Andrea Agnelli per la Juventus e Florentino Pérez per il Real Madrid, i due maggiori artefici della Superlega elitaria, si sono dovuti arrendere all’evidenza dei veti incrociati, dovuti a un’enorme mobilitazione dell’opinione pubblica a livello nazionale e continentale. Ricordiamoci che Agnelli aveva parlato di un “patto di sangue” tra top club, che è evaporato quasi con la stessa rapidità con cui era stato enunciato. Eccessiva fretta? Sottostima della reazione popolare? Una ridiscussione sui valori etici sportivi di base, i quali cercano di premiare, a parità di condizioni economiche, il più possibile il merito? I club non avrebbero potuto, inoltre, aspettare un momento differente, e forse più propizio, per avanzare questa iniziativa? A proposito del punto della reazione, un sondaggio commissionato da Swg tra i tifosi italiani ha dato un inconfutabile e netto parere negativo all’iniziativa.
I notevoli ammanchi economici accumulati dai grandi club a causa della pandemia provengono soltanto dai minori introiti negli stadi? Il discorso dei passivi economici societari di alto “rango”, in realtà, andrebbe esteso agli ingaggi decisamente spropositati di certi atleti, anche perché la maggior parte dei proventi dei top club arriva dalla vendita dei diritti tv, che non hanno avuto flessione, e in altri mass media a pagamento, per un rapporto complessivo del 90 per cento.
A questo punto bisognerebbe capire se le intenzioni di Agnelli, di Pérez e dei loro colleghi siano state dettate da un bisogno, all’apparenza improrogabile e insindacabile, di creare questa Superlega pena l’estinzione del calcio internazionale come lo conosciamo (afferma lo stesso Pérez, altrimenti “siamo tutti morti”), oppure se questo programma non abbia altri scopi. Quali? Che i club abbiano escogitato questo tipo di “messinscena” per apparire come vittime, con cinismo, della situazione sanitaria, e quindi per accedere a una fetta dei soldi del Recovery Fund, dirottandoli da obiettivi con maggiore urgenza sociale. Non vorremmo che, alla fine della guerra, i due contendenti, l’ex Superlega e la Uefa si mettessero d’accordo a spese di terzi. Questo sospetto è presente in quanto, negli ultimi giorni è calato un innaturale silenzio sulla vicenda.
Mentre il governo italiano sta attualmente discutendo in Parlamento sul Recovery, qualche dirigente calcistico di alto rango non starà forse tramando nell’ombra con i vertici dell’Uefa per dirottare le eventuali riserve del fondo? Un altro sospetto per la creazione della Superlega proviene dalla posizione in classifica, ormai a pochi turni dalla fine dei campionati, di alcuni dei 12 club “fondatori”, considerando che in Italia, così come in Inghilterra e Spagna accedono alla successiva edizione della Champions League le prime quattro squadre in graduatoria. Juventus e Milan non navigano in acque molto tranquille, così come Liverpool, Tottenham e Arsenal. Questa Superlega non potrebbe quindi servire per permettere a tali società “svantaggiate” in patria di accedere a un campionato fortemente elitario non potendo accedere all’altro, la Champions?
Il calcio, se si vuole davvero difenderlo per com’è nato e cresciuto negli ultimi 100 anni, va tutelato in ogni sua componente, preservando i vivai delle società e abbassando drasticamente le quote di ingaggi e degli sponsor che hanno creato differenze abissali tra tutte le serie agonistiche, non scordandosi mai che questo è uno degli sport più popolari e amati.
Per disputare una gara, in fondo, bastano soltanto una palla, due porte, magari qualche riga sul terreno e soprattutto l’ingrediente fondamentale: il puro e genuino desiderio di giocare per socializzare con altre persone, senza calcoli o interessi secondari.