Calabria. Spiragli di rinascita: “Ora i pentiti parlano, i cittadini protestano e denunciano”

Gli urli bisogna sentirli. Dopo che ho dedicato questa rubrica a una preside di Vibo Valentia, sempre da Vibo mi è giunta una lettera. L’ha scritta un quarantenne di Libera che ha fatto una scelta radicale: lavorare per un bene confiscato ai potenti Mancuso di Limbadi. È una richiesta di aiuto. Perché, mi chiede, non vedete che cosa sta accadendo quaggiù e in particolare nella mia città? Fatti importanti, dice, che contraddicono gli stereotipi nazionali.

“Siamo di fronte a una grande opportunità nel contrasto culturale alla ’ndrangheta”. Leggo e gli do ragione. Giuseppe Borrello, così si chiama l’autore, sottolinea tre cose. Primo, la società civile non subisce più in silenzio “angherie e soprusi”, “un potere violento che è stato la causa di sottosviluppo, negazione dei più basilari diritti, povertà ed emigrazione”. Continuano le manifestazioni di opposizione, spiega, “ma su tutte ritengo fondamentale ricordare l’iniziativa svoltasi a Vibo Valentia il 24 dicembre 2019, all’indomani dell’operazione Rinascita-Scott. Quando migliaia di persone si sono ritrovate unite dalla parte dello Stato. Una reazione che neanche noi pensavamo potesse essere così copiosa, una presa di posizione forte, non scontata. Soprattutto in contesti piccoli come quelli che viviamo e dopo un’operazione elefantiaca nei numeri”. Sa, mi chiede, che cosa vuol dire da noi vedere una folla di giovani schierarsi fisicamente con le divise? Altro che omertà generale, sembra dire. E subito consegna le altre due novità.

“Sono sempre di più gli appartenenti alle ’ndrine che decidono di collaborare con la giustizia. Esponenti di spicco della ’ndrangheta nostrana che, fornendo elementi utili per le indagini, ci restituiscono pezzi di storia importante del nostro territorio disvelandone trame e intrecci, connivenze e deferenze, come, per esempio, Andrea Mantella. Oppure, ancora, figure emblematiche, come Emanuele Mancuso o Walter Loielo, la cui collaborazione dimostra il venir meno di quell’immagine ermetica e granitica propria della ’ndrangheta, dettata appunto dai legami di sangue”. Non solo dunque si leva una nuova voce dalla società civile, ma qualcosa si sgretola all’interno del mondo maledetto.

La terza novità è perfettamente in linea con le altre due: l’aumento delle denunce, frutto di una recuperata fiducia nei confronti dello Stato. “Più volte, il procuratore di Vibo e il comandante provinciale dei Carabinieri hanno confermato in pubblico questo dato. Lo Stato oggi, a Vibo Valentia, ha recuperato la propria centralità, almeno dal punto di vista repressivo, ed appare forte e credibile perché credibili ed io aggiungerei immensamente umane, sono le persone, uomini e donne, che lo rappresentano”. Perché non cogliere queste novità, perché non raccontarle? Perché l’antimafia deve essere solo quella, certo importantissima, degli arresti?

L’autore della lettera è troppo giovane per saperlo. Ma a me le sue parole ricordano quel che accadde in Sicilia 35 anni fa. La società civile si svegliava, si organizzava, le scuole annunciavano nuovi orizzonti e l’Italia vedeva sempre e solo il maxiprocesso. Osservava la superficie luminosa ma si annoiava o rifiutava la piccola fatica di guardare appena un palmo sotto.

Proprio come oggi in Calabria, anche tra gli intellettuali locali, denuncia Giuseppe: “Si tratta di aspetti importanti per i quali, purtroppo, credo manchi la giusta consapevolezza, sia a livello regionale che nazionale. Il dibattito politico e culturale si nutre di divisioni, faziose e strumentali, a favore o contro quel magistrato o quell’inchiesta, senza rendersi conto di correre il rischio di perdere un’occasione irripetibile”. No, davvero non perdiamola questa occasione. Si esiste se si è raccontati, alla lunga. E quel pezzo di Calabria che si ribella ha, tra i suoi tanti diritti, appunto quello di essere raccontato.

 

Insegnare l’amore. “Il mio ex mi picchiava e io zitta: proprio come mamma con papà”

 

“Prendere botte è ‘naturale’, se vedi solo affetti violenti”

Ciao Selvaggia, sono una psicologa, cresciuta in una famiglia con un padre indifferente con i figli e violento con la moglie. Ero indifesa e dipendente da una mamma succube che era la mia ancora, la mia salvezza, la mia unica fonte di nutrimento emotivo. Vivevo con l’ansia costante che mio padre me la portasse via con quella sua follia. Io e i miei fratelli eravamo felici, capricciosi, rumorosi tutto il giorno ma quando sentivamo il portone aprirsi ci trasformavamo in robot silenziosi e invisibili perché lui era stanco, e se si arrabbiava erano urla, o botte, a mamma. Con noi non comunicava, la sua malattia gli impediva di rapportarsi a quei piccoli esseri bisognosi. Anche per lui era lei la fonte del suo nutrimento, su cui sfogare la sua ira, la sua insoddisfazione, la sua ansia. Cresceva una rabbia silenziosa insieme ai miei anni, volevo che lei lo lasciasse, che si ribellasse ma non lo faceva mai. Decisi di studiare psicologia per dare una spiegazione a tutto ciò che vedevo e vivevo. Gli anni all’università non furono facili, avevo sviluppato una personalità dipendente. Avevo la lanterna magica, me li trovavo tutti malati. Ma appena laureata, incontro colui che segnerà la mia vita per sempre.

Il copione è lo stesso: affascinante, bello, fuori dalle righe, bizzarro, accentratore, cattura la mia attenzione o meglio io cattura la sua. Io, che sono sempre poco, sempre bisognosa, insicura, non meritevole di amore vengo vista da lui. Prima uscita magica in un ristorante a 5 stelle, finiamo in un hotel di lusso a fare l’amore, mangiamo nel cuore della notte panini del McDonald. Il giorno dopo era più carico che mai, io ero esausta ma viva, perché lui mi aveva accesa, io che ero depressa nell’anima mi sentivo viva, allegra, felice. Sentivo che era quello giusto, finalmente: la principessa aveva trovato il suo principe azzurro che la salvava o forse che io dovevo salvare. Sì, perché davanti ad un drink di quella caotica giornata lui mi racconta la sua tragica infanzia, con freddezza, quasi con un mezzo sorriso. Una storia agghiacciante: la morte di sua madre, l’abbandono del padre, infanzia e adolescenza in casa famiglia con le suore che lo picchiavano quando sporcava il letto. Io ero tutta un dolore, il cuore mi piangeva ed è lì che la bambina dentro di me si è attivata; non me lo sarei mai fatto scappare, lo avrei curato, amato come non aveva fatto nessuno. Iniziammo un tira e molla estenuante, lui spariva e appariva a piacimento, io pendevo dai suoi attimi di gloria. Fino a quando ritornò deciso a non lasciarmi più e iniziammo una storia “seria”, ufficialmente. Lui era allegro, presente, necessario. Io ero bisognosa. Lui ad un tratto diventava duro, arrabbiato, controllante, geloso. Litigavamo per cose da nulla e non capivo, inizialmente (poi ho realizzato che le liti avevano sempre uno scopo, per lui). Se ne andava sbattendo la porta, mi mandava messaggi terribili, poi tornava dopo 3/4 giorni per fare pace, come se nulla fosse. Tornavo ad essere la sua bimba da coccolare e viziare, cena fuori, baci abbracci, risate, allegria. Ero sempre più stanca, mi sentivo soffocare anche di quell’amore e non solo della sua rabbia. Ma ancora non lo capivo. Mi aveva inghiottita nella sua giostra, sali e scendi, sali e scendi.

Lo portai giù in Calabria a farlo conoscere ai miei, era fatta, ero felice. Lì mi diede il primo pugno nella pancia, una notte che si litigava per non so cosa. Tornati dalle vacanze peggiorò, forse si sentiva più sicuro, più forte. Ennesima lite, lui sparisce, mi organizzo con una vecchia amica che non vedevo più per un aperitivo, arriva lui per far pace ma con il terrore nella voce gli dico che uscivo per i fatti miei. Lì ho visto per la prima volta la sua vera furia, era totalmente impazzito. Mi strattona, mi implora, poi di nuovo mi aggredisce poi piange, mi implora. In quel momento credo di aver aperto davvero gli occhi, l’ho visto nella sua vera natura: era malato, deviato mentalmente. Appena tornata a casa, lui mi telefonò. Mi chiederà scusa, ho pensato, ed invece si mise ad urlare come non avevo mai sentito: “puttana”, “fai schifo”, “sei come tutte le altre troie”. A casa piangevo come una disperata, era morto il mio amore, era finita, dovevo vedere la realtà. E invece lo perdonai, tornammo insieme per circa due mesi ma ero spenta, non sapevo cosa fare. Pensavo a mia madre, al terrore nei suoi occhi quando papà era nervoso. Non potevo finire come lei. Ennesima lite a letto, mi dà calci ed uno schiaffo in faccia, vado allo specchio e vedo sangue al labbro, basta! Da lì iniziò un anno di stalking ancora più estenuante. Lui non accettava la fine della nostra storia, io mi ero aggrappata ad una terapeuta per uscire dall’incubo. Stavamo affondando, lui nella sua follia, io nella mia depressione. Stavo male perché non ero riuscita a salvarlo, perché lui mi implorava, piangeva, si disperava. Lo trovavo in ogni angolo, al lavoro, attaccato al campanello.

Sparì quando trovò un’altra ragazza. Io ero ora sola, distrutta e a brandelli come coriandoli. Facevo la mia terapia per mettere insieme i pezzi, per perdonarmi, per perdonare. Per accettare il mio ruolo in questo massacro amoroso, per accettare dei genitori che avevano deviato il mio concetto di amore. Perché l’amore si impara, e se ti insegnano che chi ti ama ti picchia e ti umilia, tu pensi che sia davvero così.

Giusy

 

Quante storie come la tua ho sentito in queste settimane, Giusy. Ma è importante raccontarle tutte perché chiunque possa avere la possibilità di riconoscersi e di salvarsi sul ciglio del burrone.

Selvaggia Lucarelli

Figuracce (dis)onorevoli: uno psicologo per Draghi e La poltrona turca

 

Bocciati

Una poltrona per due. Non è chiaro quali siano le ragioni che hanno portato alla scena di Ursula von der Leyen seduta da sola come Cenerentola su un divanetto laterale, mentre le due sorellastre, Charles “Genoveffa” Michel e Recep Tayyip “Anastasia” Erdogan, si accomodavano sulle poltrone al centro della sala. Quel che è chiaro invece è che l’accaduto ha superato qualsiasi immaginazione cinematografica. Che l’incidente sia dovuto ad una provocazione all’Europa da parte del “dittatore” Erdogan, che sia stata davvero un’involontaria gaffe da protocollo, o ancora che si sia trattato di una prova di forza tra poteri coesistenti (il Consiglio europeo che mostra di contare più della Commissione, rivendicando il primato dell’Europa federale su quella intergovernativa) poco importa: la figuraccia portata a casa dal presidente belga dinanzi agli occhi del mondo intero è bastata a se stessa. “Genoveffa” Michel si è detto rattristato “di aver dato l’impressione che sia stato indifferente alla goffaggine del protocollo nei confronti di Ursula. Tanto più che sono onorato di partecipare a questo progetto europeo, di cui due grandi Istituzioni su quattro sono guidate da donne, Ursula von der Leyen e Christine Lagarde. E sono anche orgoglioso che una donna, la prima nella storia, mi sia successa come primo ministro del Belgio. Le poche immagini che sono state mostrate hanno dato l’impressione che sia stato insensibile alla situazione. Niente è più lontano dalla realtà, né dai miei sentimenti profondi. Né, infine, dai principi di rispetto che mi sembrano essenziali”. Quale che sia il retroscena, come può un ambizioso politico 45enne, chiamato a presiedere l’organismo collettivo che definisce “le priorità e gli indirizzi politici” dell’Unione europea, non essersi immediatamente reso conto che mortificare così un intero genere in nome di tutte le nazioni europee sarebbe stato un autogol indimenticabile? Povera Europa.

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Non classificati

Cornuti e mazziati. Durante la sua intemerata contro i furbetti del vaccino Mario Draghi ha commesso un errore: ha scelto come categoria esemplificativa gli psicologi. “Queste platee di operatori sanitari che si allargano, gli psicologi di 35 anni. Con che coscienza un giovane si fa vaccinare e salta la lista sapendo che lascia esposta una persona che ha più di 65 anni o una persona fragile?”. Che la cultura italica tenda spesso a sminuire più o meno volontariamente la categoria di coloro che trattano il malessere psichico è storia nota, ma qui la questione è un’altra: il decreto legge 44 del 1 Aprile prevede l’obbligo vaccinale per tutti “gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, farmacie, parafarmacie e studi professionali”. Può un presidente del Consiglio ignorare il contenuto di un decreto legge (emanato dal suo governo una settimana prima) al punto di scegliere come bersaglio proprio la categoria appena chiamata all’obbligo vaccinale? Possibile che un intero staff non sia riuscito ad evitare una simile gaffe? E dire che dopo un anno così, se c’è una categoria da tenersi buona è proprio quella degli psicologi…

 

Dogma. Come Nathan, grande sindaco di Roma, demolì l’infallibilità del Papa (pure sulla pandemia)

Destini che non si sono mai sfiorati ma che ora s’incrociano per un fatale rincorrersi di date. Dunque il 6 aprile scorso, il martedì dopo Pasquetta, nella teutonica Tubinga è morto il teologo svizzero Hans Küng. Aveva 93 anni ed era stato uno dei due “esperti” più giovani del Concilio Vaticano II, dal 1962 al 1965. L’altro era Joseph Ratzinger.

Nel 1970 Küng conquistò una fama mondiale grazie al suo libro Infallibile?, divenuto poi un bestseller. Era la prima volta che una voce così autorevole della Chiesa metteva in discussione il dogma dell’infallibilità papale, che fu proclamato nel 1870 dal Concilio Vaticano I, convocato appositamente da Pio IX (Giovanni Maria Mastai Ferretti), l’ultimo papa re dello Stato Pontificio. Lo studioso pagò la sua libertà nove anni dopo, sotto Giovanni Paolo II, con il ritiro dell’autorizzazione a insegnare la teologia della Chiesa.

Tre giorni dopo la morte di Küng, il 9 aprile, è quindi caduto il centenario del “passaggio all’Oriente” di Ernesto Nathan, due volte Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, la principale obbedienza massonica del Paese, e soprattutto gran sindaco di Roma dal 1907 al 1913. Nato a Londra nel 1845, i genitori ebrei di Nathan erano amici stretti di Giuseppe Mazzini, il magnifico Apostolo del Risorgimento italiano. E Nathan fu un ebreo mazziniano, riformatore e massone. Da sindaco di Roma, per esempio, fece approvare il primo piano regolatore della Capitale e aprì 150 asili pubblici (giusto per dire: sua collaboratrice fu Maria Montessori). Il suo discorso più famoso, Nathan, lo tenne il 20 settembre 1910 davanti alla Breccia di Porta Pia, nel quarantesimo anniversario della fine del potere temporale del Papa. La contrapposizione tra Chiesa e massoneria (fino all’avvento del fascismo la gran parte della classe politica indossava il grembiulino) fu violenta per decenni e Nathan si scagliò proprio contro l’infallibilità papale.

Vale la pena rileggere alcuni brani di quel discorso: “Ritornate, o cittadini, alla Roma di un anno prima della breccia; nel 1869. Convennero allora in pellegrinaggio i fedeli da tutte le parti del mondo, qui chiamati per una grande solenne affermazione della cattolicità regnante. S. Pietro, nella monumentale sua maestosità, raccoglieva nell’ampio grembo i rappresentanti del dogma, in Ecumenico Concilio; vennero per sancire che il Pontefice, in diretta rappresentanza e successione di Gesù, dovesse, come il Figlio, ereditare onnisciente illimitato potere sugli uomini, e da ogni giudizio umano i decreti suoi sottrarre, in virtù della infallibilità proclamata, riconosciuta, accettata. Era l’inverso della rivelazione biblica del Figlio di Dio fattosi uomo in terra; era il figlio dell’uomo fattosi Dio in terra!”.

L’allora sindaco di Roma ricordò che l’infallibilità riguardava persino l’emergenza delle epidemie: “Il pellegrinaggio ora ricordato fu per la infallibilità; quella infallibilità che ereditata dalla tradizione, passata nei costumi, si manifesta purtroppo oggi nell’ignoranza popolare che dinanzi all’apparizione d’una epidemia, appende voti alla Madonna e scanna i sanitari”. Era il tempo in cui per tutti i cattolici peste e colera erano una punizione divina.

 

Alessandro Magno in prestito. Musei, affari “monumentali”

Quando inizieremo a prestare anche i monumenti? Domani, a giudicare da quanto hanno in mente al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Il Piano Strategico del Museo 2020-2023 prevede “la stipula del secondo protocollo d’intesa con l’Ermitage (in collaborazione con Ermitage Italia e con il coordinamento di Villaggio Globale Internazionale) per la realizzazione di mostre (… prestito della Tazza Farnese e del Mosaico di Alessandro all’Ermitage)”, nonché la “stipula di un accordo con la TV Asahi Shimbun di Tokyo per il restauro del mosaico di Alessandro a loro spese e successiva esposizione dello stesso al Museo Nazionale di Tokyo”. Gli aspetti davvero stupefacenti di queste poche righe sono molti. A cominciare dal carattere scopertamente commerciale di questi prestiti: il primo affidato al coordinamento di una società privata (Villaggio Globale Internazionale); il secondo previsto su richiesta di uno sponsor che paga il restauro. Ma la notizia è clamorosa per l’identità delle opere che si vorrebbero prestare: due autentici monumenti dell’antichità, alla pari del Colosseo.

La Tazza Farnese è un piccolo, fragilissimo oggetto intagliato in un unico pezzo di agata sardonica tra la fine del del II secolo a.C. e la metà del I secolo a. C., e decorato con un’allegoria dell’Egitto sotto i Tolomei: un oggetto capace come pochi altri di raccontare l’intera storia della nostra civiltà. Essa giunse a Roma dopo la conquista dell’Egitto, e poi seguì la vicenda dell’impero fino a Costantinopoli, per ricomparire tra le mani del sommo Federico II, finendo poi a Samarcanda (dove fu disegnata dal pittore persiano Muhammad al-Khayyam). Riapparsa a Roma, la ghermì Lorenzo il Magnifico: passò poi dai Medici ai Farnese, e quindi in un museo della Repubblica.

Il Mosaico di Alessandro, invece, è enorme: misurando tre metri per quasi sei. Viene dalla casa del Fauno, a Pompei, e replica un dipinto forse del mitico Apelle. Fu realizzato da artisti alessandrini di strepitosa abilità, e rappresenta una battaglia (Isso o Gaugamela) tra Alessandro e Dario III, re dei Persiani. Il volto di Alessandro, folle e ispirato come un dio, è oggi una delle più travolgenti icone dell’antichità.

La sola idea di spedire in giro per il mondo opere al cui cospetto la Gioconda sembra un ritratto tra i tanti, è folle: per la fragilità del piccolo gioiello, già sfasciato un secolo fa da incauti movimenti museali; per la delicatezza del mastodontico quadro musivo. E perché è impensabile che chi visita il Museo Archeologico di Napoli possa non trovarli: motivo per cui dovrebbero ovviamente figurare nell’elenco pubblico delle opere inamovibili che un decreto del gennaio 2008 (emanato per dare attuazione all’articolo 48 del codice, dettato proprio in materia di autorizzazioni per mostre) obbliga a redigere, e poi perfino a rispettare.

Eppure, alla interrogazione parlamentare della senatrice (e archeologa) Margherita Corrado che chiedeva lumi su questa sconcertante prospettiva, nessuno della corte che ruota intorno al Dario IV del Collegio Romano ha avuto la bontà di rispondere nel merito. Questa incredibile storia pone un problema più generale, anzi evidenzia un clamoroso “baco” dell’improvvida riforma dei musei: chi decide se simili, capitali, opere la cui incolumità interessa tutta l’umanità vadano o non vadano spedite in Russia o in Giappone per far fare un po’ di soldi a imprese e televisioni?Non i comitati scientifici dei musei, solo consultivi e quasi sempre decorativi o inascoltati. Non il comitato tecnico scientifico centrale che sarebbe competente a dare il parere in base al quale decidere (e che è presieduto da chi scrive), che non si vede più sottoporre un prestito. Non il direttore generale dei Musei, pari grado del direttore del Museo di Napoli a causa della medesima riforma (e che in ogni caso si trova davanti al fatto compiuto di un accordo internazionale tra musei e sponsors). Chi allora? Ma il direttore stesso del museo, che ha scritto quel piano. Un direttore la cui scelta (come quella di tutti gli altri suoi omologhi) non è configurabile come un concorso (lo ha riconosciuto la Corte di Cassazione nell’ordinanza 1413 del 18 gennaio 2019), ma come un intuitus personae da parte dello stesso ministro, che ha pescato a suo arbitrio in una rosa di tre. Così, i massimi musei italiani sono ora retti da dirigenti in rapporto fiduciario con il livello politico: il modello è quello della lottizzazione della dirigenza della sanità pubblica.

E i risultati sono paragonabili: ormai si dispone del patrimonio culturale dell’umanità come si dispone della salute degli italiani: non in scienza e coscienza, ma secondo mercato e volontà politica. Così, l’articolo 9 della Costituzione che impone la tutela del patrimonio (che non può che esser fatta da tecnici, selezionati in quanto tali attraverso un concorso) è risucchiato in un buco nero.

E non si vede un Alessandro che fermi questo Dario.

“Il santino, il malato, l’attore: ritratti brevi dei ‘giganti’ al potere”

Ottavia Piccolo può giudicare chi desidera. “Lei mi dia una lista e io timbro la nota caratteriale di chiunque”.

Le sottopongo i nomi. Però niente teatro, cinema o televisione così eliminiamo il disagio.

Ci sto.

È ferrata in politica?

Due telegiornali per la stretta attualità e tre giornali (di carta) per l’approfondimento. Sa, apro i giornali e leggo. Come si faceva nel secolo scorso. Non mi sento coinvolta dai talk show, non frequento i social ché poi perdo tempo.

Eppure avrebbe tempo. La pandemia ci restituisce al sofà.

Sono stata fortunatissima perché in questo periodo disgraziato ho lavorato e pure parecchio. Un film, un documentario, il teatro, seppure nella finestra estiva, quei due mesi di mezza felicità che abbiamo trascorso. Tanti colleghi, penso ai più giovani, vivono una condizione terribile.

Passiamo al pagellone. Lo preferisce per scala gerarchica o in ordine alfabetico?

Faccia come crede.

Iniziamo dalla A di Domenico Arcuri, l’ex commissario.

Non do giudizi sulle colleghe.

Beh, questo personaggio di sicuro le è più familiare. “L’Italia è il Paese che amo”: Silvio Berlusconi, forever young.

Su Berlusconi non ci si può esprimere perché lui si fa ricoverare prima.

È il turno di Giuseppe Conte. Il BisConte, come lo chiama Giuliano Ferrara.

Sappiamo che aveva in tasca il santino di Padre Pio. A quanto pare non gli è servito per far durare il “Conte 2”. Vediamo se verrà buono per un futuro “Conte 3”.

Una donna che stima moltissimo.

Due donne: una senior, Liliana Segre; una junior, Michela Murgia.

Una donna che non stima affatto.

Kim Yo-Jong, la più importante sorella della Corea del Nord.

Passiamo all’uomo dei miracoli, Mario Draghi.

È lui il santino che stava in tasca alla gente che conta, anche se per ora miracoli non ce ne sono stati e, salvo restituire il corretto significato a parole come “dittatore”, non sappiamo se abbia già fatto “tutto quello che si poteva”.

I Ferragnez (cioe Fedez e Ferragni) fanno un po’ di tutto: spettacolo, business, ultimamente anche politica.

Coppia illustre (lui molto illustrato) trascinata nella polvere (per qualche atteggiamento “ganassa”) e poi sugli altari (l’Ambrogino d’oro conferito dal comune di Milano). Ma intelligenti, stimabili e gran lavoratori. Anche se molti non capiscono di che lavoro si tratti.

Lei è commendatore della Repubblica, fu Ciampi a insignirla dell’onorificenza. Si ritrova davanti e all’improvviso il generale Francesco Paolo Figliuolo, il capo di tutti i vaccinatori d’Italia. Scappa o resiste?

Sono figlia di militare, quindi il mio istinto è quello di scattare sull’attenti. E tuttavia non mi fa stare del tutto tranquilla che un esperto di logistica abbia problemi a gestire nello stesso tempo due elastici di mascherina e due orecchie.

E di Enrico Letta cosa dice?

Vent’anni fa, prima dei girotondi, un movimentino (“Permanoperlademocrazia”: gente varia, docenti, manager, giornalisti, attrici eccetera) guardava a Letta come all’ideale giovane premier. Vent’anni dopo, che peccato che non sia più la voce del Vaso degli Esteri a “Propaganda Live”!

Siamo alla M. M come Mattarella!

Io mi considero nipotina di Pertini, figlia di Ciampi, ma Mattarella me lo terrei stretto anche oltre la scadenza, soprattutto visto il profilo di certi aspiranti al Colle…

E poi c’è la “R” di Matteo Renzi.

Potrebbe essere mio figlio. Ma per fortuna mio figlio è molto diverso da lui.

Il secondo Matteo, Salvini.

Bei tempi quando si andava al Savini in Galleria dopo la Prima alla Scala… Il famoso risotto giallo. Non ne so più niente, non vivo più a Milano.

Le pagelle sono terminate.

Finito già?

La sai l’ultima?

 

Sardegna

Totò Truffa allo stadio: vende spazi pubblicitari in un impianto chiuso per Covid

In tempi di Coronavirus per fatturare serve fantasia. Come Totò Truffa che vende la Fontana di Trevi a un italo-americano un po’ scemo, il dirigente di una squadra dilettantistica di Dolianova (Sud Sardegna) è riuscito ad affittare un cartellone pubblicitario dentro a uno stadio deserto. Gli impianti sono chiusi al pubblico da più di un anno in quasi tutti i campionati professionistici mondiali. Con tutto il rispetto: figuriamoci a Dolianova. Eppure questo genio del commercio è riuscito a trovare un’acquirente – la titolare di un negozio di abbigliamento – a cui vendere il suo prezioso spazio pubblicitario. “L’uomo, noto ai carabinieri, ha giocato sul fatto che la donna non seguiva il calcio e non aveva minimamente preso in considerazione il fatto che se anche il cartellone fosse stato esposto, nessuno lo avrebbe potuto vedere – scrive l’Agi – a causa delle restrizioni dovute all’emergenza sanitaria”. Quando ha capito che il suo marchio sarebbe stato in splendida vista nel vuoto pneumatico era già tardi.

 

Lecco

Il sindaco leghista dà consigli su come aggirare il Dpcm: rischia una condanna fino a 5 anni di carcere

La Lega di Salvini è spesso sinonimo di genio politico e qualità amministrativa. Dagli eletti del Carroccio ci aspettiamo tanto e raramente deludono: l’ultimo eroe padano è il sindaco di Merate (Lecco), Massimo Panzeri. Questo cultore del pensiero illuminista e del metodo scientifico rischia una condanna da sei mesi fino a cinque anni di carcere per aver istigato a violare le norme anti Covid. Durante il primo lockdown, il genio aveva fatto circolare su Facebook i suoi consigli pratici su come evitare i controlli di polizia, un sapiente uso delle potenzialità dei social network: “Se la fermano non dica che sta facendo un giro, dica che sta andando a trovare un parente o un amico”. L’8 novembre Panzeri dovrà comparire in tribunale, ma è convinto di essere nel giusto: “ Ho ricevuto la solidarietà di tante persone che mi hanno confidato di trovare surreale tutta questa vicenda. Continuo a restare convinto della buona fede delle mie azioni”.

 

Frosinone

Sfreccia a 150 all’ora su un go-kart, non si ferma al posto di blocco e viene inseguito per un’ora dalla polizia

Spettacolo a Frosinone: un fuoriclasse locale è scappato dalla polizia per quasi un’ora guidando un go-kart. Come in un gioco del Super Nintendo, senza pupazzi animati ma con tantissima grinta, l’uomo ha fatto impazzire le forze dell’ordine grazie al suo insolito mezzo. “Una fuga notturna a tutta velocità, fino a 150 km all’ora – scrive il sito MotoriOnline – scattata per sfuggire a un posto di controllo. Da lì è partito un lungo inseguimento che è durato quasi un’ora prima che le forze dell’ordine riuscissero a fermare il fuggitivo”. I video dell’impresa confermano la velocità folle raggiunta dal kart, probabilmente grazie al motore modificato. La fuga ha interessato il territorio di diversi comuni, tra cui Alatri e Veroli. Il bilancio non promette niente di buono per il pilota: sequestro del mezzo e denuncia per resistenza a pubblico ufficiale, guida senza patente (gli era stata revocata), senza copertura assicurativa e mancato rispetto dell’ “alt”. Più la solita multa per violazione del coprifuoco.

 

Ravenna

Carabiniere si segna un’ora di straordinario ma va a fare l’amore: il giudice senza cuore lo condanna a 11 mesi

Straordinari veramente straordinari. Certe volte bisogna sacrificarsi al lavoro per ottenere grandi soddisfazioni. Lo conferma la notizia dell’Ansa: “Il giudice monocratico del tribunale di Ravenna ha condannato a 11 mesi un carabiniere che la notte dell’11 gennaio 2017 si segnò un’ora di straordinario in caserma, tra mezzanotte e l’una, dicendo di dover svolgere un servizio per motivi ‘improcrastinabili e urgenti’, ma in realtà, secondo l’accusa, appartandosi con una donna per un rapporto sessuale”. L’amore vince sempre sull’invidia e sull’odio. Quasi sempre: “Il militare, 50enne all’epoca appuntato in una stazione di Ravenna e ora in un’altra regione era accusato di truffa, falso e ‘forzata consegna’”. L’avvocato farà appello, non ci sta: “Il mio assistito ritiene assolutamente di non essere responsabile dei reati, in ragione del fatto che ritiene provato di aver svolto e eseguito l’attività lavorativa per cui ha richiesto lo straordinario”.

 

Piemonte

Corriere della Sera: “Cirio riapre le toelettature per cani. Esulta il consigliere Cane, promotore della richiesta”

Notizie che riconciliano con la lettura dei giornali. Titolo del Corriere della Sera, edizione torinese, martedì 30 marzo: “Piemonte, Cirio riapre le toelettature per cani, ma il bagno è vietato se vivono con positivi. Esulta il consigliere Cane, promotore della richiesta”. Proprio così: “Il governatore Alberto Cirio – spiega il Corsera – deroga per la prima volta alle norme nazionali con una misura permissiva. Ma niente parrucchieri, palestre o cinema. La scelta è ricaduta sugli amanti degli animali per permettere loro di portare i fidi compagni a fare un bagno”. La notizia è di per sé bizzarra, ma il fatto che sia stato il leghista Andrea Cane a chiedere di riaprire le toelettature per cani fa davvero sognare. Il dottor Cane prende molto sul serio questa battaglia: “I servizi di cura degli animali di compagnia sono necessari per la salute e il benessere degli animali d’affezione e per la sicurezza dei contesti domestici che li ospitano”. Attenzione però: “Il bagno è vietato ai quattro zampe che passano il tempo con persone in quarantena o affette da Covid”. Mannaggia.

 

Thailandia

Un monaco rimane intrappolato nella grotta dove è andato a meditare. Lo salvano 17 sub dopo 4 giorni

Il monaco buddista Phra Ajarn Manas ha scavato forse troppo a fondo dentro di sé e soprattutto si è infilato troppo a fondo dentro la grotta dove era andato a meditare. Per poco non ci lasciava la pelle: domenica 4 aprile il religioso è rimasto intrappolato in una cava in Thailandia allagata da un lunghissimo diluvio fuori stagione, durato fino a martedì. Per trovare e salvare il monaco ci sono voluti quattro giorni e 17 sommozzatori: la sua grotta era accessibile solo attraversando un passaggio di 12 metri sott’acqua. Come racconta il Guardian, l’asceta scomparso è stato individuato martedì pomeriggio ma i primi tentativi di soccorso sono falliti per le pioggie torrenziali che hanno continuato a far innalzare il livello dell’acqua. I sommozzatori sono riusciti a raggiungere la grotta del monaco mercoledì pomeriggio, trovandolo in buone condizioni nonostante tre giorni di digiuno. Grazie a una maschera da sub e con l’aiuto dei soccorritori, il monaco è riuscito a nuotare fuori dalla sua trappola, verso la libertà.

 

Giappone

Ruba le scarpe di giovani donne e le sostituisce con modelli identici: “Volevo soltanto sentirne l’odore”

Alla domanda “cosa ti piace di più nella vita?” Jep Gambardella rispondeva: “L’odore delle case dei vecchi”. Il protagonista di questa notizia invece risponde: “L’odore delle scarpe delle donne”. Lo racconta l’Ansa: “Rubava scarpe appartenenti a giovani donne e le sostituiva con modelli identici nuovi di zecca. È quanto accaduto nella prefettura di Aichi, a sud ovest del Giappone, dove un uomo di 33 anni è stato arrestato con l’accusa di furto dopo che le forze dell’ordine hanno scoperto nella sua abitazione una collezione fino a 20 paia di calzature di diverse tipi: dagli stivali ai mocassini, alle ballerine. Il fermo della polizia è avvenuto dopo che una istruttrice 23enne di una scuola di danza si è accorta della differenza con le sue vecchie scarpe usate, e ha riportato l’incidente alla polizia, pensando ad uno scambio fortuito”. Interrogato su questo particolare feticismo, il giapponese ha risposto così, servillescamente: “Volevo odorare il profumo delle scarpe utilizzate da donne diverse”.

L’inchiesta Arcuri, i pm: “Peculato”. Lui: “Non so, collaboro”

L’ex commissario straordinario per l’emergenza Covid, Domenico Arcuri, sarebbe indagato dalla procura di Roma nell’ambito dell’inchiesta sulle mascherine. Arcuri ha detto di non sapere nulla della notizia – pubblicata ieri dal quotidiano La Verità. “Continueremo , come dall’inizio dell’indagine, a collaborare con le autorità inquirenti nonché a fornire loro ogni informazione utile allo svolgimento delle indagini” si legge in una nota. L’accusa sarebbe contenuta nel fascicolo sulla maxi-fornitura del valore di 1,25 miliardi di euro per l’acquisto di centinaia di milioni di mascherine cinesi oggetto dell’inchiesta. Anche Antonio Fabbrocini, stretto collaboratore di Arcuri e responsabile unico per la procedura di acquisizione di circa 800 milioni di mascherine sarebbe indagato per peculato. Il 24 febbraio, per l’arrivo in Italia di una parte di questi dispositivi senza certificazione, ci sono stati un arresto e quattro misure interdittive. Sia Arcuri che il suo ex ‘braccio destro’ attendono che il gip si esprima sulla richiesta di archiviazione per la precedente accusa di corruzione. A spingere la contestazione del nuovo reato sarebbe quanto emerso dalla richiesta di rogatoria inoltrata a San Marino il 2 febbraio: si cercano i soldi relativi agli affidamenti a favore dei tre consorzi cinesi con la mediazione di quattro imprese italiane. L’attività di intermediazioni sarebbe stata strapagata, con provvigioni per circa 70 milioni (ma dai privati, non dal Commissariato).

La cura monoclonale c’è, ma le Regioni non la usano

“Li abbiamo somministrati a 22 pazienti, sono guariti tutti”. Esulta Francesco Menichetti, responsabile del reparto di malattie infettive dell’Ospedale di Cisanello, provincia di Pisa. L’Edificio 13 è l’hub di riferimento per la sperimentazione clinica delle terapie anticorpali: lì è stato sperimentato per la prima volta in Italia il monoclonale di AstraZeneca, la somministrazione è poi partita in tutta la regione dopo l’arrivo dei monoclonali della Eli Lilly. L’entusiasmo si ferma però davanti ad altri numeri: la Toscana dal 23 marzo ha ricevuto 1.080 fiale ma ne ha somministrate soltanto 239. Ed è tra le regioni più “virtuose”: la Calabria, con 12 mila positivi e 500 ricoverati, ha trattato un solo paziente, il Molise nove, l’Emilia-Romagna si è fermata a quota 21. L’impressione è che la macchina non sia proprio partita, mentre altre regioni corrono come il Veneto con 372 dosi e il Lazio con 282 (la classifica è a fianco). Nel frattempo 38 mila dosi acquistate, anziché curare i malati, restano nei frigo.

Questo dicono i dati del monitoraggio Aifa sui “Centri abilitati mAb Covid-19”, le strutture sanitarie autorizzate al trattamento dall’inizio di marzo. Il Fatto ha analizzato l’ultima estrazione che sarà diffusa a breve sul sito dell’Agenzia del Farmaco. Risale al 9 di aprile ed è stata presentata venerdì alle regioni e poi condivisa con il ministero della Salute e la struttura Commissariale per l’emergenza, non senza preoccupazione. Per quanto limitata a un mese scarso, la serie storica dai dati sul consumo indica che finora le Regioni hanno utilizzato un quantitativo minimo rispetto ai farmaci distribuiti: meno del 5%. Il tutto a tre mesi dall’autorizzazione in emergenza firmata dal ministro Roberto Speranza, con le terapie intensive tornate a riempirsi. Ma i vaccini a singhiozzo fanno scandalo, il ritardo della campagna sui monoclonali che riducono il rischio di ricovero passa stranamente sotto silenzio.

È partita ai primi di marzo, quando l’Italia ha acquistato 40 mila dosi. Il generale Francesco Paolo Figliuolo, appena insediato, aveva annunciato l’acquisto di altre 150 mila ma di queste non si ha notizia. Le somministrazioni di quelle disponibili procedono però a rilento, con grandi differenze da Regione a Regione. Il Piemonte ha garantito 114 prestazioni, la Campania 90, poi Marche (86) e Liguria (80), la Sicilia (63) fino al Molise (9). Con una media di 100 al giorno, il totale nazionale per ora non arriva a duemila. Per somministrare tutte le dosi promesse, a questo ritmo, non basteranno sei anni. Che cosa rallenta l’uso dei monoclonali, unica cura autorizzata al mondo contro il Covid-19?

La questione di fondo non è più se e quanto funzionino, perché lo si rileva dagli esiti clinici favorevoli laddove – non più solo all’estero – sono stati eseguiti trattamenti. E non è neppure la complessità della loro somministrazione: che siano farmaci ospedalieri da iniettare con fleboclisi in strutture attrezzate, che richiedano un forte collegamento tra ospedale e territorio lo si sapeva da mesi e che sia fattibile lo dimostrano i numeri delle regioni che sono più avanti nella classifica. Il punto, semmai, è proprio l’incapacità delle altre di mettere a sistema il loro utilizzo. A differenza dei vaccini, infatti, il criterio di ripartizione non è la popolazione ma il fabbisogno terapeutico dei pazienti “eleggibili” al trattamento: persone a rischio con sintomatologia da lieve a moderata, precocemente diagnosticata, che vanno individuati, inseriti nel protocollo sanitario e avviati ai centri per la somministrazione. I dati di Aifa dicono però che su 368 centri abilitati al trattamento solo un terzo (120) finora ha effettivamente prescritto una terapia anticorpale.

Teoricamente le dosi dovrebbero essere assegnate in base all’andamento dei contagi e alla capacità di usarle messa in campo dalle regioni. Il monitoraggio sull’incidenza e sul consumo evidenzia come il secondo aspetto sia a dir poco preminente sul primo. L’Emilia-Romagna, ad esempio,ha trattato solo 21 pazienti, vale a dire sei volte meno del Piemonte che ha la metà dei positivi e dei malati in isolamento. Va anche detto che proprio la Regione di Stefano Bonaccini è però suscettibile di un rapido scatto: è l’unica ad aver stilato un protocollo per la somministrazione domiciliare, cioè direttamente a casa del malato, che potrebbe cambiare le cose. Sempre che altre regioni la seguano.

Lo scarso quantitativo di dosi disponibili, unito al ritardo delle regioni nell’usarli, costringe l’Agenzia del Farmaco a limitarne il consumo a scapito di quelle che viaggiano invece spedite coi trattamenti e da giorni fanno pressione, comprensibilmente, per avere più farmaci di quelli assegnati. Le dosi vengono distribuite direttamente dai produttori ai centri autorizzati, ma in quantità contingentate per evitare che le regioni rimaste indietro, una volta andate a regime, restino senza. Questa “politica del rubinetto” però, fatalmente, rallenta tutta la macchina: nell’ultima settimana le prescrizioni nazionali sono aumentate ma di appena 80 dosi (da 567 a 647) e in sette Regioni sono addirittura calate: l’Umbria, ad esempio, è passata da 17 a 10, il Veneto ne ha fatte 17 meno della settimana precedente. Tutto questo appare già poco comprensibile ai medici. Inaccettabile ai malati cui le dosi negate potrebbero salvare la vita. Se solo non rimanessero nei frigo.

Oltre al pranzo la “festa”. E Solinas è sotto assedio

Da qualche giorno, in Sardegna, è il “caso”. Un pranzo con una quarantina di persone, politici e figure apicali della Regione o responsabili di Enti strumentali sopresi da un blitz della Guardia di Finanza. In una Regione arancione fino a ieri, in cui i vaccini vanno a rilento mentre i contagi corrono e da oggi è zona rossa. La vicenda è di qualche giorno fa. Nella struttura alberghiera di Sardara (Cagliari), mentre è in corso un pranzo con una quarantina di persone arrivano i finanzieri della tenenza di Sanluri (nel Medio Campidano). Si racconta di un fuggi e così, dei presenti, solo 19 vengono identificati dalle fiamme gialle, che ritirano le autocertificazioni e avviano l’indagine. Per il gestore del locale scatta la sanzione perché, in zona arancione, gli alberghi non possono effettuare ristorazione agli esterni. Non si conoscono ancora i nomi dei partecipanti, ma è già scontro e polemica. Il comandante regionale della Forestale Antonio Casula, intervistato dal quotidiano L’Unione Sarda ha detto di essere stato presente per motivi di lavoro e di non aver partecipato al banchetto.

Dai banchi del Consiglio regionale arrivano le condanne. Dal gruppo dei Progressisti che annuncia un’interrogazione perché “sarebbe una vergogna per l’intera isola, inaccettabile a fronte dei sacrifici fatti da tutti nell’ultimo anno”, agli esponenti del M5s che con la capogruppo Desiré Manca che annuncia di aver presentato un’interrogazione urgente in per chiedere al presidente Christian Solinas “se sia a conoscenza della ragione del pranzo, i nomi dei partecipanti, e se non ritenga utile manifestare una netta presa di distanza stigmatizzando e ove possibile sanzionando le violazioni”. La stessa consigliera in un’altra interrogazione chiede conto di una festa che sarebbe avvenuta a Villa Devoto, sede della presidenza della Regione. Una circostanza smentita categoricamente da fonti della Presidenza: “E’ tecnicamente impossibile accedere a Villa Devoto – fanno sapere – senza passare ed essere registrati, come previsto dai protocolli Covid”. Prende le distanze anche la Lega che sostiene Solinas: “Riteniamo quanto mai sconveniente che a infrangere le regole sia proprio chi dovrebbe dare il buon esempio”, ha detto il capogruppo Dario Giagoni. Gianfranco Ganau, capogruppo del Pd e a nome dei consiglieri, parla di “fatto gravissimo soprattutto perché, come ricostruito dagli organi di stampa, vede coinvolti anche dei rappresentanti delle istituzioni, coloro i quali avrebbero dovuto mantenere un comportamento esemplare e di massimo rigore nel rispetto delle misure anti-Covid e nel rispetto di tutti i sardi che stanno subendo gli effetti delle restrizioni”. Condanna anche Fratelli d’Italia, il segretario regionale Cgil Michele Carrus parla di “un’offesa gravissima”. “Chi era presente non può ora non dimettersi – aggiunge –. E chi ha ruolo per farlo lo eserciti anzitutto per portare chi non lo facesse spontaneamente a lasciare gli incarichi ricoperti”. Dalla presidenza della Regione si annuncia un drastico intervento sul pranzo. Anche lui, secondo il suo staff, attende i nomi dei partecipanti al pranzo. Nessuno l’avrebbe comunicato. Per Solinas è inconciliabile la permanenza in qualunque ruolo o incarico regionale di chi abbia violato le norme di contenimento della pandemia sulle quali i pubblici ufficiali o coloro che sono incaricati di pubblico servizio devono per primi dare il buon esempio.