A quanti morti il governo dovrà dire: “Mannaggia la scommessa è persa”

Avranno intersecato ascisse e ordinate, composto diagrammi, prodotto fogli Excel di inappuntabile precisione. Che ne sappiamo noi di indici Rt e saturazione degli ospedali, percentuale di vaccinati e afflussi nei ristoranti? Mica siamo bocconiani. Non ci azzardiamo a contestare la base tecnico-scientifica del “rischio ragionato” su cui Draghi ha impostato la sua campagna di riaperture, ma su quella politica e linguistica qualche parola ce la consentiamo. Intanto, la base politica: quello che l’anno scorso non è riuscito a Renzi con Conte, è riuscito a Salvini con Draghi. Mettersi a capo del partito dei riaperturisti e dare a intendere agli italiani che al governo c’è gente che vuole illogicamente tenere tutto chiuso è una strategia talmente grossolana che poteva venire in mente solo a quei due finti patrioti; essa però consente un duplice risultato: racimolare un facile consenso, che si sente di stare perdendo; tenere sotto scacco il governo. Anche stavolta i sabotatori della politica prudenziale (adottata in tutta Europa) stanno al governo, che tengono (pardon) per le palle, ma stavolta possono contare sul fatto che l’esecutivo ha un’anima: di destra. Infatti, non potendo sparare sul pianista (Draghi), cioè sul capo del governo in groppa al quale sono tornati al potere (grazie, Renzi!), sparano su Speranza.

Allora Draghi, per non dire “abbiamo superato a destra la destra (leghista e renziana) che cinicamente intercetta e manipola un comprensibile bisogno di normalità” si inventa il “rischio ragionato”, che – fuor di diagramma – vuol dire “abbiamo messo in conto che moriranno molte persone, ma l’economia deve ripartire”. Questo significa che ci sono degli italiani sacrificabili alla ripresa, o quantomeno alla cassa di ristoratori ed esercenti. Sono i famosi fragili, gli “over 80 e 70” che non sono stati vaccinati, perché – all’insaputa di Draghi – Draghi aveva deciso di privilegiare alcune categorie, come gli psicologi, a cui – all’insaputa di Draghi – Draghi ha dato pubblicamente degli incoscienti profittatori. E poi, gioiscono i giornali, all’aperto il virus non si diffonde: basti pensare a come è andata bene l’estate scorsa.

A corroborare questa brutale contabilità partecipa l’uso della parola “scommessa”. I giornali d’area la cubitano come fosse una cosa bella. Si scommette sul “debito buono”, su una “crescita robusta”, sulla “forza del Pil”: tutti modi per dire che non si sprecheranno denari per redditi di emergenza, ma si investiranno su “57 opere pubbliche”. Abbasso i fragili e gli incapienti; viva imprenditori e albergatori: da far svenire le inviate in sala (“Se non ci fosse lei come presidente del Consiglio saremmo terrorizzati”).

Una scommessa è, da dizionario Treccani, “il puntare una somma di denaro sul risultato aleatorio di una gara”. Draghi non ha detto quando si capirà se la scommessa sarà persa o vinta, se si aspetterà di arrivare a un certo numero di morti a fine estate (facciamo 30 mila?) per dire “mannaggia, ho perso”, e nemmeno cosa rischia di suo. Ma il lessico, come si vede, è quello borsistico; non fosse ancora chiaro che non è la politica che detiene il potere, ma è il potere che detiene la politica.

“Il premier Draghi sul Covid non ne ha azzeccata una”

“Ci saranno un milione di infezioni attive in Italia o pensate che tutti i positivi si fanno il tampone e vengono a saperlo?”. È furibondo per le annunciate riaperture generalizzate dal 26 aprile il professor Massimo Galli, direttore delle Malattie infettive al “Sacco” di Milano e docente alla Statale, da più di un anno impegnato contro il coronavirus in corsia e nel dibattito pubblico. Il suo giudizio sul governo è impietoso: “Draghi non ne ha azzeccata una”.

È un liberi-tutti?

Sotto casa mia qui a Milano c’è un mercatino all’aperto, poco fa (ieri mattina, ndr) ci sono passato ed era strapieno come non succedeva da mesi. Il punto è che con l’annuncio di venerdì è stato dato un messaggio di “liberi-tutti” che proprio non ci potremmo ancora permettere. Almeno fino a una migliore copertura dei settantenni con la prima dose e degli ottantenni con la seconda. Mi sembrano obiettivi ancora lontani.

Cosa non le torna?

La Francia, che con le vaccinazioni è messa più o meno come noi, le scuole le ha chiuse. Nel Regno Unito hanno fatto un lockdown duro e stanno riaprendo solo ora. Anthony Fauci ha affermato che gli Stati Uniti sono ancora ben lontani dall’avere il problema sotto controllo. A me piacerebbe tantissimo far parte della schiera che pensa l’Italia sia messa benissimo, ma purtroppo non è così.

Maggior timore?

Temo la diffusione dell’infezione. Abbiamo per mesi giocato coi colori e in Sardegna abbiamo recentemente visto il risultato più impietoso passando in pochissimo tempo dal “bianco” al “rosso”. E ora eccoci qui a dare un segnale di riapertura generalizzata mentre le infezioni attive nel Paese sono tra il mezzo milione e il milione. E queste sono stime conservative: non tutti i positivi fanno il tampone e scoprono di esserlo.

Si aspettava la vittoria della linea-Salvini?

Se devo essere franco non avrei pensato prevalesse così velocemente. Ma sono in profondo disaccordo con tutta la strategia adottata dall’Italia. Mi duole dirlo, perché su Mario Draghi, come milioni di italiani, riponevo molte aspettative, ma sulla pandemia non ne ha azzeccata ancora una.

Altri errori?

Sul vaccino AstraZeneca abbiamo avuto un allineamento passivo su posizioni internazionali che non ci potevamo permettere visto lo stato della diffusione del contagio in Italia. Inutile dire, come fa Maurizio Crozza che è un attento osservatore, come sia più facile essere colpiti da un fulmine che da una trombosi dopo il vaccino. Troppe concessioni sono state fatte anche al partito trasversale pro riapertura delle scuole.

Sui vaccini?

Da qui al 26 aprile al trotto attuale avremo tre milioni e mezzo di nuovi vaccinati a esagerare, quindi 17 milioni in tutto. Il che significa non arrivare neppure a trenta dosi ogni cento persone. Per capirci, nel Regno Unito sono a sessanta dosi ogni cento persone. E risultati importanti si ottengono quando vengono superate le cento dosi ogni cento persone perché vuol dire che si è già partiti con i richiami.

Cosa ci resta da fare?

Raccomanderei soprattutto agli ultrasessantenni di mantenere ancora il massimo delle cautele anche per la capacità infettante delle varianti.

Non crede all’immunità di gregge in autunno?

I vaccini sono lo strumento per proteggere dalla malattia grave e mortale del Covid-19, non sappiamo quanto dall’infezione di SarsCov2. E, infatti, seppur poche, ci sono persone infettate già vaccinate che però non si aggravano. Attenzione al ruolo che in questo senso possono svolgere le varianti. Prendiamo Manaus, in Brasile: la sciagurata politica di assenza del contenimento intrapresa dal presidente Jair Bolsonaro e la peculiarità di quella città ha portato a un 60 per cento di contagiati (era la quota ipotizzata un anno fa dai consiglieri inglesi di Boris Johnson per raggiungere l’immunità di gregge); ecco, l’immunità di gregge non è stata mica raggiunta, il virus ha invece avuto mutazioni che hanno generato varianti in grado di infettare di più e reinfettare anche.

Non se ne esce più.

Ne usciremo solo correndo appresso al virus, in modo migliore di come stiamo facendo.

Ma qualche ministro la chiama ogni tanto per chiedere consigli?

Sarebbe indiscreto parlarne, ufficialmente non sono consigliere proprio di nessuno.

Film Commission, Fontana non vuole chiedere i danni

Ancor prima di entrare nel vivo, il processo sulla Lombardia Film Commission mostra che la partita è politica. Lo certificano le richieste di costituzione di parte civile nei confronti di Francesco Barachetti, grande fornitore della Lega di Matteo Salvini, accusato dalla Procura di Milano di concorso in peculato e reati tributari per la vicenda del capannone di Cormano. Nel processo ordinario iniziato giovedì, a chiedere il risarcimento danni in caso di condanna non sono state tutte le presunte vittime del peculato da 800mila euro. Lo ha fatto il Comune di Milano, mentre la Regione Lombardia, dove comanda la Lega, non ci ha pensato proprio. Eppure è stata proprio la Regione, secondo la tesi dei pm Eugenio Fusco e Stefano Civardi, a subire i danni maggiori causati da Barachetti e compagni, accusati di aver intascat gran parte dei fondi pubblici della Lombardia Film Commission. Il Pirellone è azionista di maggioranza dell’ente, e unico erogatore – ai tempi della presidenza di Roberto Maroni – di quegli 800 mila euro usati per acquistare il capannone di Cormano. Fontana non chiede i danni a Barachetti, né ad Alberto Di Rubba e Andrea Manzoni, i due revisori contabili della Lega in Parlamento, considerati dalla Procura i responsabili principali del presunto peculato. Anche nel processo con rito abbreviato nei loro confronti, che inizierà il 21 aprile, lo schema è il medesimo: il Comune chiede i danni, la Regione no. Motivazione? “Come policy istituzionale generale”, ha spiegato il Pirellone, “la Giunta ritiene preferibile, nei procedimenti penali in cui Regione è parte offesa, proporre un’azione autonoma in sede civile solo a seguito e sulla base degli elementi accertati in sede penale”. Insomma, Fontana dice di voler attendere l’esito dei processi e poi, in caso di condanna, chiederà i danni in sede civile. Una strategia che potrebbe allungare l’attesa anche di anni.

In attesa delle sentenze, dai bilanci della Lega Nord viene fuori un dato interessante che collega il partito alla Lombardia Film Commission. Riguarda Alessio Gennari (estraneo all’inchiesta), l’avvocato che presiedeva l’organismo di vigilanza dell’ente pubblico al tempo della compravendita del capannone di Cormano, alla fine del 2017. Gennari non ebbe nulla da obiettare su quella spesa da 800 mila euro pagata prima ancora di fare il rogito e senza che i lavori fossero iniziati, alla misteriosa Immobiliare Andromeda, società ai tempi schermata da una fiduciaria, che undici mesi prima aveva acquistato lo stesso immobile per 400mila euro. I bilanci della Lega Nord raccontano che l’11 marzo del 2019, prima che lo scandalo arrivasse ai giornali, il consiglio federale della Lega Nord ha nominato Gennari – che non è stato indagato per la vicenda della Lombardia Film Commission – membro dell’organo federale di controllo sull’amministrazione del partito, cioè il gruppo di tre esperti che deve decidere se approvare i bilanci del partito. Il professionista chiamato a vigilare sull’ente pubblico lombardo guidato da Di Rubba, l’avvocato scelto per controllare che i soldi dei cittadini lombardi venissero spesi bene, un anno e mezzo dopo l’operazione incriminata è dunque stato assoldato dalla Lega Nord con un contratto triennale per controllare anche i conti del partito. Lo stesso partito che in questi anni ha pagato generose fatture agli imputati Di Rubba, Manzoni e Barachetti.

“Ha sequestrato 147 migranti” Matteo Salvini sarà processato

E processo sia. Il leader della Lega, Matteo Salvini, siederà sul banco degli imputati per rispondere penalmente del “sequestro” di 147 migranti a bordo della ong ProActiva Open Arms, che nell’agosto del 2019 rimase sei giorni in attesa che l’ex titolare del Viminale concedesse il place of safety (pos), la dichiarazione di “porto sicuro per lo sbarco”. Il verdetto è arrivato ieri all’aula bunker del carcere dell’Ucciardone di Palermo, dove il giudice delle udienze preliminari, Lorenzo Jannelli, ha ritenuto fondata la tesi della procura palermitana guidata da Francesco Lo Voi, e condivisa dai legali delle 23 parti civili. Non è servita a scalfire il giudizio, la lunga arringa dell’avvocata Giulia Bongiorno, per la quale Salvini ha agito in “modo legittimo”, senza “sequestro di persona, né respingimento”, e ritenendo “inconsistente l’ipotesi di reato”.

Il lungo travaglio del mancato sbarco di Open Arms, inizia i primi giorni di agosto del 2019, quando la ong interviene in un doppio salvataggio a largo del Mediterraneo, recuperando 123 naufraghi. Per giorni aspetta invano un pos da Malta, che non arriverà mai, perché La Valletta non si ritiene “l’autorità competente, né l’autorità di coordinamento”. Gli spagnoli restano in un limbo, non potendo entrare in acque italiane, in virtù del decreto sicurezza bis varato dal governo gialloverde, fortemente voluto da Salvini. Secondo l’avvocata Giulia Bongiorno, il divieto d’ingresso per la nave fu firmato anche dagli allora ministri Elisabetta Trenta (difesa) e Danilo Toninelli (trasporti). I giorni passano e le condizioni a bordo peggiorano. Malta continua a fare muro, e gli iberici informano l’Italia che 89 persone chiedono asilo, mentre presentano ricorso al Tribunale dei minori di Palermo e al Tar del Lazio. Il 9 agosto vengono recuperate altre 39 persone, con Malta disposta a farsi carico “solo dei migranti salvati” in quella circostanza, ma gli spagnoli non accettano, temendo possibili malumori a bordo. Poi la svolta. Prima il tribunale dei minori accoglie la richiesta della ong, permettendo lo sbarco di 27 minori non accompagnati, poi il Tar del Lazio sospende il decreto sicurezza salviniano, spianando l’ingresso in acque italiane. L’Italia non concede il pos, ma è pronta a fornire “cibo, acqua e carburante” se Open Arms accetta di andare in Spagna, proposta respinta dagli iberici che dopo 17 giorni non vogliono navigare oltre. Lo sbarco avverrà solo il 20 agosto, quando la nave sequestrata dalla Procura di Agrigento attracca nella banchina del porto di Lampedusa.

Sarà questo il tema del dibattimento processuale, che inizierà il prossimo 15 settembre, con Salvini imputato di sequestro di persone e di rifiuto e omissione d’atti d’ufficio. “Chiameremo Conte, Di Maio, Toninelli – ha detto Bongiorno -, è inutile negare che c’è stata una decisione politica sulle azioni di Salvini”. “I giudici non valutino le decisioni politiche” è stato il coro unanime del centrodestra a sostegno del compagno leghista; apparso un po’ teso alla fine dell’udienza, coperto dalla solita mascherina blu, a metà tra la bandiera tricolore e simbolo della Carroccio. “Non vado a casa preoccupato, ma passare per sequestratore no, mi dispiace per i miei figli – ha detto Salvini – È stata una battaglia politica, sostenuta da tanti partiti. Rifarei tutto, a differenza di altri ministri che non ricordano, sono orgoglioso di quello che ho fatto”. Soddisfatte invece le parti civili. “Spero che il processo sia l’occasione per giudicare un pezzo di storia europea”, ha contatto il fondatore di Open Arms Oscar Camps. Davanti ai cronisti, Salvini ha prima richiamato l’ex consigliere del Csm Luca Palamara, per quella frase in cui scriveva che il leghista “aveva ragione” sui migranti ma andava “affossato”, per poi invocato “una riforma della giustizia”, vista la disparità di vedute tra le procure di Palermo e Catania, che per casi analoghi hanno seguito altri percorsi. Il prossimo 14 maggio, il gup etneo Nunzio Sarpietro deciderà Salvini deve essere processato per il sequestro dei 131 migranti a bordo della Gregoretti. Accusa per la quale la procura guidata da Carmelo Zuccaro ha chiesto per tre volte l’archiviazione. I pm catanesi si erano già schierati in favore di Salvini, chiedendo di non procedere per il presunto sequestro dei 177 migranti a bordo della Diciotti. Entrambe le navi erano della guardia costiera, ma mentre la Diciotti era intervenuta in acque maltesi, la Gregoretti era in acque italiane. Salvini non fece distinzioni, negando il pos e bloccando i migranti a bordo.

“Il vitalizio a Formigoni è un vulnus enorme, intervenga la Consulta”

Lui, per carità, non lo dice. Ma con la Commissione Contenziosa presieduta dal parlamentare di Forza Italia Giacomo Caliendo che, per ridare il vitalizio all’ex governatore della Lombardia Roberto Formigoni, ha cancellato la delibera che nel 2015 aveva stabilito di negare l’assegno ai parlamentari condannati per reati di particolare gravità, è come se al Senato si fosse consumato una specie di golpe. Anzi un autogolpe. Con un conflitto di poteri tra organi interni di Palazzo Madama che non ha precedenti nella storia della Repubblica.

“Esaminiamo da un punto di vista giuridico la questione: la Commissione Contenziosa è come un tribunale. Ma la delibera che ha annullato vale come una legge in un sistema in cui i regolamenti di Palazzo Madama hanno rango addirittura superiore, tra legge ordinaria e legge costituzionale”, attacca Pietro Grasso presidente del Senato all’epoca in cui venne varata la delibera: “Ebbene, non voglio entrare nel merito della decisione, però rilevo che in base all’autodichia non può un organo giurisdizionale come la Contenziosa annullare una delibera del Consiglio di presidenza, come ha fatto dando validità erga omnes alla sua decisione. È come se un tribunale potesse cancellare una legge ordinaria”.

Si spieghi meglio, senatore.

La Commissione mi ha meravigliato soprattutto da un punto di vista procedurale. Essa può decidere sul caso concreto o può sospendere la decisione e indicare al Consiglio di Presidenza la necessità di modificare la delibera, magari nel senso di riconoscere una minima ai casi di vera indigenza. Ma non può assolutamente annullare un provvedimento avente carattere generale come appunto la delibera del 2015.


Un bel problema.

Enorme. E credo che non basti pensare soltanto al ricorso al Consiglio di garanzia contro la decisione. Ci sono i margini affinché il Senato sollevi di fronte alla Corte Costituzionale un conflitto di attribuzione: l’invasione di campo di un organo giurisdizionale ha inflitto un vulnus al principio della separazione dei poteri.

Addirittura?

La circostanza di aver fatto valere erga omnes la decisione della Commissione Contenziosa di Caliendo, di aver dato ad essa carattere di esecutività come ha stabilito la presidente Casellati, dall’oggi al domani ha trasformato in carta straccia una norma che nella sua pienezza di poteri regolamentari, politici e parlamentari, il Senato si era data. E c’è un’altra considerazione da fare.


Quale, presidente Grasso?

Per motivare tutto ciò la commissione Contenziosa ha fatto ricorso alla legge sul reddito di cittadinanza. Quindi ha equiparato sostanzialmente la delibera a una legge dicendo che non è stato rispettato l’articolo 3 della Costituzione sull’uguaglianza dei cittadini. Chiedo: può un organismo interno al Senato dichiarare l’incostituzionalità di una norma e eliminarla completamente? Nemmeno la Corte Costituzionale lo può fare. Al massimo può indicare al legislatore di fare una nuova legge.


Ricorso doveroso, dunque.

Ripeto: si possono addurre tutte le ragioni contrarie alla delibera del 2015. Ma il riferimento che si è fatto in motivazione a due ordinanze della Corte di Cassazione a sezioni riunite non ci sta. Se si va a leggere, anche lì viene riconosciuto il carattere particolare dell’indennità parlamentare da cui poi deriva come proiezione il vitalizio come era fino al 2011: l’indennità stabilita dall’articolo 69 della Costituzione non è una retribuzione, il mandato parlamentare non è assimilabile ad un rapporto di lavoro, per cui neanche la pensione cosiddetta lo è. Per questo il vitalizio può essere regolato dalle Camere in maniera assolutamente autonoma, a certe condizioni si può dire che quel diritto viene a cessare. Perché non è equiparata a una pensione normale.


A un comune cittadino infatti la pensione non può essere cancellata.

Infatti, ricordiamo che è solo da pochi anni che sono pienamente contributivi. Quei vitalizi erano un’altra cosa. Invece sta passando il messaggio che siano una pensione e quindi da questo presupposto si fanno discendere tutta una serie di conseguenze, ma in realtà è il presupposto che è sbagliato.


La commissione presieduta da Caliendo pare essersene infischiata di questi aspetti.

Nel 2019 peraltro ci sono delle precedenti decisioni della stessa Commissione presieduta da Caliendo, citate nella sentenza, che sono state favorevoli a mantenere la delibera. Ebbene, non sono riuscito a comprendere perché ci si è discostati da quelle decisioni. Peraltro, l’istanza l’ha fatta Formigoni, la decisione avrebbe dovuto valere solo per lui.


In definitiva, lei come definirebbe questa sentenza?

Da un punto di vista procedurale la giudico errata. A tacere del fatto che con la gente che non riesce a sopravvivere alla pandemia non mi sembra proprio il momento migliore.


Senza contare che a questo punto abolendo del tutto la delibera del 2015 si rispalancano le porte del vitalizio ad ogni tipo di parlamentare pregiudicato.

Rendiamoci conto che annullando la delibera anche i senatori condannati per mafia o terrorismo potranno riprendere ad avere il vitalizio. Qualcuno ci ha pensato? L’annullamento non vale solo per i reati come la corruzione, ma anche per tutti gli altri reati compresi nella delibera del 2015. Insomma, dottoressa, todos caballeros.

Primarie Roma, Letta non molla e spera ancora in Zingaretti

“Un patto per la ricostruzione del Paese” che tenga conto dei vulnerabili (donne, giovani e Sud). Enrico Letta alla fine dell’assemblea del Pd a un mese dalla sua elezione dice tra le righe quello che ancora non vuole dire direttamente: il Pd deve incidere di più sul governo e Mario Draghi, da premier, deve andare oltre il Recovery Plan, ma ripensare il Paese in tutta la sua complessità. Con tutte le forze politiche e anche quelle sociali.

Il “format” dell’Assemblea è la rappresentazione del momento di passaggio (anche piuttosto precario) del partito: molti interventi dai territori (d’altronde si presentano i risultati dei Vademecum nei Circoli), praticamente nessun big (a parte il ministro del Lavoro, Andrea Orlando) né a sostegno del segretario, né contro. Le correnti aspettano di vedere come va. E intanto si organizzano. Letta dal canto suo ha la consapevolezza di dover incidere di più sul governo. Dunque, insiste sul fatto che “diritti sociali e fine del mese” stanno insieme, chiede all’esecutivo di dare seguito alla richiesta di cittadinanza a Patrick Zaki (il premier il giorno prima sul tema era stato evasivo), ribadisce l’esigenza di andare alle politiche con “un nuovo centrosinistra guidato dal Pd, che dialoghi con M5S” (tentativo di tenere insieme i nostalgici dell’esperienza giallorosa alla Goffredo Bettini e i più “draghiani” tra i dem).

Ma mentre lancia le Agorà (una sorta di congresso non congresso programmatico) sa benissimo che per realizzare il suo progetto politico deve vincere le Amministrative. Il dossier è ingarbugliato ovunque, ma la partita più spinosa resta quella di Roma. Martedì verrano lanciate le primarie nella Capitale: data prevista, il 20 giugno. Dal Nazareno sostengono che si tratta di una data prescelta per consentire la partecipazione in presenza. Ma in realtà così si dà più tempo a Nicola Zingaretti per pensarci: l’ex segretario continua a dire di no, ma il pressing nei suoi confronti continua. Anche Letta sarebbe convinto che può indebolire Carlo Calenda e battere Virginia Raggi. Lui continua a pensare che senza il ritiro di questi due non può correre. Almeno per quel che riguarda la Regione Lazio ci sarebbe un successore pronto a scendere in campo: Alessio D’Amato, l’Assessore alla Sanità, deciso a portare a termine una campagna vaccinale record, ma che si sta facendo notare anche per il suo attivismo e la sua sovra-esposizione.

Il “cringe” Carlo Calenda: l’arte di essere sempre fuori contesto

Qualche giorno fa, su Twitter, ho commentato un video di Carlo Calenda. Un video in cui Carlo Calenda rispondeva a un tizio di nome Er Faina famoso perché a Temptation Island disse alla fidanzata Sharon “C’avevi le zinne de fori”.

No, Calenda non rispondeva alla battuta sulle zinne, sebbene il solco fosse un po’ quello lì: lo rimproverava di fare l’apologia del catcalling. E lo rimproverava parlando con l’accento romanesco di Massimo Boldi che si finge romano nei cinepanettoni perché voleva spiegare a Er Faina che la romanità non è volgarità. Il risultato era imbarazzante. Anzi, “cringe”, come gli ho fatto notare. “Cringe”, nello slang dei ragazzi, vuol dire imbarazzo che si prova nei confronti di un signore di mezza età che fa i balletti su TikTok, per esempio. È un dolore quasi fisico nell’assistere a un momento di ridicola inadeguatezza. Calenda ha replicato piccatissimo che “i trombonismi da snobinarde sono tristi”, riuscendo a risultare ridicolo una seconda volta (ridicolo, non cringe, perché sei cringe se fai anche un po’ tenerezza).

In pratica, per darmi della snob, lui che è un sempliciotto, lui che s’abbassa a rispondere a quello che “C’avevi le zinne de fori”, lui che parla romanesco pure se come Boldi (mi aspettavo un “so’ lupaghiotto!” finale) ha tirato fuori “trombonismi da snobinarde”. Insomma, è scappato da Tor Bella Monaca ed è tornato ai Parioli in tutta fretta. È stato in quel momento che ho capito cosa c’è di costantemente disagiante in Carlo Calenda: il suo sembrare sempre fuori contesto, pur facendo grandi sforzi di mimesi. Il suo voler sembrare sempre simpatico e autoironico, pur essendo permaloso quanto Antonio Ricci. E non quanto Antonio Ricci in condizioni normali, quanto Antonio Ricci dopo che gli hai investito il cane sotto il suv. Il suo sembrare sempre Barbara Palombelli a Sanremo, il suo sembrare quello che con l’accento pariolino ti spiega che lui è come te, conosce tutte le uscite del Raccordo, le battute di Proietti, le pizzerie dove ti scrivono il conto sulla tovaglia, ma “ora scusate c’ho l’ora di paddle al circolo con Malagò”.

Era terribilmente cringe, giorni fa, Calenda, quando postava sulla sua pagina Twitter un video tratto dalla trasmissione “Ciao maschi” senza rendersi conto del sottopancia cringe sotto la sua immagine, ovvero “passionale, tenero, incazzoso”. Pareva quei vecchi video di “The club”, nelle discoteche, della serie “Nome?”. “Isabella”. “Tre aggettivi che ti descrivono?”. “Passionale, solare, pazzerella!”. Calenda è cringe pure quando risponde a un consigliere comunale capitolino che lo aveva stupidamente perculato postando la foto di un vecchissimo meme. Un meme che ritraeva un bambino in carne, in piscina. “È bodyshaming nei confronti di un bambino!”, ha replicato. E fin qui. Solo che poi ha aggiunto, come una Trottolina51 qualunque: “Lunedì verrà denunciato!”. Non si capisce a che titolo Carlo Calenda sporgerebbe denuncia a nome del bambino, a meno che non sia il padre o qualcuno non gli abbia spiegato “Carlo, il denunciante può essere solo la persona offesa” e lui abbia replicato “Appunto, io me so’ offeso”.

Ma il bello deve ancora venire. Myrta Merlino gli chiede se si sia offeso per la battuta sulla pancia e lui, rilassatissimo come sempre: “Quando i politici erano più grassi, facevano meno sport e leggevano di più erano mediamente meglio”. Quindi è proprio lui a stabilire che il peso determini la caratura del politico. Bodyshaming!

Poi c’è la questione Raggi e la confusione tra Colosseo e arena a Nimes. Ovvio che la cosa abbia suscitato ilarità, ma è altrettanto ovvio che l’errore sia stato di un collaboratore della Raggi, non ce la vedo la sindaca a confezionare le grafiche per Roma. “È chiaro che c’è un grosso problema di superficialità”, ha commentato Calenda in tv. Due mesi fa aveva ringraziato se stesso, col suo account, sotto un suo post (“Grazie Carlo!”) ed era andato avanti giorni a impermalosirsi perché “è stata colpa di una ragazza del mio staff e i giornali vanno dietro a queste sciocchezze”. Quello leggero e autoironico.

Ma è incredibilmente cringe, Calenda, anche quando posta le foto dei suoi sopralluoghi nelle periferie sempre con quell’aria involontaria da principe William in visita dalla comunità Maori, da primo uomo che sbarca sulla luna e poi torna dentro la ztl e racconta agli altri com’era lassù, nello spazio, al Quarticciolo. È cringe quando tutto compunto annuncia alla nazione con video e grafiche i cinque punti rivoluzionari partoriti da “Azione” perché l’Italia riparta in sicurezza a maggio e i 5 punti sono “vaccini ai fragili, tamponi, tracciamento, contenimento delle terapie intensive etc..”, una roba a cui non aveva pensato nessuno, insomma. E noi, gente di poca fede, tutti convinti che proponesse gare di sputi al Billionaire e il solito protocollo a cui siamo ormai abituati. Insomma, di fronte a cotanto genio, che dire se non parafrasando proprio lui, il re del cringe: grazie, Carlo.

“Se va avanti così, il leader leghista combinerà disastri”

La differenza, il cambio di passo, insomma la discontinuità con il governo Conte: molti la attribuiscono a Mario Draghi, ma per il 5Stelle Giancarlo Cancelleri, sottosegretario alle Infrastrutture, vicino a Luigi Di Maio, il salto proprio non c’è stato “Faccio parte con convinzione di questo governo, ma non vedo alcuna discontinuità con l’esecutivo di Giuseppe Conte. Ci si sta muovendo sullo stesso solco, perché i problemi erano e restano quelli ed esigono innanzitutto buonsenso, come prima”.

Lei ieri ha celebrato la nomina dei commissari a 57 opere pubbliche, attesa da mesi. Su questo siete in linea…

Il completamento dell’iter per la nomina è sicuramente un fatto positivo. A bloccare tutto era stata la caduta del governo Conte, ma ora finalmente si potrà procedere con le autorizzazioni e quindi con i cantieri. Però tutto questo ora non può essere sbandierato come una novità, visto che il lavoro sulla semplificazione delle procedure e sulla scelta dei nomi era stato fatto nei mesi precedenti.

Draghi è arrivato in seguito a una crisi politica e gode di grande peso internazionale, non trova?

Certamente, ma ricordo che i 209 miliardi per il Pnrr li ha ottenuti Conte, andando a trattare in Europa e vincendo il muro di Paesi come l’Olanda. In tre anni l’ex premier ci ha ridato peso e credibilità a livello internazionale.

Ma c’erano problemi e ritardi, era l’accusa di molti. E magari almeno in parte avevano ragione, no?

Non mi sembra che sul piano vaccinale ci siano state rivoluzioni. Puoi anche cambiare Arcuri con Figliuolo, ma i problemi restano quelli di prima. E vale anche per il Pnrr. È chiaro che in un Paese come il nostro dove ci vogliono mesi solo per avere le autorizzazioni devi lavorare sul codice degli appalti, ed è ciò che stiamo facendo con un’apposita commissione.

Per il M5S stare in questo governo non è semplice. Ieri avete attaccato Matteo Salvini perché rivendicava la vittoria sulla riaperture: siete di nuovo in guerra?

Salvini sta con un piede dentro il governo e con l’altro all’opposizione, e così ogni giorno contraddice se stesso. Ma chi prova a intestarsi le nuove misure non capisce che in questo governo bisogna starci senza casacche. Parlando così il capo della Lega può fare solo disastri.

Voi 5Stelle le riaperture le avete soprattutto subite, o no?

Stiamo provando a riaprire con molte remore, perché i dati non sono così confortanti. Però il Paese è allo stremo, con una diffusa sofferenza psicologica. Mi colpisce la quantità di farmaci per l’ansia di cui si vede la pubblicità. Dovevamo dare un segnale, ma le attività che riapriranno dovranno far rispettare le regole. Comprendo bene le loro difficoltà, ma dovranno assumersi una parte di responsabilità.

Conte continua a preparare la rifondazione del M5S. Lei ha detto più volte che il vincolo dei due mandati va tolto.

Uso proprio le parole di Conte: la competenza e la qualità politica non possono essere disperse. Anche per questo dobbiamo abbandonare la “cliccocrazia”, cioè non scegliere più tramite votazioni sul web candidati e ruoli.

Nell’attesa sono nate varie correnti, con dentro anche vari dimaiani….

Le correnti sono una sgrammaticatura, che dobbiamo combattere. Chi le ha pensate vorrebbe ottenere una quota di posti, ma il M5S non deve basarsi su quote.

Letta ha ribadito che il Pd deve guardare stabilmente al M5S. È la strada giusta anche per voi?

Assolutamente sì, è l’unica via per evolverci e costruire. Io spingevo per l’alleanza con il Pd già anni fa, ma non eravamo pronti. Ora invece è tempo di una leadership a due, con Conte e Letta.

Non solo riaperture, Salvini dà altri ordini: condono e Recovery

Non ha aspettato nemmeno un giorno, Matteo Salvini, per riprendere a bombardare il governo Draghi. E ad alzare la posta sulle riaperture. Perché, come ieri andavano dicendo i salviniani duri e puri, stavolta il leader della Lega è convinto che la scelta della cabina di regia di riaprire bar e ristoranti a pranzo e a cena e reintrodurre le zone gialle già dal 26 aprile, sia stata la sua prima vittoria politica da quando il Carroccio è al governo. E nemmeno l’intera giornata passata nell’aula bunker dell’Ucciardone a Palermo e il rinvio a giudizio per il caso Open Arms hanno distratto il leader dai prossimi fronti che la Lega vuole aprire nel governo: “Se siamo fermi sulle nostre posizioni, possiamo incidere” esultava ieri Salvini.

E dunque ha subito individuato il prossimo obiettivo: “Anticipare le riaperture al chiuso (previsto per l’1 giugno, ndr) e cancellare il coprifuoco delle 22” ha twittato ieri mentre il giudice era in camera di consiglio. Un messaggio diretto anche a Giorgia Meloni che, non a caso, ieri ha attaccato il governo proprio sulla “boutade comunicativa delle aperture” e in particolare su coprifuoco (“uno sfregio alla libertà individuale”) e sulle riaperture dei ristoranti al chiuso (“una follia totale”). E così la Lega, rispetto a Forza Italia più prudente sul tema, nel Consiglio dei ministri della prossima settimana che dovrà approvare il nuovo decreto, darà battaglia: proverà a far allungare il coprifuoco alle 23 o alle 24 e anticipare le riaperture dei locali al chiuso da metà maggio. Ma da quell’orecchio i rigoristi di Pd-M5S non ci sentono. Nella cabina di regia di venerdì il ministro della Salute Roberto Speranza, appoggiato da Dario Franceschini e Stefano Patuanelli, sul coprifuoco si è impuntato. E anche Draghiha convenuto che aprire i locali al chiuso sarebbe stato troppo visto che “la possibilità di contagiarsi è alta”. Iv vorrebbe aprire piscine e palestre al chiuso già da maggio.

Ma le riaperture non sono l’unico fronte su cui Draghi si troverà tra i due fuochi di centrodestra e centrosinistra. Ci sono anche i temi economici. E i prossimi dieci giorni saranno decisivi. Giovedì in Senato arriveranno lo scostamento di Bilancio da 40 miliardi e il Def. La Lega chiede di aumentare ancora i fondi di altri 2-3 miliardi e vincolandoli tutti per ristori alle imprese. La settimana del 26 sarà anche quella in cui si inizierà a votare, sempre al Senato, il dl Sostegni con il centrodestra, Italia Viva e parte del M5S che hanno presentato emendamenti per estendere il condono: la Lega vorrebbe raddoppiare il tetto delle cartelle esattoriali da stralciare da 5 mila a 10 mila euro e alzare la soglia di reddito dei contribuenti che potranno usufruirne da 30 mila a 50 mila. FI chiede di alzarla a 40 mila mentre il M5S punta a estendere il condono fino al 2015. Nettamente contrari Pd e LeU.

Anche sul Recovery Plan, che Draghi presenterà in Parlamento il 26-27 aprile, Lega e Pd chiedono di essere coinvolti senza concedere “deleghe in bianco” al governo. Ma non è così: il premier sta scrivendo il nuovo piano insieme ai suoi 4-5 ministri fidati (tutti tecnici) e i partiti non avranno alcun margine di manovra. Così, nell’esecutivo sta crescendo l’irritazione dei ministri politici che sono rimasti tagliati fuori. Salvini inoltre ha confidato ai suoi che deve iniziare a cambiare anche la linea del governo sui migranti mentre il segretario de Pd Enrico Letta ha accolto al Nazareno il fondatore di Open Arms Oscar Camps. Alla Lega non va giù che rispetto a un anno fa gli sbarchi in Italia siano quasi triplicati: secondo i dati del Viminale nel 2021 sono stati 8.522 rispetto ai 3.227 del 2020 e 625 del 2019, quando Salvini era ministro dell’Interno. Dopo il rinvio a giudizio il segretario del Carroccio userà la retorica anti sbarchi e della “politicizzazione dei giudici” di Palermo in vista della campagna elettorale per le Amministrative. Infine, in settimana l’ufficio di Presidenza del Senato dovrà decidere se calendarizzare il ddl Zan contro l’omofobia, unificato ad altre 4 proposte. Pd, M5S e LeU (e l’ala liberal di FI) spingono per approvarlo il prima possibile, ma il presidente della commissione Giustizia leghista Andrea Ostellari ha spiegato che “prima vengono i disegni di legge sulla magistratura e sulla violenza sugli animali”.

 

 

 

I pareri

 

Rapporti Evasori e covid: 5s e pd che ci stanno a fare nel governo?

Brutti giorni per chi – come l’infettivologo Massimo Galli– pensa che per abbattere le mortifere varianti del Covid siano necessarie ambedue le cose: vaccinazioni e chiusure radicali. Perfino Boris Johnson lo ha detto: in Inghilterra è stato il lockdown a ridurre le infezioni, le ospedalizzazioni e i morti, più dei vaccini. Ma Draghi non guarda ai dati epidemiologici né alle precoci e sconsiderate riaperture in Sardegna, Cile, o Spagna. Guarda a Salvini, a Renzi, ai grandi media: le riaperture “sono un rischio ragionato” se si vuole crescere. A decidere non siano più i medici. Già prima, con il condono, Draghi è parso stregato da Salvini. A questo punto non si capisce che ci stiano a fare nel governo Pd e M5S. Né si capisce l’ottusa derisione delle tesi di Goffredo Bettini: chi può negare che interessi nazionali e internazionali abbiano scaricato Conte, in vista di riaperture così mal calcolate e di una messa in riga degli scienziati?

Barbara Spinelli

 

Destino Prese Decisioni demenziali e il premier si scava la fossa da solo

Le aperture sono semplicemente demenziali, mi spiace che Speranza – che ho sempre difeso – sia stato sovrastato. Io mi fido del professor Galli, perché quando si è ammalati si ascoltano i medici, non i politici. Il problema è che, a differenza di quanto auspicavo, i 5 Stelle non sono andati all’opposizione e in questo percorso di riorganizzazione del Movimento e del Pd l’unico a farsi sentire è Salvini, che usa il doppio registro, quello del governo e della piazza. Ci vorrebbe un presidente in grado di sbeffeggiarlo, come fece Conte in Senato. Alla seconda uscita stonata, Draghi avrebbe dovuto richiamare il leghista, chiedendogli: “Ma tu stai dentro o fuori il governo?”.E invece sta tollerando che Salvini alzi il tiro e così si scava la fossa da solo. Se continuasse così, il M5S non avrebbe altro da fare che uscire dalla maggioranza, anche perché ha molto più potere di quanto immagina: se Draghi guidasse un governo a maggioranza leghista, perderebbe tutta l’autorità che gli è stata data, soprattutto di fronte all’Europa.

Domenico De Masi

 

Proteste Non è una mossa politica: aprono ora per calmare la piazza

Prima di tutto non voglio cadere nella brutta trappola di una contrapposizione tra rigoristi e aperturisti, in cui il ministro Speranza sarebbe rappresentante dei primi e la Lega dei secondi. La prudenza di Speranza non c’entra con la politica, ma coi limiti della nostra Sanità pubblica, devastata da anni di tagli. Detto questo, ci sono due modi per leggere quello che è successo due giorni fa. Il primo, più catastrofista, vede le aperture come il segnale di uno schiacciamento del governo verso Salvini, che dunque pare destinato a “mangiarsi” gli alleati. Io però preferisco un’altra interpretazione: credo piuttosto che Draghi abbia voluto smorzare possibili derive nelle proteste sociali. Abbiamo visto come alcune manifestazioni, aizzate da Lega e FdI, ci abbiano ricordato quelle del Campidoglio americano, coinvolgendo personaggi pericolosi. Probabilmente, pur con una certa gradualità da verificare in base all’andamento dei contagi, il governo ha voluto togliere argomenti a questi movimenti.

Nadia Urbinati

Lo Smago di Oz

L’altra sera, appena l’ho visto roseo come un putto a Otto e mezzo, mi ha punto vaghezza di saperne tutto di Lorenzo Bini Smaghi. Così, da Wikipedia, ho scoperto che è “di famiglia nobile toscana”, giacché “la famiglia Bini di Firenze nel 1853 lasciò in eredità il cognome agli Smaghi di Montepulciano-Città della Pieve”, che ora è un po’ la Betlemme dei Migliori. Dunque “Lorenzo è figlio del conte Bino e di Maria Carla Mazzei, patrizia fiorentina, primo di quattro fratelli” tutti Bini e tutti Smaghi, finchè – dopo vari passaggi tra Belgio, California, Bologna, Chicago, Bankitalia, Ufficio Cambi, Mef, Sace, Palazzo Strozzi, Bocconi, Bce (dove s’imbullonò alla poltrona per non far entrare Draghi), Harvard, Snam, Morgan Stanley, Italgas e Societé Generale – “nel 1998 sposa l’economista Veronica De Romanis, dalla quale ha avuto due figli, Corso e Laudomia”. Perbacco, anzi parbleu: la quintessenza della classe dirigente, il nonplusultra della competenza. Intanto che scorrevo le sue cariche, come Bini e come Smaghi, lui aveva iniziato a parlare. Ovviamente pro Draghi, che ora ama alla follia. Infatti dava sulla voce ai prof. Galli e Montanari, piuttosto critici sulle riaperture: “Facile dire chiudiamo, chiudere non basta” e non serve: “abbiamo 400-500 morti al giorno!”. Quindi, siccome gli omicidi sono puniti con l’ergastolo, ma si continua ad ammazzare, depenalizziamo l’omicidio e pure la strage.

Galli lo guardava esterrefatto, ma lui secerneva la sicumera che solo un banchiere può opporre a un virologo: “È anche un problema sanitario. Penso a quanti esami oncologici sono rimandati… effetti di questa chiusura totale”. Quindi le chiusure, usate da tutti i governi per ridurre i contagi, secondo Bini e anche Smaghi li moltiplicano. E causano pure i rinvii degli esami oncologici. Galli faceva sommessamente notare che è il contrario: se riapri troppo presto, i contagi risalgono, e con essi i morti e i ricoveri, che levano spazio ad altri malati, oncologici in primis. Un dato piuttosto banalotto, che però Bini nonché Smaghi non riusciva proprio a capire. Del resto, oltreché con la logica, il nostro ha un rapporto conflittuale pure con l’aritmetica: nell’ultimo articolo sul Corriere dall’inappuntabile titolo “Vaccini, dopo gli errori occorre un’operazione verità”, chiama AstraZeneca “Astrazenica”, scrive che è sicuro “al 99,984%” perché gli effetti avversi sono lo 0,0006 (quindi 99,994) e sostiene che tra il rischio dello 0,0008% per i trentenni e quello dello 0,0002 per i sessantenni lo scostamento è “non significativo” (appena il quadruplo). Come dire che Lorenzo Bini Smaghi di Montepulciano-Città della Pieve si chiama Bini. E morta lì.