Denise-Oleysa, soap opera del Dna finisce oggi (forse)

Italia-Russia: per il fronte degli “scomparsi”, segnali di cooperazione in arrivo da Mosca. L’avvocato di Olesya Rostova – la giovane russa rapita da un gruppo di nomadi a 4 anni, stessa età della bambina scomparsa a Mazara del Vallo nel 2004 – ha inviato ieri i risultati di test ed esami scientifici in Italia, ma silenzio e riserbo verranno mantenuti finché non andrà in onda sul Primo canale russo la puntata di Pust Govorjat, “Purché parlino”. Giacomo Frazzitta, avvocato della famiglia, ha reso noto ieri che alla luce di questa notizia, Piera Maggio, madre di Denise, si era detta favorevole al collegamento per la registrazione del programma che andrà in onda stasera, nonostante due giorni fa avesse minacciato di chiudere ogni rapporto con Mosca, che poneva il veto di scoprire l’esito dei risultati dei test solo a favore di telecamera. Contro “la strumentalizzazione mediatica della vicenda” la famiglia Maggio avrebbe fatto ricorso a una rogatoria internazionale per ottenere chiarezza. I risultati del test del Dna ottenuti dalla Federazione verranno trasmessi subito alla Procura di Marsala: l’ex procuratore Alberto Di Pisa, che indagò sul caso, ottenendo il rinvio a giudizio della sorellastra di Denise, è però convinto si tratti solo di “una sceneggiata mediatica della tv russa”.

Nella Federazione con gli internat, orfanotrofi saturi dalla caduta dell’Unione Sovietica, la saga mediatica è andata avanti comunque: “Qual è il vero nome di Olesya Rostova: Angela, Lidia o Denise?”. Anche ieri la ragazza russa che assomiglia a Piera Maggio era seduta nello studio del programma per apprendere che, secondo i test del Dna, non appartiene a nessuna delle famiglie russe che negli ultimi giorni si sono collegate con il Primo canale, credendo di aver riconosciuto in lei la figlia scomparsa anni prima.

Sindaca leghista nomina in giunta il fratello del boss

Mafia e politica. In Lombardia la Lega ha la memoria corta. Il partito di Matteo Salvini ha da poco nominato in giunta il fratello di un condannato per ’ndrangheta, arrestato nel 2017 dalla Procura di Milano. Succede a Senago (Milano). Decide Magda Beretta, sindaca leghista e fedelissima di Salvini. Incassa la nomina Gabriele Vitalone con deleghe al commercio, alla sanità e ai vaccini Covid. Suo fratello, Giovanni Vitalone, è stato condannato in via definitiva per mafia. Un altro fratello del neo-assessore, Antonino, non indagato nel 2017, è risultato in contatto con un presunto esponente del clan Bonavota vicino alla cosca Mancuso. La famiglia Vitalone, originaria di Montebello Ionico, a Senago ha gestito bar e ristoranti in società anche con parenti legati ai clan di S. Luca. Gabriele Vitalone, a differenza dei fratelli, ha scelto la politica e Forza Italia. Poi l’inchiesta del 2017 lo ha portato fuori dalla giunta di Senago, 21mila abitanti, tra Limbiate, Solaro, Rho, roccaforti delle ’ndrine. Lui allora non fu indagato, ma quella parentela consigliò un passo indietro. Oggi Vitalone è tornato da indipendente con solo le sue garanzie politiche e grazie a Magda Beretta eletta sindaco nel 2017, leghista fin da quando da collaboratrice entrò a Radio Padania. Uno dei suoi primi atti fu l’annuncio di non aderire al modello degli Sprar. Disse: “No all’accoglienza dei migranti, prima i miei cittadini”. Salvini, futuro ministro dell’Interno, la ringraziò: “Prima vengono i miei cittadini. Brava Magda Beretta, sindaca leghista di Senago, che lotta contro il governo dell’invasione!”. Oggi però Salvini non commenta la scelta della Lega di rimettere in giunta un assessore con un fratello “mafioso”. Fu Beretta nel 2017 a decretare la cacciata di Vitalone. Dalle carte dell’inchiesta emerge che il fratello Antonino (mai indagato) nel 2016 ha incontrato Raffaele Cugliari, “proconsole”, secondo i pm, della cosca Mancuso, coinvolto nell’indagine Rinascita Scott del procuratore Nicola Gratteri.

A margine di quell’incontro, intercettato, Antonino Vitalone disse: “La nuova ’ndrangheta è questa qua, dei soldi”. La Lega, però, tira dritto. E così il 18 marzo Vitalone ha fatto il suo primo intervento in consiglio comunale. Oltre venti minuti, consentiti dal presidente del Consiglio, il leghista Luca Biasotto, non per spiegare le linee del suo mandato, ma per ringraziare chi lo ha sostenuto e attaccare chi, a suo dire, lo ha osteggiato. Nessun riferimento alla mafia e alla presenza dei clan sul territorio di Senago. Solo si è limitato a dire tra le varie cose: “Non avevo alcun coinvolgimento in ciò che è accaduto”. Fatto giudiziariamente vero. Poi un ringraziamento “particolare” al consigliere regionale della Lega, Riccardo Pase. Venti minuti senza contenuti, tanto che parte dell’opposizione si è rivolta al Prefetto di Milano perché valuti la legittimità dell’intervento extra-time. Negli atti dell’indagine si legge: “Le intercettazioni” accertavano “che Gabriele Vitalone” sarebbe “stato inserito nel mondo politico per una scelta mirata a consentire il pieno inserimento nel tessuto socio-economico dei componenti la famiglia Vitalone e anche di coloro che (…) sono affiliati alla Lombardia, tra questi Giovanni Vitalone”. L’altro fratello Mario (non indagato) concludeva: “La politica non la può mollare (…) uno in politica ci vuole, sennò qua ti pestano i piedi!”.

I bar tolti ai clan ora in mano a due imputati per riciclaggio

I bar e i ristoranti del centro di Roma confiscati qualche anno fa alla camorra stanno finendo – assegnati dal Tribunale della città capitolina – in mano a un fondo cipriota riconducibile a personaggi e società tuttora a processo a Latina, per bancarotta fraudolenta e riciclaggio transnazionale. Il decreto di confisca dei beni – per un totale di circa 300 milioni di euro – è arrivato lo scorso 23 dicembre 2020. Dai documenti in possesso del Fatto, risulta che il 16 febbraio 2021 il Tribunale di Roma abbia autorizzato gli amministratori giudiziari a “procedere alla sottoscrizione dei contratti di affitto di azienda contenenti l’opzione di acquisto”.

Contratti d’affitto che si stanno trasformando in cessioni. Nell’elenco delle 40 società da riassegnare, ben 21 risultano opzionate dalla Compendi Riuniti srl. Dall’ultima visura camerale, si apprende che la Compendi Riuniti srl è stata costituita l’11 febbraio 2021 – appena 5 giorni prima dell’atto del Tribunale – ed è partecipata al 100% dalla Ristrutturazioni Industriali Riunite Spa. Quest’ultima, a sua volta, è nata il 9 dicembre 2020: poco più di una settimana dopo l’80% delle quote sono state rilevate dalla Nio Job Capital Invest Ltd.

La chiave è proprio il gruppo Nio. La Nio Job Capital Invest Ltd e la sua controllante Nio Global Fund Limited sono dei fondi di investimento con sede a Nicosia, capitale di Cipro.

Consultando Opencorporates.com si apprende che fra i direttori del fondo madre, la Nio Global, c’è Max Pietro Maria Spiess, figlio di Giangiorgio Spiess (estraneo a tutte le indagini), storico avvocato di Licio Gelli in Svizzera. Max Spiess è stato arrestato il 16 aprile 2018 nell’ambito dell’inchiesta “Arpalo” della Procura di Latina, indagine dalla quale emergeva il coinvolgimento del Latina Calcio e del suo ex presidente Pasquale Maietta, ex deputato di Fratelli d’Italia ed ex tesoriere del partito alla Camera. Maietta e Spiess sono tuttora sotto processo a Latina per riciclaggio.

Secondo i magistrati pontini, Maietta era al centro di un complesso giro di riciclaggio e il club calcistico riceveva un sostegno importante dal presunto boss del clan Di Silvio, Costantino detto ‘Cha Cha’ (a Maietta, si precisa, non vengono contestati reati di tipo mafioso). La fiduciaria svizzera cui, secondo i pm, si rivolgeva l’ex deputato di FdI era la Smc Trust, un “family office” presieduto da Spiess.

E qui il cerchio si chiude: il ramo cipriota della Smc Trust è la Smc Med Trustees (Cy) Ltd, che compare come segretario nelle visure dei fondi Nio Job e Nio Global.

Non è tutto. Fra i direttori della Nio Global appare anche Augusto Bizzini, anche lui parte del Smc Trust Group e anche lui a processo in corso in primo grado a Latina per riciclaggio transnazionale.

La Procura di Perugia da alcune settimane sta intanto ricevendo dettagliati esposti da parte di alcuni ex gestori – quelli prosciolti dalle accuse di associazione mafiosa – i cui locali furono sequestrati nel 2018 dalla Guardia di Finanza proprio nell’ambito delle operazioni “Babylonia” e “Babylonia 2”, indagini che fecero allora molto scalpore nella Capitale per la presenza delle cosche nella gestione di diversi locali storici. La Dda di Roma in quell’occasione chiese e ottenne l’arresto degli imprenditori Andrea Scanzani e Gaetano Vitagliano, entrambi assolti in Appello dalle accuse di utilizzo del metodo mafioso (il primo condannato a 4 anni per riciclaggio, il secondo invece assolto da tutti i reati).

Ora la Procura di Perugia dovrà quindi visionare tutti gli esposti degli ex gestori. Per alcuni di loro, inizialmente indicati come partecipi all’associazione a delinquere e poi assolti in Appello, è stato riconosciuto lo status di “vittime”. L’ex titolare di una tabaccheria di Monterotondo, per esempio, fa presente nel suo esposto che la Ristrutturazioni Industriali Riunite srl sta già trattando la cessione della sua attività. Dalle carte risulta che l’aspirante acquirente abbia chiesto un mutuo a una società finanziaria, a sua volta riconducibile a un socio della famiglia di cui fa parte uno degli imprenditori arrestati nel 2018.

Contagi e ricoveri in intensiva: ora l’età media è 47 anni (un anno fa era 62)

Nelle case di riposo i decessi provocati dal Covid-19 si sono praticamente azzerati. Un effetto delle vaccinazioni che hanno coinvolto gli anziani ospiti delle Rsa in tutto il Paese.

Ancora troppo presto per affermare, invece, che il vaccino agli over 80 stia giocando un ruolo nel lieve abbassamento dell’età media delle persone stroncate dal virus. Prima ruotava intorno agli 81-82 anni, da circa due mesi intorno a 79. Statisticamente è quasi irrilevante. Questo nonostante la diminuzione di due anni, come rileva l’Istituto superiore di sanità, “sembra rimanere stabile nelle ultime settimane”.

Al contrario è certo che le varianti del virus si sono rivelate molto più aggressive nei contagi, in particolare tra le classi di età più giovani. “Proprio tra febbraio e marzo, mentre registravamo la riduzione dell’età media dei decessi – spiega l’Iss –, l’età mediana dei contagi diminuiva di un anno, da 48 a 47 anni, seguendo una tendenza in discesa a partire dall’inizio della pandemia”. Nella primavera scorsa l’età mediana dei contagi era infatti di 62 anni. Uno scarto di tre lustri che spiega anche perché adesso l’età media dei pazienti per i quali i medici sono costretti a ricorrere alla cure intensive si è abbassata di dieci anni rispetto a un anno fa, come osserva Alessandro Vergallo, presidente di Aaroi-Emac, associazione nazionale degli anestesisti e rianimatori.

“Occorre tenere conto del fatto che oggi il ricorso all’ospedalizzazione è maggiormente precoce – spiega Vergallo – e l’accesso alle cure più immediato. Un contesto nel quale in terapia intensiva troviamo una distribuzione anagrafica molto più ampia”. È così che si rileva un aumento dei decessi anche tra le persone delle fasce d’età meno anziane. “Anche se la correlazione con la morte non è affatto automatica, perché più il paziente è giovane – prosegue Vergallo – e meno sono presenti patologie preesistenti che aggravano le condizioni”. Dall’inizio della pandemia sono deceduti 65.864 over 80, oltre 26mila persone nella fascia compresa tra i 70 e i 79 anni, 10.202 tra i 60 e i 69 e 3.503 tra i 50 e i 59.

Non cambia il tempo medio di ricovero in terapia intensiva, che si aggira sempre intorno alle tre settimane, mentre le patologie croniche che si rivelano con maggiore frequenza nei pazienti deceduti sono sempre le stesse, dalla cardiopatia ischemica all’ipertensione arteriosa per arrivare al diabete. Né cambia la posizione degli anestesisti. “Attualmente sono dichiarati novemila posti letto in terapia intensiva – spiega Vergallo – ma noi consideriamo solo quelli che rispondono a tutti gli standard. Ecco perché parliamo di una saturazione del 45% dei posti e non riteniamo corretto indicare la quota del 30% di occupazione come soglia oltre la quale deve scattare l’allarme”.

La via dell’India: così la casa madre ha favorito BoJo

In barba all’Ue, AstraZeneca continua a privilegiare il Regno Unito. Oltre a riservare a Londra le dosi finora sfornate sul territorio britannico, ha ottenuto dall’ente di regolamentazione nazionale (Mhra) l’autorizzazione a importare dall’India quantitativi prodotti dal Serum Institute. A esso, nel 2020, la multinazionale anglo-svedese aveva inizialmente rilasciato una licenza di produzione destinata a soddisfare esclusivamente la domanda dei Paesi meno abbienti attraverso il fondo internazionale Covax. Ma recentemente Astrazeneca ha deciso di dirottare una quota delle dosi indiane verso la madrepatria.

“Ciò conferma chiaramente che le nazioni ricche sfruttano il loro maggior potere d’acquisto, lasciando indietro quelle povere”, dichiara Sara Albiani, esperto di salute a Oxfam. Non è certo quanto la Mhra abbia ricevuto e approvato la richiesta, né se e quando l’azienda abbia fatto domanda anche all’Agenzia europea dei medicinali (Ema) per poter distribuire anche nell’Ue il suo vaccino made in India. L’Ema ha rifiutato di darcene conferma. Tuttavia, secondo indiscrezioni di stampa, sarebbe già in fase di valutazione (avendo facoltà di ispezionare i siti indiani prima di dare il via libera).

In un articolo della Bbc del 18 marzo, un portavoce del Serum Institute ha annunciato che 5 milioni di dosi erano già state consegnate ai cittadini inglesi. L’altra metà del carico è stato ritardato in seguito alla decisione del governo di New Delhi di sospendere temporaneamente l’export di vaccini per dare priorità alla propria campagna di immunizzazione. Abbiamo chiesto ad AstraZeneca se si è rivolta sia alla Mhra che all’Ema, ma non se l’è cavata con un no comment.

Di fatto, nonostante sia inadempiente verso l’Ue per l’inefficienza dei suoi due impianti di produzione in Belgio e Olanda (abilitato dall’Ema solo a fine marzo), ha deciso di recapitare dosi extra al Regno Unito che è in netto vantaggio sui tempi di vaccinazione. E che dal 1° dicembre dell’anno scorso ha ricevuto 22 dei 77 milioni di dosi esportate dall’Ue nel mondo (di cui un milione da AstraZeneca e il resto da Pfizer).

Ricordiamo che il 22 gennaio AstraZeneca ha annunciato un taglio del 60% delle dosi promesse all’Ue nel primo trimestre. E ieri ha gettato benzina sul fuoco, avvertendo che il 14 aprile consegnerà all’Italia 175mila dosi di vaccino e non le 340 mila previste (rinviate al periodo il 16-23 aprile) che rappresentavano comunque un volume ridotto rispetto e quello pattuito contrattualmente. In principio, un tale cambio programma all’ultimo minuto permetterebbe al governo di interrompere i pagamenti, in base a una specifica clausola del contratto di fornitura firmato con la Commissione europea. Ma i mezzi di tutela restano nebulosi.

A fine gennaio, un gruppo di eurodeputati italiani del gruppo socialdemocratico aveva chiesto chiarimenti in proposito al team di Ursula von der Leyen per promuovere azioni coordinate tra gli Stati membri, contro le manchevolezze di AstraZeneca e Pfizer. Ancora nessuna risposta. Condizioni più stringenti, secondo alcuni giuristi, sarebbero incluse nell’accordo siglato da AstraZeneca con Londra. Questo può imporre sanzioni qualora l’azienda ceda a richieste di altre parti contraenti, come appunto l’Ue che invece nel suo accordo prevede una fase di dialogo per incrementare la produzione ricercando nuovi stabilimenti. Ma la Commissione non dice a che punto è la procedura.

AstraZeneca: limitazioni oggi e altri ritardi domani

Prima lo stop and go, con la sospensione e il successivo via libera. Poi di nuovo l’attesa di una parere dell’Ema, l’Agenzia europea dei medicinali, sui rari casi di trombosi che si sono verificati in Germania (7 su 1,6 milioni di vaccinazioni). Sul vaccino anglo-svedese AstraZeneca altra bufera con le dichiarazioni rilasciate al Messaggero da Marco Cavaleri, responsabile della strategia sui vaccini dell’Ema, su una associazione tra il siero e gli effetti avversi che hanno colpito in Germania sei donne e un uomo, tra i venti e i 50 anni. “È sempre più difficile – ha detto Cavaleri – affermare che non vi sia un rapporto di causa ed effetto tra la vaccinazione con AstraZeneca e casi molto rari di coaguli di sangue insoliti associati a un basso numero di piastrine”. E dalla commissione della farmacovigilanza di Ema oggi o domani arriveranno raccomandazioni aggiornate per indicare le classi di età per le quali è consigliato (in Italia non ci sono limiti).

 

Bambini e adolescenti stop alla sperimentazione

Entro domani sono attese anche le conclusioni dell’Organizzazione mondiale della Sanità, che invece getta acqua sul fuoco. L’Oms non rileva legami “tra trombosi e vaccino AstraZeneca; dal Regno Unito e da altri Paesi continuano ad arrivare dati che sono analizzati dai nostri esperti, per il momento è importante ribadire che i benefici continuano a superare i rischi”. Ieri c’è stato un incontro anche in Italia tra Aifa e ministero della Salute: solo interlocutorio, in attesa del responso di Ema. Anche l’Agenzia del farmaco britannica starebbe però valutando, secondo The Times, se limitare AstraZeneca ai più giovani (il Regno Unito ha registrato 7 decessi su 18,1 milioni di somministrazioni). L’Olanda lo ha sospeso; idem, fino al 15 aprile, hanno fatto Norvegia e Danimarca; la Svezia lo somministra solo agli over 65; in Germania la commissione sui vaccini lo raccomanda per le persone sopra i 60 anni. Intanto la stessa AstraZeneca sospende la sperimentazione su bambini e adolescenti: “Sebbene non ci siano preoccupazioni di sicurezza nel trial clinico pediatrico, attendiamo le ulteriori informazioni dall’agenzia britannica sulla sua revisione dei rari casi di trombosi prima di somministrare altre vaccinazioni nel trial”, ha dichiarato l’azienda.

 

Napoli “Noi vogliamo vaccinarci con Pfizer”

L’incertezza è tale da scatenare la paura. Una dimostrazione arriva da Napoli, dove al centro vaccinale della Mostra d’Oltremare ieri si sono registrati rallentamenti perché molte persone – erano convocati quelli di età tra i 70 e i 79 anni – hanno tentato di convincere i medici a somministrare un vaccino diverso, Pfizer o Moderna. Secondo il sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri ora Ema potrebbe, in via precauzionale, indicare una categoria di persone sulle quali è meglio non utilizzare AstraZeneca. L’agenzia potrebbe cioè “individuare dei sottogruppi che presentano un comune denominatore per un maggiore livello di rischio e valutare il rapporto causa-effetto in tali gruppi”. Se poi arrivasse a escludere dalla somministrazione alcune categorie, questo, dice Sileri, “rientra nei processi di farmacovigilanza ed è già successo per tanti altri farmaci, a partire dall’aspirina”. Intanto sono state avviate quattro indagini, su decessi di vaccinati, da tre procure: Genova, Messina e Firenze (in un caso il vaccino é Moderna).

 

Esportazioni Bloccate dosi per l’Australia

Intanto l’Ue ha bloccato la spedizione di 3,1 milioni di dosi di AstraZeneca destinate all’Australia. Uno stop che segue quello deciso a marzo dal premier Draghi, che aveva fermato l’esportazione di 250mila dosi.

Nel frattempo all’Italia arrivano altri vaccini Pfizer: 1,5 milioni di dosi. È la prima consegna del mese aprile. Ed è il lotto più consistente dall’inizio della campagna. Entro oggi, come riferisce il commissario all’emergenza Francesco Paolo Figliuolo, sarà distribuito alle Regioni. Poi arriveranno, il 14 aprile, 175mila dosi AstraZeneca. Non le 340mila previste.

 

Cnr “Impossibile arrivare a quota 500 mila al giorno”

Che l’obiettivo di cinquecentomila vaccinazioni al giorno sia davvero lontano è confermato anche dal Cnr: è il matematico Giovanni Sebastiani a spiegare che per la fine di aprile, al ritmo attuale, si potrà arrivare al massimo a 350mila dosi al giorno. Mentre aumentano le somministrazioni a persone che appartengono alla categoria “altro”, passata in una settimana dal 13 al 17%.

 

Lazio Il mistero delle fiale per difesa e sicurezza

Ieri nel Lazio, invece, mancavano all’appello rispetto al conteggio ufficiale quasi 98mila dosi: ha lanciato l’allarme l’assessore alla Sanità Alessio D’Amato: conteggiate ma mai consegnate; dosi destinate al personale della sicurezza e della difesa, ha poi replicato la struttura commissariale di Figliuolo: soltanto un disguido contabile, insomma.

Benedetto Figliuolo

Da ex alpino, ho il massimo rispetto per il Comm. Str. Gen. C.A. F. P. Figliuolo e soprattutto per le medaglie, le mostrine e i nastrini che gli piastrellano il lato sinistro dell’uniforme (e forse anche il retro). Ma l’altro giorno, quando ha dichiarato che ad aprile avremo 8 milioni di vaccini, dunque ne faremo 500mila al giorno, mi è venuto in mente un aforisma di Aldous Huxley: “Ci sono tre tipi d’intelligenza: l’intelligenza umana, l’intelligenza animale e l’intelligenza militare”. Ma benedetto Figliuolo: non l’ha ancora capito che il numero dei vaccini dipende dai galantuomini di Big Pharma e dai geni delle Regioni? Che, se dài i numeri a caso, la gente si ricorda e s’incazza? E che 8 milioni diviso 30 giorni fa 266mila, non 500mila? Si teme che lo sventurato generale (ma chi gliel’ha fatto fare?) sia caduto in preda della sindrome del “bugiardo sincero”: come B. che – notò Montanelli – “crede alle bugie che racconta”. Anche perché la stampa, che di solito critica i potenti aiutandoli a sbagliare meno, dacché governano i Migliori li convince di essere infallibili e li aiuta a sbagliare di più.

Il 1° marzo, quando rimpiazzarono Arcuri col Generalissimo senza spiegare perché, fu tutto un coro di “finalmente!”, “era ora!”, “arrivano i nostri!”. Ma Bersani disse in tv: “Con Arcuri siamo stati per giorni i primi nella Ue per vaccinazioni, poi col taglio delle dosi siamo rimasti alla pari dei grandi. Segnatevi i dati e rivediamoci fra un mese: se avremo fatto meglio, chapeau; se avremo fatto peggio, qualcuno dovrà spiegare”. Dopo cinque settimane, l’Italia scivola verso il fondo-classifica. Qualcuno prima o poi spiegherà perché l’ad di Invitalia, esperto in sistemi industriali, organizzazioni complesse e contratti commerciali, è stato sostituito da un esperto in guerre e ospedali da campo (quando per la logistica vaccinale l’esercito era già coinvolto). Ieri, dopo settimane passate a titolare su “cambi di passo”, “svolte”, “accelerazioni”, “sprint” sui vaccini, “500mila al giorno”, anzi “600mila”, chi offre di più, ieri i giornaloni han cominciato a parlare di “flop”. Il boomerang sta tornando indietro. Come volevasi dimostrare. Il 23 novembre 1930, infastidito dagli eccessi laudatorii della Gazzetta del Popolo diretta dal fascistissimo Ermanno Amicucci, Benito Mussolini telegrafò al prefetto di Torino: “Moderi atteggiamento ultra-demagogico della ‘Gazzetta’ che, facendo attendere i miracoli, finisce per sabotare l’opera del governo”. Non sappiamo se il dispaccio abbia sortito l’effetto sperato. Ma sappiamo cosa accadrebbe oggi se gli uffici stampa di Draghi e Figliuolo ne inviassero uno identico ai direttori dei giornaloni: questi penserebbero a un pesce d’aprile ritardatario.

Seppioline, bugie e gambe corte: abbasso le donne

Seppia. “Come la seppia, la donna si avviluppa nella dissimulazione e nuota a suo agio nella menzogna”.

Amore. “L’amore è il male. Codesto turbamento che vi rapisce, codesta serietà e codesto silenzio sono una meditazione del genio della specie. L’adolescente pronto a morire per colei che ama e il cui fiero sguardo non ha che lampi di generosità; la vergine che avanza circonfusa della sua grazia come di un’aurora, rivestita di una bellezza che fa mormorare tra loro come cicale i vecchi e cadere in ginocchio chiunque abbia un cuore umano, sono due macchine nelle mani di questo genio imperioso. Esso non ha che un pensiero, un pensiero positivo e senza poesia: la durata del genere umano. Ammirate, se volete, i suoi procedimenti; ma non dimenticate che esso non pensa che a colmare i vuoti, a riparare le brecce, a mantenere l’equilibrio tra le provviste e la spesa, a tenere sempre abbondantemente popolata la stalla in cui il dolore e la morte recluteranno presto le loro vittime”.

Le donne. “Il sesso femminile, di statura bassa, di spalle strette, di fianchi larghi e di gambe corte, può essere stato chiamato il bel sesso soltanto dall’intelletto maschile obnubilato dall’istinto sessuale: in altre parole, tutta la bellezza femminile risiede in quell’istinto”.

Disinfettarsi. “Sciogliere in un bicchiere d’acqua una dose di cloruro di calcio e dopo il coito immergervi il pene. In questo modo i veleni eventualmente assorbiti vengono completamente eliminati”.

Sposarsi. “Sposarsi significa fare il possibile per venirsi a nausea uno all’altro. Definisco il matrimonio un debito che si contrae in gioventù e si paga nella vecchiaia”.

Poligamia. “Mentre presso i popoli poligamici ogni donna trova chi la mantiene, presso i popoli monogamici il numero delle donne maritate è limitato, e rimane un numero infinito di donne private di sostegno, che nelle classi superiori vegetano come inutili zitelle, e nelle classi inferiori sono costrette a pesanti lavori inadatti a loro, oppure diventano prostitute e conducono una vita triste e infamante. Solamente a Londra vi sono ottantamila prostitute. Le prostitute conducono una vita triste e infame, ma, date le circostanze, sono necessarie a soddisfare i bisogni del sesso maschile, e a proteggere dai seduttori le donne privilegiate dal destino, che hanno trovato marito, o hanno diritto a sperare di trovarne”.

Odio. “Fra donne, già per natura, vi è inimicizia”.

Insetti. “È evidente che la cura con la quale un insetto va alla ricerca di un determinato fiore o frutto o sterco o carne oppure, come gli icneumoni, di una larva di un altro insetto, per deporre solo là le sue uova, senza disdegnare a tal fine né fatica né pericolo, è molto simile a quella con cui un uomo, per soddisfare i bisogni sessuali, sceglie meticolosamente una determinata donna, che gli corrisponda individualmente, e vi si affanna appresso con tanto fervore che per raggiungere questo scopo, sfidando ogni dettame di ragione, sacrifica spesso la propria felicità con un matrimonio stolto, con intrighi amorosi che gli costano patrimonio, onore e vita, e perfino con delitti quali l’adulterio e lo stupro”.

Uomini. “Più guardo gli uomini, meno mi piacciono. Se potessi dire la stessa cosa delle donne, tutto sarebbe a posto”.

Notizie tratte da: Arthur Schopenhauer, “L’arte di trattare le donne”, Adelphi, pagine 102, 9,50 euro

Con Cimini, il film della vita finisce dentro gli otto brani di una “Pubblicità”

La sua voce è quella di una generazione dispersa nei remoti angoli della Rete, ma connessa dai social, impegnata tra una battle royale e l’altra in videogame di successo, e alla perenne ricerca del proprio posto nel mondo. Tiene subito a precisare che è un cantautore e che ha qualcosa da dire, Federico Cimini, in arte Cimini, e lo fa anche bene. Seppure abbia cambiato schemi, stile e tipo di messaggio. Già, perché, dopo aver abbandonato quella vena rabbiosa che fuoriusciva dalla sua voce roca, che tanto ricordava il conterraneo Rino Gaetano, Federico è ripartito dalle basi e da autodidatta quale era, si è messo a studiare canto: “La paura di avere polipi era forte, ogni volta dopo un’esibizione avevo un gran mal di gola, così ho deciso di mutare il mio modo di cantare. Inaspettatamente, però, questo fatto mi ha dato la forza di proseguire e prendere questo mestiere seriamente”.

L’aspetto narrativo, ovviamente, è quello che più gl’interessa. “La mia vita precedente non va minimamente rinnegata, mi ha aperto al mondo. Avevo bisogno di mettere in mostra la mia rabbia e anche la mia ingenuità, questo lavoro si apprende di giorno in giorno, ed è fatto di paranoie, proiezioni mentali, ma soprattutto di vita vissuta”. Sicuramente in Pubblicità, il nuovo disco uscito da pochi giorni, in cui Cimini canta del film della nostra vita attraverso otto canzoni variopinte, che si inseriscono tra una storia e l’altra, con la voglia di cambiare canale o di skippare per vedere come va a finire, l’evoluzione si sente: “Penso di essere migliorato dal punto di vista della scrittura, avevo bisogno di aprirmi dopo un periodo di alienazione. Avevo bisogno di sfogarmi e ci sono riuscito, e ora che sono riuscito a mettere un filtro, questo mi ha dato un pubblico sempre più vasto, mi sono sentito capito ed è stato un bene. Poi dopo una serie di concerti è stata l’estasi”.

La copertina realizzata da Noemi Viola, puerile e colorata, tende a confondere le acque: “Volevo dare un messaggio come dire ‘vi imbocco con il cucchiaino’, con un poco di zucchero la pillola va giù. In questo disco c’è la mia visione del mondo, l’ironia, l’intimità, le sfighe e gli amori impossibili, la mia vita di provincia e quella di città”. Scuse è il pezzo più incisivo, a metà tra ironia e sarcasmo.

È un disco che va ascoltato, questo Pubblicità. Certo, non offre soluzioni, ma è una buona colonna sonora per il quotidiano, “del resto, non era Bob Dylan che diceva ‘la musica non può cambiare la vita’… e chi sono io per smentirlo?”.

Burghy, Superga, eroina: la dura estate degli Anni 80

Un romanzo che passa veloce, come l’estate che racconta. Un centinaio di pagine che, a bordo di una moto Caballero, rincorrono quattro adolescenti, Vela, il Best, Paolino e Ivan, nella periferia milanese del 1989. Fuggono la noia e l’afa in una casetta diroccata nei pressi di una discarica abusiva. Con le Superga o le Diadora ai piedi calpestano un tappeto di cicche di MS fumate con il sapore impagabile della trasgressione, misurano la loro virilità disputando gare improbabili di masturbazione squadernando giornaletti porno, sgranano confezioni di M&M’s e Mars e si raccontano romanticismi da Tempo delle mele, subito appannati da apocrife epopee di bravate alla Rambo e sogni velleitari di emancipazione dalle famiglie.

Ma ecco l’imprevisto che trasforma l’estate in un inverno cupo. Nel loro rifugio rinvengono un tossico, con la spada conficcata nel braccio, morto di overdose. Nascondono il cadavere, lo seppelliscono sotto una montagna di detriti. Mentre occultano Troisi – così battezzano il tossico che ricorda la fisionomia dell’attore napoletano di Non ci resta che piangere – i quattro ragazzini, insieme a una “vita che si spegne nell’estasi dell’eroina”, sono costretti a dire addio a se stessi, alla loro coscienza svagata di quattordicenni. A distanza di anni, solo tre dei quattro potranno elaborare il trauma perché la falce della morte strapperà via il più misterioso del gruppo.

Fabio Guarnaccia, con questo suo Mentre tutto cambia, edito da Manni, si mette in coda alla fila già sterminata dei romanzi di formazione. I topoi ci sono tutti: l’estate, l’adolescenza, l’innocenza perduta. Tra i tanti modelli, sembra civettare con Il Regno degli amici di Raul Montanari. Ma lo scarto qui sono gli Anni 80, restituiti senza nessun rintocco di nostalgia ma che pure, tra gli slalom di una tavola da skate, incantano il lettore quando si imbatte in schedine del Totocalcio, in carrelli della Upim, in magliette con il moicano della Diesel, nel sosia di Michael Jackson che balla il Moon Walk davanti al Burghy, quando una Golf nera Gti “pompa Vasco” dai finestrini abbassati. Perché forse – se esiste un’estate capace di esaltare e allo stesso tempo bruciare tutte le illusioni – allora è un’estate che brilla in quegli Anni 80 dove, per dirla con Mario Fortunato, “la giovinezza sembrava una festa destinata a non finire mai”.