“Scandalo furbi del Quirinale, così me l’hanno fatta pagare”

Stefano Imperiali, ex giudice della Corte dei Conti, ha presentato alla Procura di Roma una denuncia per una serie di traversie che ha dovuto affrontare dopo aver condannato 4 anni fa due dipendenti della Presidenza della Repubblica per degli ammanchi dalle casse della tenuta presidenziale di Castelporziano – danno erariale di oltre 4,5 milioni di euro – , e sulle pressioni subite prima di emettere la sentenza. In particolare Imperiali fa riferimento a contestazioni e sanzioni da parte dell’amministrazione che, a suo dire, erano delle vere e proprie “persecuzioni”. E che l’hanno persuaso, suo malgrado, a decidere di andare anticipatamente in pensione nel gennaio 2018: a 64 anni appena, quando normalmente la soglia è, al netto di proroghe eventuali, di 70 anni. Nell’esposto Imperiali sottolinea innanzitutto le pressioni subite nei mesi antecedenti l’udienza. “Come scritto nella denuncia – racconta Imperiali – fui avvicinato da un collega che mi chiese di annullare la sentenza di primo grado adducendo una fantomatica ‘ragion di Stato’. Dopo pochi giorni, lo stesso magistrato mi propose anche di rinviare l’udienza di 6/7 mesi, facendomi intendere che nel frattempo sarei potuto andare a svolgere altrove le funzioni di presidente di sezione”.

Il bancomat di Castelporziano

‘Consigli’ che l’ex giudice contabile non ha però preso in considerazione, tanto che la sezione d’appello da lui presieduta, oltre a confermare la giurisdizione della Corte dei Conti già riconosciuta dal giudice di primo grado, ha aggravato in misura rilevante la pena ai due contabili condannandoli al risarcimento del danno erariale accertato: oltre 4 milioni e 600 mila euro. Un importo che, per il periodo 2002-2008, era stato già quantificato dal consulente tecnico nominato dal pm del Tribunale di Roma, durante il processo in sede penale per la medesima vicenda. Uno scandalo che oltre a coinvolgere, circa dieci anni fa, Gianni Gaetano e Paolo Di Pietro – i contabili condannati da Imperiali che utilizzavano la cassaforte della tenuta estiva del capo dello Stato come una specie di bancomat per spese personali – travolse anche Gaetano Gifuni, funzionario di alto rango, segretario generale della Presidenza della Repubblica per Scalfaro e Ciampi, e altri dirigenti del Quirinale. Gli imputati, a vario titolo, furono accusati dai pm romani di abuso d’ufficio, peculato, truffa, falso materiale e falso ideologico. Gifuni (scomparso nel 2018) in primo grado era stato condannato a 1 anno e 5 mesi per peculato e abuso d’ufficio e in appello era stato assolto “perché il fatto non costituisce reato” dal primo capo d’imputazione mentre per l’abuso d’ufficio è intervenuta la prescrizione. “Dopo non molto, iniziarono gravi persecuzioni nei miei confronti. Fui accusato – scrive Imperiali – di aver commesso un ‘falso’, per aver firmato l’ordinanza scritta da un consigliere della mia Sezione senza accorgermi di un suo banale errore materiale; mi furono tolte senza motivazione quasi tutte le udienze che presiedevo; fu chiesto un mio curioso e anomalo ‘trasferimento per incompatibilità ambientale’ per colpa. Peraltro furono violate anche varie disposizioni del Regolamento sulle incompatibilità ambientali dei magistrati contabili”. Infine per Imperiali arriva anche la richiesta di una sanzione disciplinare che lo induce a chiedere di andare anticipatamente in pensione dopo oltre 32 anni di onorata carriera, con qualche ‘problema’ e molte inimicizie solamente negli anni novanta, dopo aver tirato in ballo Craxi e i finanziamenti milionari al cinema degli “amici”. “Subito dopo un interrogatorio-farsa durato 4 ore – prosegue la denuncia – il Procuratore Generale della Corte dei Conti chiese una mia assurda e inusuale sospensione immediata dalle funzioni e dallo stipendio. E non mi fu neanche concesso il termine di 30 giorni, previsto dal Regolamento di disciplina, per difendermi dalle accuse false, generiche e, a volte, anche piuttosto divertenti”. “Guarda caso – precisa l’ex magistrato – chi non mi aveva accusato di niente era stato ritenuto non attendibile”.

Il “niet” della Corte costituzionale

La Corte dei Conti ha spiegato al Fatto Quotidiano di aver già risposto tre anni fa al nostro giornale, che si era in parte già occupato della vicenda, e quindi di “non poter chiarire i motivi dei procedimenti amministrativi a carico di Imperiali trattandosi di procedure a carattere riservato a tutela dell’interessato e di eventuali altri soggetti coinvolti”. Impossibile capire anche perché le udienze presiedute da Imperiali siano progressivamente diminuite nel tempo: “Il calendario rientra nelle facoltà di autorganizzazione della Sezione”, sottolinea l’ufficio stampa. Il caso-Imperiali è risultato inutile con la successiva sentenza del giugno 2018 della Corte Costituzionale, redatta dall’attuale ministro della Giustizia Marta Cartabia, allora giudice della Consulta, che ha annullato i verdetti di primo e secondo grado sui due contabili, accogliendo un ricorso della Presidenza della Repubblica per conflitto d’attribuzione tra poteri dello Stato. Sentenza che costituisce “un autorevole ‘precedente’ che certo porrà per lungo tempo tutti i dipendenti della Presidenza della Repubblica al gradito riparo da eventuali giudizi di responsabilità per danno erariale”, prosegue la denuncia presentata in Procura. Un verdetto che Imperiali definisce “incomprensibile”. La Consulta “ha ritenuto – si legge nella denuncia – che la ‘giurisdizione’ sui gravi ammanchi presso la tenuta presidenziale di Castelporziano spettasse al Tribunale Civile anziché alla Corte dei Conti”. Ma le cosiddette “questioni di giurisdizione vanno decise dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione. Non certo dalla Corte Costituzionale”, prosegue l’esposto. “Non lo dico io – precisa Imperiali – ma lo stabiliscono chiaramente l’articolo 362 del codice di procedura civile, il 111 della Costituzione e il 37 della legge del 1953 sulla costituzione e sul funzionamento della Consulta”. L’ufficio stampa del ministero della Giustizia ha dichiarato al Fatto che la sentenza della Consulta del giugno 2018 ha trattato solo una questione di conflitto tra poteri dello Stato.

Rientra dal Brasile per il pranzo di Pasqua. Arrestato il boss di Cosa Nostra Calvaruso

Da tempo si era stabilito in Brasile, dove gestiva attività finanziarie legate a Cosa Nostra. A tradirlo è stata la voglia di passare le vacanze di Pasqua in Italia. Così i carabinieri del nucleo investigativo di Palermo sono riusciti ad arrestare Giuseppe Calvaruso, boss mafioso ritenuto capo mandamento di Pagliarelli. Attraverso una rete di prestanome gestiva una serie di società che riciclavano i soldi sporchi dei clan in vari settori, soprattutto nella ristorazione e nelle costruzioni. Gestiva affari dal Sudamerica a Singapore. Ma oltre al riciclaggio, la cosca continuava a esercitare un controllo militare sul territorio.

nelle carte dell’inchiesta emerge il caso di un negoziante che, invece di presentarsi alla polizia, si rivolge al clan per identificare gli autori di due rapine. Gli uomini di Calvaruso, come un vero e proprio Stato parallelo, svolgono un’indagine, con tanto di analisi delle telecamere, fino a identificare tre rapinatori, che avevano agito senza il permesso del mandamento. I tre vengono convocati alla presenza del commerciante – titolare di una rivendita di detersivi – e del boss Calvaruso, l’ideatore del colpo viene picchiato a sangue. Una forma di giustizia sommaria con cui la cosca rivendica il dominio assoluto su ciò che succede nella zona. Con Calvaruso sono finiti in carcere Giovanni Caruso, 50 anni, Silvestre Maniscalco, 41 anni, Francesco Paolo Bagnasco, 44 anni, Giovanni Spanò, 59 anni, accusati a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione, lesioni personali, sequestro di persona, intestazione fittizia di beni, tutti reati aggravati dal metodo e dalle modalità mafiose.

nel settore edile l’organizzazione imponeva ai proprietari di case le ditte di ristrutturazione per i lavori. Nella ristorazione Calvaruso era il socio occulto di uno dei più noti ristoranti del centro di Palermo: il Carlo V di piazza Bologni, a pochi passi dalla cattedrale e dal palazzo reale, intestato a due prestanome, i fratelli Giuseppe e Benedetto Amato (entrambi indagati). Proprio qui i carabinieri avevano fotografato nel 2017 il vecchio capomandamento, Settimo Mineo (arrestato nel 2018) a pranzo con la moglie. E nel mirino dei clan c’era un altro locale molto noto di Palermo, il ristorante Azzurra. Nelle attività economiche, secondo gli investigatori, Calvaruso investiva i proventi di droga, racket, scommesse clandestine e videopoker.

Addio a Mundell, premio Nobel per l’Economia

L’ economista canadese Robert Alexander Mundell, premio Nobel per l’Economia, annoverato tra gli ispiratori teorici dell’Unione monetaria europea e uno degli architetti dell’euro, è morto all’età di 88 anni in Italia nella sua villa di Santa Colomba, una frazione del comune di Monteriggioni, in provincia di Siena. Mundell, professore emerito dell’Università di Chicago e della Columbia University di New York, nel 1961 ha dato avvio alla teoria sulle aree valutarie ottimali (Avo), dimostrando come, in presenza di prezzi rigidi, la mobilità del lavoro possa essere considerata un sostituto della flessibilità del tasso di cambio. Per la sua analisi delle politiche monetarie e fiscali viene insignito nel 1999 del Nobel per l’economia. Nel 1970 Mundell è stato consulente del comitato monetario della Commissione Ue monetaria e tra il 1972 e il 1973 ha fatto parte del Gruppo dei Nove per l’Unione economica e monetaria in Europa teorizzando l’idea delle aree monetarie ottimali, ovvero delle aree in cui convergono paesi diversi rinunciando alla loro sovranità monetaria.

Facebook, pubblici i dati di 533 milioni di utenti nel Mondo

I dati rubati ai profili Facebook nel 2019 possono essere ancora usati dagli hacker per compiere furti di identità o frodi varie: a dirlo sono gli esperti, dopo che l’azienda di cyber intelligence Hudson Rock ha svelato come gli utenti i cui account sono stati violati sono almeno oltre mezzo miliardo: 533 milioni in 106 Paesi, di cui 32 milioni negli Usa, 11 milioni nel Regno Unito, 6 milioni in India, più di 20 milioni in Italia. Tra le informazioni di cui i pirati informatici sono venuti in possesso ci sono password, generalità, spostamenti, indirizzi email, relazioni personali e numeri di telefono. Tra i dati personali hackerati ci sarebbero anche quelli del fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg. “Sono dati che possono essere ancora sfruttati dai criminali” ha affermato uno dei responsabili di Hudson Rock, Alon Gal, secondo quanto riporta la Cnn. Facebook ha confermato come si tratta di vecchi dati già riportati nel 2019 e che le vulnerabilità che avevano portato al loro hackeraggio sono state affrontare da tempo, ha affermato il portavoce Andy Stone alla Cnn.

Cinema, Franceschini “abolisce la censura” (che ha colpito un solo film in questo secolo)

Con una solennità che ricorda la “abolizione della povertà” di Luigi Di Maio, ieri il ministro della Cultura Dario Franceschini ha dichiarato la “fine della censura”. Nasce la “Commissione per la classificazione delle opere cinematografiche” al posto delle vecchie commissioni “per la revisione cinematografica”, che esprimevano “parere vincolante sulla concessione dei nulla-osta per la proiezione in pubblico dei film”. D’ora in poi, mai più divieti assoluti o tagli alle pellicole.

Il passaggio è per lo più simbolico. Per motivi politici, religiosi o sessuali, la censura è stato uno straordinario strumento del potere e una minaccia alla libertà espressiva e artistica, ma solo fino al secolo scorso. Come scrive Emiliano Morreale sul sito dei Beni Culturali “Cinecensura”, i numeri nel dopoguerra italiano sono notevoli: “34.433 lungometraggi sottoposti a censura dal ‘44 a oggi, non hanno ottenuto il visto di censura 274 film italiani, 130 americani e 321 provenienti da altri paesi. 10.092, invece, sono stati ammessi dopo modifiche”. Ci sono capolavori e pellicole di pregio storico: Blow-Up di Michelangelo Antonioni (1967), Arancia meccanica di Stanley Kubrick (1971), Ultimo tango a Parigi di Bernardo Bertolucci (1972), Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pier Paolo Pasolini (1975), per citarne alcuni (ma pure titoli assai più leggeri come W la foca di Nando Cicero, 1982).

L’ultimo film censurato in Italia è del 2012: Morituris, un horror del regista Raffaele Picchio ambientato nella Roma del 73 a. C., dove una banda di gladiatori rivoltosi si scatenava in una serie di efferatezze ritenute eccessive persino per la non delicatissima sensibilità del pubblico contemporaneo. La mannaia della Commissione è calata a causa di “perversità e sadismo gratuiti”, la goccia che ha fatto traboccare il vaso sono gli “atti di perversa violenza” nei quali “viene impiegato un topolino come un oggetto sessuale”. Resterà il primo e ultimo film censurato nel terzo millennio (il precedente, Totò che visse due volte, era del 1998). Le vecchie commissioni composte da 10 incaricati – esperti di cinema, psicologi, rappresentanti delle associazioni genitori e persino della protezione animali – saranno sostituite da un’unica maxi-commissione con 49 componenti (scelti più o meno nelle stesse categorie). Non è una gran rivoluzione, ma almeno una promessa: a nessun film sarà più proibito di arrivare in sala.

“La banca versava 800mila euro al Viadana Rugby”

“Circa l’attenzione al territorio mantovano, il Presidente ricorda all’intervenuto On. Giovanni Fava che Banca Monte dei Paschi di Siena sponsorizza il Viadana Rugby con 800.000 euro annui”. Era il 28 agosto del 2008, a Rocca Salimbeni si stava tenendo un’assemblea straordinaria dei soci di Mps e queste parole furono messe a verbale dal presidente della banca, Giuseppe Mussari, condannato in seguito a 7 anni e 6 mesi per aver tentato di coprire con alcune operazioni in derivati le perdite provocate dall’acquisto di Antonveneta (e le cui conseguenze pesano ancora oggi sul bilancio della banca più antica del mondo).

Perché quel giorno Mussari volle ricordare a Giovanni Fava, allora deputato della Lega e in passato dirigente della squadra locale di rugby, che ogni anno la banca versava la bellezza di 800mila euro per sponsorizzare il club di Viadana? In discussione c’era una questione che riguardava da vicino il territorio d’elezione di Fava, la provincia di Mantova. Mps stava infatti chiedendo ai suoi soci di votare a favore della fusione di Banca Agricola Mantovana in Mps. E Fava, allora uomo di spicco del Carroccio (oggi fuori dal Parlamento e in aperto antagonismo con Matteo Salvini), era lì per rappresentare gli interessi del territorio.

“Egregi Signori – esordisce il deputato di Viadana – è doveroso premettere che sto venendo meno ad un principio che ritengo sacrosanto e che riguarda l’assoluta libertà riservata al mondo dell’impresa rispetto al variegato universo della politica. Ma stavolta non posso farne a meno. Le scelte apparentemente solo aziendali di codesto gruppo bancario genereranno inevitabilmente conseguenze sociali ed economiche per il territorio in cui vivo e che mi onoro di rappresentare”. Fatta la premessa, ecco la domanda: “Quale sarà il ruolo di Mantova nella nuova organizzazione?”, chiede a Mussari Fava, presente quel giorno all’assemblea dei soci di Mps su delega di Francesco Giusti, che oltre a essere un piccolo azionista della banca (221 azioni) era al contempo anche segretario della Lega Nord in provincia di Siena. Ed è proprio nella sua risposta che il presidente di Mps ricorda degli 800mila euro dati ogni anno al Viadana Rugby, così come dei finanziamenti all’università di Mantova e di quelli usati per organizzare mostre e manifestazioni culturali. E promette ulteriore impegno per la zona da cui proviene il deputato del Carroccio: “C’è la ferma intenzione di Banca Monte dei Paschi di Siena – sono le parole di Mussari – di servire quel territorio come e meglio di prima”.

Mantova, peraltro, era una città frequentata spesso anche da David Rossi, che qui aveva l’incarico di vicepresidente della Fondazione Palazzo Te.

Per Maurizio Montigiani, dipendente di Mps e per oltre 20 anni membro del direttivo della Lega Nord in Toscana, il verbale di quell’assemblea “è l’indizio del fatto che anche a Mantova la banca da tempo elargiva prebende alla politica locale attraverso le sponsorizzazioni, in particolare quelle sportive al Viadana Rugby, e che oltre a quelle dichiarate ufficialmente ne potrebbero essere state date in eccedenza attraverso i titoli al portatore Ge Capital Interbanca”.

Mussari, contattato attraverso il suo legale, ha preferito non rilasciare dichiarazioni sull’argomento. Chi invece ha risposto alle nostre domande è Fava: “La ricostruzione di Montigiani è assolutamente inverosimile. Di questi titoli io non potevo sapere nulla, dato che non facevo il tesoriere né ero parte del Consiglio federale. Di certo posso dire che io in quegli anni non facevo nemmeno parte del Viadana Rugby. Inoltre, lo sanno tutti, io non ho mai avuto atteggiamenti compiacenti verso Mps, anzi, proprio al termine di quell’assemblea votai contro la fusione voluta da Mussari”.

David Rossi e quei titoli misteriosi della Lega

Non è finito il giallo di David Rossi, nemmeno dopo tre inchieste: le prime due sulla morte, archiviata come suicidio nonostante molte stranezze, la terza per presunti depistaggi, legati all’ipotesi di ricatti a sfondo sessuale a magistrati senesi.

Ex responsabile della comunicazione del Monte dei Paschi, Rossi precipita dal secondo piano del suo ufficio il 6 marzo 2013, nel pieno dello scandalo giudiziario che sta travolgendo la banca. Adesso, a otto anni dal mistero irrisolto della morte del manager, tutto sembra ricominciare dall’inizio. Da uno dei misteri più inquietanti e irrisolti. Un numero – 4099009 – che qualcuno digitò sul telefono della vittima, dopo che Rossi era già volato dalla finestra.

L’ipotesi investigativa

Sul caso ha ricominciato a indagare in gran segreto la Procura di Siena. Una nuova inchiesta, rimasta finora inedita, aperta nel 2019, in cui affiorano sostanzialmente due ipotesi: quel numero non si riferisce a un telefono, ma a dei titoli finanziari; questa pista potrebbe rivelare il movente della morte di Rossi.

Il fascicolo è stato affidato dal procuratore Salvatore Vitello a due pm giunti a Siena in anni successivi alle prime indagini, Siro de Flammineis e Nicolò Ludovici, e al nucleo di polizia valutaria della Guardia di finanza di Roma.

Secondo uno dei testimoni sentiti dai magistrati, quel numero, il 4099009, potrebbe corrispondere a un certificato al portatore che collegherebbe il sistema delle sponsorizzazioni sportive, gestito da David Rossi, alla Lega. Un’ipotesi ancora tutta da verificare.

Un passo indietro. L’inchiesta è stata aperta nel 2019 sulla base di un esposto di Massimo De Luca, rinomato per la sua attività di spacciatore di cocaina nella “Siena bene” (è tornato in carcere recentemente per scontare una vecchia condanna). De Luca è stato chiamato come testimone dai magistrati di Genova nel filone sui presunti festini, e ha detto di essersi sentito “un intoccabile finché non è caduto il sistema Mps”.

Dopo aver ascoltato vari testimoni per cercare riscontri sull’esposto di De Luca, nell’ottobre scorso, gli investigatori convocano come persona informata sui fatti Maurizio Montigiani. Dipendente di Mps e per oltre 20 anni membro del direttivo della Lega Nord in Toscana, che a Siena lo aveva candidato a sindaco, nel 2017 Montigiani viene espulso dal partito in polemica con Matteo Salvini e i suoi collaboratori più stretti, dopo alcune esternazioni che riguardano proprio la banca e il Carroccio: “Su Mps è calato un silenzio preoccupante”, aveva detto.

Il collegamento

Secondo Montigiani “quel numero trovato sul cellulare di Rossi, il 4099009, potrebbe essere collegato al Carroccio e al sistema di sponsorizzazioni in eccedenza che Rossi gestiva per conto di Mps con l’obiettivo di foraggiare il cosiddetto mondo grigio, cioè quello di certa politica”. “La mia ipotesi, che ho cercato di spiegare agli investigatori – racconta al Fatto Montigiani – è che quello di David potrebbe essere stato un omicidio nato dal fatto che l’allora amministratore delegato di Mps, Fabrizio Viola, a quel tempo avesse chiuso il rubinetto delle sponsorizzazioni”.

Su questo collegamento, fra la sequenza di cifre e la Lega, gli accertamenti stanno continuando. Di certo, nella ricostruzione che Montigiani ha proposto ai pm, le coincidenze non mancano.

Strane coincidenze

Il numero 4099009, digitato sul cellulare di Rossi, corrisponde in effetti al numero di un certificato di deposito: un titolo al portatore (ovvero chi ce l’ha in mano ne è proprietario), emesso per procura dalla Ge Capital Interbanca. Lo dice un comunicato della stessa banca datato 10 ottobre 2012. Interbanca era una controllata di Antonveneta, l’istituto che Mps comprò nel 2007 dal Santander per 9 miliardi di euro. L’accordo prevedeva che Interbanca rimanesse al Santander, cosa che effettivamente avvenne. Un anno più tardi, nel 2008, Interbanca fu venduta dal Santander a Ge Capital, gruppo General Electric, e valutata 1 miliardo di euro. Oggi si chiama per questo Ge Capital Interbanca.

I titoli al portatore Ge Capital Interbanca catalogati con il numero 4099009 sono stati emessi dalla filiale di Viadana, una cittadina in provincia di Mantova dove ha sede il Viadana Rugby. La squadra è stata sponsorizzata da Mps tra il 2007 e il 2010. L’ipotesi di Montigiani è che “quei titoli al portatore emessi per procura da Ge Capital Interbanca facessero parte del sistema di sponsorizzazioni in eccedenza con cui Mps finanziava il cosiddetto mondo grigio, in quel caso la Lega”.

L’indizio che collegherebbe quei titoli al Carroccio è riportato in un estratto conto della Lega Nord, datato 2 dicembre 2013, e pubblicato ne Il Libro Nero della Lega. Il documento mostra in effetti che tra i vari investimenti finanziari del partito attivi in quel momento c’erano proprio quel genere di titoli. Certificati di deposito di Ge Capital Interbanca. Valore nominale: 200mila euro. L’estratto conto non riporta però il numero d’identificazione dei certificati: impossibile stabilire quindi se i titoli nella disponibilità del partito fossero proprio quelli emessi dalla filiale di Viadana. Di certo, è strano che la Lega avesse in pancia obbligazioni al portatore, una forma d’investimento che le stesse norme antiriciclaggio italiane paragonano al contante, limitandone per questo l’uso.

L’indizio: l’estratto conto

“Perché il partito aveva in portafoglio certificati di Ge Capital Interbanca? Quando sono entrati nelle casse della Lega?”, si chiede Montigiani. Francesco Belsito, tesoriere del Carroccio da febbraio 2010 ad aprile 2012, contattato dal Fatto dice di non ricordare nulla di quegli investimenti. Il 2 dicembre del 2013, giorno in cui quei titoli erano certamente nelle disponibilità del Carroccio, il responsabile amministrativo era Stefano Stefani, ma anche lui dice di non sapere nulla di quei particolari certificati. Ma la soluzione del mistero finanziario leghista potrebbe aiutare a risolvere il giallo della morte di David Rossi.

Genova aperta un’inchiesta su 32enne morta dopo AstraZeneca

La Procura di Genova ha aperto un fascicolo sulla morte di Francesca Tuscano, l’insegnante di 32 anni morta domenica a seguito di un episodio di trombosi cerebrale, dopo che si era sottoposta al vaccino AstraZeneca dieci giorni prima, il 22 marzo. I magistrati, che per ora hanno aperto un fascicolo ad atti relativi, senza cioè ipotesi di reato, hanno disposto un’autopsia. Il caso sarà discusso oggi nel corso di un vertice tra i pubblici ministeri che si occupano di reati legati alla salute. L’esame del medico legale potrebbe essere determinante per capire che esito avranno gli accertamenti. Per il momento sono due le ipotesi a cui stanno pensando gli inquirenti: un approfondimento che si limiti ad appurare le cause della morte della giovane; oppure una ricognizione più ampia, che potrebbe prendere in considerazione l’esistenza di un legame di causa-effetto tra vaccino e casi di trombosi cerebrali. “Su AstraZeneca – ha commentato ieri il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti – è in corso una discussione. Sono stati vaccinati decine di milioni di europei con quel vaccino, i casi di eventi nocivi sono molto limitati e non sappiamo se sono correlati all’uso di quel vaccino. Si sono espresse le agenzie del farmaco e dobbiamo avere fiducia nella scienza”.

Lombardia: 60 mila over 80 destinati a rimanere fantasmi

Milano

Era la sera del 2 aprile, quando l’assessore Letizia Moratti, investita dallo tsunami di critiche social di Chiara Ferragni, con un tweet annunciava: “Dal 7 all’11 aprile gli over 80 che non hanno aderito alla Campagna vaccini anti-Covid e coloro che ancora non sono stati chiamati potranno vaccinarsi recandosi semplicemente presso il centro vaccinale più vicino”. E aggiungeva: “Nel caso avessero difficoltà a camminare potranno rivolgersi al proprio medico di famiglia”. Un’informazione, che 48 ore dopo, si è rivelata errata. Si tratta dell’ennesima beffa di Regione Lombardia ai danni dei propri ultraottantenni.

A smontare il sogno di migliaia di anziani in attesa del mitico sms era stato il commissario Guido Bertolaso, che il 3 aprile confermava la decisione di Moratti (“Saranno solo qualche centinaia”, diceva riferendosi agli anziani mancanti), salvo poi rettificare dopo una manciata di ore. Solo gli over che si erano prenotati sul fallimentare portale di Aria – e non hanno mai ricevuto un appuntamento, nonostante gli annunci di Regione Lombardia – potranno recarsi direttamente all’hub tra il 7 e l’11 aprile (dal 12 aprile dovrebbe partire la vaccinazione di massa dei 79/75enni). Gli altri, quelli che non si erano iscritti, dovranno farlo attraverso il portale di Poste (a partire dal 7 aprile) e riceveranno una dose dopo l’11.

Una giravolta che lascia enormi interrogativi: basta tradurre in numeri le parole del consulente: gli over 80 che si erano prenotati con Aria sono 615.773, di questi ne sono stati vaccinati 413.373, quindi ne mancano ancora 202.373. Secondo i piani dovrebbero essere vaccinati tutti in 5 giorni. Cioè 40.474 al giorno. Ma la media di vaccini/giorno totale della regione è di poco superiore alle 30.000 dosi (33.085 il dato del 3 aprile). Pur ammettendo che si presentino tutti i 40.474 pazienti quotidiani, significherebbe che ogni hub dovrebbe avere scorte di vaccino infinite. Nonché personale pronto a vaccinare per più delle 10 ore quotidiane previste fino a oggi (le dosi 24 ore su 24, 7 giorni su 7, sono rimaste un annuncio di Bertolaso, così come la fine della campagna a giugno).

Poi ci sono i 61.233 over 80 che non si erano iscritti che, dicevamo, dovranno prenotare con Poste. Ma, se non si erano prenotati prima, perché dovrebbero farlo ora? È ipotizzabile che si tratti di anziani soli, non tecnologici, che devono essere contattati uno a uno da Ats. Cosa che non sta accadendo. Inoltre, ancora oggi, il numero verde non permette la prenotazione via telefono. Per tutti valgono le parole di ieri dell’ex assessore di Pisapia, Franco D’Alfonso, alle prese col numero verde per la suocera 95enne allettata, in attesa di un vaccino domiciliare: “La gentile operatrice ci ha candidamente confermato di non sapere nulla, di essere priva di qualsiasi elenco, di non poter controllare se la prenotazione è nel sistema, di non sapere se e quando arriverà un mitico sms avvertendoci dell’arrivo di qualcuno per l’iniezione, di non sapere chi possa dare questa informazione”.

Tutte sfaccettature di una campagna vaccinale concepita male e che ancora non funziona, dove le categorie più a rischio sono state lasciate da parte: su 1.759.145 lombardi vaccinati, infatti, solo 413.400 sono over 80. Le altre 1.031.390 dosi sono andate a sanitari (521.552), non sanitari (169.508), forze armate (32.478), personale scolastico (176.126) e soprattutto “altro” (131.726), categoria omnicomprensiva.

E anche per quanto riguarda l’utilizzo delle dosi ricevute, la Lombardia vegeta nella zona più bassa della classifica, con un utilizzo del 77,3%, a fronte del 78,9% a livello nazionale. Peggio di lei fanno solo altre 4 regioni: Calabria (71,5%), Sardegna (74,2%), Puglia (73,5%) e Liguria (74,2%).

Salvini deve darsi un senso. Chiederà ancora di aprire

Matteo Salvini non ha alcuna intenzione di fare un passo indietro sulle riaperture. Vuole insistere e sfruttare quel codicillo inserito nell’ultimo decreto Aprile – la possibilità di modificare le misure con una semplice delibera del Consiglio dei ministri – per chiedere al governo di riaprire bar, ristoranti (almeno a pranzo), palestre, cinema e teatri dove i contagi sono da zona gialla. Il leader della Lega lo ha ripetuto ai suoi fedelissimi nel weekend di Pasqua: “Ora dobbiamo incidere – ripete – il governo non può più essere in mano a Speranza, Franceschini e Patuanelli che vogliono solo chiudere: altrimenti che differenza c’è con il Conte-2?”. Così, passata la Pasqua, il segretario del Carroccio è stato l’unico leader a far ripartire le polemiche interrotte dalle feste: “Riaprire attività e tornare alla vita fin da aprile, ovunque i dati medici lo permettano, è obiettivo della Lega e speranza di milioni di italiani – ha detto ieri Salvini – Ascoltiamo la scienza, non l’ideologia che vede solo rosso”.

Mercoledì, o al più tardi giovedì, dopo la visita lampo di Mario Draghi in Libia che si concluderà questa mattina, Salvini sarà ricevuto a Palazzo Chigi dal premier: in quell’occasione il segretario della Lega chiederà un cambio di approccio già a partire dalla prossima cabina di regia e che il Consiglio dei ministri torni a riunirsi per prevedere delle riaperture dal 20 aprile. Il leader della Lega è spalleggiato da diversi presidenti di Regione, soprattutto del Nord, che chiedono di allentare le restrizioni: il governatore della Lombardia Attilio Fontana ha già cerchiato in rosso la data del 12 aprile per passare a zona arancione, l’umbra Donatella Tesei parla di “dati da zona gialla” chiedendo di riaprire le scuole, il ligure Giovanni Toti preme per allentare le restrizioni, mentre il presidente della Basilicata Vito Bardi spiega che le Regioni puntano a riaprire le “attività commerciali” oggi chiuse “perché oltre alla pandemia c’è anche una dura crisi economica”. La richiesta arriverà già giovedì, quando Draghi, insieme al ministro dell’Economia Daniele Franco e alla ministra per gli Affari Regionali Mariastella Gelmini, incontrerà i rappresentanti delle Regioni, dei Comuni e delle Province per discutere dei fondi del Recovery Plan (che va consegnato a Bruxelles entro fine mese): in quell’occasione i governatori chiederanno la possibilità di riaprire già dal 20 aprile e lì si capiranno le intenzioni dell’esecutivo. Ma in serata fonti di Chigi gelano Salvini rispetto ad alcune indiscrezioni sulla convocazione della cabina di regia già la prossima settimana: “Ogni valutazione sarà fatta in base ai dati”. In quel contesto comunque sarà fatto un “tagliando” dei dati in base ai contagi, alla tenuta degli ospedali e allo stato del piano vaccinale. L’ultimo parametro è stato inserito nel decreto Aprile e rimane molto vago perché non è stato stabilito entro quale soglia di vaccinati in una determinata zona saranno consentite le riaperture. In tal caso, poi, basterà una nuova delibera del Cdm per una deroga al decreto e prevedere zone gialle dal 20 del mese: questo potrebbe portare a riapertura di bar e ristoranti a pranzo, ma anche di cinema e teatri in base ai protocolli del Ministero della Cultura previsti per il 27 di marzo.

Intanto l’andamento del contagio non migliora nemmeno a Pasqua. Ieri sono stati registrati 10.680 contagi rispetto ai 18.025 del giorno prima ma con quasi 150 mila tamponi in meno: l’indice del contagio quindi è salito dal 7,1 al 10,3%. Salgono anche i ricoveri in terapia intensiva (+34), mentre scendono i morti passando da 326 a 296. Nel ponte di Pasqua, secondo i dati del ministero dell’Interno, sono state controllate 106mila tra persone e attività per un totale di 2.405 sanzioni, con 26 denunce, tra feste casalinghe e pranzi affollati. Su oltre 10 mila verifiche negli esercizi commerciali, i titolari sanzionati sono stati 83.