Lorenzo, Giorgio, Siria, Miriam erano bambini o poco di più. Vivevano tutti a Taranto o nei paesi della provincia. All’ombra delle ciminiere, sotto le polveri velenose. Sono stati uccisi da malattie che hanno nomi ed effetti terribili: neuroblastoma, sarcoma, linfoma linfoblastico. E se nell’ultima puntata della fiction Svegliati amore mio, la piccola Sara torna a nuotare lasciando presagire la sconfitta della malattia causata dell’inquinamento prodotto dalla “Ghisal”, a Taranto negli anni 2000 le cose sono andate diversamente.
Nel 2012 le perizie disposte dal gip Patrizia Todisco svelarono il quadro inquietante della situazione: nell’arco di 14 anni, dal 2002 al 2015, erano nati 600 bambini malformati e la mortalità infantile registrata per tutte le cause è maggiore del 21% rispetto alla media regionale. C’è un eccesso di incidenza di tutti i tumori nella fascia 0-14 anni pari al 54%, mentre nel primo anno di vita l’eccesso di mortalità per tutte le cause è del 20%. Per alcune malattie di origine perinatale, iniziate cioè durante la gravidanza, l’aumento della mortalità è invece del 45%. Il giudice Todisco sequestrò la fabbrica “affinché non un altro bambino, non un altro abitante di questa sfortunata città, non un altro lavoratore dell’Ilva, abbia ancora ad ammalarsi o a morire o ad essere comunque esposto a tali pericoli, a causa delle emissioni tossiche del siderurgico”.
Eppure a collegare direttamente la fabbrica al decesso di un bambino esiste una sola indagine. Per la Procura ionica la morte di Lorenzo Zaratta, 5 anni e un tumore al cervello, è stata causata dalle nubi tossiche dell’Ilva. Per gli altri bambini, invece, non ci sono neppure denunce dei familiari. Nell’immaginario collettivo, però, la causa è sempre la stessa. A febbraio 2008 morì Miriam Santoro, 5 anni. Le fu diagnosticato un neuroblastoma al quarto stadio, la forma più grave. “Non ho bisogno di un’evidenza scientifica che mi dica che la causa di quella tragedia sia stata l’Ilva”, racconta al Fatto la mamma Antonella Massaro. E se oggi la guerra all’inquinamento industriale nel capoluogo pugliese è diffusa, in quegli anni era ancora un tabù. Prima che i periti scrivessero che “l’esposizione continuata agli inquinanti dell’atmosfera emessi dall’impianto siderurgico ha causato e causa nella popolazione fenomeni degenerativi di apparati diversi dell’organismo umano che si traducono in eventi di malattia e di morte”, il siderurgico era un “gioiello” che dava lavoro e andava protetto e custodito. “La gente mi diceva che non era il caso di mostrare mia figlia senza capelli. Era come se la malattia fosse uno scandalo. Peggio, una colpa”.
Francesca Summa era la mamma della piccola Siria, anche lei affetta da un neuroblastoma. Le fu diagnosticato quando aveva solo 18 mesi. “Siria è stata concepita, è nata, ha vissuto ed è morta nel quartiere Tamburi. Ufficialmente non c’è alcuna correlazione nero su bianco. Che ne penso io? Penso quello che pensano tutti, ma devo stare attenta a dirlo perché rischio pure una querela. Capito? Oltre il danno anche la beffa”. Non ha paura, invece, Carla Luccarelli, madre di Giorgio Di Ponzio morto a gennaio 2019 per un sarcoma dei tessuti molli: “Certo che è stata l’Ilva a causare la malattia di mio figlio. Non è solo secondo me: lo dice la Fondazione Airc per la ricerca sul cancro che la diossina è una delle cause di questo tumore rarissimo”. Giorgio e la sua famiglia vivevano a Paolo VI, quartiere di Taranto che dista pochi chilometri dalla fabbrica e che, secondo gli esperti, proprio come il quartiere Tamburi, è uno dei più colpiti dai veleni dell’acciaieria. La malattia è stata scoperta a ottobre 2016 e circa due anni dopo Giorgio è morto. Carla, con il marito Angelo Di Ponzio, ha fondato il comitato “Niobe”, che raccoglie alcune famiglie che hanno subito il loro stesso dolore e dato vita alla fondazione “Giorgio Forever”. Continuano a combattere contro le decisioni del governo di tenere aperta la fabbrica: “Vogliono tornare a produrre 8 milioni di tonnellate: praticamente sarebbe il colpo di grazia a Taranto”.