La strage del ponte Morandi non è solo la storia di una concessionaria privata che si è arricchita tagliando sulla sicurezza. L’atto di accusa della Procura di Genova riguarda anche il ruolo di uno Stato, che attraverso i suoi più alti dirigenti (come l’ex direttore generale della Vigilanza Vincenzo Cinelli, tra gli indagati) “ha omesso sistematicamente di vigilare – in palese violazione degli obblighi imposti dalla normativa e dalle condizioni concessorie – sull’attività di sorveglianza, manutenzione e riparazione tempestiva dei difetti”. Autostrade per l’Italia non ha semplicemente ingannato il controllore pubblico, inviando dati falsi che sottostimavano l’ammaloramento del viadotto: il ministero, secondo i pm, è rimasto “volontariamente all’oscuro” e si è “volontariamente disinteressato”. E “in conseguenza della totale ignoranza – volontariamente perseguita – delle condizioni di manutenzione e di sicurezza del viadotto Polcevera, l’opera più importante e più fragile dell’intera rete autostradale”.
la data fondamentalein cui inquadrare il grande fallimento nei controlli pubblici è marzo 2018, quando arriva nella fase di approvazione il progetto di ristrutturazione dell pila 9, quella poi effettivamente che ha dato origine al crollo. Aspi lo presenta come un “retrofitting”, ovvero un miglioramento della rete, qualificazione che permetterebbe alla società di scaricarne i costi, 21 milioni, sugli utenti. Un altro passaggio cruciale è la classificazione: “intervento locale”, dicitura che consente di evitare un collaudo e una verifica di sicurezza obbligatori.
A esaminare il progetto è una commissione del Provveditorato alle opere pubbliche. I membri, tutti indagati, sono: il provveditore Roberto Ferrazza; due funzionari interni, Giuseppe Sisca e Salvatore Buonaccorso; due consulenti esterni, Mario Sevetto (esperto di traffico) e Antonio Brencich (unico strutturista). Quest’ultimo è l’autore di un “documento informale” in cui definisce il degrado del ponte “impressionante”. Se quel report fosse stato messo agli atti, contestano i pm, avrebbe implicato la “chiusura al traffico”. Alla commissione la Procura contesta anche di non essersi accorta degli “evidenti copia e incolla dei rapporti di Spea”. Fa riflettere anche il tempo a disposizione della commissione per valutare sei faldoni di documenti presentati da Aspi: una settimana. L’atto di approvazione dei lavori prodotto dai commissari, denunciano i consulenti delle parti civili, è a sua volta un “copia e incolla” di quanto scritto da Aspi, a eccezione di una pagina di osservazioni. Il risultato è stato che il ponte è caduto prima dell’inizio dei lavori.