Filippo, funerale sobrio. Ma con molte stravaganze

Premessa da cronista dalle suole consumate: sì, il Regno Unito partecipa in spirito al dolore della famiglia reale per la morte del principe Filippo, e le bandiere sono tutte a mezz’asta e fioccano le commosse commemorazioni e le premure per Elisabetta sola e vedova dopo 73 anni di amore coniugale. Però i corpi non appaiono afflitti, sciamano a gruppetti per le strade di nuovo affollate dopo le riaperture dei negozi lunedì scorso, chiacchierano ai tavolini all’aperto dei ristoranti, recuperano il tempo perduto con epiche sbronze nei pub.

C’è dell’ironia nel fatto che i giorni di lutto nazionale abbiano coinciso con questa primaverile uscita da mesi di lockdown; l’aria è fredda ma leggera, i sopravvissuti al secondo inverno del Covid mangiano, bevono, comprano e ci si assolve pensando che a lui, gran viveur in incognito, dispensatore di battute anche atroci per alleggerire il peso del dovere, ligio ma pragmatico e allergico a orpelli e formalità, questa svolta da commedia popolare sarebbe molto piaciuta.

Lo seppelliscono oggi pomeriggio, alla St. George’s Chapel del castello di Windsor, in una cerimonia che lui voleva sobria, poco più di un saluto con gli onori militari, e il Covid ha ristretto anche di più, solo 30 invitati scelti dalla Regina fra gli inevitabili, cioè i 4 figli Charles, Anna, Andrew ed Edward, un po’ di nipoti, rispettivi consorti se presentabili. È quindi esclusa Fergie la Rossa, moglie divorziata dell’orco Andrew ma che Filippo detestava, mentre la rogna Meghan si è risolta con una provvidenziale giustificazione del medico americano per gravidanza avanzata. Harry invece è arrivato, il Paese si chiede se almeno sulla tomba del nonno farà pace con William, la Regina non sembra contarci tanto e durante la processione dietro il feretro li tiene socialmente distanziati grazie al robusto cugino Peter Phillips, stazza solida da rugbista. Pare che tutti volessero sfilare in uniforme militare, come di prammatica e come avrebbe voluto Filippo, ufficiale di marina; solo che, dopo la fuga dalla Firm, Harry è stato spogliato dai patronati militari, far seguire il feretro in borghese solo a lui sarebbe stato vagamente incendiario, la Regina non vuole liti in famiglia proprio ora e ha imposto a tutti il lutto in borghese.

Ci sarà anche Lady Penelope Bradbourne, 67 anni, nota come Countess Mountbatten di Burma e con il soprannome di “e anche”, visto che la invitano ovunque come appendice di qualcun altro da quando, a metà degli anni Novanta, Filippo le insegnò a guidare il calesse. La grande attrazione pop sarà la Land Rover Defender 130 ‘gun bus’, ibrida-elettrica, usata per battute di caccia, patriotticamente prodotta nella fabbrica inglese di Solilhull e modificata secondo le indicazioni del principe. Riferisce Car and Driver che anni fa, parlando del proprio funerale, lui dichiarò: “Oh, non fatela tanto lunga: caricatemi su una Land Rover e portatemi a Windsor”.

Il tocco di Philip, che in effetti ha avuto anni per pensarci, è anche nella scelta delle medaglie sull’altare vicino al feretro, cucite su nove cuscini con filo da pesca trasparente, su cui saranno poste le ali simbolo della Raf e il suo bastone da Feldmaresciallo; i simboli di Grecia e Danimarca, di cui era principe alla nascita; l’Ordine danese dell’Elefante; quello del Redentore; l’Ordine della giarrettiera, che essendo invece britannica al valore simbolico affianca il collare di oro a 22 carati. Il Paese è così, mica va capito. C’è di buono che il tutto ai contribuenti costerà molto meno del previsto e dei funerali precedenti. C’è sempre la tv, con i grandi network che prevedendo ascolti record hanno pagato una postazione fino a 1.200 sterline l’ora. La Bbc non farà copertura a tappeto, dopo gli oltre 100mila messaggi di protesta. C’è la finale di Masterchef.

 

Tutto il piombo di Parigi: da Notre-Dame alla Tour Eiffel

Il piombo torna ad avvelenare Parigi. Dopo il caso di Notre-Dame, con l’incendio che ha sparso le tonnellate di piombo del tetto e della guglia andate in fumo, un nuovo caso è scoppiato intorno alla Tour Eiffel e all’importante cantiere di restauro che ha preso il via nel 2019. Dal 1889 la Torre è stata riverniciata 19 volte e col tempo gli strati di vernice hanno finito col pesare sulla struttura per 350 tonnellate. È stato dunque deciso di sverniciare il 30% della superficie della Tour Eiffel, per alleggerirla di una trentina di tonnellate. Dopodiché sarà ridipinta con un nuovo colore ocra. Ma tutte le vecchie vernici sono a base di piombo. Stando al giornale online Mediapart, già dal 2009 si allerta per livelli di piombo anormali, fino a 20-40 volte più della soglia consentita, sul monumento, frequentato da sette milioni di persone all’anno. Il piombo si è disperso per anni con l’erosione quotidiana, ma ora con i lavori il problema si è aggravato. Un documento della Sete, la società che gestisce la Tour Eiffel, reso noto da Mediapart, mostra che il problema era noto dal 2018. Eppure la Tour Eiffel è rimasta aperta al pubblico: “Ne ho chiesto la chiusura a inizio 2020, ma mi è stato risposto di no perché i lavori dovevano essere finiti in tempo per le Olimpiadi. Sarebbe stato negativo sul piano economico e per l’immagine della Tour Eiffel”, ha detto una fonte anonima che lavora per la Sete. La Torre ha chiuso poi durante i lockdown e non riapre al pubblico da ottobre 2020, ma i lavori sono andati avanti. Sei persone sono state intossicate. Ispezioni hanno rivelato che le misure prese per proteggere operai, dipendenti e visitatori erano insufficienti. Né sono state installate docce di decontaminazione come a Notre-Dame. A febbraio 2021 sono stati registrati tassi di piombo di 18 volte più del consentito e il cantiere è stato fermato. La fine dei lavori è prevista per il 2022, ma si teme ora di non fare in tempo neanche per le Olimpiadi del 2024. Il budget di 50 milioni potrebbe lievitare. Nel 2020, causa Covid, la Sete ha perso 52 milioni di euro.

Un cancelliere per la Csu. Söder e l’effetto Strauss

La corsa all’interno del blocco cristiano democratico per la conquista dello scettro di candidato cancelliere alle elezioni politiche di settembre è arrivata all’ultimo miglio. Al traguardo, secondo l’istituto di sondaggistica Insa, dovrebbe giungere Markus Söder, governatore della Baviera, nonché leader dell’Unione Cristiano-sociale (Csu), il partito conservatore costola della Unione cristiana democratica (Cdu) guidata da pochi mesi da Armin Laschet, l’altro contendente alla successione di Angela Merkel.

Nonostante dalle intenzioni di voto stia emergendo che il fronte cristiano-democratico, orfano della signora Merkel che si ritirerà a vita privata al termine della legislatura, possa addirittura finire all’opposizione, la disputa per la Cancelleria è sempre più aspra.

Il ruolo di candidato cancelliere dei conservatori è comunque ambito al punto che l’ex ministro delle Finanze bavarese Söder sta ricorrendo in ogni occasione, spesso con un bicchiere di birra locale in mano, come se stesse già brindando alla vittoria, alle parole, opere e fotografie del titano della politica bavarese, e tedesca in generale, il defunto Franz Josef Strauss. Non manca giorno in cui Soder “resusciti” Strauss, mostrando via social che fin da quando era adolescente era un suo ammiratore, tanto da avere appeso, appunto in tempi non sospetti, una sua gigantografia alla parete della cameretta. Foto che aveva già rispolverato nel 2015. Sfruttando anche la propria imponenza fisica – come a dire che sa quanto la fisiognomica possa giocare un ruolo importante quando il popolo è alla ricerca di un politico in grado di sostenere il Paese fortemente provato dalla crisi pandemica e, di conseguenza, economica –, Söder nel sondaggio pubblicato ieri mostra di avere avuto la meglio sul minuto Laschet per ben 30 punti percentuali di vantaggio: 42% contro 12%.

Ma tutto si può dire tranne che il neo leader della Cdu, Laschet, sia un uomo senza qualità. Non è un caso che ricopra anche la carica di governatore della Renania Settentrionale-Vestfalia, l’altro land cruciale per l’economia tedesca, assieme alla Baviera.

A battersi sono dunque i due governatori degli Stati più importanti della Federazione tedesca. A dividere gli elettori concorrono le personalità molto diverse dei due contendenti. Laschet, proprio come Merkel, si è costruito una reputazione di politico inflessibile e pervicace perseguita innanzitutto per ottenere la premiership dello stato che ospita quasi un quarto della popolazione tedesca. È inoltre considerato un politico graniticamente fedele alla Cdu e ad Angela Merkel della quale ha difeso anche le scelte meno popolari. Laschet è anche ritenuto una persona amichevole e simpatica, doti che però non sembrano attrarre i voti in questo momento storico.

La carriera politica di Söder è stata invece definita innanzitutto dalla sua rivalità con il suo predecessore al governo della Baviera: Horst Seehofer, attuale ministro degli Interni. Durante la pandemia, tuttavia, Söder si è ritagliato un profilo da premier indipendente: l’anno scorso è stato il primo a dichiarare lo stato di emergenza nel suo Stato. Söder sogna dunque di ripetere le gesta di Franz Josef Strauss nel 1980. Con Edmund Stoiber, nel 2002, Strauss fu il primo leader della Csu a imporre la propria candidatura alla Cancelleria. Entrambi persero ma Strauss fu quello che si avvicinò di più al vertice della Germania. Ma, in anni incerti come questo, in cui la Csu ha prodotto un leader con una forte presenza a livello nazionale, e quando la sorella maggiore Cdu è precipitata come mai prima nella scena nazionale, tutto può accadere e forse, per la prima volta, l’allievo Söder supererà il maestro Strauss. Almeno è così che Söder vorrebbe andasse, e ha motivo di essere fiducioso. Il suo indice di popolarità è molto alto e gode anche del vantaggio di avere dietro di sé, a sostenerlo, un partito unito e un intero Stato. Monaco non ha rimpianto di averlo eletto governatore. Laschet non è invece spronato da un partito sereno. Dall’inizio della pandemia la Cdu si è divisa in correnti e l’animosità ha prevalso anche a causa della pessima gestione della pandemia. Peter Altmaier, uno dei pesi massimi della Cdu e attuale ministro dell’Economia tedesco, ha suggerito lunedì scorso che l’accordo è tutt’altro che concluso: “È importante trovare una soluzione che possa essere supportata da ampi settori della Csu”.

Vite e facce della Resistenza. I partigiani sbarcano sul Web

“Ho fatto otto campi di concentramento. Per otto volte son salito sui carri bestiame”. A parlare è Michele Montagano, cent’anni il prossimo 27 ottobre, ufficiale dell’esercito e internato militare perché dopo l’armistizio si rifiutò di indossare la divisa tedesca.

“Sono stata anti fascista. L’ho detto alle amiche di scuola e loro mi hanno guardato con due occhi così” racconta Gianna Radiconcini, staffetta partigiana, morta a 90 anni nel dicembre 2020.

E poi c’è Argante Bocchio, 98 anni, che non dimentica le sue battaglie da operaio: “Allora essere licenziato per uno sciopero antifascista voleva dire che nessuno ti avrebbe assunto”. Lui vive ancora nella sua Mezzana Mortigliengo, in Piemonte. Partigiano del distaccamento “Pisacane” è stato vice comandante della dodicesima divisione Garibaldi “Piero Pajetta Nedo” con il nome di Massimo.

La voce commossa di questi uomini e donne sono solo tre delle circa cinquecento video interviste che fanno parte del primo memoriale virtuale della Resistenza, presentato ieri dall’Anpi, Associazione nazionale partigiani italiani, alla presenza di Gad Lerner e Laura Gnocchi che per due anni hanno lavorato, con altri volontari, alla raccolta di questo mosaico della nostra storia che da lunedì sarà a disposizione di tutti attraverso la piattaforma www.noipartigiani.it.

Per la prima volta, i volti di quei giovani che scelsero di lottare contro il fascismo, sono stati catalogati e resi pubblici, in primis per le scuole e i ricercatori.

A fare gli onori di casa stamattina ci ha pensato il presidente dell’Anpi, Gianfranco Pagliarulo: “L’idea è nata da Lerner e da Laura Gnocchi che proprio in questi giorni hanno pubblicato Noi ragazzi della libertà dove la Resistenza è raccontata in prima persona dai ragazzi e dalle ragazze che scelsero da che parte stare”.

Ma un libro non basta a custodire per sempre la memoria di centinaia di uomini e donne. “Il memoriale – ha proseguito Pagliarulo – virtuale è la prima pietra del Museo nazionale della Resistenza che nascerà a Milano. Un prezioso archivio che doniamo al Paese e al mondo dell’istruzione: i ragazzi della radio parlano a quelli del web”.

Il sito si presenta come un’opera capace di unire il prezioso passato dei partigiani con il linguaggio moderno dei giovani: concepito in maniera semplice offre la possibilità di conoscere le storie dei partigiani di ogni regione e permette di selezionare per ogni intervista il capitolo che più interessa.

Le parole dei testimoni, raccolte e montate con dovizia, hanno un comune denominatore: il sottofondo di “Bella Ciao”.

“Siamo riusciti a fare – dice Laura Gnocchi – un affresco sincero di quanto accaduto, senza eroismi. Tanti di loro ci raccontano di aver scelto di fare i partigiani perché non volevano arruolarsi. È stato un lavoro molto emozionate anche perché tra poco queste persone non potranno più raccontarsi dal vivo”.

C’è Giordano Bruschi che racconta: “Vinsi in classe il primo premio per la ripetizione a memoria del discorso del duce. Ebbi un voto altissimo, lodevole. Lo portai a casa per farlo firmare al padre e mi beccai uno schiaffo”.

C’è Laura Wronowski, classe 1924, nome di battaglia “Kiki”, nipote di Giacomo Matteotti. Perse Sergio, il suo primo fidanzato, in battaglia: “L’anti fascismo in casa di mia madre si respirava come l’aria”.

E poi c’è Angelo Del Boca di Piacenza che tra le lacrime racconta: “I valori che avevo conquistato durante la Resistenza sono tali che sono ancora quelli che ho oggi”.

Per Gad Lerner è stato “il lavoro più emozionate della mia vita”.

Spiega lo storico Giovanni De Luna: “Rispetto al passato ci sono molti eventi illuminanti da queste testimonianze come il protagonismo degli operai e delle donne. Queste interviste hanno una dimensione quasi religiosa e possono essere inserite in un patto di cittadinanza”.

 

Si è pentito il boss Nicolino Grande Aracri. Tremano politica, massoneria e Vaticano

È da più di un mese che “Mano di gomma” si è messo a modello 13 nel carcere di Opera a Milano dove sta scontando diversi ergastoli. In realtà è da qualche settimana che Nicolino Grande Aracri (nella foto il primo a sinistra) si è pentito e sta vuotando il sacco facendo tremare politica e massoneria. La notizia è apparsa ieri sul Quotidiano del Sud e da subito è stato chiaro che, per il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri e i suoi pm, il boss di Cutro non è un collaboratore qualunque. Piuttosto un pezzo da novanta della ’ndrangheta, il mammasantissima indiscusso del Crotonese e il capo della Provincia criminale. Uno che, in sostanza, le cose le sa non per sentito dire, ma per averle fatte. Nella sua vita non si è occupato solo di omicidi: don Nicolino è un boss legato a doppia mandata con la massoneria. Vanta entrature nei palazzi che contano. Non è un caso che nelle indagini in cui è stato coinvolto c’è traccia di suoi rapporti con personaggi che gravitano nelle stanze del Vaticano e in quelle della Corte di Cassazione, dove ha cercato di aggiustare un processo.

“A Malta c’ho belle amicizie”. Grande Aracri era anche cavaliere dell’Ordine dei templari. In un’intercettazione, infatti, si lamentava che i carabinieri gli avevano sequestrato una spada medioevale con i simboli della massoneria. Logge ma anche affari. Come il progetto, fallito, di realizzare il Tav da Roma a Reggio Calabria. “Facciamo la doppia corsia, la Frecciarossa facciamo, treni per l’Alta velocità”. Sembrano le parole di un ministro delle Infrastrutture. Eppure le ha pronunciate il boss Grande Aracri al quale è riconducibile un conto corrente dove i carabinieri hanno trovato 200 milioni di euro. Era la sua cassaforte e dentro c’era una “fideiussione finalizzata (almeno in un caso) all’aggiudicazione di un appalto milionario, per la costruzione di appartamenti in Algeria”.

Da Cutro aveva allungato i suoi tentacoli fino all’Emilia-Romagna. È stato, infatti, il principale imputato nel maxi-processo “Aemilia” che si è celebrato a Bologna ma aveva affari pure in Lombardia e in Veneto. “Mano di gomma” è uno che pensava in grande stile: “A me mi servono i cristiani buoni – spiega in un’intercettazione – mi servono avvocati, ingegneri, architetti”. Non c’erano limiti per don Nicolino: “Noi a Roma abbiamo buone amicizie… buone strade”. Sono quelle che portano alla politica e alla massoneria. Aprono porte che i “cristiani buoni” avrebbero preferito rimanessero chiuse, sepolte sotto gli ergastoli che pesano sulla testa Nicolino Grande Aracri. Porte che la Dda di Catanzaro ha intenzione di aprire. Anche con “Mano di gomma”.

Interrogato in segreto Grillo jr: “Non fu violenza”

L’interrogatorio si è tenuto giovedì, in gran segreto, davanti al pm e alla polizia giudiziaria della Procura di Tempio Pausania. Al magistrato Ciro Grillo ha ripetuto la versione già fornita oltre un anno fa, precisando molti dettagli su elementi emersi nelle indagini: quella notte, nell’appartamento di famiglia del Pevero, a Porto Cervo, non c’è stata nessuna violenza sessuale. Semmai ci sono stati rapporti di gruppo consenzienti. Il figlio di Beppe Grillo è accusato di violenza sessuale di gruppo, insieme ai tre amici con cui nell’estate del 2019 fece una vacanza in Sardegna per festeggiare la fine della maturità: Francesco Corsiglia, Edoardo Capitta e Vittorio Lauria, tutti poco più che ventenni. A denunciarli una coetanea conosciuta al Billionaire, il locale di Flavio Briatore, dove la giovane era insieme a un’amica. I quattro ragazzi e le due ragazze finiscono la serata a casa Grillo. La serata prende una piega ad alto grado alcolico. Fra le accuse c’è quella di aver fatto bere la ragazza quasi in modo violento. Corsiglia e la ragazza si appartano in camera da letto. Lei lo rifiuta, racconta sempre la vittima, lui la violenta. Poco dopo nella stanza entrano anche Grillo e un amico, che riprendono un nuovo rapporto sessuale con il telefonino. “Non c’è mai stata nessuna violenza sessuale”, ha ribadito Grillo nel corso dell’interrogatorio. Va ricordato che quei video sono tra le prove principali di questo processo: per la parte offesa sono la dimostrazione della violenza; per i difensori degli imputati mostrano invece che si è trattato di un rapporto consenziente. La nuova audizione è servita anche per precisare alcuni dettagli della seconda contestazione di violenza sessuale. Mentre l’amica della vittima dormiva sul divano del soggiorno, incosciente perché ubriaca, Grillo e gli amici si sono fotografati su di lei in pose oscene. La versione fornita al pm di quei fatti è che si è trattato di uno scherzo di cui non avevano compreso la gravità.

Frattini vola al vertice del Consiglio di Stato. L’ex ministro di B. neo presidente aggiunto

L’ex ministro berlusconiano Franco Frattini è il nuovo presidente aggiunto del Consiglio di Stato: si apre così di fatto la successione per la poltrona più importante di Palazzo Spada, oggi occupata da Filippo Patroni Griffi, in pole, a dicembre, per un posto alla Consulta. Ma sulla nomina di Frattini non sono mancate le perplessità visto che è stato lontano da Palazzo Spada circa 20 anni per via del suo impegno in politica. A partire dal 1994, quando ha aderito a Forza Italia nelle cui file ha militato fino al 2012 come ministro, commissario europeo e soprattutto delfino del Cav. Senza mai lasciare la giustizia amministrativa, anzi continuando a fare carriera: nel 2010 venne promosso presidente di sezione del Consiglio di Stato mentre era alla Farnesina dove era tornato da ministro del governo Berlusconi IV bissando l’esperienza già fatta agli Esteri tra il 2002 e il 2004. Il fatto di essere tornato nei ruoli della giustizia amministrativa solo nel 2013 non gli ha impedito ieri di essere nominato nella seconda poltrona più importante a Palazzo Spada.

Mail Box

 

Falcone, Borsellino e l’ergastolo ostativo

Caro direttore Travaglio, le chiedo un favore. Può chiedere ai giudici di Cassazione e ai signori politici che dovranno decidere sull’ergastolo ostativo quante volte sono andati a far visita a Falcone e Borsellino? Mi piacerebbe saperlo, e in ogni caso visto che spesso vado nella mia città Palermo, so bene dove riposano. Dica a quei signori che Giovanni Falcone si trova nella chiesa di San Domenico, Francesca Morvillo al cimitero dei Rotoli, mentre Borsellino al cimitero di Santa Maria di Gesù. Sa, può darsi che non lo sapessero.

Pippo Giordano
Collaboratore di Falcone e Borsellino

 

Cure umane agli animali: grazie ministro Speranza

Il decreto firmato dal ministro Speranza per cui sarà possibile curare gli animali anche con farmaci a uso umano è molto più importante di quanto possa apparire. Questo provvedimento di fatto permetterà ai proprietari di animali, ma anche alle strutture comunali come i canili, un risparmio economico notevole che può arrivare anche al 90%. Da anni si tentava di far approvare questo provvedimento atteso dalle associazioni animaliste e da milioni di cittadini, ma nulla e nessuno vi era riuscito. Spesso quando si parla di animali, ci si sente rispondere “ci sono problemi più importanti da risolvere”. Forse è vero, ma ciò non esclude che una maggiore sensibilità per la tutela e il benessere degli animali faccia parte di quel complesso progresso civile che tanto serve al nostro Paese. Per molti anziani soli, gli unici affetti sono proprio gli animali domestici. Per questo, dare la possibilità di prendersi cura di animali, magari anziani, adottati al canile, senza esser costretti a spendere cifre esorbitanti, insostenibili per un pensionato, che servivano solo a riempire le casse già stracolme di case farmaceutiche, è un atto di grande civiltà, di rispetto per la vita, di equità sociale. Con questo provvedimento aumenteranno le adozioni di cani abbandonati nei canili, bisognosi di ricevere e dare affetto a tante persone sole, riempiendo le loro case vuote e portando gioia in tante famiglie.

Manuela Repetti

 

Il M5S deve governare, ma non a tutti i costi

In relazione all’intervista a Chiara Appendino, persona di cui ho grande stima, mi dispiace deluderla ma io non ho votato 5 Stelle perché governassero. Almeno, non perché governassero a tutti i costi. Ho votato 5 Stelle affinché provassero a governare se ciò fosse stato possibile, con alleati che, almeno in parte, accogliessero il loro programma. E li ho votati soprattutto perché continuassero a esprimere il loro maggior pregio: dire la verità. Ora, che Draghi sia uno di noi, non è la verità. Non lo è proprio.

Enzo Formisano

 

Sconcerto e disgusto per i vitalizi restituiti

Ho letto l’articolo di Ilaria Proietti sulla restituzione del vitalizio a Roberto Formigoni e non nascondo un grande voltastomaco. A me hanno insegnato che al confronto non ci sottrae mai e pertanto proporrei al “Celeste”, unitamente ai senatori che hanno votato il provvedimento, di spiegare le loro ragioni in un’assemblea aperta a tutti, alla quale auspicherei grande partecipazione di operai dell’Ilva, cassaintegrati, gente che ha perso il lavoro, ristoratori, gestori di palestre arrabbiati e magari anche di qualche anziano con condizioni di salute precaria e ancora senza vaccino.

Diego Merigo

 

Robe da matti quelle sui vitalizi. Hanno rubato finché hanno potuto e vengono premiati. Tutta l’Italia sta soffrendo e questi che l’hanno saccheggiata si prendono i vitalizi. Robe da matti per non dire di peggio.

Renata Marzi

 

Credo che sarebbe civile far conoscere ai cittadini italiani, che si recano a votare, chi sarebbero tutti gli altri senatori, la cui maggioranza permetterà di fare incassare il vitalizio a quei senatori che sono stati condannati.

Giacomo Dipierro

 

Via libera alle trivelle: transizione ecologica?

Leggo della decisione del nostro governo di (centro)destra di incentivare le trivelle. Grossa porcheria, alla faccia della transizione ecologica! Durante e dopo il terribile terremoto, che sconvolse Ancona nel 1972, si discusse molto sul possibile contributo delle trivellazioni alla genesi dei terremoti.

Piero Pacchiarotti

 

Per finanziare i ristori si taglino i costi politici

Caro Direttore, in un momento in cui la crisi economica sta mordendo vaste fasce del Paese, non crede che i nostri governanti e dirigenti dovrebbero dare un segno tangibile al popolo italiano? Per esempio, il presidente della Repubblica potrebbe tagliarsi il suo stipendio da 250.000 euro l’anno. Il presidente del Consiglio Draghi potrebbe tagliarsi la sua “pensioncina” che credo ammonti a diverse decine di migliaia di euro al mese. Dopodiché, credo che si scatenerebbe una gara al taglio da parte dei parlamentari. Sicuramente seguiranno tutti o una buona parte dei dirigenti dello Stato, dei politici locali, dei dirigenti delle banche e delle aziende private e chi più ne ha più ne metta. Lei ci crede? Vediamo.

Piero Fabbrini

Da uno studente: “La rivoluzione verde parte anche dai piccoli gesti”

 

Gentile redazione, sono uno studente di 18 anni, fortemente interessato alle battaglie ambientaliste, tanto da impegnarmi come attivista. Per questo non sopporto la vuota retorica sulla cosiddetta “transizione ecologica”, divenuta un’entità mistico-magica che rischia di essere svuotata di significato. Invece di parlare di fantomatici passaggi all’idrogeno o alla fusione nucleare, perché non si pensa a eliminare la plastica dalle scuole, dove ogni giorno le macchinette del caffè “sfornano” centinaia di bicchierini di plastica, buttati via senza possibilità di riciclo? Alla faccia della sostenibilità! La mia modesta proposta è che le scuole, perlomeno quelle pubbliche, siano obbligate a sostituire i bicchierini tradizionali con quelli biodegradabili. Che senso ha bombardare i giovani con roboanti parole come “economia circolare, green…”, se poi manca la coerenza di sostituire oggetti così banali?

Edoardo Moneta

 

Gentile Edoardo, viviamo in un mondo di contraddizioni, nei discorsi tutto diventa improvvisamente verde e sostenibile, nei fatti, come lei giustamente osserva, non è così. Eppure si potrebbe partire da situazioni come quelle da lei indicate, anzi, facendo ancora di più: utilizzando distributori automatici di bevande dove sia previsto non solo il bicchiere di materiale biodegradabile, ma anche la possibilità della sua esclusione totale, sostituendolo con un contenitore fornito dall’utente, come una tazza metallica lavabile. Sono convinto che se sul prezzo della bevanda calda si applicasse uno sconto se non si vuole il bicchiere, moltissimi studenti sceglierebbero questa opzione, portandosi il proprio contenitore riutilizzabile nello zainetto! Ma per altri prodotti come l’acqua in bottiglia di plastica, sostituibili dalla borraccia riempita con l’ottima acqua di rubinetto, il singolo può già fare la sua scelta, evitando a priori l’utilizzo del distributore… di plastica. Basterebbe un po’ di attenzione, e se migliaia di studenti applicassero questi costumi sostenibili darebbero un segnale inequivocabile al mercato. Fatte le cose semplici, sebbene non scontate, come queste, tocca poi passare a quelle più impegnative ma sostanziali: risparmio energetico nelle nostre case, pannelli solari sui nostri tetti. La transizione ecologica dipende sia da noi sia dalla politica.

Luca Mercalli

Vite dei Santi 2.0: il beato Larry Fink

Va bene che la stampa, come si dice, è il cane da guardia del potere, ma qui si esagera con l’aggressività. Ancora non ci eravamo ripresi dalla violenza dell’attacco di un’intervista a George Soros, l’estate scorsa, in occasione dei suoi 90 anni: “È appena tornato da una partita a tennis. A 90 anni gioca tre volte alla settimana. Non è il massimo della mobilità, ma fa punti a rete con tempismo impeccabile”. Ieri – sempre su Repubblica, sempre per la firma dell’ex Sole 24 Ore Mario Platero – si è andati persino oltre introducendo un’intervista a Larry Fink, boss di BlackRock, il fondo d’investimenti Usa: “Oggi Fink non è solo il più grande gestore di risparmio al mondo, è anche un policy maker, nel senso lato e migliore del termine. Fink è stato un precursore per l’introduzione di valori sociali nel mondo imprenditoriale e per una crescente trasparenza della corporate governance”. Come si vede, qui il diritto di critica rischia di sconfinare nella cattiva educazione. E fosse finita, attacchi a non finire: “La sua lettera annuale agli amministratori delegati è la più attesa, stabilisce criteri di investimento, indica obiettivi di performance ambientale e di scelte a favore di tutti gli stakeholder (lavoratori, impiegati, clienti, società civile) e non solo degli shareholder (azionisti). L’obiettivo è: emissioni zero per il 2050. È insomma uno dei leader di quel drappello di imprenditori e capitani d’industria che stanno cambiando il modello capitalistico”. Potremmo andare avanti, ma speriamo di aver dato l’idea della violenza dell’articolo, nel quale solo per motivi di spazio non sono state ricordate alcune vicende che riguardano BlackRock: la sede nel paradiso fiscale del Delaware, certe storiacce di elusione (l’indagine tedesca Cum-Ex) o lo studio di gennaio di Reclaim Finance che racconta come la svolta ecologica del Fondo sia una mera operazione pubblicitaria, visto che – per dirne una – nel 2020 ha investito 85 miliardi nel carbone e conservato le sue quote in diversi big del petrolio. D’altra parte la “svolta verde” non vale per due terzi dei suoi ricavi e pesa poco – grazie a un trucco – anche sul resto. Queste e altre cose, siamo sicuri, saranno oggetto di un articolo a parte, però, per favore, stavolta senza tutte quelle critiche pretestuose.