Il genio della matematica per la destra è un traditore

L’Israel Prize, la più alta onorificenza culturale e accademica dello Stato ebraico ha lo scopo di celebrare i più grandi successi del Paese e le menti più rispettate. Ma quest’anno – e non per la prima volta – i festeggiamenti sono stati offuscati da polemiche, mettendo in luce un lato meno attraente del Paese: le profonde divisioni politiche ma soprattutto una pericolosa vena maccartista che si fa strada. Alla cerimonia non è stata fatta menzione del professor Oded Goldreich, che era stato scelto dal Comitato di selezione dell’Israel Prize 2021 in Matematica e Informatica.

Il motivo: secondo il ministro dell’Istruzione – l’ex generale dell’Idf Yoav Gallant – Goldreich è un sostenitore del movimento Bds (boicottaggio, sanzioni e disinvestimento) contro Israele. Gallant, membro del governo del partito Likud, si è rifiutato di controfirmare il premio che andava a Goldreich. Il premio “è l’onore più prestigioso che Israele può conferire”, ha sostenuto Gallant, “e chiunque non abbia a cuore lo Stato di Israele e le sue leggi non merita l’Israel Prize”. Sebbene Goldreich possa essere “uno scienziato brillante”, Gallant ha affermato che il movimento Bds, “sputa in faccia allo Stato di Israele e al mondo accademico israeliano, e potrebbe persino infrangere la legge”. Ma Goldreich ha dichiarato pubblicamente, sebbene sia un schietto oppositore dell’occupazione e del movimento per gli insediamenti in Cisgiordania, di non sostenere il Bds. “Se avessi sostenuto Bds, non avrei certo accettato il premio. Avrei dovuto boicottarlo”, la sua replica. L’approccio del ministro dell’Istruzione appare come “persecuzione politica” volta a delegittimare la sinistra, ha affermato il matematico dell’Istituto Weizmann. Goldreich insieme a centinaia di accademici di tutto il mondo, aveva firmato lo scorso mese un appello che chiedeva all’Unione Europea di non finanziare progetti affiliati alla Ariel University, un ateneo nell’insediamento di Ariel in Cisgiordania. Secondo la destra, quell’appello è una prova del suo sostegno al boicottaggio di Israele.

L’appello all’Ue chiedeva di “garantire che il suo programma di ricerca finanziato dai contribuenti europei non fosse utilizzato per legittimare o sostenere le attività accademiche israeliane negli insediamenti illegali nel territorio palestinese occupati”. Negli anni passati anche autori, registi e compagnie teatrali si sono visti tagliare i finanziamenti del governo per essersi rifiutati di rappresentare opere e commedie nel teatro dell’insediamento che con oltre 50 mila abitanti è il più popoloso della Cisgiordania. Dopo aver ripetutamente rifiutato le richieste di Gallant di ritirare il premio a Goldreich, il Comitato del premio ha presentato una petizione alla Corte Suprema di Israele. Alla fine, poco prima della cerimonia, la Corte ha stabilito che Gallant può “sospendere” l’assegnazione del premio e ha dato al ministro 30 giorni per esaminare la questione dell’idoneità di Goldreich e tornare in tribunale con le sue argomentazioni.

La difficile situazione di Goldreich non è passata inosservata agli altri vincitori dell’Israel Prize di quest’anno, altri cinque premiati hanno scritto una lettera di protesta contro il tentativo di Gallant di negare il premio a Goldreich. Anche i rettori delle università israeliane hanno scritto al ministro. “Negare un premio a una persona per le sue convinzioni politiche contraddice il principio di base dell’Israel Prize e danneggia gravemente la libertà di parola e il libero pensiero”, afferma la lettera, “e la tua decisione dà l’impressione che solo coloro che ‘sono in linea’ (col governo, ndr) saranno ricompensati e chiunque osi esprimere un’opinione politica diversa sarà punito”.

“Giulio nella macchina del dolore”

“Ci sono centinaia come Regeni”, il caso del ricercatore italiano “è una goccia dentro il mare”. Il teste “Epsilon”, come viene indicato dai magistrati della Procura di Roma che indaga sul sequestro e sull’omicidio di Giulio Regeni, non parla solo del giovane trovato senza vita al Cairo il 3 febbraio 2016. Bensì fornisce ai pm capitolini uno spaccato che riguarda anche altro, ossia un sistema di torture foraggiato dalla macchina dell’intelligence egiziana. “Epsilon” sa a cosa va incontro: “Sono un testimone oculare, se dovessi fare delle dichiarazioni… sarebbe una condanna a morte”, dice nel corso del suo interrogatorio. E ancora: “Per le cose che vi dirò, io temo per la mia vita…”.

Il suo nome è sempre coperto da un “omissis”. Agli investigatori italiani ha raccontato di aver visto tra il 28 e il 29 gennaio 2016 il ricercatore italiano nella stanza 13 della struttura Lazoughly. Dichiarazioni queste in parte già note. Ma leggendo il verbale integrale emergono circostanze finora inedite. Il signor Omissis (o testimone “Epsilon”) quando viene sentito in video collegamento il 29 luglio 2020 sembra aver paura: vuole parlare vis-à-vis con i magistrati di Roma, vuole venire in Italia e ha bisogno di protezione. Racconta dunque che ha lavorato per 15 anni negli uffici della National Security Agency (i servizi segreti egiziani di cui fanno parte alcuni degli agenti per i quali Roma ha chiesto il processo), spiega di aver “una lista dei nomi di ufficiali”, con la relativa specializzazione “nel settore delle torture”.

“Quel giorno che ha visto Giulio (28/29 gennaio 2016, ndr) ha domandato agli ufficiali che lei conosce chi era quell’italiano, che cosa aveva fatto?” chiedono gli uomini del Ros. “Ogni volta che andavo e parlavamo del lavoro – risponde il teste – ho chiesto se avessero stranieri lì e loro hanno risposto: ‘Questo ce l’abbiamo d’importazione estera’, indicando Regeni”. Quando si trova negli uffici della struttura Lazoughly l’uomo dice di aver capito che si trattava del ricercatore scomparso solo “cinque o sei giorni dopo, quando ho visto le foto sui giornali e ho capito che era lui”. E ancora: “L’ho visto ammanettato con delle manette che lo costringevano a terra”.

Il testimone però parla anche dei trattamenti riservati in Egitto ad alcuni fermati. “A parte Giulio Regeni, lei è a conoscenza di metodi di tortura che effettuano gli ufficiali della National Security?”, chiedono gli uomini del Ros. Il teste è molto chiaro: ” (…) Io stesso conosco i luoghi ove vengono praticate le torture. (…) Vedevo in prima persona ciò che avveniva, per esempio c’era un gruppo terroristico che era sottoposto a torture in quei posti là…”. E poi aggiunge: “Non solo la sede di Lazoughly, ma tutta la National Security era famosa per la pratica della tortura”.

Agli investigatori che gli chiedono: “Perché, secondo lei, Regeni è stato portato presso quella sede?”, il teste risponde: “Non c’è differenza tra una sede e l’altra, ma quando viene preso qualche straniero sospettato di tramare contro la sicurezza nazionale, viene portato in quella sede lì. Tutti gli stranieri appena scendono dall’aeroporto vengono attenzionati e monitorati e sono tutti un obiettivo, non solo Regeni”. E poi in un altro passaggio del verbale aggiunge: “(…) Loro hanno dei metodi di tortura stupidi, (…) non è perché si chiama Regeni o tizio (…) Stupidamente si fanno prendere la mano e ovviamente se muore il soggetto… il metodo è stupido, torturano finché non parla. (…) Partono dall’idea che ha sempre qualcosa da nascondere…”.

In quel mondo di torture, lui in passato ha addirittura comprato un macchinario: “Cito un esempio: io stesso ho comprato un macchinario per la tortura elettrica che consisteva in un telefono antico a manovella” con “due fili tramite i quali si praticava la tortura, e in quella occasione l’ufficiale che adesso è andato in avanzamento, mi ha chiesto di procurarglielo (…) dicendomi che non vuole procurare la morte dei soggetti”.

“Oltre a questo metodo dell’elettricità conosce altri metodi, ad esempio l’uso delle sigarette, l’uso dei coltelli?” gli chiedono gli investigatori. “Certo – è la risposta – (…) per esempio le donne vengono violentate, mentre per gli uomini si usano torture alle parti genitali”.

La testimonianza di quest’uomo è tra quelle finite agli atti della Procura di Roma. Negli ultimi mesi una decina di persone si sono fatte avanti per rivelare la loro versione dei fatti. Sono dichiarazioni preziose per gli inquirenti italiani.

Adesso per quattro 007 egiziani la Procura di Roma ha chiesto il processo e il 29 aprile si terrà l’udienza preliminare Ognuno degli imputati, come previsto dalla legge italiana, ha un avvocato d’ufficio. Tranquillino Sarno difende uno degli agenti della National Security: “È difficile – spiega – andare a processo se non abbiamo la certezza che gli imputati sappiano del procedimento penale”.

Superlega? Meglio il ciclismo epico

Dodici squadre europee, tra le quali Juventus, Inter e Milan, hanno deciso di essere troppo forti per continuare a perdere tempo con squadrette di poco conto e hanno fondato una nuova lega, la Superlega, per giocarsela fra loro. Basta con Crotone e Benevento. Loro vogliono giocare con Barcellona e Manchester United. È la rivoluzione del calcio. Anzi la Guerra Mondiale del calcio. Così sono tutti arrabbiati e ora gli altri (quelli rimasti fuori) minacciano di non far giocare le Supersquadre nei campionati nazionali. Ovvio, è la morte della Champions League. Ed è anche un sistema per togliere denari alle piccole società visto che le reti tv destineranno tutte le risorse alla nuova iniziativa.

È sempre successo così nel calcio come in molti altri sport. Le esigenze televisive hanno cominciato da tempo a cambiare abitudini sportive consolidate nel tempo. Pensate allo sparpagliamento delle partite in tutti i giorni della settimana, distruggendo quel meraviglioso meccanismo della contemporaneità. Sparpagliamento che ha causato la morte di fatto del Totocalcio, che finanziava tutto lo sport italiano. Pensate all’incredibile novità della prova televisiva, il Var, per stabilire la verità vera, che ha distrutto l’insindacabilità dell’arbitro, la sua magia, e anche il godimento di interminabili liti fra tifosi. Ma la domanda è: il calcio deve rimanere sempre uguale a se stesso? Io nello sport sono un conservatore e la mia risposta è sì. Tutti questi soldi che sono piovuti addosso alle società, in fondo, hanno soltanto arricchito oltre misura i calciatori. Se ne poteva fare a meno. Ma la stessa cosa è successa ad altri sport. Pensate al tennis che le reti televisive odiavano perché certe partite potevano durare all’infinito distruggendo i palinsesti. E fu l’avvento del terribile tie-break, una specie di ghigliottina perfida. I cambiamenti nello sport non mi piacciono. Il tiro da tre nel basket, l’asta di fibra nel salto con l’asta, l’innaturale fosbury nel salto in alto, l’ingresso delle donne nel sollevamento pesi, la fine della Coppa Davis nel tennis. Tutta roba che si poteva evitare, a mio giudizio. Viva il ciclismo che è rimasto sempre uguale a se stesso. Epico.

Hanno infettato pure Popper

Il grande Popper potrebbe spiegarci alcuni non banali fenomeni politico-comunicativi del nostro tempo. “Il nostro scopo, in quanto scienziati, è scoprire la verità circa il problema in esame; e dobbiamo considerare le teorie come seri tentativi per trovare la verità. Se non sono vere, possono rappresentare, evidentemente, importanti mezzi per il conseguimento della verità”. E ancora: “Lo storicismo confonde interpretazioni e teorie. Questo è uno dei suoi errori principali”. Sono proprio queste definizioni che oggi ci appaiono sfocate con una realtà che sembra, a volte, non interpretata ma teorizzata o, peggio, strumentalizzata. Il Covid è stato caratterizzato da un rapporto conflittuale tra una destra pro-aperture e una sinistra pro–chiusure, nelle cui soluzioni i due schieramenti hanno trovato non un’interpretazione scientifica, ma uno scopo identitario. L’interpretazione opportunistica ha generato teorie che hanno di gran lunga superato la teoria scientifica. Quasi mai si è fatto riferimento a dati decisamente falsi, ma spesso sono stati riferiti in parte o dimenticati, lasciando prevalere la convenienza. Peraltro, quale negazione del metodo di indagine, anziché apprezzare i “seri tentativi per trovare la verità”, tutti coloro che hanno tentato di mettere in evidenza l’altra parte di verità o teoria non “opportunamente” evidenziata, sono stati silenziati. Oggi, ad esempio, in concomitanza con la ribollente stanchezza degli italiani, la necessità economico-politica di consentire alcune manifestazioni sportive e culturali e di riaprire (con cautela) alcuni esercizi commerciali, spunta dal cappello il concetto che all’aria aperta il pericolo del contagio è dimezzato rispetto al chiuso. Si fa riferimento a uno studio irlandese OutdoorCOVID-19transmission is negligible per supportare le nuove posizioni, ricorrendo per l’ennesima volta all’uso utilitaristico della scienza. Il lavoro irlandese, seppur interessante, non è una novità. Perché non se n’è tenuto conto anche prima? Perché chi l’ha citato è stato addirittura additato con quel pessimo termine di “negazionista”? Forse ricordare le parole di Popper ci avrebbe aiutati.

 

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Vitalizi, se questa è l’educazione civica…

Leggo l’orrore dei vitalizi con settori in crisi nera e migliaia di morti e non so come dare senso, speranza, orizzonte ai ragazzi ai quali stiamo insegnando in Dad “per legge” anche educazione civica. Come giustifico un Parlamento che si fa i fatti propri? Io incoraggio i ragazzi a credere alle tasse, ai diritti costituzionali… non vedo alcun sussulto di, per dirne uno, Mattarella, Fico, il Pd… con un Letta che si dichiara innamorato della politica e non del bene comune, dell’uguaglianza dinanzi alla legge, ecc. e sciorina discorsi che sono contenitori: vuoti.

Giusy de Milato

 

Rc auto, è giusto pagare se non si fanno incidenti?

Ho letto con attenzione l’articolo di Patrizia De Rubertis sulle assicurazioni auto. Da anni intascano soldi tutelate dallo Stato, che è stato sempre dalla loro parte, fregandosene completamente dei cittadini, vedi come viene applicata la legge Bersani. Vorrei fare una domanda: ma è giusto che io paghi sempre l’assicurazione auto se da almeno 40 anni non faccio un incidente? Da una mia indagine, almeno nel mio paese e fra i conoscenti, risulta che oltre il 50% degli assicurati non fa incidente da 30 anni. È giusto pagare sempre e basta? Ci vorrebbe un presidente dalla parte dei cittadini, anzi un avvocato che pensi alle persone e non alle assicurazioni.

Biagio Stante

 

Qualche considerazione sugli esami di maturità

Il ministero ha diramato la griglia di valutazione per l’esame di Stato e ha disposto che le scuole pubblicizzino i caratteri salienti del lavoro svolto: si può valutare la razionalità della programmazione scolastica. La griglia ha cinque paragrafi: il primo riguarda le materie d’insegnamento, gli altri quattro indicano le qualità intellettive e operative che gli studenti devono dimostrare (capacità/abilità). Il ministero non ha semplicemente costituito la relazione strumenti/risultati, ha anche indicato la strategia educativa che deve essere adottata. Il primo punto della griglia, infatti, sviluppa il concetto di disciplina: da statico a dinamico. Il sapere depositato nei sacri testi deve essere affiancato dai metodi che ne hanno permesso la conquista; i metodi disciplinari, a loro volta, sono inscindibili dai problemi su cui sono applicati. Una dilatazione necessaria perché la lezione cattedratica non è funzionale allo sviluppo delle capacità indicate, perché richiama la sovrapponibilità dei metodi disciplinari con i processi con cui le capacità si manifestano; perché implica l’uso costante dei laboratori in cui si affrontano in gruppo i problemi che hanno costellato l’evoluzione delle discipline; perché i metodi disciplinari non si possono insegnare, si apprendono applicandoli. I traguardi espressi come capacità, infine, richiedono il coordinamento di tutti gli insegnamenti perché i processi d’apprendimento sono unitari.

Enrico Maranzana

 

Bisogna salvare Navalny ma anche Assange & C.

Alziamo la voce per Navalny, solidarizziamo, debolmente e con molti distinguo, con Assange, lottiamo inutilmente per Zaki e per Regeni, stendiamo un velo di omertà sulla morte di Ebru Timtik dopo un lunghissimo sciopero della fame (e non è la prima) in Turchia (della quale peraltro ci scandalizziamo perché ha fatto sedere una donna su un divanetto anziché su una poltroncina). Ma quanto siamo ipocriti! Forse sarebbe ora di smettere di usare i diritti umani come specchietto per le allodole.

Bruno De Zen

 

Si moltiplicano gli appelli da parte dell’Europa per salvare Navalny ed è cosa buona e giusta, ma perché non fare altrettanto mettendoli sullo stesso piano anche con Assange? Non mi pare che la vita di quest’ultimo sia molto diversa dalla prigionia del primo, braccato per aver svelato dei segreti che gli Usa non hanno saputo custodire.

Franco Novembrini

 

Stamane grandi testate italiane hanno scritto che l’Europa chiede a voce alta a Putin di liberare Navalny: bene. Dovrebbe però l’Europa chiedere anche a chi di dovere, di liberare Assange, i prigionieri politici in Turchia, in Egitto, in Siria e così via. Allora sarebbe credibile; alzare la voce per darsi un tono ogni tanto fa tenerezza.

Ermanno Migliorini

 

Il premier, la scommessa e i “calcoli” non detti

Quando Draghi rassicura dicendo che c’è solo un minimo rischio di chiudere, lo dice perché non chiuderanno anche se i numeri saliranno? E quanti sono i morti calcolati nel rischio calcolato? Perché si può anche fare come in Brasile e non chiudere; la scommessa di non richiudere sarebbe magari anche vinta, ma a discapito della vita dei cittadini.

Orlando Murray

 

La partitocrazia fa danni alla salute dei cittadini

Secondo me, purtroppo, questa pandemia sta evidenziando il fatto che se metti politici incompetenti nei posti chiave della sanità regionale e poi scegli società vicine al partito (magari denunciate all’Anac) per fornire servizi e materiali, sei sicuro di combinare disastri e causare gravi perdite umane. La partitocrazia fa danni alla salute e al benessere dei cittadini.

Claudio Trevisan

Scuola “Cari Brunetta e Bianchi, fate i concorsi: non una sanatoria”

Gentile redazione, si sta discettando della cosiddetta proposta Brunetta intorno ai concorsi pubblici. Pare che questo “pateracchio”, definito proposta, abbia la funzione di “sbloccare” i concorsi già a bando, e non completati, insediando competenti commissioni esterne… Be’ se è vero, “Dio ce ne scampi e liberi”. Io faccio riferimento ai concorsi della scuola. Per quel che è dato sapere sembra che il progetto di avviare una sanatoria più o meno camuffata stia per essere portato a termine… È il medesimo sistema di quello inaugurato (quanti anni fa?) dal ministro Malfatti come sanatoria per i precari. E insieme a questo vulnus, destinato purtroppo a ripetersi, a quel tempo è stato anche varato un patto “implicito” scellerato: “Ti chiedo poco e ti do poco”. Da quel momento la professione dell’insegnante è diventata poco appetibile per il genere maschile con conseguente progressiva femminilizzazione del ruolo docente.

Oggi la sanatoria possiamo benissimo chiamarla “condono”. Vi richiama alla mente qualcosa? Soltanto molto più grave e discutibile perché consumato alle spese della Scuola. Qui si tratta del polmone culturale del Paese: la Scuola. Una scuola che dovrebbe essere inclusiva, e per una scuola inclusiva le competenze professionali, culturali, metodologico-didattiche dei docenti dovrebbero essere innovative, aggiornatissime, approfondite, molto più di quelle di una scuola privata… Qui si tratta del progetto di picconare ancora una volta la scuola pubblica… Si tratta di salvare il salvabile dopo che questa povera scuola l’abbiamo dilapidata, trascurata, vilipesa, depotenziata. La povertà educativa sta crescendo in modo esponenziale e noi ci prendiamo il lusso di mettere in ruolo ope legis (o giù di lì) personale di cui non sentiamo il bisogno di accertare la preparazione? La scuola oggi ha bisogno delle migliori risorse del Paese, ha bisogno di docenti eccellenti, selezionati, che stiano scegliendo questa professione e su questa siano disponibili a investire energie intellettuali, studio , ricerca, che avvertano costantemente la “curiosità epistemica“, non che si accontentino della “prestazione” minima e che una volta raggiunta la “sistemazione” magari non prendano più in mano un libro… E i concorsi ordinari? Come si stanno declassando? Che destino avranno i giovani che stanno aspettando questo concorso da tempo per cui si stanno preparando? Caro ministro Brunetta, pensi pure agli amministrativi, ma la Scuola la lasci a chi la conosce, la pratica, la ama.

Cinzia Mion, dirigente scolastica in pensione

La Santa Barbara fulminata sulla via di Draghi e del Def

Lo ammetto: fino a venerdì sera, non conoscevo Barbara Fiammeri del Sole 24 Ore. Mai vista, mai letta, mai sentita. Colpa mia: perdo ancora troppo tempo a leggere i classici, quando invece la contemporaneità non manca di regalarci realtà vieppiù sfavillanti. Tipo la Fiammeri. La quale, durante la conferenza stampa di quattro giorni fa del Santissimo Draghi, ha esalato parole oltremodo rapite.

Lo sguardo trasfigurato dalla passione mistica, le mani in posizione messianica quasi che recitasse il Padre Nostro e la salivazione azzerata da un amore purissimo, Santa Barbara si è così rivolta all’Apostolo Mario: “Questo è un Def storico per i numeri che riporta. Ehhmggghhh… che mette i bbbrrividi… vorrei dire che se non ci fosse Lei Presidente del Consiglio, saremmo… gghh… proprio… terrorizzati!”. Siamo a pieno titolo dalle parti di Fantozzi: “È un bel Presidente! È un santo, è un apostolo!”. In un colpo solo, la nostra nuova eroina ha cancellato i record precedenti di draghite dei ballerini anonimi di terza fila, tipo i Cappellini, e dei fiancheggiatori finto equidistanti, tipo i De Angelis. Brava Barbara!

Sfortunatamente la realtà suole far capolino anche in tempi saturi di mieloso conformismo come i nostri. Così, due giorni fa, il buon Massimo Galli ha buttato giù al Fatto pensieri dannatamente lapidari, e si direbbe pure pertinenti: “Se devo essere franco non avrei pensato che la linea (di Salvini) prevalesse così velocemente. Mi duole dirlo, perché su Mario Draghi, come milioni di italiani, riponevo molte aspettative, ma sulla pandemia non ne ha azzeccata ancora una”. E ad affermarlo è stato Galli, dunque uno che ci capisce, non il primo Bechis che passava.

È sconfortante, e per certi versi quasi affascinante, constatare come buona parte dei media sia ciclicamente portata a venerare il Potere, quasi che fosse il Monolite Nero di kubrickiana memoria. Sperando di non ferire l’amor puro dell’ottima Fiammeri, che nel suo piccolo ha solo esternato quell’antica inclinazione italica nel correr sempre in soccorso del vincitore, verrebbe la voglia malsana e forse eretica di mettersi a contare i tanti errori commessi in questi mesi di anticipata santità dal Divino Draghi. Sulla pandemia e non solo sulla pandemia. La lista dei ministri, quasi sempre bruttina. La lista dei sottosegretari, quasi sempre da vomito. La comunicazione, prima latitante e poi inutilmente tronfia nonché tragicomicamente tonitruante. Gli attacchi imbarazzanti alle regole della vaccinazione, dimenticandosi che quelle regole le ha fatte lui. Il cambio ai vertici di Protezione civile. La defenestrazione di Arcuri, per far posto non a Mandrake ma al mitologico (ora e nei secoli) General Figliuolo. Il condono, irricevibile in sé e pure economicamente inutile (anzi dannoso, perché l’Italia ci perde pure soldi). La difesa di Speranza, in sé meritoria, associata però a queste riaperture quasi indiscriminate che vanno esattamente nella direzione opposta rispetto a quella auspicata da Speranza. I proclami fuori dal mondo sul “piano vaccinale che va benissimo”. Eccetera eccetera eccetera.

Se questo è il governo dei migliori, Senaldi è Pelé. Con un’aggravante meramente politica, di cui si spera prima o poi che si accorgano i desaparecidos Pd e M5S: più passa il tempo e più Salvini domina. Con l’ovvio assenso di Draghi, che ogni volta – o quasi – asseconda le fregole salviniane, o se preferite giorgettiane. È un governo all’apparenza di unità nazionale, ma nei fatti di centrodestra. Si scrive Draghi, si legge Salvini.

 

Serve una corte di giustizia per i “diritti della natura”

Da 51 anni si celebra la giornata mondiale della Terra. Il primo Earth Day fu una risposta dell’ambientalismo nordamericano a un disastroso inquinamento da petrolio sulle spiagge di Santa Barbara in California.

La proposta di celebrare “la bellezza e la vita della Terra” fu accolta dalle Nazioni Unite che stabilì la giornata ufficiale il 22 aprile, equinozio di primavera. Sono gli anni della “primavera ecologica”, dell’inizio della presa di coscienza degli impatti ambientali provocati dalla industrializzazione forzata. Una traiettoria suicida. Caos climatico e pandemie da zoonosi sono gli ultimi più evidenti sintomi di una rottura della “rete della vita” che lega tutti i fenomeni naturali secondo il principio della dell’interdipendenza. È in corso un biocidio: una distruzione deliberata, consapevole e pianificata delle specie viventi.

L’ultimo rapporto Global Earth Outlook dell’Onu, stima che il tasso di estinzione delle specie sta procedendo a un ritmo da 100 volte più veloce dell’inerzia naturale e riguarda batteri, funghi, microrganismi eucarioti, piante e animali. Secondo la “lista rossa” dell’Unione internazionale per la conservazione della natura (Iucn) 1.199 mammiferi (il 26% delle specie), 1.957 anfibi (41%), 1.373 uccelli (13%) e 993 insetti sono minacciati di estinzione. La causa principale è la distruzione degli habitat naturali. Anche in Italia le specie animali minacciate di estinzione sono 161, pari al 28% di quelle valutate (Ispra). Ci avvertono i virologi: perturbare gli ecosistemi è come aprire autostrade ai virus verso il salto di specie. Da tutto ciò ci si aspetterebbe che i decisori politici prendessero delle iniziative di prevenzione. Quest’anno la Giornata della Terra ha per sottotitolo: Restore Our Earth. Ma per guarire occorre estirpare il male alla radice. Non basta mitigare l’impatto ambientale.

Tutte le strategie intentate finora per creare un mondo socialmente giusto ed ecologicamente sicuro hanno dato esiti fallimentari. “Sviluppo sostenibile”, “economia verde”, “economia circolare” e ora “transizione ecologica” hanno un difetto sostanziale: si affidano fideisticamente alle innovazioni tecnologiche e al mercato, mentre si disinteressano dell’essenziale: la relazione solidale che lega ogni essere umano agli altri esseri viventi. Scriveva il filosofo Edgar Morin: “Abbiamo bisogno di una bio-antropologia, di una ecologia generalizzata” (L’anno dell’era ecologica). Il difetto delle soluzioni di mercato è pensare che si possano scambiare cose di natura diversa: le risorse naturali non sono merce, nemmeno se le ribattezziamo “capitale naturale” e se diamo un prezzo ai “servizi ecosistemici”. I patrimoni naturali hanno un valore d’uso non intercambiabile con il denaro. Nemmeno l’affidamento alle nuove tecnologie ci salverà dal collasso ecologico. La fame di acciaio, cemento, alluminio, carta, vetro, materiali sintetici… non si ferma. Marciamo a 100 miliardi di tonnellate all’anno di materiali vergini estratti dalla Terra. Si stima che la “massa antropogenica” (edifici, strade, macchinari, oggetti di consumo e così via) abbia ormai superato in peso la biomassa vivente animale e vegetale. (Global human-made mass exceeds all living biomass). Non ci viene in aiuto nemmeno l’“economia circolare”. L’ultimo rapporto (The Circlularity Gap) ci dice che l’economia mondiale ricicla solo l’8,6% di materiali. La crescita del Pil si “tira dietro” l’aumento dello sfruttamento delle risorse naturali. È indispensabile invertire questa tendenza autodistruttiva. Che fare? Il nuovo presidente degli Stati Uniti riunirà vari capi di stato in occasione della Giornata della Terra. Suggeriamo una buona azione per iniziare: l’istituzione di una Corte di giustizia per i diritti della natura.

 

Pandemia, vince la linea di Salvini “il Bolsonaro”

Davvero qualcuno pensava che il ritorno della Lega di Salvini al governo fosse senza conseguenze? L’Italia fa “inversione a u” nella lotta al virus, decidendo di fare come se la pandemia non ci fosse più. Diciamolo in modo provocatorio: stiamo sposando la linea calcolatamente suicida (o meglio, omicida) di Bolsonaro, amico e riferimento di Salvini. Va gridato sui tetti: perché l’unica “opposizione” parlamentare, l’estrema destra di Fratelli d’Italia, rivendica come propria la scelta del governo, il coro non ammette voci dissenzienti e la propaganda semina “ottimismo e spensieratezza”: non per caso ieri l’apertura di Repubblica e le sue prime tre pagine erano sul calcio.

Fermiamoci un secondo a riflettere. Il governo riapre senza chiedere il parere del Comitato tecnico scientifico (secondo la ricostruzione di Open, non smentita); il professor Massimo Galli spiega perché rischiamo un effetto Sardegna, con un ritorno repentino al rosso profondo: “al rosso sangue”, dice; il professor Andrea Crisanti dichiara che riaprire è “una stupidaggine epocale”, e che “purtroppo l’Italia è ostaggio di interessi politici di breve termine, che pur di allentare le misure finiranno per rimandare la ripresa economica”; e la dottoressa Flavia Petrini, presidente della Società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva si esprime in questi termini: “Riaprire? È sbagliato. Non ci sono le condizioni, ma si può fare: basta, però, che si dichiari che abbiamo deciso di sopportare decessi e impossibilità di cure per salvare un’economia che è arrivata a un punto limite. L’economia deve avere la precedenza? Bisogna dichiararlo, anche se è incostituzionale perché la Costituzione dice che il diritto alla salute è un diritto primario”. Se di fronte a questo scenario, il discorso pubblico viene dirottato sul calcio, ebbene non sentite l’inconfondibile odore di un populismo dell’élite, che invita a consumare come se il virus fosse sparito? E questa variante brasiliana, questo bolsonarismo de noantri – cioè questo impasto di cinismo economico e negazionismo di fatto – rischia di esserci letale.

Se la vittoria di Salvini pare chiarissima, assai meno perspicua è la posizione del ministro Roberto Speranza. Sono tra coloro che hanno firmato l’appello in sua difesa. Benché abbia non poche critiche da fargli, ho aderito perché quelle critiche sono diametralmente opposte a quelle con cui lo bersaglia la destra. Scrissi nel maggio scorso che le riaperture del governo Conte (pur assai meno rischiose di quelle di oggi, per i numeri, e per l’assenza delle varianti: rischi non bilanciati dal ritmo inadeguato delle vaccinazioni, affidate a quel signore in mimetica) erano un errore. E l’episodio del libro ritirato è una macchia imbarazzante. Ma qualunque alternativa a Speranza nel quadro politico attuale sarebbe peggiore: salvo che ora lo stesso Speranza finisce col subire, e di fatto approvare, la linea Salvini-Draghi! Dall’ambiente di Speranza filtra che le riaperture sarebbero assai meno sostanziali di quel che sembra, solo fumo negli occhi di Salvini. Io non credo che sia così. Basta vedere l’esplosione di assembramenti avvenuta già in questo fine settimana: ciò che conta è il messaggio, e la conferenza stampa di Draghi e Speranza è suonata come un clamoroso “rompete le righe!”. Bisogna poi riflettere sulla riapertura delle scuole. Dopo un anno e mezzo in cui sono state chiuse per prime (e non come ultime trincee da abbandonare) e maltrattate in tutti i modi (fino alla sospensione dei vaccini per gli insegnanti imposta da Draghi), ora siamo alla demagogia della riapertura al 100% per l’ultimo mese. Naturalmente senza che Draghi abbia fatto alcunché per i trasporti, né per l’edilizia scolastica: così che riaprire tutto ora è pura propaganda, sulla pelle di insegnanti e famiglie. E ai primi inevitabili focolai, allora sì che della scuola si getteranno via le chiavi. Era questione di settimane: ben altra cosa sarebbe stato riaprire, gradualmente, a metà giugno, a scuole chiuse, a vaccinazione avanzata, a estate iniziata. Ma così è soltanto una terribile mossa politica.

È davvero penoso dover pensare e scrivere queste cose. Perché tutti, ovviamente, speriamo che qualche santo, lo stellone italico o la fortuna degli incoscienti facciano invece andare tutto bene, ed è pesante il ruolo di Cassandra (che stava sulle scatole a tutti, ma vedeva giusto). Il punto è che governare non vuol dire scommettere sulla vita o sulla morte della gente: le decisioni prese in nome del mercato, e della sopravvivenza politica dello stesso governo, non rappresentano un rischio ragionato, bensì un azzardo contro la scienza e la coscienza. E, a chi morirà per le conseguenze di questa scelta alla Bolsonaro, vaglielo a spiegare che, no, Mario Draghi è remotissimo dal caudillo brasiliano.

 

“Striscia”, l’uso scorretto del “politicamente corretto”: alcuni esempi

Striscia non chiede scusa perché è, e resterà, una trasmissione satirica e, come le trasmissioni satiriche e comiche di tutto il mondo, politicamente scorretta (Ufficio stampa di Striscia la notizia, Ansa, 15 aprile).

La scenetta di Striscia con Gerry Scotti e Michelle Hunziker che fanno la caricatura dei cinesi dicendo L invece di R e mimando gli occhi a mandorla ha avuto una risonanza internazionale che ha sorpreso molti italiani: non abituati al discorso sul razzismo nei media, mostrano di ignorare che si può essere razzisti anche in modo involontario. Perfetta, quindi, la contrizione di Michelle (“Sono lungi dall’essere razzista, gli stereotipi si insinuano nella nostra quotidianità senza che ci accorgiamo della loro presenza e senza farci rendere conto che potrebbero essere dolorosi per qualcun altro. Ci abituiamo alla loro presenza e li normalizziamo. Ma ora stiamo imparando a cambiare. Tutti noi stiamo imparando, e sono lieta di poter cogliere l’occasione di cambiare anch’io. Quindi, di nuovo vi chiedo scusa. E vi prego di non odiare: tutti facciamo degli errori”), in un video su Instagram che la mostra in total white, la divisa ufficiale delle pubbliche scuse worldwide.

Purtroppo, chi ha difeso il programma ha banalizzato buttandola sulla “dittatura del politicamente corretto” e sul “diritto di satira”. Cerchiamo di sbrogliare la matassa, di cui fa parte anche un fatto emblematico: i giornali italiani hanno ricordato le minacce di morte ricevute dai due conduttori, ma hanno dimenticato quelle da cui è stato subissato Louis Pisano, il giornalista di Harper’s Bazaar che ha stigmatizzato su Instagram la gag di Striscia (shorturl.at/bqAOP).

Un discorso è “politicamente corretto” se non ghettizza per etnia, genere, orientamento sessuale, età, religione e disabilità: la locuzione, dunque, esprime un concetto nobile, ma nei Paesi multiculturali la destra se ne serve per derubricare a una questione di stile, da sbeffeggiare, sia le critiche sostanziali alle sue politiche reazionarie e discriminatorie, sia i giudizi contro il linguaggio che le formula, nel qual caso la destra inveisce contro la “polizia del pensiero”. Questa tendenza perniciosa, di cui l’ultimo esponente chiassoso è stato Trump, finisce per sdoganare comportamenti aberranti, come quelli contro cui è sorto il movimento di protesta #blacklivesmatter. Una tattica sussidiaria dei reazionari, molto in voga sui social, invoca la “libertà di espressione”, come se ci fosse libertà di razzismo. I più sofisticati ricorrono a una frase di Ricky Gervais: “Solo perché ti sei offeso, non significa che hai ragione”. Giusto, ma l’argomento è reversibile: “Solo perché mi sono offeso, non significa che ho torto”. Razzismo e discriminazione, infatti, non riguardano l’atto di offendersi (che può essere più o meno giustificato: se l’esistenza dei gay ti offende, hai torto), ma il contenuto razzista e discriminatorio (che può essere giudicato tale in modo obiettivo, e può essere indipendente dalle intenzioni dell’emittente: se perculi i gay come esseri ridicoli, hai torto). Le idee, e la lingua che le esprime, si adeguano ai mutamenti della società: possono farlo in peggio, come durante il nazismo, o in meglio, come sta accadendo nelle democrazie occidentali grazie ai movimenti per i diritti civili. Oggi, per esempio, non sono più accettabili barzellette come questa, tratta da un’antologia stampata a New York nel 1921: “Un uomo di colore, benestante, si ammala, ma non migliora con le cure di un medico della sua stessa razza. Così chiama un medico bianco, che dopo un esame accurato gli domanda: ‘L’altro dottore le ha preso la temperatura?’ Il malato scuote la testa: ‘Non lo so, signore. Mi pare mi manchi solo l’orologio’”.

(1. Continua)