“Il Recovery non ha visione, ora dobbiamo prendercelo”

“Se finora il Recovery Plan non è stato trasparente questo non significa che dobbiamo stare fermi. Approfittiamo della sua attuazione per essere protagonisti”. Fabrizio Barca, ex ministro, ex dirigente del Tesoro, ex Banca d’Italia, nella sua “nuova vita” con il Forum Disuguaglianze e Diversità tallona i governi dalla parte della “società civile” e sul Recovery spiega perché non era quello che ci si aspettava.

Che visione ha questo piano, che orientamento delle classi dirigenti esprime?

Una visione non c’è. Ci sono dei titoli europei e delle cose importanti da fare, ma dietro le parole non c’è un’analisi dei punti di rottura e dei punti di riavvio del Paese. Lo avevamo scritto anche sul documento del precedente governo e oggi, a meno di non avere sorprese, non c’è.

Trova trasparente il modo in cui il piano è stato redatto?

A oggi nessuno sa nulla. E trovo una forte continuità con i precedenti governi nella scarsa attitudine al dialogo sociale. L’alibi è sempre la fretta, la necessità di rispettare i tempi, ma è un peccato che non ci si confronti nonostante singoli ministri abbiano saputo costruire dei momenti di ascolto.

Perché è un peccato, cosa si sarebbe potuto fare?

Perché ci sono idee molto precise nella forte società civile italiana che avrebbero potuto migliorare il piano come spero avverrà nel caso dei malati di Alzheimer in cui alcuni interventi frammentati relativi a salute e cura potrebbero essere unificati. Una proposta del Fdd che i ministri Speranza e Orlando hanno raccolto.

Voi avete fatto anche una proposta molto ambiziosa relativa alla Pubblica amministrazione, qual è il giudizio sul ministro Brunetta?

Qui per la prima volta dopo anni c’è stata un’iniziativa del governo e si è detto che senza la Pubblica amministrazione ordinaria, cioè i dipendenti “che ci sono”, non si va da nessuna parte. Un segnale molto positivo. Ha creato purtroppo confusione la contemporaneità con quello che considero l’ultimo bando del “vecchio mondo”, il bando Sud del 2008, che non è coerente con gli obiettivi fissati.

Se quello è il vecchio mondo, com’è il nuovo mondo?

Se si vuole fare bene oggi occorre capire i piani di fabbisogno degli organici cioè cosa esattamente si vuole; dire ai giovani perché li si vuole e quindi motivarli; e poi la valutazione e quindi il ruolo delle commissioni e delle prove pratiche e orali. Guai se ci affidiamo ad automatismi legati a punti, guadagnati chissà come oppure delegando a qualcuno l’elenco dei “bravi”. E per essere chiari mi riferisco a università, centri di ricerca, ordini professionali.

Cosa dovrebbe fare invece una società civile? Cosa pensate di fare voi?

Come ho detto, c’è stata pochissima trasparenza, poco dialogo sociale. Però i titoli sono giusti e quindi siamo noi che dobbiamo cercare di trasformare il piano in un New Deal. Qualunque cosa producano le misure proposte, l’anima gliela dobbiamo dare noi.

E come?

Gli interventi, almeno al 60%, sono attuati dai Comuni, periferia per periferia, riguardano i cittadini, i servizi fondamentali, università, imprese. La “messa a terra” quindi è un’occasione. E in questo senso la partita delle Amministrative è abbastanza rilevante.

Cosa significa per le associazioni la messa a terra?

Che deve essere attuata immediatamente, da parte del ministero dell’Economia, un livello di informazione pubblica, attraverso siti comprensibili, su dove, quanto, per cosa si spende e con quale risultato atteso. Penso a un sito come ad esempio Open Coesione che permette di entrare nella mappa d’Italia e vedere come sono spesi i fondi. Se c’è questa informazione di base le associazioni possono intervenire attivamente.

A proposito di occasioni, nell’ultimo periodo si nota una riattivizzazione del Pd, si sta verificando una campagna di solidarietà al ministro Speranza e Giuseppe Conte si appresta a presentare il suo progetto politico. Che giudizio ha su questi movimenti?

Si tratta di segni molto diversi, ma tutti positivi e credo abbia un senso metterli assieme. Il dibattito nel Pd vuole espressamente tornare a utilizzare la base territoriale e per me è senz’altro positivo. Sapendo che la cittadinanza attiva non si fa rimettere nel tubetto dai partiti, ma certamente ha bisogno e voglia di trovare luoghi adeguati in cui far sentire la propria voce.

Altro che boicottaggio: l’Ansa coccola gli emiri

Mentre mezzo mondo s’interroga sulle implicazioni etiche dei Mondiali di calcio in Qatar nel 2022, l’Ansa stipula un accordo con l’ambasciata qatariota per promuovere “i progressi” dell’emirato.

In Europa cresce il dibattito pubblico sull’opportunità di boicottare o trovare altre forme di protesta verso una manifestazione costruita sullo sfruttamento selvaggio della forza lavoro. Le Nazionali di Olanda, Norvegia e Danimarca, in forme diverse, hanno manifestato preoccupazione per lo stato dei diritti umani. Una stella come Toni Kroos, centrocampista tedesco del Real Madrid, ha rilasciato dichiarazioni di un’intensità politica inconsueta per il timido mondo del calcio: “Non condivido i Mondiali in Qatar, anche se la scelta è di 10 anni fa. Le condizioni dei lavoratori sono inaccettabili”. La riflessione internazionale muove da un’inchiesta del Guardian: “Più di 6.500 lavoratori migranti – scrive il giornale britannico – provenienti da India, Pakistan, Nepal, Bangladesh e Sri Lanka sono morti in Qatar da quando ha vinto il diritto di ospitare la prossima Coppa del mondo, 10 anni fa”.

In Italia non ci si pone nemmeno il problema. Sui diritti umani l’elettrocardiogramma è piatto, la mancanza di sensibilità è un fatto storico, acquisito. La Figc e le squadre di club con il Qatar fanno affari: la compagnia aerea dell’emirato è il main sponsor della Roma, mentre la Federcalcio organizza eventi nel Golfo Persico ogni volta che può trarne qualche beneficio economico (a Doha si è disputata la Supercoppa italiana nel 2014 e nel 2016). Ma il problema non è solo del calcio, investe anche i media e il giornalismo. In questo quadro, la partnership tra il Qatar e la prima agenzia di stampa nazionale è un fatto clamoroso.

“L’accordo è ragione di grande soddisfazione, rappresentando l’intensa collaborazione che lo Stato del Qatar ha avviato con la più importante istituzione mediatica italiana”, ha dichiarato all’Ansa l’ambasciatore Abdulaziz bin Ahmed Al Malki Al Jehani, in un articolo pubblicato la scorsa settimana per sigillare l’intesa. “Siamo certi che ciò porterà tutti gli italiani ad avere più informazioni sul Qatar e quindi una conoscenza maggiore del mio Paese e delle grandi cose che sta facendo anche in vista dei Mondiali di calcio del 2022”.

Gli effetti della collaborazione non hanno tardato a mostrarsi. Sul sito dell’Ansa tre giorni fa è comparso un articolo con questo titolo: “Mondiali in Qatar, ‘i lavoratori migranti sono tutelati’”. Una dichiarazione sconcertante, dopo la denuncia del Guardian sugli operai morti. Sotto alla testata del sito e in fondo al testo, c’è un disclaimer: articolo scritto “in collaborazione con l’ambasciata del Qatar”.

La notizia è iniziata a circolare online grazie all’attenzione di due collettivi che scrivono di calcio e politica, A gamba tesa e Minuto Settantotto. Qualcuno forse all’Ansa ha avuto dubbi sull’opportunità della pubblicazione di un articolo sui diritti umani scritto “in collaborazione” con lo Stato che li sta violando, perché il link originale ora conduce a un vicolo cieco: “Errore 404 – pagina non trovata”. Una versione con qualche lieve modifica è stata ripubblicata sul sito dell’Ansa giovedì sera alle ore 20 e 20. “Gli appelli al boicottaggio della Coppa del mondo del 2022 – si legge – sono basati su ‘notizie fuorvianti dei media’”. Le dichiarazioni riportate dall’agenzia, tutte senza contraddittorio, sono del vicedirettore della comunicazione del governo qatariota.

Alle domande del Fatto Quotidiano , il direttore dell’Ansa Francesco Contu ha risposto così: “L’articolo contiene l’estratto di un’intervista pubblicata sul quotidiano francese Le Figaro, crediamo abbia valore giornalistico”. La collaborazione commerciale con il Qatar, spiega Contu, “non ci imbarazza: lo facciamo con molte ambasciate, anche di Stati non democratici. Manteniamo autonomia e controllo su quello che scriviamo”. Si tratta di contenuti assimilabili ad articoli commerciali, è come affittare uno spazio giornalistico a uno stato estero. “Vero – conviene Contu – ma lo facciamo in maniera trasparente”. Sull’entità economica dell’accordo, il direttore non è d’aiuto: “Non la conosco, non credo sia rilevante, forse poche migliaia di euro”.

Il presidente dell’Ansa, Giulio Anselmi (che occupa la stessa carica in capo alla Fieg, federazione degli editori di giornali), conferma le parole di Contu: “È un accordo commerciale che non mina l’autonomia giornalistica della nostra redazione. L’altro giorno infatti abbiamo pubblicato una notizia critica sul Qatar”.

Si riferisce a un articolo che riporta la denuncia di Human Rights Watch: “In Qatar le donne ancora vittime del patriarcato”. Quasi un eufemismo per descrivere la condizione femminile nello Stato arabo. In compenso, sempre sul sito dell’Ansa, quel giorno ha trovato spazio anche un’altra good news: “Qatar: ambasciata a Doha promuove ricercatori italiani”.

Mondiali, Moretti e la lite per lo stadio in Qatar

L’Al Bayt Stadium è uno degli otto impianti costruiti per il Mondiale di calcio del 2022 che si terrà in Qatar. Realizzato nella città di Al Khor (a circa 50 km a nord della capitale Doha), proprio intorno a questo stadio sono sorte da tempo diverse liti tra aziende italiane. Con un manager, Mauro Moretti – un lungo curriculum nelle principali aziende pubbliche del Belpaese – che si ritroverà alla guida di un gruppo, Psc, ora in causa davanti al Tribunale di Roma proprio contro la Leonardo Spa (l’ex Finmeccanica) per una commessa che nasceva quando era amministratore delegato del colosso degli armamenti controllato dal ministero dell’Economia e delle Finanze.

Ma partiamo proprio dal Qatar, dove si terrà la 22esima edizione dei Mondiali di calcio 2022. Per l’evento sono state costruite importanti infrastrutture, come appunto lo stadio Al Bayt, un’opera con una capienza di oltre 60 mila spettatori e un investimento di 770 milioni di euro. Il progetto di realizzazione dei lavori è stato affidato a un General contractor costituito da una Joint ventures di aziende italiane, Salini-Impregilo Spa (oggi diventata WeBuild) e Cimolai Spa, e dalla società Galfar Misnad Engineerin&Contracting (Jv Gsic). Nel luglio del 2016 nell’affare dello stadio entrano anche Leonardo Spa e la Psc, gruppo industriale internazionale specializzato nella progettazione e realizzazione di impianti tecnologici per grandi opere di edilizia civile e industriale, della famiglia Pesce.

Come ricostruito infatti nella relazione finanziaria 2019 di Leonardo Spa, il 22 settembre 2016 “nell’ambito della commessa per la progettazione e costruzione dell’Al Bayt Stadium”, la Joint venture Gsic “nella sua qualità di Prime Contractor” ha affidato “alla unincorporated Joint Venture costituita da Leonardo Spa e Psc Spa (JV L&P) le attività di procurement, delivery, installazione e testing & commissioning dell’intero pacchetto relativo alle componenti elettroniche e meccaniche dell’infrastruttura dello stadio”.

 

Le cause in corso Salini, Cimolai e gli altri

Leonardo Spa e Psc Group dunque lavorano insieme alla costruzione dello stadio. Di lì a poco, però, nasce un conflitto con la JV Gsic: “Sin dall’inizio – è scritto nella relazione finanziaria di Leonardo Spa – il regolare avanzamento della commessa è stato fortemente condizionato da una serie di ritardi non imputabili alla JV L&P nonché dalla introduzione di numerose integrazioni e modifiche al progetto iniziale, rivelatosi in fase esecutiva incompleto. Le circostanze di cui sopra hanno comportato ingenti extra-costi per la JV L&P che il Prime Contractor non ha però inteso riconoscere”. Così per tali ragioni il 25 ottobre 2019 Leonardo e Psc avviano “un giudizio arbitrale” chiedendo un risarcimento di 258 milioni di euro. La JV Gsic a sua volta ha chiesto il risarcimento dei danni a causa di “ presunti inadempimento della Jv L&P, che ha quantificato in 176 milioni”.

Ma questa non è l’unica lite che si aggira intorno allo stadio. Perchè nel frattempo anche Leonardo Spa e Psc si ritrovano l’uno contro l’altro. Tutto parte dall’accordo del 3 luglio 2018 quando le due aziende (si legge nel bilancio 2019 di Psc) si accordano per il subentro di Leonardo Spa “nella quasi totalità dei lavori posti a carico di Psc nell’ambito della JV L&P”. “A causa del mancato rispetto da parte del partner della Jv delle pattuizioni fissate” Psc quindi avvia un articolato contenzioso ancora in corso davanti al tribunale di Roma, “per il valore di 360 milioni di euro”.

E così oggi Moretti, dopo la nomina in Psc del 9 aprile come consigliere non esecutivo, si troverà a capo di un gruppo in causa con un’azienda, la Leonardo Spa, di cui il manager è stato amministratore delegato dal 2014 al 2017. In passato, Moretti è anche stato amministratore delegato anche di Ferrovie dello Stato. Precisamente dal 2006 al 2014. Ruolo che gli è costato anche una condanna in appello a sette anni per la strage di Viareggio (avvenuta nel giugno 2009 quando per quell’incidente persero la vita 32 persone), sulla quale però la Cassazione ha deciso di rimandare gli atti in Appello dove avrà luogo un processo bis per Moretti (che ha rinunciato alla prescrizione) e per altri.

Le aziende pubbliche però sono il passato. Il futuro di Moretti è ora alla guida della Psc. Il manager “assumerà il ruolo di amministratore delegato del gruppo”, è stato annunciato il 9 aprile scorso. Sulla lite tra Psc e Leonardo, raggiunto dal Fatto, però il manager non ha molto da aggiungere: “Non conosco la vicenda perché sto entrando adesso in Psc. La vicenda e i vari problemi si sono sviluppati dopo la mia uscita da Leonardo, non conosco nulla di questo”.

 

Altri consiglieri Cozzoli (ex mise)e adinolfi (ex Gdf)

In Psc è fresco di nomina anche Vito Cozzoli. Ex capo di gabinetto al Mise con il primo governo Renzi e poi confermato dal governo Conte a settembre 2019, nel marzo 2020 Cozzoli viene nominato presidente e amministratore delegato di Sport e Salute spa (azionista unico è il ministero dell’Economia e delle Finanze). Il 25 gennaio scorso entra come consigliere in Psc (come consentito dallo statuto di Sport e Salute). Risale invece a ottobre 2020 la nomina a consigliere in Psc di Michele Adinolfi, generale della Guardia di Finanza ora in pensione. Vittima di un errore giudiziario, indagato per una sospetta fuga di notizie e poi completamente prosciolto su richiesta del pm nell’ambito di un’inchiesta Cpl Concordia della Procura di Napoli, di lui divenne celebre l’intercettazione svelata dal Fatto con Matteo Renzi. Era l’11 gennaio 2014 quando l’ex premier, meno di un mese prima di suonare la campanella dello sfratto al suo predecessore, al telefono con il generale definiva Letta un “incapace”. Ma questo è il passato. Il futuro di Adinolfi è nel mega gruppo industriale. Proprio come per Moretti.

Il report Aifa: è falso che AstraZeneca sia il più rischioso dei vaccini approvati

Non solo AstraZeneca. Il vaccino Vaxzevria a vettore virale sviluppato dalla casa farmaceutica anglo-svedese potrebbe non essere l’unico a generare reazioni avverse, seppure rarissime. Anche quelli di Pfizer Biontech e Moderna – basati sull’Rna messaggero – potrebbero provocare effetti collaterali, anche se non c’è nessun nesso causale provato con la somministrazione.

In Italia dall’inizio della campagna vaccinale al 26 marzo scorso sono stati segnalati 510 casi sospetti ogni 100 mila somministrazioni, indipendentemente dal siero utilizzato, vale a dire oltre 46mila eventi sul totale (a quella data) di più di 9 milioni di dosi somministrate. Di questi, quasi 37.400 (l’81%) sono da ricondurre a Pfizer, 971 (il 2%) a Moderna e 7.854 (17%) a Vaxzevria. Dati che provengono dal Rapporto sulla sorveglianza dei vaccini Covid dell’Aifa. E che vanno necessariamente correlati alla quantità di ogni tipo di vaccino utilizzato dall’inizio della campagna vaccinale. Il numero di segnalazioni di sospette reazioni avverse relative a Pfizer – con 535 casi ogni 100mila somministrazioni – è decisamente più alto di quello che riguarda Moderna (227 casi sempre ogni 100mila somministrazioni) e Vaxzevria (477 segnalazioni) solo perché il suo uso è stato predominante nel corso della campagna vaccinale, con il 68% delle dosi somministrate. “E il report di Aifa va considerato come un registro degli indagati – spiega l’immunologo Sergio Abrignani, docente all’Università di Milano –. Raccoglie le segnalazioni di reazioni avverse che potrebbero essere collegate alla somministrazione, ma questo non significa che quel vaccino sia colpevole, almeno fino a quando non si stabilisce che c’è probabilmente un nesso di causalità”. Niente a che vedere, almeno per ora, con il vaccino di AstraZeneca, che è già stato sospeso una volta in Italia e in altri Paesi europei – alcuni, come la Danimarca, lo hanno poi ritirato definitivamente – e poi di nuovo autorizzato nel nostro Paese con la raccomandazione di utilizzarlo solo per le persone over 60. Una decisione presa dopo il responso di Ema, l’Agenzia del farmaco europea, che ha ravvisato un possibile nesso tra il vaccino anglo-svedese e gli 86 casi di rare trombosi in Europa su 25 milioni di dosi somministrate, con 18 decessi. Mentre ora si attende sempre da Ema il pronunciamento sull’altro vaccino a vettore virale, sviluppato da Johnson&Johnson, per il possibile collegamento, anche in questo caso, con trombosi rare. “Pronunciamento che probabilmente ricalcherà quello relativo ad AstraZeneca – prosegue Abrignani – e che ribadirà che il rapporto tra rischi e benefici resta notevolmente a vantaggio di questi ultimi”. I sintomi più comuni rilevati finora, indipendentemente dal tipo di vaccino, sono febbre, cefalea, dolori muscolari, brividi, nausea. E si sono verificati soprattutto in persone sotto i 60 anni di età, prevalentemente tra le donne: il 76% dei casi. Il tasso di segnalazione nel sesso femminile è infatti di 645 casi ogni 100mila somministrazioni, contro i 299 tra gli uomini. “Ma è del tutto prematuro affermare che possibili reazioni siano legate al genere – spiega Abrignani –. Prima di tutto bisognerebbe analizzare i dati alla luce di quante donne sono state vaccinate, tenendo anche conto del fatto che sono molto più attente degli uomini a segnalare condizioni di malessere”.

I sintomi si presentano prevalentemente (87,3%) lo stesso giorno dell’avvenuta vaccinazione o il giorno successivo. Le segnalazioni di una certa gravità corrispondono però solo al 7,1% del totale, che significa 36 sospette reazioni ogni 100mila somministrazioni: 33 per Pfizer, 22 per Moderna e 50 per AstraZeneca.

E tra i casi gravi, si è avuto il pericolo di vita solo nello 0,24% dei casi, il decesso nello 0,21%.

Figliuolo ora frena le Regioni: “Meglio non vaccinare troppo”

Adesso qualche Regione deve correre di più, ma altre devono tirare il freno, fare cioè meno vaccinazioni di quanto potrebbero. Ordine del generale Francesco Paolo Figliuolo. Il commissario all’emergenza ha richiamato le Regioni, in questi giorni, a rispettare i target fissati per la settimana compresa tra ieri e il 22 aprile. Questo per agganciare la velocità della campagna vaccinale all’andamento delle forniture dei vaccini. Non solo per garantire le scorte necessarie ad assicurare le seconde dosi. Ma anche per evitare brusche frenate, di fronte a un possibile rallentamento degli approvvigionamenti. L’obiettivo è quello di arrivare in sette giorni a superare 2,2 milioni di inoculazioni. Per raggiungerlo dovranno aumentare gli sforzi la Calabria – che deve toccare quota 9.644 somministrazioni giornaliere, contro 7.385 (dato riferito a giovedì) – ma anche il Friuli-Venezia Giulia, il Molise, la Sardegna, la Sicilia, l’Umbria e il Veneto. La Regione guidata da Luca Zaia deve arrivare a quota 25.243, deve quindi fare circa 5.700 somministrazioni in più al giorno. Il Friuli ne deve recuperare 3.600, la Sicilia almeno 4 mila.

Poi ci sono le Regioni più o meno in linea con gli obiettivi: il Lazio, l’Abruzzo, la Basilicata. E infine quelle che, paradossalmente, devono diminuire l’andatura. La Campania, per esempio, di somministrazioni giovedì ne ha fatte quasi 34mila e dovrà fermarsi a 29.500. Dovranno rallentare anche l’Emilia-Romagna, la Lombardia, il Piemonte, la Puglia. In quest’ultima regione è stato lo stesso assessore alla Salute, Pier Luigi Lopalco, a spiegare che il limite di 20.777 somministrazioni fissato da Figliuolo (limite ampiamente superato giovedì), non deve essere oltrepassato. “Mantenendo lo standard indicato spingiamo la macchina e possiamo pianificare”, dice ora lo staff del presidente della Regione, Michele Emiliano, che ha deciso di aprire due percorsi distinti di accesso alla vaccinazione. Uno è sulla base delle prenotazioni, l’altro è a “sportello”: significa che quando scatta la chiamata per la propria classe d’età ci si può presentare senza appuntamento.

Nel frattempo il consueto report settimanale del governo sulla campagna vaccinale rileva che il 45,19% degli over 80 – poco più di due milioni di persone su circa 4,5 – ha ricevuto già prima e seconda, ha cioè completato il ciclo vaccinale, mentre è ancora in attesa della prima dose quasi il 24% degli ultraottantenni.

Molto più indietro le vaccinazioni nella fascia d’età 70-79. Quasi il 70% non ha avuto nemmeno la prima somministrazione, solo il 3,41% ha completato il ciclo vaccinale. Vicina al completamento invece la vaccinazione degli anziani delle case di riposo: il 76,86% ha ricevuto anche la seconda dose, il 92,38 la prima.

La strategia Spirlì contro il virus: aspettare l’estate

Il grande ospedale dell’Annunziata a Cosenza è sotto assedio. L’altro giorno 40 ambulanze sostavano con malati Covid in attesa di ricovero, due dei quali poi sono deceduti (in ambulanza). L’ospedale militare da campo aperto a dicembre e chiuso a febbraio, a metà marzo è stato riaperto non per accogliere i malati, ma per farne un centro vaccinale. Dall’inizio del mese i contagi marciano tra i 500 e i 600 al giorno, in una regione di un milione e 850 mila abitanti. In qualche comune il sindaco ha chiuso pure chiese e cimiteri. Nell’ultima settimana l’incremento dei contagi è stato del 18%. Ad oggi si contano quasi mille morti: cento negli ultimi 15 giorni, quanto quelli registrati da marzo ad ottobre 2020.

Appena nominato il commissario Figliuolo venne in Calabria per verificare di persona cosa non funzionasse nella cenerentola d’Italia per le vaccinazioni. Tra l’incredulità generale disse che tutto andava bene ma l’uscita era talmente inverosimile che sembrò un escamotage per non lavare in pubblico i panni sporchi. Non era così e purtroppo da allora la situazione non ha fatto che peggiorare.

Da un lato la pandemia ha messo il turbo fino a giungere a numeri imprevedibili fino a poche settimane fa, quando i pazienti in intensiva erano davvero pochi: oggi sono diventati una cinquantina, il numero più alto da quando tutto è cominciato. Per di più da qualche giorno la Calabria è tornata in arancione e il quadro potrebbe diventare più fosco. Soprattutto nella provincia di Cosenza dove c’è il maggior numero dei contagi.

Nulla è stato fatto per potenziare una sanità tra le più malmesse del paese, nonostante le eccellenze che pure ci sono. Con il Covid si sperava che qualcosa si muovesse. Invece niente: le terapie intensive non sono state incrementate, né i posti letto degli ospedali, né i medici e gli infermieri. La Regione guidata dal leghista Spirlì è rimasta a guardare, sperando di farsi beffe del virus grazie al mare e al sole, invece che attrezzarsi per potenziare strutture e personale. Non uno scatto, ma il solito insensato campanile: sarà un caso, ma uno dei centri più importanti di vaccinazione è proprio Taurianova, 15 mila abitanti ai piedi dell’Aspromonte, paese del governatore. Nemmeno il balletto dei commissari, da Cotticelli a Zuccatelli, a Longo è servito a cambiare qualcosa.

Nell’Italia del covid la Calabria è ultima nella percentuale dei vaccini somministrati, ultima negli over 80 vaccinati, ultima nell’uso dei monoclonali, ma sa essere davanti nella categoria “altro” che pesa per il 30% del totale dei vaccinati. Un fatto di cui forse non andare fieri nella terra di Campanella e Gioacchino da Fiore, frutto dell’eterno familismo italico che qui trova una sua originale declinazione. Grazie magari alla scellerata strategia che ha consegnato a molte strutture private fiale usate per immunizzare pure chi non doveva esserlo. Di fronte a questo disastro la recente richiesta del Movimento forense calabrese che reclama il vaccino per gli avvocati appare surreale. Lo è di meno il blocco della pec di una Asp per ritardato rinnovo, che ha vanificato per giorni le richieste di tamponi. Ora il governo non può più far finta di niente, né prendere tempo: Draghi, Speranza e Figliuolo devono dare risposte concrete ai tanti calabresi che in questi giorni reclamano i fatti.

La Corte dei conti boccia Aria: è la cuccagna delle consulenze

“Aria Spa, sotto il profilo del suo contributo alla programmazione e alla gestione degli acquisti di beni e servizi in ambito sanitario, non corrisponde pienamente alle finalità che la Regione Lombardia intende realizzare”. Sono le tre righe con le quali la Corte dei conti ha seppellito ieri l’Agenzia degli acquisti di Regione Lombardia. Un carrozzone che, per i giudici, non permette risparmi sugli acquisti, non è in grado di gestire i dati che essa stessa genera, ha un monte stipendi altissimo ed è grande elargitrice di consulenze agli avvocati. Sempre gli stessi.

Le 319 pagine toccano vette di involontario umorismo, come quando raccontano di come i report trimestrali sugli acquisti siano vergati dai dipendenti su fogli Excell, che poi altri dipendenti devono analizzare voce per voce. O che le ricevute di appalti milionari vengono spedite via mail…

Così non si può non sorridere quando si legge che la società, nata nel 2019 dalla fusione di tre carrozzoni regionali (Arca, Ilspa e Lispa) deve promuovere “piattaforme digitali”, spingendo per lo “sviluppo e la valorizzazione del patrimonio informativo regionale”.

Del resto, che Aria non fosse il meglio delle “software house” (così la definì il suo padrino, il potente assessore regionale leghista, Davide Caparini) lo si sapeva. A lei si devono i flop inanellati dal Pirellone nell’ultimo anno: piattaforma per i vaccini anticovid, camici del cognato di Fontana, vaccini antinfluenzali pagati sei volte il prezzo.

Ciò che certifica la Corte è il costo dei flop. Solo per le consulenze legali esterne, Arca nel 2019 ha speso 551.664,76 euro: 281.102,62 per spese legali e notarili, 210.815,22 per patrocini; 32.818,00 per certificazione bilancio; 25.528,92 per consulenze direzionali. Poi ci sono i servizi di consulenza per ricerche, studi e pareri, per complessivi 127.073,26 euro.

A colpire è che siano sempre gli stessi avvocati a ricevere gli incarichi: l’avvocato Guido Salvadori del Prato, ad esempio, ottiene tra l’11/02/2019 e il 25/11/2019 cinque affidamenti per complessivi 145.330 euro. Il prof. Terracciano è compensato con 50.692 euro per servizi legali di contrattualistica. Così come l’avv. Matteo Jori è titolare di due affidamenti per 50.388 euro.

Poi ci sono le consulenze tecniche: Francesca Sapio e Silvia Usai ricevono una consulenza ciascuna da 143.200, mentre quella di Marcello Melgara, arriva a 171.400 euro.

Altro capitolo il monte stipendi: l’ex dg ora amministratore unico, Lorenzo Gubian, il 19 ottobre 2020 firma un contratto triennale con retribuzione fissa annua di 160.000 euro per i primi sei mesi e 170.000 dal settimo mese in poi, oltre ad una componente variabile, legata al risultato, pari al 20% della retribuzione fissa.

Carmen Schweigl, Responsabile Direzione Centrale Acquisti, compenso annuo fisso da 96.090 euro lordi, oltre ad un incentivo di 31.096 euro lordi al raggiungimento degli obiettivi. Roberto Soj, Responsabile della Direzione Centrale Servizi ICT, invece ha un compenso annuo fisso di 190.000 euro lordi, più un incentivo di 50.000.

In totale, il personale di ARIA al 31.12.2019 ammontava a 481 unità, tra i quali si contano 18 dirigenti e 122 quadri, per un costo totale di 33.561.510 euro. E di tutti quei 481 dipendenti, solo 35 si occupano di acquisti e gare (ed è l’agenzia per gli acquisti regionale!), gli altri si dedicano ai Servizi Ict.

Ma anche il settore gare fa sorgere più di un interrogativo nei magistrati, che sottolineano le 201.598 procedure sotto la soglia i 40.000 euro assegnate nel 2019 senza gara. Per un totale di 1,1 miliardi, a fronte di circa 11 miliardi di procedure ordinarie. Uno sproposito, tanto che i giudici promettono un supplemento di indagine.

Per la Corte a non funzionare è l’intera architettura di Aria, così come era stata voluta da Fontana e Caparini, tanto che la Spa non raggiunge il suo scopo: centralizzare gli acquisti del sistema sanitario, analizzare la spesa, controllare flussi e abusi, assicurare risparmi. A fronte di una media degli acquisti programmati “prossima al 70% del totale”, l’istruttoria “ha rivelato che gli acquisti effettivi tramite il canale centralizzato non superano il 36%”. Cioè ogni centro di acquisto fa ciò che vuole (gare, affidamenti), mentre quei poco che gestisce Aria, sono solo ordini di altri.

“Io sto con Speranza, attacchi vili e orribili”

Certe volte si ha la fortuna di poter guardare le cose da un altro punto di vista. Sono le situazioni in cui ci si accorge di ragionare per pregiudizi, di essere tutt’altro che obiettivi e sereni come invece si immaginava, che certe opinioni che si credevano frutto di raffinati e spassionati ragionamenti erano invece grossolane e dettate da un’osservazione marginale e superficiale.

Ho conosciuto Roberto Speranza per caso, qualche anno fa e sembra un secolo. Si viaggiava senza mascherina, il Frecciarossa era una bella occasione per scambiare due chiacchiere in libertà, anche se si poteva sempre fingere di dormicchiare o di essere assorti nella lettura. Quel Roma-Napoli invece mi consentì di affacciarmi su una bella mente, colta e gentile, ma soprattutto impegnata. Quel ragazzo mi sembrò intelligente e preparato, ma entusiasta e tutt’altro che malizioso. Mi formai l’idea che si potesse fare politica, e anche a livello elevato, senza essere un accoltellatore professionista e senza guardare agli avversari come a nemici da sterminare a qualsiasi costo.

E soprattutto pensai che se la generazione dei quarantenni aveva in pancia anche elementi del genere, e non solo personaggi determinati a costruire un futuro attraverso rottamazioni violente o operazioni chirurgiche fatte con la fiamma ossidrica, allora non tutte le speranze erano morte.

Il tempo passò e seguii con attenzione l’operato di Roberto, anche per capire se le mie impressioni dovessero essere brutalmente smentite dai fatti, come purtroppo in passato era spesso accaduto. Così non fu, per fortuna: e le volte che lo incontrai ancora fu in dibattiti e riunioni tesi al sostegno e alla difesa di questa mia disgraziata e meravigliosa città, che ha nella fame perenne di lavoro e di iniziative sane la più grande delle disperazioni. Non c’è stata una sola volta in cui non abbia sentito nelle parole di questo giovane, straordinario uomo politico idee limpide e commozione, partecipazione affettiva e preoccupazione per gli ultimi.

Voterei per lui cento, mille volte. Mi ci riconosco, ritrovo la voglia di non perdere il futuro e di difendere chi non ha voce: e la lucidità di sostenere le proprie ragioni, anche se impopolari, anche se contrarie alla comoda scelta del bene personale o dell’interesse di parrocchia.

È per questo motivo che sono rimasto disgustato dall’attacco politico e personale che Speranza sta subendo in questi giorni. La viltà di cavalcare un momento di oggettiva stanchezza della gente, il fingere che ci sia un’altra via di difesa e salvaguardia della salute collettiva senza mai dire quale, cercare di individuare in chi ci mette la faccia un capro espiatorio della sofferenza economica del paese è orribile per chi come me, da amico, è stato testimone della pena di dover prendere decisioni difficilissime per il bene comune.

Io sto con Roberto, insomma, perché ne conosco e ne condivido le ragioni: ma anche perché questo triste spettacolo è l’esemplificazione massima del vecchio modo ottuso e autolesionista di fare politica, in contrapposizione con quello che vorremmo nel futuro di questa nazione. Né più, né meno.

Salvini alza il tiro, Giorgetti con lui: “Basta prigionieri”

Il governo vira verso “il rischio ragionato”, promette Mario Draghi ai microfoni, e il tono deve rassicurare. Ma fuori c’è già il rumore dello scontro tra Lega e M5S, alleati per forza. Già si intravedono le schegge della cabina di regia, dove in mattinata la maggioranza si era divisa in fronti contrapposti: da una parte il Carroccio a invocare di riaprire subito più o meno tutto, con Forza Italia e Italia Viva a sostegno, e dall’altra il Movimento, il Pd e il ministro della Salute Roberto Speranza a frenare. Una riunione in cui il primo a marcare la distanza è il capodelegazione del Carroccio, Giancarlo Giorgetti, che parla come se fosse Matteo Salvini: “Se i dati dicono che si può riaprire, perché continuare a tenere prigionieri gli italiani?”. Azzanna come da consegna proprio di Salvini, che glielo aveva raccomandato poche ore prima: “Dobbiamo spingere sulle riaperture”. Perché la Lega deve alzare il prezzo del suo sì, mostrare i muscoli e magari prepararsi la strada per staccarsi dal governo Draghi in estate, così da riprendere fiato all’opposizione.

Innanzitutto per questo, il solitamente moderato Giorgetti stavolta alza i gomiti, anche sui ristoranti: “Quelli che non hanno spazi all’aperto li lasciamo indietro?”. Così la cabina di regia si riempie di nervosismo. E a dire dritto il senso della partita provvede la forzista Mariastella Gelmini: “Presidente, la questione è politica, dobbiamo dare un segnale”. Iv, con la renziana Elena Bonetti, a quello mira. Per questo Draghi deve mediare e quindi concedere, aprendo più di quanto forse avrebbe voluto. Ma deve anche ricordare l’importanza “dell’unità” del governo e mettere paletti: “La questione non è politica, noi decidiamo e ragioniamo in base ai dati scientifici, e tu lo sai Giancarlo”. Quindi, “se si potrà mangiare solo in spazi aperti è perché all’aperto ci si contagia molto meno”.

Ecco quindi il paletto, assieme a un altro che il Carroccio voleva assolutamente scardinare, il coprifuoco alle 22. Per ora è intoccabile, innanzitutto per Speranza, che in conferenza stampa il premier tornerà a blindare: “Le critiche al ministro della Salute non erano né fondate né giustificate, ho già detto che l’ho voluto io nel governo”. Ed è un avviso anche a Salvini, che mentre Draghi e Speranza parlano, alza ancora l’asticella: “Conto che il limite delle 22 possa essere rivisto, ma non dico altro altrimenti Speranza fa sciopero”. Lì fuori però c’è Giorgia Meloni che ormai ha pronta la mozione di sfiducia contro il ministro della Salute. E allora insiste, il capo del Carroccio: “Con noi fuori dal governo sarebbe passata la linea di Speranza. Ma la Lega d’assalto non può piacere ai 5Stelle, anche loro in sofferenza nel governo Draghi. Da settimane nel torpore per i veti alle apparizioni tv di Beppe Grillo e i guai interni, non vogliono passare come quelli delle chiusure. E allora mordono il Carroccio, con il capodelegazione Stefano Patuanelli: “La pandemia non è un gioco della comunicazione con cui accaparrarsi i voti e i favori delle categorie produttive”. Punge anche il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Federico D’Incà: “Chiunque voglia rivendicare risultati che sono arrivati a seguito di un lavoro collegiale non ha ascoltato con attenzione Draghi”. E va in scia la viceministra al Mise, Alessandra Todde: “Le riaperture non sono frutto della propaganda”.

D’altronde in mattinata Salvini ai suoi lo aveva detto chiaro: “Stavolta saremo irremovibili”. E il chiaro obiettivo era non lasciare altro spazio alla sua destra a Meloni che infatti, dopo la cabina di regia, attacca paragonando Draghi a Conte rispolverando il Gattopardo (“tutto cambia perché nulla cambi”) perché sono rimasti “il coprifuoco e le zone”. Certo, la Lega avrebbe voluto di più: tant’è che a riunione terminata fonti del Carroccio facevano filtrare “soddisfazione” per “la liberazione”, ma poco dopo Salvini ha abbassato i toni parlando di “vittoria del buonsenso”. Ma per ora al leader della Lega interessa neutralizzare l’assalto di Meloni. La battaglia continuerà in Consiglio dei ministri. Anche con il Pd, che però nel giorno del “rischio ragionato” tace. Lasciando che a darsele siano gli ex gialloverdi.

Dal 26 liberi tutti: ristoranti, bar, scuole, cinema e calcetto

Un testo non c’è ancora, ma intanto la Lega segna un punto. Da lunedì 26 aprile tornano le zone gialle abolite ai primi di marzo, sia pure un po’ modificate: lì ristoranti e bar saranno aperti fino alle 22 (e non alle 18) per il solo servizio all’esterno (anche a pranzo); si potrà di nuovo a giocare a calcetto e praticare all’aperto sport amatoriali di contatto, vietati dallo scorso autunno quando è stato introdotto il sistema dei colori; le scuole saranno tutte in presenza, superiori comprese, anche nelle Regioni arancioni. Con le zone gialle tornano anche cinema, teatro e spettacoli all’aperto, ma anche al chiuso con limiti tra il 25 e il 50% della capienza. E riaprono musei e mostre.

Non è il “liberi tutti” che voleva la Lega: restano infatti il divieto di circolazione dalle 22 alle 5 del mattino e le maggiori restrizioni nelle Regioni rosse e arancioni. Sono queste, in attesa di formalizzazione, le decisioni della “cabina di regia” ministeriale riunita ieri mattina da Mario Draghi, annunciate subito dopo dal presidente del Consiglio, accompagnato anche stavolta dal ministro della Salute, Roberto Speranza. Che rimane al suo posto, anche ieri è stato difeso da Draghi, ma certo è più debole di prima. “Rischio calcolato”, dice il capo del governo, anche se attendiamo ancora gli effetti della riapertura delle scuole dopo Pasqua.

Una cabina di regia burrascosa, che ha abbozzato un calendario per le successive riaperture. E un’altra importante novità: “Gli spostamenti saranno consentiti tra Regioni gialle e con un pass tra Regioni di colori diversi”, ha spiegato Draghi. È un’anticipazione del “pass europeo”, sarà rilasciato a chi è vaccinato o è guarito dal Covid-19 o ha eseguito un tampone recente (non si sa quanto) e potrebbe essere necessario anche per eventi culturali o sportivi.

 

Le date Piscine palestre e terme: le riaperture

Le piscine all’aperto ripartiranno il 15 maggio, ha detto Speranza, e così si suppone anche gli stabilimenti balneari. Il 1° giugno toccherà alle palestre (senza sport di contatto) e ai ristoranti al chiuso (sempre nelle sole Regioni gialle). Dal 1° luglio fiere, stabilimenti termali e parchi tematici.

Il Comitato tecnico scientifico, per ora, si è pronunciato solo sui protocolli per lo spettacolo presentati dal ministro della Cultura, Dario Franceschini. Non ancora sulle zone gialle, che proprio il vecchio Cts aveva chiesto di abolire a metà febbraio vista la maggiore contagiosità della variante inglese, che da allora ha soppiantato il ceppo originario. Per tutti i settori saranno discussi protocolli e modalità, solo la prossima settimana ne conosceremo i dettagli. Draghi ha promesso anche maggiori controlli. E potrebbero cambiare i parametri per il rosso e l’arancione: c’è un tavolo di esperti al lavoro.

 

I dati Calano tamponi e casi. Ospedali un po’ meno pieni

I numeri dell’epidemia migliorano, sia pure “lentamente” come hanno sottolineato il presidente dell’Istituto superiore di sanità Silvio Brusaferro e il direttore della Prevenzione del ministero della Salute, Gianni Rezza. L’incidenza è scesa da 210,8 a 160,5 nuovi casi in 7 giorni ogni 100 mila abitanti nella settimana fino all’11 aprile, però risente del “basso numero dei tamponi effettuati nel periodo delle festività pasquali” e quindi la diminuzione “va interpretata con cautela”. Nel flusso più immediato del ministero della Salute siamo a 182 al 15 aprile. Rt è sceso da 0,92 a 0,85 ma il dato è del 6 aprile. I malati in terapia intensiva sono diminuiti da 3.743 a 3.526 tra il 6 e il 13 aprile, quindi meno 5,8% in 7 giorni: ieri erano 3.366, il 37% dei posti disponibili e ben sopra la soglia del 30%. Più netto il calo nei reparti ordinari: da 29.337 il 6 aprile a 26.952 il 13 (meno 8,1%) e a 24.743 ieri (38%, sotto la soglia del 40%). Diminuiscono anche i decessi: ieri 429, negli ultimi sette giorni 2.787 contro i 3.251 della settimana precedente (meno 14,1%). Calano i contagi tra gli over 80, il 45% dei quali è stato vaccinato e il 76% ha avuto almeno la prima dose al 15 aprile. La Campania passa dal rosso all’arancione, restano in rosso solo Puglia, Sardegna e Val d’Aosta. La Calabria è l’unica a rischio alto, ma Rt a 0,9 la tiene in arancione. Come tutte le altre. Aspettando il giallo.