Una vera e propria inversione delle fortune ha investito l’Italia a partire dalla metà degli Anni 90, un periodo segnato da una generale stagnazione dei redditi e un susseguirsi di due gravi crisi finanziare e recessioni economiche, rafforzate anche da una crisi del debito.
In un nuovo lavoro di ricerca (The concentration of personal wealth in Italy 1995–2016, Acciari, Alvaredo, Morelli), stimiamo che la quota di ricchezza dell’1% degli adulti più ricco del Paese è aumentata dal 16% nel 1995 al 22% nel 2016. Parliamo di circa 500 mila adulti con almeno 1,4 milioni di euro e con ricchezza netta media di circa 4 milioni di euro, per un totale di ricchezza possedute di circa 1.700 miliardi di euro. Le crescenti necessità di finanziamento sollevate dalla crisi pandemica del Covid-19, hanno spinto molti ad avanzare politiche per frenare le crescenti disuguaglianze, incluso la creazione di imposte sulla ricchezza personale. Eppure, nonostante il crescente interesse politico, la conoscenza della distribuzione della ricchezza rimane attualmente limitata. Proprio per fare dei passi avanti in questa direzione, abbiamo fatto leva su una nuova banca dati ancora non utilizzata: i registri dell’imposta di successione in Italia. Facendolo, riusciamo a misurare i patrimoni degli italiani sommando il valore di tutti gli immobili e i terreni in possesso, gli oggetti di valore, il valore delle piccole imprese di famiglia, di tutti i conti di risparmio e di investimento, incluso i fondi di previdenza integrativa e di assicurazione vita. A questo sottraiamo poi tutti i debiti ed i mutui contratti.
I risultati principali ci indicano che l’Italia è uno dei Paesi con il più alto rapporto ricchezza-reddito nel mondo sviluppato. Se il totale del reddito disponibile delle famiglie vale circa 1.150 miliardi nel nostro paese il valore aggregato dei patrimoni delle famiglie vale circa 8.500 miliardi. Stiamo parlando di un rapporto di circa 7 a 1. E questo rapporto è triplicato negli ultimi 40/50 anni. Cresce dunque il peso dei patrimoni privati nell’economia. Con questi dati possiamo anche osservare come si distribuiscono questi patrimoni nella popolazione. Ad esempio, riusciamo ad osservare la quota di ricchezza totale spettante, ad esempio, allo 0,1% più ricco (50.000 individui). Questo gruppo di ricchi fra i ricchi ha visto raddoppiare la sua ricchezza netta media reale (da 7,6 milioni di euro a 15,8 milioni di euro ai prezzi del 2016), facendo raddoppiare la sua quota dal 5,5% al 9,3%. Al contrario, il 50% più povero controllava l’11,7% della ricchezza totale nel 1995 e oggi solo il 3,5%. Questo corrisponde a un calo dell’80% della sua ricchezza netta media (da 27.000 euro a 7.000 euro a prezzi 2016).
In confronto con altri Paesi, il livello di concentrazione della ricchezza osservato in Italia sembra essere in linea con altri grandi stati membri dell’Unione come Francia, Spagna e Germania. Tuttavia, la sua evoluzione temporale è più vicina a quella riscontrata negli Stati Uniti. Per contro, mentre la quota del 40% medio italiano rimane relativamente alta, la quota del 50% inferiore (composta da circa 25 milioni di individui) ha sperimentato il più forte declino dalla metà degli Anni 90 se confrontata con gli altri Paesi.
La disponibilità di ricchezza acquisisce un ruolo sempre più importante per il benessere delle famiglie, fornendo un cuscinetto di risorse per far fronte ad incertezze e colpi improvvisi dovuti, tra gli altri, alla perdita del lavoro, ad una malattia (o ad una pandemia). Una base di ricchezza permette maggiore libertà di scelta e di pianificazione, permette di rischiare di più, di azzardare un’attività imprenditoriale. Ma la ricchezza è anche potere e non solo riduzione di vulnerabilità. Grandi patrimoni sono sinonimo di influenza sul funzionamento dell’economia (attraverso il controllo di attività produttive e risorse ambientali) e sulla società nel suo complesso.
Misurare la distribuzione della ricchezza, tuttavia, rappresenta solo il primo passo. Identificare i canali che ne influenzano l’evoluzione rimane la questione dirimente, con importanti implicazioni per le politiche pubbliche. Sapere che buona parte delle grandi fortune sono frutto di risparmi e di attività imprenditoriali innovative e di successo è chiaramente diverso dal riscontrare un peso rilevante e crescente della ricchezza che proviene da lasciti ereditari o donati (non “accumulati”), che allontanano l’attuale distribuzione di ricchezza da una ragionevole approssimazione di “merito”.
I nostri dati non risolvono questo nodo così complesso e cruciale ma forniscono alcuni indizi di cui tener conto. Ad esempio, emerge chiaramente un ruolo crescente delle eredità e delle donazioni in vita, le quali valgono oggi circa il 15% del reddito nazionale raddoppiando dal 1995. A crescere è anche la concentrazione di queste eredità nelle mani di pochi. Inoltre, mostriamo, da un lato, come una percentuale sempre minore di eredità milionarie è soggetta a tassazione oggi rispetto alla metà degli Anni 90 e, dall’altro lato, come sia sostanzialmente diminuito l’onere fiscale medio sui lasciti milionari, minando la progressività stessa dell’imposta sulle successioni e donazioni. Le eredità generate da lasciti di valore superiore ai 10 milioni di euro versano oggi circa l’1% di questo valore in imposte. Nel 1995, l’aliquota effettiva media era 6 volte superiore.
Questi dati dovrebbero preoccupare perché crescenti livelli di concentrazione della ricchezza possono avere effetti corrosivi sull’uguaglianza delle opportunità e sull’efficienza stessa nel nostro tessuto produttivo, proprio quando questi si cristallizzano nel tempo, in chiave dinastica. Le misure comparative disponibili e confrontabili suggeriscono già oggi che l’Italia sia un paese in cui lo status socio-economico dei figli e delle figlie è altamente dipendente da quello dei genitori, implicando una bassa mobilità tra le generazioni.
Una politica lungimirante potrebbe intervenire nei meccanismi che permettono alle disuguaglianze di risorse economiche oggi di riprodursi indisturbate, trasformandosi in disuguaglianze di opportunità domani.