È dunque finita davvero l’era Castro dopo sei decenni, ma la maggior parte dei cubani non si aspetta novità e trasformazioni dal quasi certo successore dei fratelli rivoluzionari Fidel e Raúl, il presidente Miguel Díaz-Canel. L’attuale capo dello Stato cubano nominato da Raúl Castro nel 2019 però otterrà realmente le chiavi dell’isola “non allineata” caraibica solo se verrà eletto anche segretario del Partito comunista, la carica oggi ancora più importante. Con la conferma dell’uscita di scena del quasi novantenne generale Raúl, questa settimana i membri del partito dovranno designarne il successore.
Solo da segretario del partito, Díaz-Canel potrà eventualmente mostrare di cosa è capace, nel bene o nel male. Certo è che il presidente sessantenne si ritrova già ora a governare nel mezzo di una crisi epocale, generata dalla pandemia, mentre ancora le sanzioni e le dolorose limitazioni imposte da Donald Trump durante la sua presidenza stanno colpendo i più poveri tra i poveri cubani, non di certo gli esponenti della nomenklatura bianca, nel senso del colore della pelle. E Díaz-Canel è uno di questi, un bianco tendente al grigio, vista la sua mancanza di carisma, che non sembra però essere in grado di tirare fuori il coniglio dal cilindro. Perché solo una magia può salvare l’economia dell’isola. Un’arte e una tecnica, la prestidigitazione, che non sembra essere una qualità appartenente a questo fedele burocrate e docente universitario cresciuto all’ombra dei Castro. È comunque un’eredità doppiamente difficile da raccogliere quella toccata a Díaz-Canel che ancora non ha potuto mostrare il suo vero volto. In attesa di scoprirlo, la gente si chiede se sia un tecnocrate intransigente che finge di essere un moderato, o un moderato che cerca di rassicurare gli intransigenti sul fatto che non emulerà le gesta di Gorbaciov, ovvero distruggere dall’interno il Partito comunista. Il problema è che le sfide davanti a Díaz-Canel farebbero tremare le vene dei polsi a chiunque: epidemie, carestie, tornadi devastanti causati dal cambiamento climatico, proliferazione indiscriminata dell’uso dei social media in tutta Cuba con la loro carica potenzialmente eversiva nei confronti di un potere obsoleto che potrebbe reagire con un’ulteriore giro di vite. Una stretta che Díaz-Canel, a dispetto del suo atteggiamento gioviale, alla mano, moderno (ricorre ogni giorno a Twitter e a YouTube per diffondere il proprio pensiero) e del suo abbigliamento guayabero, ha già messo in atto. Quando ha aperto il proprio account Twitter, dimenticando la scarsità di cibo che attanagliava l’isola, ha citato l’incipit di un noto discorso di Fidel Castro: “l’uomo ha bisogno di qualcosa di più del pane…. ha bisogno di diritti e libertà”. Parole che hanno provocato battute e meme beffardi e sarcastici di tanti giovani internauti cubani.
Proprio la scorsa settimana, i cubani armati di cellulari hanno registrato un video che è diventato virale online mostrando la folla a l’Avana che insulta ad alta voce Díaz-Canel in seguito all’arresto di un rapper di nome Maykel Osogbo, che è un membro del movimento di protesta di San Isidro. Il probabile nuovo uomo forte di Cuba è sempre stato inflessibile contro i dissidenti, tanto quanto i fratelli Castro. Ma la storia lo giudicherà per le riforme economiche. Alcune le ha già inaugurate. Il problema irrisolvibile, di cui il capo dello Stato è ben conscio, è che non ci saranno mai più “padrini” stranieri che correranno in aiuto dell’economia cubana come l’Unione sovietica e il Venezuela di Chávez.