Non dite a Beppe Grillo – anzi sì, diciamoglielo – che denunciare una violenza dopo otto giorni non è “strano”, come sostiene lui. È “strano” il contrario: avere immediatamente la consapevolezza, l’autodeterminazione e il coraggio necessari a presentarsi in caserma e raccontare cosa ti è successo. A volte – si tenga forte, Grillo – ci vogliono mesi solo per realizzare quel che ti è accaduto, per convincerti che non sei stata tu ad aver sbagliato. È per questo che un anno e mezzo fa, il Parlamento ha raddoppiato i tempi entro cui è possibile sporgere querela: erano troppo pochi i sei mesi previsti dalla legge. E il Codice rosso – lo hanno firmato i ministri del Conte-1, Alfonso Bonafede e Giulia Bongiorno – ha allargato a un anno la finestra a disposizione della vittima per denunciare. Semmai le dovesse venire in testa di girare un altro video sul tema, le agevoliamo un altro paio di novità introdotte dalla giurisprudenza e dal codice penale: puoi essere stuprata anche se hai i jeans, la minigonna non istiga alla violenza, un no è un no (anche se un minuto prima aveva detto sì), l’alcol può essere un’aggravante. E anche quella cosa del matrimonio riparatore, attenzione a non confondersi: sono solo quarant’anni, ma non funziona più.
Salvini e Speranza, due pesi e due misure
Nessuna remora e nessuna vergogna: il giornalismo militante di destra racconta i fatti con doppi o tripli standard, a seconda dei casi. Da una parte c’è l’inchiesta di Catania per cui Matteo Salvini va a processo: per Libero, il Giornale e la Verità è una specie di martirio. Particolarmente scatenato il giornale di Vittorio Feltri: “Salvini è innocente”, titolone in prima. “Dovremo organizzare il funerale della Giustizia”, scrive il direttore di Libero nel suo editoriale, mentre nello sfoglio del quotidiano a occuparsi della vicenda è una penna prestigiosa ed equilibrata come quella di Paolo Becchi: “Vogliono far fare a Salvini la stessa fine di Berlusconi”. Ma non tutte le inchieste vengono per nuocere, a destra. Gli atti dell’indagine su Bergamo che riguardano Roberto Speranza sono usati e abusati dalla stampa filo-salviniana per l’ennesima campagna sul ministro della Salute. “Dopo l’inchiesta di Bergamo Speranza deve lasciare”, scrive Maurizio Belpietro sulla Verità. Per il Giornale il titolo è questo: “Le bugie di Speranza: il ministro sapeva del report dei misteri”. La notizia sarebbe un’altra: secondo la Procura di Bergamo, Speranza non fece nessuna pressione per far rimuovere la relazione, ma finisce in un sommarietto. Giornalismo selettivo.
La Reuters ci rallenta, ma il premier accelera
Se ci sono dei dubbi, smussare. Se ci sono rallentamenti, tu di’ che stanno accelerando. Il copione si ripete instancabile, sempre lo stesso. Ieri Repubblica e Corriere della Sera si sono ben guardati dal dare notizia di un’agenzia Reuters da cui filtravano i timori della Commissione europea sulla capacità italiana di rispettare le scadenze. “Alcune voci” le liquida il quotidiano del gruppo Gedi mentre il cugino piemontese, La Stampa, offre invece una ricostruzione attenta sulla notizia diramata da una “importante agenzia internazionale”. Ma a Roma le agenzie internazionali non le leggono. E al Corriere non se le filano proprio. Qui il ritmo degli articoli sul Recovery è dato da titoli come “Riforme ecco il piano” o l’immancabile “Draghi accelera”. Che chissà dove è arrivato ormai, a furia di leggere da due mesi in qua delle sue accelerazioni! Con sprezzo del pericolo “anche sulle riforme si sta accelerando” e sapete come? Addirittura “con un gruppo di lavoro” insediato dalla ministra Cartabia. E invece sembra proprio che le riforme non saranno rese note entro il 30 aprile e la certezza che l’Italia possa conseguire i primi anticipi a luglio non ce l’ha nessuno. Ma il governo accelera, anche quando indietreggia. L’accelerazione del gambero.
Non si ragiona col virus comunista
Sere fa sentivamo Alessandro Sallusti dire a Otto e mezzo che il “dobbiamo prenderci un rischio ragionato” di Mario Draghi, a proposito delle riaperture, è cosa buona e giusta poiché “il concetto del rischio ragionato è un caposaldo della cultura e della politica liberale”. Probabilmente, il direttore del Giornale pensava al rischio d’impresa, che tuttavia con il rischio di una rinnovata ondata pandemica c’entra come i cavoli a merenda. Per la semplice ragione che, per esempio, nella cultura del libero mercato, l’imprenditore si assume le conseguenze positive, ma anche quelle negative dell’impresa, ne ricaverà i profitti ma se gli va male pure i debiti. Mentre chi tenta di scaricare sulla collettività il peso del rischio non andato a buon fine potrebbe ricevere la visita della Finanza. Perciò l’annuncio del governo al Paese sarebbe stato completo se Draghi, e il ministro della Salute Speranza, che gli sedeva accanto, avessero detto: dobbiamo prenderci e dovete prendervi un rischio ragionato. Poiché il rischio, per quanto ragionato, di una eventuale, malaugurata nuova crescita dei contagi dopo il (quasi) liberi tutti del 26 aprile (vaticinata dagli infettivologi profeti di sventura) finirebbe per ricadere sull’intera popolazione, amanti del rischio e non. Piccolo particolare che sembra sfuggire alla politica del riaperturismo senza limitismo di Salvini&Meloni&Renzi. Quest’ultimo, in una delle sue rarissime interviste a Repubblica dice: “la bandiera delle riaperture intestiamocela noi riformisti”. Evvai, frase che ci segniamo a futura memoria. Per l’aedo di Bin Salman, “non di solo pubblico impiego vive l’Italia”. Certo che l’Italia dei non garantiti (quella del commercio, degli artigiani, delle partite Iva) ha sofferto e soffre assai di più dell’Italia dei garantiti (pensionati, impiegati pubblici, dipendenti di imprese grandi e medie). Certo che il “rischio ragionato” cerca di venire incontro alle necessità di circa 5 milioni di lavoratori autonomi e delle loro famiglie ridotte allo stremo. Purtroppo però lo sciagurato Covid, a digiuno della politica del libero mercato (per non parlare della cultura riformista), quando colpisce non distingue, si comporta in modo assolutamente egualitario, interclassista e forse anche comunista per farsi apprezzare dal ministro Speranza. Ragion per cui il rischio ragionato dovrebbe uniformarsi al “partito della prudenza” (Luca Ricolfi) piuttosto che al partito del mojito. Sempre a sostegno del liberismo virale, Sallusti cita l’aforisma secondo il quale “è vero che una nave è al sicuro solo in porto, ma non è per questo che le navi sono fatte”. Vero, poi però esistono le navi tenute in quarantena al largo. Quelle che espongono la bandiera gialla. Ha presente?
Dal M5S al Diritto civile: Conte torna prof. per un giorno
Da un contratto all’altro. Ma stavolta non è quello che lega il M5S alla piattaforma Rousseau che tanto sta facendo dannare il nuovo leader: per un giorno Giuseppe Conte mette da parte le beghe interne al Movimento e riprende in mano il manuale di Diritto Privato (in gergo studentesco “il Torrente” dal nome dell’autore) per tornare tra i banchi dell’Università di Firenze e spiegare ai suoi studenti la nozione generale di “contratto” del codice civile. Conte, che tra pochi giorni scioglierà la riserva e diventerà leader del M5S, dopo la lectio magistralis del 26 febbraio sul tema della pandemia, per la prima volta ieri è tornato a insegnare quella che era la sua materia accademica prima di diventare premier nel 2018. Ieri mattina è stato invitato come ospite nel corso magistrale di Diritto Privato dal professore Vincenzo Putortì che lo ha introdotto ai 30 studenti presenti nell’aula del polo delle Scienze sociali di Novoli (Firenze) e agli oltre 250 collegati via web: “Con questa lezione diamo il bentornato all’Università di Firenze al professor Conte” ha introdotto il professor Putortì che poi si è detto “onorato” della presenza dell’ex premier ringraziandolo per “il lavoro fatto da presidente del Consiglio in uno dei momenti più difficili degli ultimi 70 anni”.
Conte, collegato via Zoom dalla sua casa romana, lo stesso sfondo con cui negli ultimi giorni si era mostrato ai gruppi parlamentari del M5S, ha fatto una breve introduzione dicendosi “contento di riprendere il contatto, seppur virtuale, con studenti e studentesse del primo anno”. Poi l’ex premier, che spiegava seguendo il manuale, per quasi due ore ha parlato del concetto di “contratto” partendo dall’articolo 1321 del codice civile. Conte si è soffermato anche sul confronto tra la contrattualistica italiana e quella di Germania e Francia. La lezione si è prolungata fino alle 14.20 e, visto che alle 14.30 ne sarebbe iniziata un’altra, gli studenti non hanno avuto il tempo per fare domande all’ex premier, che comunque non ha fatto alcun accenno alla sua esperienza da presidente del Consiglio o alla sua nuova avventura da leader del M5S.
Eppure ieri non era un professore come gli altri. Tutti lo conoscevano soprattutto per il suo ruolo pubblico tant’è che, racconta chi era in aula, l’attenzione degli studenti è stata particolarmente alta. E tra i suoi studenti c’è anche chi gli dà consiglio sul suo futuro: “In questo anno ho visto quanto si è impegnato da premier per combattere il Covid e gli consiglio di restare in politica – dice Daria, studentessa pugliese – come professore è preciso ma freddo, come politico funziona di più”. Fino a giugno, Conte avrebbe in programma di fare altre lezioni come co-docente per un totale di 40 ore, ma è molto probabile che quella di ieri sia una delle sue ultime volte all’Università di Firenze prima di tornare a vestire i panni del politico e chiedere un altro periodo di aspettativa. Nei prossimi giorni, forse già entro la settimana, l’ex premier dovrebbe definitivamente presentare il suo piano come leader del M5S sciogliendo i nodi che agitano la base e i parlamentari del Movimento tra cui il rapporto con Rousseau. Dopo la sentenza del Tribunale di Cagliari, il M5S potrebbe doversi dotare di un organo collegiale e un’ipotesi per eleggerlo sarebbe quello di pagare la singola votazione alla piattaforma.
Grillo imbarazza il Movimento “Ciro coglione, non fu stupro”
L’artista, che è anche e soprattutto il Garante di un Movimento, ha letto i giornali che raccontavano di un processo in arrivo per il figlio. Ha appreso della moglie intercettata. E il dolore di padre, di cui da anni parla ai suoi 5Stelle, è tracimato in rabbia: “Non ci voleva pure questa, è terribile”, sussurrano grillini di rango quando all’ora di pranzo Beppe Grillo diffonde un video su suoi social, un minuto e 39 secondi in difesa del figlio Ciro, indagato per violenza sessuale di gruppo.
Un flusso di coscienza, filmato senza preavvertire nessuno del M5S: “Dipingono mio figlio come uno stupratore seriale assieme ad altri tre ragazzi”. dice dei giornalisti. Pochi attimi e il tono si scalda: “Se sono stupratori seriali perché non li avete arrestati subito? – prosegue rivolto ai pm –. Perché vi siete resi conto che non è vero niente… Una persona che viene stuprata la mattina, e il pomeriggio va in kitesurf, e poi dopo otto giorni fa la denuncia vi è sembrato strano: be’, è strano”. Il fondatore del M5S batte le mani sul tavolo: “C’è il video, si vede che c’è la consenzialità, che c’è il gruppo che ride, quattro ragazzi di 19 anni che si stanno divertendo e che saltellano con il pisello di fuori perché sono coglioni e non stupratori”. Immagini di cui Grillo parla a tutti da molti mesi, raccontano a margine dal M5S, convinto che scagionino il figlio. “Sono due anni – conclude con voce deformata – sono stufo, se dovete arrestare mio figlio perché non ha fatto niente arrestate anche me”. Fine. E inizio di un pomeriggio terribile per i 5Stelle. “Ha detto cose pesantissime”, si macera subito un grillino di governo. Ma Alessandro Di Battista ha già scritto su Facebook: “Coraggio Beppe, sei un papà e ti capisco, spero che si possa chiarire tutto e alla svelta”. A chi lo chiama, Di Battista spiega: “Al di là delle diversità di vedute Beppe mi è caro, volevo manifestargli vicinanza”. Si fa sentire anche Paola Taverna (“Da mamma gli sono vicina, no a speculazioni”), mentre il reggente Vito Crimi misura le sillabe: “Siamo vicini a Beppe, la magistratura accerterà la verità”. Ma c’è chi prende proprio le distanze, come la vicepresidente della Camera Maria Edera Spadoni: “Mi dispiace per Beppe, ma ogni donna ha diritto di denunciare quando se la sente di farlo”. E la deputata Federica Daga è ancora più esplicita: “Ho avuto una relazione con una persona violenta e ci ho messo sei mesi per denunciare”. La renziana Maria Elena Boschi affonda il colpo: “Le parole di Grillo sono piene di maschilismo, vergogna”. Piovono critiche anche dal Pd. E Giuseppe Conte? Nel pomeriggio pubblica un post contro la Superleague, il campionato dei più ricchi club europei. Ma su Grillo tace. È una rogna anche per lui quel video, in questa complicata fase di rifondazione. Anche perché Grillo è il Garante, ma d’ora in poi per lui sedersi a tavoli politici sarà quasi impossibile. Non è una buona notizia neppure per l’ex premier.
La procura di Tempio Pausania nei giorni scorsi ha sentito i quattro ragazzi, su richiesta dei loro difensori, ma sembra orientata verso la richiesta di rinvio a giudizio. I fatti risalgono all’estate del 2019. Ciro Grillo e i tre amici – Francesco Corsiglia, Edoardo Capitta e Vittorio Lauria – sono in Sardegna per festeggiare la fine della maturità. Incontrano le due coetanee al Billionaire, il 15 luglio, e la serata finisce a casa Grillo, nel residence Pevero di Porto Cervo. Su cosa succeda a questo punto esistono due versioni alternative. Quella della ragazza, che denuncia i fatti al suo ritorno a Milano, racconta di una violenza brutale, accompagnata da tanto alcol (sarebbe stata “presa per i capelli” e indotta a bere mezza bottiglia di vodka”). Il primo stupro nascerebbe dopo un tentativo di rifiuto a Corsiglia. Subito dopo si sarebbero aggiunti gli amici, che si sarebbero alternati in “cinque o sei rapporti”. La versione degli indagati è invece che si è trattato di un rapporto consenziente. Esistono due video – girati dai quattro amici – che vengono interpretati in modo opposto dalle due parti. Al solo Grillo viene contestata un’altra violenza, per una foto che lo ritrae in una posa oscena accanto alla seconda ragazza, addormentata sul divano.
Sul caso è intervenuta ieri anche la famiglia della vittima, attraverso l’avvocato Giulia Bongiorno: “Siamo distrutti. Il tentativo di fare spettacolo sulla pelle altrui è una farsa ripugnante. Sminuire e ridicolizzare il dolore, la disperazione e l’angoscia della vittima e dei suoi cari sono strategie misere e già viste”.
Per rimediare allo scandalo, ora la Casellati faccia Appello
Ecco il testo della petizione rivolta al presidente del Senato e per suo tramite al Consiglio di presidenza del Senato e ai capigruppo del Senato. Per aderire e firmare, sarà online dalle 15 di oggi su ilfattoquotidiano.it e su change.org
La Costituzione afferma che “i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore”. Questo presupposto, troppo spesso dimenticato in Italia, è stato offeso dalla decisione della Commissione Contenziosa dell’Istituzione da Lei presieduta che prevede, a fronte del ricorso del condannato per corruzione Roberto Formigoni, l’annullamento erga omnes della delibera del Consiglio di Presidenza del Senato del 2015 che, in continuità con quanto previsto dalla legge Severino, aveva stabilito la cessazione dell’erogazione del vitalizio ai condannati per reati gravi.
Non sfugge ai cittadini che l’annullamento da parte dell’organo di giurisdizione interna del Senato di quella delibera varata dal Consiglio di presidenza della medesima istituzione comporta la ripresa del vitalizio non solo per i condannati per corruzione, ma anche per reati di mafia e terrorismo. Le chiediamo quindi di dare mandato all’Amministrazione per sollevare il doveroso conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato di fronte alla Corte Costituzionale; di ricorrere in appello al Consiglio di Garanzia; di porre il tema al Consiglio di Presidenza del Senato; nelle more, di sospendere l’esecutività della decisione della Commissione Contenziosa; e infine di farsi parte attiva affinché, in questo momento di grave difficoltà per tutti i cittadini italiani, anziché spendersi per i vitalizi, i senatori offrano un contributo di solidarietà sacrificando una parte delle loro indennità.
Camera. Spettro do Brasil Leghista manca da 1 anno
AMontecitorio non ha avuto problemi col distanziamento, dato che in mezzo ci ha messo un oceano. L’Atlantico, per l’esattezza. Parliamo di Luis Roberto di San Martino Lorenzato di Ivrea, deputato brasiliano eletto nella circoscrizione Sudamerica per la Lega. Da oltre un anno, infatti, Lorenzato è scomparso. Desaparecido. Alla Camera non s’è più visto. L’ultima sua apparizione è stata sul decreto milleproroghe, il 20 febbraio 2020. Poi più nulla. “Forse è venuto un paio di giorni a luglio e stop”, racconta un suo collega di partito. Il tutto, naturalmente, continuando a percepire il lauto stipendio da deputato che, sommando le varie voci, arriva fino a 13.971 euro al mese. E dire che Lorenzato, prima dello scoppio della pandemia, era tra i deputati più presenti. Poi è sparito. A un giornalista di Fanpage che l’ha contattato, prima ha negato le assenze, poi ha ammesso, giustificandosi con le restrizioni nei viaggi dal Brasile. Motivi che non reggono, perché i voli ci sono e il diritto di un deputato a venire in Parlamento è sempre garantito.
Avvocato civilista e imprenditore vinicolo, Lorenzato sostiene di discendere da re Arduino d’Ivrea, proclamato sovrano d’Italia nel 1002 dopo Cristo. Per questo si presenta come Conte di San Martino e Signore di Loranzè, attuale capo della Casa Reale di Ivrea. Amico di Bolsonaro, a suo dire la campagna vaccinale in Brasile procede benissimo e le notizie drammatiche che arrivano da lì sono fake news e “sciacallaggio”. In uno degli ultimi post su Fb si appella a Santa Giacinta per far finire la pandemia nel Paese sudamericano.
“Quella Commissione non poteva annullare la delibera di Grasso”
“La Commissione contenziosa non poteva sbarazzarsi di una delibera dell’Ufficio di presidenza”. Nonostante il ginepraio dell’autodichia crei molte incertezze procedurali, il costituzionalista Andrea Pertici riprende quanto sostenuto sul Fatto da Pietro Grasso: la decisione di restituire il vitalizio a Roberto Formigoni, Ottaviano Del Turco e agli altri condannati in via definitiva è un’anomalia. Anche se non sarebbe agevole un ricorso alla Corte costituzionale, anche per colpa dell’autogoverno di Palazzo Madama.
Professor Pertici, che idea si è fatto della sentenza sui vitalizi?
Mi ha sorpreso, perché se la Commissione contenziosa è un giudice, non dovrebbe poter annullare le norme in base alle quali deve pronunciarsi. Altrimenti diventa libera da ogni vincolo. Diverso sarebbe stato se avesse richiesto un nuovo intervento del Consiglio di presidenza, ad esempio per poter erogare un assegno minimo di sostentamento, ma la strada percorsa è stata ben diversa e suscita molte perplessità.
Ritiene possibile sollevare un conflitto di attribuzione davanti alla Consulta?
Il conflitto di attribuzione presuppone ci sia un soggetto che non si riesce a difendere con mezzi interni e che è legittimato a far valere davanti alla Corte la lesione di una attribuzione sancita nella Costituzione. Su questo la Consulta esercita uno stretto scrutinio di ammissibilità. Intanto, però, sul merito della decisione della Commissione la segreteria generale del Senato può fare ricorso al Consiglio di garanzia, che è il grado d’appello della Commissione contenziosa.
Il ricorso alla Corte potrebbe essere presentato dal Consiglio di presidenza?
Andrebbero verificati con attenzione i presupposti, quando si tratta di autodichia gli atti non sono mai facilmente accessibili. Il rischio, in ogni caso, è che venga considerata una questione interna. Peraltro non mi risulta una posizione critica del Consiglio di presidenza rispetto alla scelta della Commissione.
La Commissione ha citato i criteri del reddito di cittadinanza per restituire l’assegno ai condannati.
Il reddito di cittadinanza non c’entra niente. Qui non si tratta di un contributo minimo per persone in difficoltà, ma di un vitalizio piuttosto cospicuo. La decisione dimostra l’ambiguità sulla natura del vitalizio.
In che senso?
C’è molta confusione sulla configurazione del vitalizio, la cui funzione ha finito per essere sostanzialmente quella pensionistica, pur mantenendo grosse differenze rispetto a una pensione. Oltre ad essere stato a lungo erogato anche in età non pensionabile, non si è certo limitato ad assicurare “mezzi adeguati alle esigenze della vita” in caso di vecchiaia, come da Costituzione, ed è stato corrisposto a prescindere dal trattamento previdenziale maturato negli stessi anni dagli eletti con altre attività professionali.
Fa effetto vedere condannati per reati contro la Pubblica amministrazione ricevere l’assegno come nulla fosse.
Anche qui, dobbiamo intenderci su cosa è il vitalizio. Se fosse, come non mi pare, una sorta di benemerenza per il servizio svolto, potrebbe venire meno di fronte a eventuali condanne. Se è parificato almeno nella funzione a un trattamento previdenziale, per quanto atipico, potrebbe esserne mantenuta una parte come erogazione di quei “mezzi adeguati alle esigenze della vita”, con la possibilità di un taglio che la Corte ha già affermato più volte come legittimo per i rapporti di durata.
Ci sono parecchie resistenze quando si tratta di scardinare questi privilegi.
Dipende dal fatto che chi dovrebbe intervenire è anche soggetto interessato, come in questo caso, dove la Commissione è composta in gran parte da senatori. E allora o c’è una forte spinta dell’opinione pubblica o difficilmente ci si possono aspettare novità in quella direzione.
Una firma contro il vitalizio ai corrotti
Il Fatto Quotidiano lancia una petizione in modo che i cittadini possano farsi sentire da Maria Elisabetta Alberti Casellati. Fino a convincere il Senato a sollevare un conflitto di attribuzione di fronte alla Corte costituzionale ora che la Commissione contenziosa presieduta dal suo collega di Forza Italia Giacomo Caliendo ha ripristinato il vitalizio per Roberto Formigoni e per tutti gli ex senatori, anche se condannati per reati gravissimi come mafia e terrorismo. Anche a costo di cancellare le regole che lo stesso Senato si era dato dal 2015 e attraverso le quali era stato possibile sospendere l’erogazione dell’assegno agli ex di lusso, ma con la fedina penale sporca, come ad esempio Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri.
Ora invece si rischia di tornare all’antico, grazie a una decisione che fa arrossire e a cui si vorrebbe mettere la sordina.
I partiti In silenzio
L’appello dell’ex presidente del Senato Pietro Grasso, che ha indicato la strada del conflitto di attribuzione di fronte alla Consulta oltre che quello del ricorso all’organo di appello interno, finora ha avuto un’accoglienza tiepida. Chi ci sta? Quelli di Forza Italia sicuramente no: dicono che Caliendo è stato impeccabile e che la Commissione che presiede “è più di un tribunale. È come la Consulta. Quindi è impensabile il conflitto di attribuzione: il Senato è giudice di se stesso”.
Su Grasso fa melina Fratelli d’Italia. E la Lega? Non pervenuta: il vitalizio pure ai condannati non è un tabù.
È invece possibilista la neo capogruppo del Pd, Simona Malpezzi, ma c’è un ma: “Gli elementi per sollevare il conflitto di attribuzione ci sono ed è buona norma che il Senato tuteli le proprie decisioni”. Anche se poi lascia intravvedere anche un altro scenario: “Il Consiglio di presidenza ha la possibilità di riscrivere bene una delibera, inattaccabile dai ricorsi e coerente con la giurisprudenza di legittimità”.
Ma intanto la delibera sui condannati è diventata carta straccia dopo la sentenza di Caliendo, resa esecutiva con il sigillo di Sua Presidenza Casellati. Che si fa? “Attendiamo di leggere le carte, poi decideremo che fare. Anche se par di capire che i 5Stelle sono vittime di se stessi: se avessero approvato i paletti che avevamo proposto per il reddito di cittadinanza non sarebbe stato possibile ridare il vitalizio ai condannati”, dice il capogruppo di FdI Luca Ciriani facendo eco alle motivazioni adottate dalla Commissione Caliendo. Che intanto però fa festeggiare gli ex senatori con una condanna sul groppone.
L’ineffabile Caliendo
Del resto Caliendo aveva già tanti fan pure tra quelli a posto con il casellario giudiziale. Già l’anno scorso gli aveva dato di piccone azzoppando il taglio dei vitalizi deciso nel 2018 per ragioni di equità sociale: ora che il vitalizio l’hanno ridato pure ai condannati, attendono più sereni il giudizio di appello affidato alla commissione presieduta dall’altro forzista Luigi Vitali.
Insomma, l’austerità durata una paio d’anni, per Lorsignori condannati e non, pare alle spalle. Ci crede l’avvocato e già deputato azzurro Maurizio Paniz, che dopo la nuova autostrada che si è aperta al Senato già si frega le mani in attesa dell’effetto domino: “Spero che l’annullamento della delibera Grasso venga recepito dagli organi giurisdizionali della Camera per eliminare l’omologa delibera Boldrini, impugnata dal alcuni ex parlamentari, tra cui l’ex ministro Francesco De Lorenzo che io assisto e che ha impugnato oltre quattro anni fa”.
Insomma, l’auspicio è che si torni ai fasti di un tempo e che venga restaurato anche quello che era davvero impensabile, ossia la riapertura dei rubinetti persino a mafiosi e corrotti, con Formigoni che, dimentico di essere ai domiciliari non certo per meriti, ora se la gode ad attaccare quei “manettari rosiconi” dei 5Stelle e pure a dileggiare l’ex “supermagistrato di tutte le Sicilie”, Pietro Grasso. Su cui è partita la controffensiva, dopo l’intervista sui vitalizi che ha rilasciato al Fatto Quotidiano: è stata tirata in ballo persino la sua famiglia e attacchi forsennati si sono registrati da parte di Forza Italia dopo che l’ex procuratore Antimafia ha denunciato l’operato della Commissione Caliendo.
La lega Volta faccia
“La Contenziosa si è attribuita il potere di annullare erga omnes una delibera del Consiglio di Presidenza. Poteva farlo? A nostro avviso no”, dice il capogruppo del M5S, Ettore Licheri. Affonda la lama Paola Taverna: “La verità è che si vogliono riprendere i vitalizi, e questo è un problema politico prima che giuridico”, ha detto ieri la pentastellata al Fatto, che ha chiesto a Casellati di sollecitare il Segretario generale di Palazzo Madama perché presenti ricorso in Appello rispetto alla decisione della Commissione contenziosa che “ha un presidente di Forza Italia e altri due membri che appartengono alla Lega. Eppure il Carroccio aveva accompagnato e appoggiato i nostri provvedimenti sui vitalizi. Il problema lo abbiamo posto a tutti pubblicamente, ma rimaniamo gli unici a protestare. Evidentemente una certa classe politica vuole ridarsi i vitalizi”.
Già, la Lega. Matteo Salvini a luglio aveva lanciato una raccolta di firme contro i vitalizi dopo che a Palazzo Madama sempre la Commissione Caliendo aveva bocciato il taglio dei vitalizi: di quella raccolta di firme però non si è saputo più niente.
E ora sul ripristino degli assegni ai condannati, il leghista non ha proferito parola, anzi. Due dei suoi, Simone Pillon e Alessandra Riccardi , come ha ricordato Taverna, hanno vergato assieme a Caliendo e ai due laici, nominati a inizio legislatura dalla Casellati, la sentenza della Commissione contenziosa che fa brindare Formigoni, ma pure tutti gli ex inquilini di Palazzo con la fedina penale sporca. E Salvini muto.