessa logica con cui si è portato il gigante nudo a Dubai, c’è da aspettarsi che il sindaco chieda all’imam di decorare la moschea con un crocifisso: copia di quello di Michelangelo, ovviamente.

“Ho dato il segnale a Graviano per far saltare via D’Amelio”

“L’ordine delle stragi lo ha dato Riina. Nessun servizio segreto. Borsellino e la sua scorta li ha uccisi Cosa Nostra con le famiglie degli Stati Uniti. Cosa Nostra americana, quello che voleva lo ha ottenuto dopo via D’Amelio e ha chiuso con le stragi. Per Cosa Nostra siciliana c’è voluto più tempo, dopo che hanno preso Riina. (…) Vuoi la verità? Questo è l’inizio della verità. Se vuoi dimostrare che Borsellino l’hanno ucciso i servizi segreti, la verità non la troverai mai. Se fosse vivo Riina, si farebbe una bella risata”. Le parole che Maurizio Avola, spietato killer ai più alti livelli di Cosa Nostra, famiglia Santapaola di Catania, stessa età dell’imprendibile trapanese Matteo Messina Denaro, consegna a Michele Santoro – autore, con Guido Ruotolo, del libro Nient’altro che la verità (Marsilio) e dello “Speciale mafia” trasmesso ieri sera da La7 – sono destinate ad alimentare l’infinito dibattito sulla Trattativa Stato-mafia. “Io penso che Cosa Nostra scivola verso Berlusconi quasi come un movimento naturale. Non è che Previti o Berlusconi o Dell’Utri o i servizi segreti danno gli ordini e i corleonesi vanno e sparano o mettono bombe. Non funziona così. Non prende ordini Cosa Nostra”.

Le pagine scorrono veloci fino al dialogo tra Santoro e Avola su via D’Amelio. “Sono io che ho preparato l’autobomba. Ho lavorato in quel garage per collegare la centralina all’esplosivo. Non c’era nessun servizio segreto. (…) Poi mi hanno messo in carcere con un pentito che aveva partecipato a dire false dichiarazioni su via D’Amelio e mi sono spaventato. C’erano cose grosse sotto, che ci puoi rimettere la pelle. Era un imbroglio di Stato. E ho deciso di stare zitto. Chi mi avrebbe creduto? È capace che mi chiudevano in un manicomio”. E ancora: “Io e due palermitani imbottiamo d’esplosivo la macchina. (…) Erano dentro i fusti per le olive che avevo portato io a Termini Imerese, li ho tirati fuori con le mie mani. Borsellino deve assolutamente morire. (…) Io e Aldo Ercolano siamo in missione a Palermo dal martedì. Abbiamo a disposizione un appartamento trovato dai Graviano poco distante da via D’Amelio. E saliamo e scendiamo da Catania e Palermo e da Palermo a Catania (…)”. “Con chi comunicavate?”, chiede Santoro. “Con Giuseppe Graviano”. Poi il racconto prosegue fino agli ultimi attimi di vita di Paolo Borsellino, il 19 luglio 1992. Avola faceva parte del commando come Matteo Messina Denaro. Santoro precisa: “Avola sta demolendo molte ricostruzioni dietrologiche. I servizi segreti che intercettano la linea telefonica della madre del magistrato e ordinano l’inizio dell’azione, il centro d’ascolto posizionato sul monte Pellegrino con complicati congegni per far esplodere la bomba. Non c’è stato niente del genere. Via D’Amelio è il momento culminante di un’azione militare a tappeto e di una caccia all’uomo realizzata con punti di avvistamento, staffette e presidi”. E questo è il racconto di Avola: “Devo dare il segnale per quella maledetta esplosione. Guardo per l’ultima volta il giudice fermo davanti al citofono. Ha gli occhi rivolti al cielo, con la sigaretta accesa tra le labbra. Mi sembra sospeso nel vuoto. Sono l’ultima persona che incrocia il suo sguardo. È un’immagine che mi rimarrà attaccata alla pelle tutta la vita. La rivedo continuamente. Come se fosse ieri. Della scorta faceva parte un’agente donna (Emanuela Loi, ndr). Accelera il passo e si dirige quasi di corsa verso Borsellino. Forse ha notato una lucina che lampeggia. Abbiamo lasciato i finestrini della 126 leggermente abbassati per essere sicuri che le antenne ricevono il comando. Giuseppe Graviano attiva il telecomando e qualche spia ha cominciato a lampeggiare. Bisogna farlo presto. Adesso. Guardo verso il furgone, vedo che Graviano aspetta il segnale, abbasso la testa, e giro l’angolo per mettermi al riparo”. Così scrive Santoro: “Di come si è svolto l’attentato a Paolo Borsellino, la sequenza dei fatti, non si sapeva niente. Le dichiarazioni di Avola sono clamorose. Gaspare Spatuzza è stato fondamentale per distruggere la falsa ricostruzione di Scarantino, ma all’epoca non era ancora uomo d’onore e non ha avuto parte alla fase finale”. Santoro su Avola fa questa considerazione: “Non è mai stato condannato per calunnia. Fino a oggi nessuna delle sue affermazioni è stata giudicata falsa. E su via D’Amelio? (…) Non si può escludere che esistano altri attori, mandanti e ideatori delle stragi. Si deve però avere il coraggio di ripartire dai fatti, circoscrivendo le responsabilità accertabili e non inseguendo teoremi”.

La Procura di Caltanissetta riceve, quindi, Avola, sollecitato dallo stesso Santoro a raccontare ai magistrati la sua versione di via D’Amelio. Ad ascoltarlo a Roma nel gennaio 2020 – pena terminata e conclusa anche la lunga intervista concessa a Santoro nei “permessi” fuori dal carcere – ci sono il procuratore Amedeo Bertone e il sostituto Pasquale Pacifico. La procura ora emette questo comunicato: “I conseguenti accertamenti svolti da questa D.d.a. non hanno trovato alcuna forma di positivo riscontro che ne confermasse la veridicità. Sono emersi rilevanti elementi di segno opposto, che inducono a dubitare fortemente tanto della spontaneità quanto della veridicità del suo racconto. Per citarne uno, tra i tanti, l’accertata presenza dello stesso in Catania, addirittura con un braccio ingessato, nella mattinata precedente il giorno della strage, là dove, secondo il racconto dell’ex collaboratore, egli, giunto a Palermo nel pomeriggio di venerdì 17 luglio, avrebbe dovuto trovarsi all’interno di un’abitazione nei pressi del garage di via Villasevaglios, pronto, su ordine di Giuseppe Graviano, a imbottire di esplosivo la Fiat 126”. Per i magistrati di Caltanissetta a non quadrare nel racconto di Avola è anche la presenza nel commando di Aldo Ercolano, numero 2 di Nitto Santapaola e in quel momento sottoposto a sorveglianza speciale. Inoltre i pm attaccano Avola perché “anzichè mantenere il riserbo su quanto rivelato a questo ufficio, ha preferito far trapelare il suo asserito protagonismo nella strage di via D’Amelio (…) compromettendo così l’esito delle future indagini, dopo che l’ufficio aveva provveduto a contestargli le numerose contraddizioni del suo racconto e gli elementi probatori che inducevano a dubitare della veridicità” del suo racconto.

Il libro nelle sue 400 pagine contiene altre rivelazioni clamorose di Avola, sull’omicidio del presidente dell’Eni Enrico Mattei (1962), che porterebbe la firma di Cosa Nostra e la mano dello stesso Nitto Santapaola, sull’attentato non realizzato all’importante politico democratico americano Mario Cuomo, l’omicidio di Pippo Fava che Avola s’intesta. E contiene anche la vicenda personale di un giornalista, Michele Santoro, che, comunque la si pensi, riesce sempre a far rumore.

Grillo Jr, ora i pm valutano il revenge porn, I genitori di S.: “Nostra figlia ridotta a trofeo”

Ipm di Tempio Pausania stanno valutando nuove accuse a carico di Ciro Grillo e dei tre amici indagati per lo stupro di gruppo che sarebbe avvenuto nella casa di Porto Cervo del figlio del fondatore del M5S il 16 luglio2019. Una parte delle contestazioni riguarda l’identificazione più precisa di chi era in una sequenza di foto oscene, in cui alcuni dei ragazzi posano mostrando i genitali su una delle due coetanee addormentata, nuovi particolari emersi proprio nel corso degli interrogatori avvenuti un paio di settimane fa.

Un altro fronte riguarda invece le conseguenze di quanto emerso in un’intervista andata in onda domenica durante il programma di La7 Non è l’arena: nella trasmissione viene sentita infatti un’amica del gruppo genovese, che racconta di aver visto il video di sesso di gruppo – prova agli atti dell’inchiesta – che circolava nei giorni seguiti al ritorno dalle vacanze. La giovane fa intendere che secondo lei quei frame sembrano rappresentare un rapporto consenziente. Ma il fatto che quel video sia circolato potrebbe configurare un nuovo reato. La riforma del Codice rosso punisce esplicitamente la diffusione di materiale pornografico. La legge è stata approvata pochi giorni dopo la presunta violenza sessuale, ed è entrata in vigore il 9 agosto di quell’anno. Si tratterebbe dunque di capire se il video (di cui avvocati della difesa e delle parti civili danno interpretazioni diametralmente opposte) ha continuato a circolare anche dopo.

è proprio questa intervista ad aver provocato la reazione dei familiari di S.J., la studentessa che ha denunciato di essere stata violentata a turno da Grillo jr e dagli amici Francesco Corsiglia, Edoardo Capitta e Vittorio Lauria: “Non è facile rimanere in silenzio davanti alle falsità che si continuano a scrivere e a dire sul conto di nostra figlia, aggiungendo dolore al dolore: il nostro e il suo. D’altro canto, sarebbe fin troppo facile smentirle sulla base di numerosi atti processuali che sconfessano certe arbitrarie ricostruzioni e che, per ovvie ragioni, non possono essere resi pubblici. Abbiamo appreso, inoltre, che frammenti (frammenti!) di video intimi vengono condivisi tra amici, come se il corpo di nostra figlia fosse un trofeo: qualcosa che ci riporta a un passato barbaro che speravamo sepolto insieme alle clave. Confidiamo nel fatto che tutto questo fango sarà spazzato via facendo emergere la verità. Agiremo contro chi partecipa a questo deplorevole tiro al bersaglio”.