Stefano Imperiali, ex giudice della Corte dei Conti, ha presentato alla Procura di Roma una denuncia per una serie di traversie che ha dovuto affrontare dopo aver condannato 4 anni fa due dipendenti della Presidenza della Repubblica per degli ammanchi dalle casse della tenuta presidenziale di Castelporziano – danno erariale di oltre 4,5 milioni di euro – , e sulle pressioni subite prima di emettere la sentenza. In particolare Imperiali fa riferimento a contestazioni e sanzioni da parte dell’amministrazione che, a suo dire, erano delle vere e proprie “persecuzioni”. E che l’hanno persuaso, suo malgrado, a decidere di andare anticipatamente in pensione nel gennaio 2018: a 64 anni appena, quando normalmente la soglia è, al netto di proroghe eventuali, di 70 anni. Nell’esposto Imperiali sottolinea innanzitutto le pressioni subite nei mesi antecedenti l’udienza. “Come scritto nella denuncia – racconta Imperiali – fui avvicinato da un collega che mi chiese di annullare la sentenza di primo grado adducendo una fantomatica ‘ragion di Stato’. Dopo pochi giorni, lo stesso magistrato mi propose anche di rinviare l’udienza di 6/7 mesi, facendomi intendere che nel frattempo sarei potuto andare a svolgere altrove le funzioni di presidente di sezione”.
Il bancomat di Castelporziano
‘Consigli’ che l’ex giudice contabile non ha però preso in considerazione, tanto che la sezione d’appello da lui presieduta, oltre a confermare la giurisdizione della Corte dei Conti già riconosciuta dal giudice di primo grado, ha aggravato in misura rilevante la pena ai due contabili condannandoli al risarcimento del danno erariale accertato: oltre 4 milioni e 600 mila euro. Un importo che, per il periodo 2002-2008, era stato già quantificato dal consulente tecnico nominato dal pm del Tribunale di Roma, durante il processo in sede penale per la medesima vicenda. Uno scandalo che oltre a coinvolgere, circa dieci anni fa, Gianni Gaetano e Paolo Di Pietro – i contabili condannati da Imperiali che utilizzavano la cassaforte della tenuta estiva del capo dello Stato come una specie di bancomat per spese personali – travolse anche Gaetano Gifuni, funzionario di alto rango, segretario generale della Presidenza della Repubblica per Scalfaro e Ciampi, e altri dirigenti del Quirinale. Gli imputati, a vario titolo, furono accusati dai pm romani di abuso d’ufficio, peculato, truffa, falso materiale e falso ideologico. Gifuni (scomparso nel 2018) in primo grado era stato condannato a 1 anno e 5 mesi per peculato e abuso d’ufficio e in appello era stato assolto “perché il fatto non costituisce reato” dal primo capo d’imputazione mentre per l’abuso d’ufficio è intervenuta la prescrizione. “Dopo non molto, iniziarono gravi persecuzioni nei miei confronti. Fui accusato – scrive Imperiali – di aver commesso un ‘falso’, per aver firmato l’ordinanza scritta da un consigliere della mia Sezione senza accorgermi di un suo banale errore materiale; mi furono tolte senza motivazione quasi tutte le udienze che presiedevo; fu chiesto un mio curioso e anomalo ‘trasferimento per incompatibilità ambientale’ per colpa. Peraltro furono violate anche varie disposizioni del Regolamento sulle incompatibilità ambientali dei magistrati contabili”. Infine per Imperiali arriva anche la richiesta di una sanzione disciplinare che lo induce a chiedere di andare anticipatamente in pensione dopo oltre 32 anni di onorata carriera, con qualche ‘problema’ e molte inimicizie solamente negli anni novanta, dopo aver tirato in ballo Craxi e i finanziamenti milionari al cinema degli “amici”. “Subito dopo un interrogatorio-farsa durato 4 ore – prosegue la denuncia – il Procuratore Generale della Corte dei Conti chiese una mia assurda e inusuale sospensione immediata dalle funzioni e dallo stipendio. E non mi fu neanche concesso il termine di 30 giorni, previsto dal Regolamento di disciplina, per difendermi dalle accuse false, generiche e, a volte, anche piuttosto divertenti”. “Guarda caso – precisa l’ex magistrato – chi non mi aveva accusato di niente era stato ritenuto non attendibile”.
Il “niet” della Corte costituzionale
La Corte dei Conti ha spiegato al Fatto Quotidiano di aver già risposto tre anni fa al nostro giornale, che si era in parte già occupato della vicenda, e quindi di “non poter chiarire i motivi dei procedimenti amministrativi a carico di Imperiali trattandosi di procedure a carattere riservato a tutela dell’interessato e di eventuali altri soggetti coinvolti”. Impossibile capire anche perché le udienze presiedute da Imperiali siano progressivamente diminuite nel tempo: “Il calendario rientra nelle facoltà di autorganizzazione della Sezione”, sottolinea l’ufficio stampa. Il caso-Imperiali è risultato inutile con la successiva sentenza del giugno 2018 della Corte Costituzionale, redatta dall’attuale ministro della Giustizia Marta Cartabia, allora giudice della Consulta, che ha annullato i verdetti di primo e secondo grado sui due contabili, accogliendo un ricorso della Presidenza della Repubblica per conflitto d’attribuzione tra poteri dello Stato. Sentenza che costituisce “un autorevole ‘precedente’ che certo porrà per lungo tempo tutti i dipendenti della Presidenza della Repubblica al gradito riparo da eventuali giudizi di responsabilità per danno erariale”, prosegue la denuncia presentata in Procura. Un verdetto che Imperiali definisce “incomprensibile”. La Consulta “ha ritenuto – si legge nella denuncia – che la ‘giurisdizione’ sui gravi ammanchi presso la tenuta presidenziale di Castelporziano spettasse al Tribunale Civile anziché alla Corte dei Conti”. Ma le cosiddette “questioni di giurisdizione vanno decise dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione. Non certo dalla Corte Costituzionale”, prosegue l’esposto. “Non lo dico io – precisa Imperiali – ma lo stabiliscono chiaramente l’articolo 362 del codice di procedura civile, il 111 della Costituzione e il 37 della legge del 1953 sulla costituzione e sul funzionamento della Consulta”. L’ufficio stampa del ministero della Giustizia ha dichiarato al Fatto che la sentenza della Consulta del giugno 2018 ha trattato solo una questione di conflitto tra poteri dello Stato.