In un’intervista al Corriere il ministro Franceschini ha detto: “Questo è un governo di avversari nato per l’emergenza… Un governo di avversari che devono collaborare. Sono convinto che non ci vorrebbe molto a mantenere, da parte di tutti, un atteggiamento costruttivo nell’interesse del Paese”. Il ministro scopre l’acqua calda quando dice che la compagine dell’esecutivo è composta da “avversari”, e sbaglia di grosso quando invoca un atteggiamento costruttivo nell’interesse del Paese sostenendo che “non ci vorrebbe molto”: sono due cose in contraddizione tra loro. Ed è una contraddizione mortale. Per la ragione, fin troppo ovvia, che tra i partiti di governo non c’è identità di vedute su ciò che rappresenta l’interesse del Paese. E come potrebbe essere diversamente, visto che coprono l’intero emiciclo parlamentare? Non raccontiamoci la favola della ricostruzione postbellica e della Costituente: è un paragone che non si può fare perché non c’è stata nessuna guerra e nessuna elezione con un mandato costituente.
Il premier ha citato De Gasperi (“L’opera di rinnovamento fallirà, se in tutte le categorie, in tutti i centri non sorgeranno degli uomini disinteressati pronti a faticare e a sacrificarsi per il bene comune”) e non sappiamo se ha peccato più di ingenuità o di hybris. L’idea che il solo nome Draghi potesse annullare differenze politiche e interessi di parte (i partiti sono di parte, e non è un gioco di parole) si è rivelata una fragile illusione. Oggi i partiti di governo (sono tutti al governo, a parte la Meloni) si scannano sul coprifuoco (se ciò avvenga sulla base di autentiche convinzioni o di opportunismi è ininfluente), domani sarà su qualcosa d’altro. Poco importa, più rilevante è il gioco sporco dei partiti che fanno l’opposizione stando al governo. La posta non è solo il voto dei commercianti e dei ristoratori, ma anche il riconoscimento dell’identità politica di ciascuno. Un capitale che i partiti, seppure in questa versione annacquata e indistinta, non possono ulteriormente scalfire, pena la scomparsa. Ma è difficile sopravvivere in un governo di salute pubblica o unità nazionale, perché non c’è spazio per i distinguo: tutti dentro vuol dire tutti dietro il premier. Non si può fare l’opposizione stando al governo molto a lungo: il giocattolo è destinato a rompersi presto. Non si va avanti a forza di contentini e piccoli compromessi. Se le posizioni contrarie dei dissidenti di governo sono sincere, presto i leader dovranno trarne le conseguenze. Se sono un minuetto per dimostrare la propria r-esistenza in vita, la gente se ne stancherà. Dunque è una tattica doppiamente dannosa. Eppure è comprensibile, e anzi la concordia chiesta da Franceschini è in qualche modo contro natura: “homo homini lupus” è un imperativo categorico nel rapporto fra i partiti perché si contendono il consenso dei cittadini. Il conflitto, all’esterno delle istituzioni, è benedetto. All’interno è utile, nella misura in cui è possibile giungere a un compromesso. L’errore è a monte del governo: nel nome di quella governabilità che tutti amavano fino a poco tempo fa, bisognava lasciare fuori qualcuno.
La comune opinione sembra essere che la presenza di Draghi sia garanzia, farmaco, antidoto e panacea di tutti i mali. Una convinzione infantile (in un paese bambino, il cui dibattito pubblico è affidato a gente che pensa che il premier sia Maradona) per ragioni che non ci attardiamo a ricordare nuovamente. Enrico Mattei diceva di usare i partiti allo stesso modo dei taxi. Forse lo pensa anche Mario Draghi, forse anche lui pensa di “salire, pagare la corsa e scendere”. È prevedibile però che sarà tradito da compagni di strada infedeli (a lui e tra loro), ben prima delle prossime idi di Marzo.