Due procure – Napoli e Firenze – indagano in modo coordinato sulle modalità di intercettazione del trojan targato Rcs. Le indagini – a Firenze per esempio si ipotizza il reato di frode in pubbliche forniture – potrebbero portare a un dato banale o a un dato esplosivo. È troppo presto per comprenderlo, data la complessità della regolamentazione di uno strumento come il trojan, che necessità di “rimbalzi” tra più server per risultare anonimo e non consentire, al bersaglio da intercettare, di scoprire che la procura gli sta infettando il telefono. Quando Duilio Bianchi, direttore divisione Ip della Rcs, ha spiegato alla procura di Firenze “l’architettura” del sistema, ha fornito una versione diversa rispetto a quella data nel luglio scorso dinanzi al Csm. E dinanzi al Csm aveva spiegato il funzionamento del trojan all’interno delle vicende disciplinari legate al caso Palamara che riguardano il magistrato e parlamentare Cosimo Ferri: è stato proprio un trojan Rcs, infatti, a registrare le conversazioni tra Ferri, Palamara e Luca Lotti, la notte tra l’8 e il 9 maggio all’hotel Champagne di Roma, mentre discutevano del futuro apo della procura di Roma. Quel che si scopre oggi, nell’interrogatorio reso a Firenze, è la conferma di quanto scoperto dall’avvocato in sede disciplinare di Cosimo Ferri, Luigi Panella, che dopo aver disposto delle perizie tecniche ha fatto una scoperta: i dati del trojan, prima di giungere al server installato nella Procura di Roma, transitavano da un server installato nella procura di Napoli.
Un server del quale nessuno fino ad allora conosceva l’esistenza. Bianchi due giorni fa, dinanzi alla procura di Firenze – che, su richiesta del procuratore capo di Perugia, Raffaele Cantone, ha inviato il verbale di interrogatorio e altri atti alla procura umbra – ha confermato l’esistenza di questo server “fantasma”. Ora il dubbio è che sia stato violata una norma di procedura penale – la procura di Perugia aveva autorizzato le attività soltanto sul server romano – e il gup dovrà stabilire se le intercettazioni captate con il trojan siano ancora utilizzabili. Se non bastasse, Bianchi ha rivela che questa architettura quindi l’esistenza del server napoletano) ha funzionato non solo per Perugia ma per tutte le procure italiane alle quali Rcs ha fornito la sua tecnologia. E lo scenario diventa surreale: la conversazione intercettata dal trojan al’hotel Champagne finì per travolgere la nomina del procuratore generale di Firenze, Marcello Viola, che assolutamente ignaro di quelle manovre, aveva ottenuto la maggioranza nella commissione del Csm e sembrava pronto per l’investitura del Plenum. Quelle conversazioni portarono alla defenestrazione di Palamara dalla magistratura e a un terremoto giudiziario. La scoperta della perizia dell’avvocato Panella – ora certificata da Bianchi e dalla Procura di Firenze – in teoria può produrre effetti devastanti. Da un lato la Procura perugina è orientata a considerare quello di Napoli un semplice “impianto”, non suscettibile di alcuna autorizzazione, e a difendere l’utilizzabilità delle intercettazioni. Dall’altro la difesa di Palamara contrattacca: “Bianchi ha corretto il tiro rispetto a quanto aveva dichiarato al Csm, una testimonianza centrale per la radiazione del nostro assistito. C’è anche la ‘famosa’ cena all’hotel Champagne e quindi se le intercettazioni dovessero essere dichiarate inutilizzabili si rimetterebbe in gioco tutta la vicenda. Ora vogliamo capire se ci sono state manipolazioni delle intercettazioni con il trojan”, ha commentato ieri l’avvocato Benedetto Buratti, legale di Palamara.
La Procura di Perugia ha chiesto al gup di sentire Bianchi nella prossima udienza del 3 maggio. C’è un ulteriore dettaglio che emerge dall’interrogatorio di Bianchi e riguarda proprio la fase in cui dati transitano dai server di Napoli: “In tale fase, ai dati che non erano criptati, potevano aver eventualmente accesso in remoto solo gli amministratori di sistema di Rcs spa dalla sede di Milano”. Il tutto, però, in un fase che, fino all’altro ieri, lo stesso Bianchi aveva negato che esistesse. “Per quale motivo – chiedono i pm fiorentini a Bianchi – in sede di autorizzazione al Csm non ha riferito in ordine all’architettura CSS ed Hdm (i due server napoletani, ndr)?”. Ecco la risposta di Bianchi: “Il 28 luglio 2020 ho fornito al procuratore di Perugia, nella persona del dottor Formisano, una nota di chiarimento in cui vi è descritta l’architettura del sistema. Durante l’audizione al Csm mi sono riportato sostanzialmente alle informazioni contenute in tale nota. Soltanto successivamente, avendo ricevuto una convocazione davanti al Csm nel procedimento nei confronti di Cosimo Ferri, ho ascoltato la registrazione su Radio Radicale dell’intervento della difesa che esponeva di aver individuato un Ip di Napoli come destinatario della trasmissione di dati da parte del trojan (…). Mi sono reso conto allora dell’errore che avevo fatto nella descrizione dell’architettura indirizzata a Perugia ed esposta nell’audizione al Csm”.