I fritti pasquali, la fine di Cristo e l’“Ultima cena” di Leonardo da Vinci

E per la serie “Chiudi gli occhi e apri la bocca”, eccovi i migliori programmi tv della settimana:

Netflix, streaming: Star Trek, fantascienza. Nuovi problemi a bordo dell’Enterprise quando il parrucchino del comandante Kirk prende a moltiplicarsi senza controllo.

Rai Premium, 21.20: Leonardo, miniserie. Gli sceneggiatori, evidentemente ubriachi di Vov, si sono inventati un bel po’ di balle: Leonardo non fu arrestato e incarcerato per omicidio, non aveva una modella di nome Caterina da Cremona, e sua madre non lo portò da una maga ritenendolo maledetto. In questa puntata, Leonardo riceve l’incarico di affrescare il refettorio di una chiesa di Milano con l’Ultima Cena, che dipinge usando il Ducotone.

Rai 1, 10.15: La Santa Messa, fiction. Uno spettacolare e cupo ritratto del principe delle tenebre, che riesce a far finire in croce il Figlio di Dio. Per Gesù sarà l’ultima stagione?

Cielo, 21.15: Habitacion en Roma, film. La russa Natasha e la spagnola Alba s’incontrano per la prima volta a Roma. Dopo essere rimaste a lungo a parlare, le due si rendono conto che tra loro è nato qualcosa: la scabbia. Molto divertente la scena in cui scendono le scalinate di piazza di Spagna in preda a un intenso prurito allergico.

Rai Premium, 21.20. Rex 3, fiction. Un medico in pensione, presidente di un importante golf club, viene ucciso davanti alla buca numero 6. Lorenzo scopre che in molti avevano un motivo per ucciderlo: la figlia, il suo vice, l’amministratore del circolo, e la buca numero 6.

Rai 3, 13.15: Passato e presente, documentario. Nel 1773, Papa Clemente XIV soppresse la Compagnia di Gesù: morì l’anno dopo, e la strana decomposizione del cadavere, che si gonfiò rapidamente in modo abnorme, mentre la pelle assumeva una colorazione incongrua, fece pensare a un assassinio. È a causa di quel precedente infausto che i Papi ricambiano volentieri l’affetto dei gesuiti, o vengono eletti direttamente dalle loro fila? O questi pensieri sono solo il frutto della malizia diabolica? Paolo Mieli ne parla con Agostino Borromeo.

Rete 4, 21.25: Fuori dal coro, attualità con Mario Giordano. Un programma che non viene definito mediocre perché sarebbe fargli un complimento.

Rete 4, 15.55: Intrigo internazionale, thriller. Un classico di Hitchcock che resta memorabile per un blooper esilarante: nella scena dello sparo al ristorante, che evidentemente Hitchcock girò più volte, un bambino dietro Eve Marie Saint si tappa le orecchie prima che lei spari a Cary Grant (shorturl.at/jIKM7).

Rai 3, 11.00: Elisir, medicina. Oggi, nello spazio dedicato alla nutrizione, si parla di fritture. Ricetta di oggi: placenta alla milanese, un piatto evergreen che piace sempre a tutti, dai bambini agli adulti. C’è chi la preferisce sottile e croccante, o chi la ama alta, col feto e leggermente rosata all’interno. Il segreto è tutto nella doppia panatura: grazie a una cottura in abbondante burro chiarificato, la panatura diventerà croccante e resterà ben adesa alla carne, senza staccarsi in cottura. Un secondo piatto facile da preparare, insomma, e perfetto per il menu di Pasqua, specie se accompagnato da gustose patate ratte, di forma allungata, il cui sapore è simile a quello della castagna, e che possono essere mangiate con tutta la buccia, molto sottile e delicata. Purtroppo, col lockdown, il desco famigliare non potrà essere affollato come un tempo. Ah, che nostalgia, i cenoni di Pasqua di una volta, con gli anziani che facevano a gara a chi aveva più acciacchi! “Io ho avuto un infarto”. “Solo uno? Io ne ho avuti tre”. “Io sono morto!”.

 

Mail box

 

 

 

Fontana è indagato: per questo non si dimette

Ma come mai Fontana, con un’indagine aperta nei suoi confronti per autoriciclaggio e falsa dichiarazione, non si dimette dal suo incarico? La Lega ha raccolto voti al grido di “Roma ladrona”, e ora? In un momento storico delicato come questo, un passo indietro avrebbe assunto un significato incisivo e dignitoso.

Benedetto Minuto

 

 

Caro Benedetto, Fontana non si dimette proprio perché è indagato: certe medaglie, nella Lega del “modello Lombardia”, fanno punteggio nel curriculum.

M. Trav.

 

Diritto di replica

Caro Direttore, ti confesso che questa mattina ho fatto un balzo sulla sedia quando ho visto che ero segnalata come una che si prende lo stipendio a sbafo. Sul tema sono molto sensibile e perciò, nonostante la mia naturale ritrosia, ti chiedo almeno di farmi dire a cosa sto lavorando dopo aver lasciato nel maggio scorso il Tg3 in crescita di ascolti e spero anche nella qualità. La mia direzione supporta il vertice aziendale nella definizione dell’indirizzo strategico dell’offerta informativa e nel coordinamento dei piani editoriali. Il ruolo è svolto in costante contatto con i direttori anche coordinando gli eventi più importanti, dalle elezioni americane, alla preparazione di Expo di Dubai o del Pre-summit dell’Onu sull’emergenza alimentare che vede la Rai nel ruolo di Media Partner. La mia direzione ha poi il compito di razionalizzare le missioni congiunte tra più testate giornalistiche e le missioni coperte dalle sedi di Corrispondenza. Razionalizzazione che abbiamo effettuato, per esempio, per il viaggio del Papa in Iraq, le prossime Olimpiadi, la presenza a Sanremo… Nell’ultimo incontro con i direttori ci siamo occupati anche di rispetto della par condicio e del pluralismo informativo, all’incontro ne seguiranno altri nella convinzione che si tratta di uno dei punti centrali per la credibilità del servizio pubblico. Stiamo coordinando inoltre e d’intesa con la Commissione pari opportunità della Rai, un progetto per l’eguaglianza di genere nei programmi e nei Tg, su questa linea è in cantiere invece un progetto che punta al pubblico più giovane valorizzandone linguaggi e proposte. Abbiamo poi completato il progetto del nuovo portale dell’informazione Rai. Abbiamo coordinato tutto il lavoro condividendolo con le varie strutture dell’azienda e consegnandolo all’amministratore delegato che insieme al direttore di Rai News dovrà dare l’ultimo via libera. Uno sforzo enorme per un portale che dovrà essere plurale e che valorizzi tutta l’informazione della Rai. Ne approfitto per ringraziare anche pubblicamente tutti, dagli ingegneri, agli sviluppatori, a tutte le direzioni che hanno dato il loro prezioso contributo. Al progetto è associata anche la collaborazione alla piattaforma digitale europea a cui lavorano un buon numero di servizi pubblici europei e che ci vede quotidianamente impegnati con altre direzioni Rai nella definizione di tutti gli aspetti per un go live agli inizi di luglio. Ci sono poi altri compiti più quotidiani ma non voglio annoiare te e i tuoi lettori. Ti ringrazio.

Giuseppina Paterniti

 

 

Prendo atto delle sue precisazioni e la ringrazio. Nell’articolo non si voleva mettere in dubbio alcuno la sua professionalità, da lei più volte dimostrata. Mi auguro altresì di vedere presto online il nuovo portale d’informazione Rai atteso da tempo.

Gian. Ros.

 

Ho letto il pezzo di Salvatore Cannavò pubblicato ieri dal titolo “Nel Recovery le armi tinte di ‘verde’”. Reputo necessario fare alcune precisazioni, anche per spiegare ai tanti lettori del Fatto l’impegno del MoVimento 5 Stelle. Non si tratta di “greenwashing” ma di investire ogni settore della società e dello Stato nella transizione ecologica. Difesa non è solo sinonimo di armi. Parliamo di infrastrutture – centinaia di caserme, poligoni, basi, servitù militari – che consumano energia e acqua. Sono decine di migliaia di uomini e di donne, migliaia di mezzi che bruciano energia e producono CO2 e altri inquinanti. In queste settimane ci stiamo battendo per inserire nel Pnrr, ad esempio, il progetto delle caserme verdi col quale puntiamo a risparmiare e ottimizzare le risorse energetiche, ridurre la produzione di CO2 e il consumo di acqua, immergere ogni luogo dentro un paesaggio in cui il verde non solo sia presente ma assolutamente centrale. Il grande tema della difesa del mare, ad esempio, può vedere protagonista la Marina Militare e la Guardia Costiera nella lotta a chi lo usa come una discarica. Difendere la biodiversità marina o la capacità che il mare ha di processare più del 30% dall’anidride carbonica prodotta dall’uomo è orientare il nostro Paese verso avventure militariste? No. Crediamo, al contrario, che l’uso dei satelliti e la capacità di monitorare i territori debba essere messo a servizio delle nostre comunità. Ecco: per questo, e null’altro, il M5S si sta battendo in Parlamento. Il Recovery è occasione storica per cambiare le cose: non coglierla sarebbe un errore.

Giovanni Luca Aresta capogruppo del M5S in commissione Difesa

 

Grazie della precisazione. Forse, in questo grande impegno, una maggiore attenzione a non finanziare il complesso militare ci starebbe bene. Confidiamo.

SC

Insegnanti “La troppa burocrazia intralcia le nostre vaccinazioni”

 

 

Cari colleghi, vi racconto il paradosso dei vaccini per i docenti a Roma. Da novembre, oltre al giornalismo, ho iniziato a insegnare in un liceo romano. Per vaccinarmi, ho dovuto spostare temporaneamente il medico di base nella Capitale, ma, nel passaggio da una Regione all’altra, la mia esenzione in quanto soggetto allergico si è persa. Sul sito “Salute Lazio” ho fissato l’appuntamento per la prima dose: il 22 marzo presso la Nuvola all’Eur. Qualche giorno prima, però, ho avuto una grave crisi allergica e i miei medici di riferimento mi hanno consigliato di modificare la sede, chiedendo di vaccinarmi in una struttura ospedaliera. Lì è iniziato il calvario: sul sito l’unica operazione possibile era quella di disdire e l’unico numero disponibile per parlare con un operatore è stato indisponibile per giorni. “A causa dell’elevato numero di chiamate, la preghiamo di riprovare più tardi” era il leitmotiv delle mie giornate, con il consueto “tu tu” finale. Non ho gettato la spugna: ho chiamato il numero verde dell’emergenza Covid Lazio, l’Asl di riferimento, il centro vaccinale, il mio nuovo medico di base. La risposta però è sempre stata la stessa: “Non è di nostra competenza”. Ho chiesto di fornirmi un indirizzo email, ma nessuno lo aveva. Ho compilato la casella dei messaggi sul sito dell’Urp. Nessuna risposta. Nel frattempo ho avuto un lutto in famiglia. Sono tornata in Puglia per la sepoltura. Anche durante il viaggio ho continuato a telefonare: l’urgenza non era più solo quella di spostare la sede ma anche la data. Finalmente il 16 marzo mi ha risposto un operatore: “Non si preoccupi, verrà contattata e potrà riferire tutto”. Ho atteso, ma non mi ha chiamata nessuno. Il 19 alle 7.30 del mattino ho chiamato ancora una volta: “Mi spiace – mi ha risposto un’operatrice – una circolare interna ci impedisce di modificare le prenotazione dei docenti. La sua prima dose è confermata per il 22”. Sono rimasta incastrata nelle maglie di una burocrazia ottusa: o la disdetta entro le 72 ore o la multa per non essermi presentata. Chiaramente ho disdetto. Ma non mi sono arresa: con i documenti allegati, ho inviato un’email certificata di reclamo, con richiesta di riprogrammazione del vaccino, all’Urp, alla segreteria del presidente della Regione Lazio, Zingaretti, dell’assessore alla sanità D’Amato, ai dirigenti del Miur e all’Asl. Non mi ha mai risposto nessuno… Non vengano a raccontarci dei tanti che si sono tirati indietro. Io sono stata costretta a disdire per l’inefficienza del sistema. Come me, chissà quanti altri! Il punto ora è: non sono una docente da vaccinare per la Puglia, ma non rientro più nemmeno tra quelli del Lazio. Ho la residenza da una parte e il domicilio e il medico dall’altra. Non mi resta che attendere il turno dei 34enni o – chi lo sa – dei giornalisti. In classe, comunque, dovrò tornare.

Maria Cristina Fraddosio

Rransizione ecologica: diteci le 5 “w”

Il “Conte Verde” è il titolo (del Fatto) indubbiamente suggestivo, così come suscita interesse apprendere che l’ex premier intende guidare un M5S che accanto a legalità e giustizia sociale persegua l’ambientalismo nel nome della famosa “transizione ecologica”. Con un problema però. Infatti, mentre, per esempio, con il Reddito di cittadinanza e con la legge Spazzacorrotti i 5Stelle di governo hanno saputo dare sostanza alle proposte dei 5Stelle di lotta, quando l’accento cade sulla transizione ecologica tutto si fa quanto mai incerto e nebuloso. Vale la pena ricordare che su queste due parole (così indissolubili da correre il rischio di essere deprivate di significato) Beppe Grillo e Mario Draghi hanno stretto il patto senza il quale, probabilmente, il governo di quasi unità nazionale non avrebbe visto la luce. Con il fondato sospetto che il nuovo ministero della TE non sia altro che il vecchio ministero dell’Ambiente, con un altro nome. Quanto al ministro, Roberto Cingolani, sembra non porsi limiti nell’immaginare l’Italia come “Paese leader della transizione, un Paese più sicuro con una burocrazia più snella, in salute e prospero”. E dove, magari, sarà tre volte Natale. Nel febbraio scorso, Beppe Grillo espresse la volontà di trasformare i pentastellati sullo stile dei Verdi tedeschi: un movimento in forte e rapida crescita elettorale e candidato a prendere il posto della cancelliera Merkel. Per tutta risposta, Alessandra Geese, europarlamentare dei Grunen, e la deputata Rossella Muroni spiegarono con una certa supponenza all’Elevato che quella dei Verdi tedeschi è una cultura politica “completa” che “tiene insieme diritti umani e rispetto della natura, nuova industria e sviluppo dell’agricoltura biologica”. Come dire: caro Grillo e cari grillini, non è roba per voi. Insomma, caro Conte, un po’ progetto visionario e abbastanza supercazzola la TE va riempita al più presto di contenuti precisi per evitare di impiccarsi alle formule in un momento decisivo per i 5Stelle. Un metodo per spiegare la TE potrebbe essere quello di affidarsi alla nota regola delle 5 W. What: che cosa significa. Who: chi dovrebbe attuarla. Where: dove. When: quando. Why: perché. Tanto per cominciare.

Stallo Copasir: non si riunisce per fare luce sulla spia russa

Lo stallo sulla presidenza del Copasir impedisce anche di far luce sull’arresto del capitano di fregata della Marina Militare, Walter Biot: secondo la Procura di Roma era una spia che vendeva informazioni classificate alla Russia. Ma il Copasir, il comitato parlamentare che si occupa di controllare l’operato dei Servizi segreti, non può riunirsi per una guerra tutta politica: dal 2019 il presidente è il leghista Raffaele Volpi, ma secondo la legge quel ruolo spetterebbe all’opposizione, cioè a Fratelli d’Italia, dopo la formazione del governo Draghi. Eppure l’avvicendamento tra Volpi e Adolfo Urso (FdI) non c’è ancora stato perché Matteo Salvini non ha intenzione di cedere la poltrona alla sua rivale Giorgia Meloni e anche per l’indecisione dei presidenti delle Camere, Roberto Fico e Maria Elisabetta Casellati, che non hanno ancora risposto a Volpi che a fine febbraio aveva mandato loro una lettera per capire cosa fare. Casellati sarebbe favorevole a dare la presidenza a FdI mentre Fico concorda col parere della Lega e di giuristi che si rifanno al precedente del 2011, governo Monti, quando l’allora presidente del Copasir, Massimo D’Alema, rimase al suo posto nonostante spettasse all’unica forza di opposizione, cioè la Lega.

Ma né Fico né Casellati hanno l’interesse a scontentare le forze politiche di maggioranza. Quindi, l’impasse può essere sbloccata solo sul piano politico, anche perché lo scontro nel centrodestra è molto forte: Salvini dice che “non si occupa di poltrone” mentre Meloni ribatte che non si parla di poltrone “ma di regole”. Nella maggioranza si spiega questo ritardo anche con l’imbarazzo della Lega di fare luce sui rapporti con la Russia. La decisione è slittata a dopo Pasqua, ma nel frattempo il Copasir dovrebbe riunirsi per audire Mario Draghi e i ministri Luigi Di Maio e Lorenzo Guerini che non potranno farlo. Draghi così andrà a riferire in Parlamento, ma in un contesto molto diverso: senza domande specifiche e senza la possibilità di rivelare informazioni riservate. Nel frattempo, però, vista l’emergenza, il Copasir chiederà la produzione di atti per fare luce sulla spy story russa: presto arriverà una relazione ufficiale dell’Aisi o dell’Autorità delegata presieduta da Franco Gabrielli.

B. e Salvini, parte l’assalto all’abuso d’ufficio

A scorrere la lista di chi, dentro la Lega o Forza Italia, ha passato dei guai per l’abuso d’ufficio si capisce perché il destino del suddetto reato sia un tema particolarmente sentito dal centrodestra. Non sono pochi infatti i nomi illustri finiti indagati per una firma di troppo o per una nomina sospetta, sorte che negli anni ha accomunato anche i due leader Matteo Salvini e Silvio Berlusconi. Con loro, sindaci, presidenti di Regioni, ministri: tutti alle prese con quell’abuso d’ufficio “reato fantasma che blocca l’Italia” (il copyright è di Matteo, ma immaginiamo che Silvio potrebbe sottoscrivere).

 

 

I leader Matteo e silvio: voli, migranti e annozero

Partiamo da loro, dunque. Un anno e mezzo fa Salvini ha saputo di essere indagato per abuso d’ufficio in relazione a 35 voli di Stato che, secondo la Procura di Roma, meritavano un approfondimento da parte del Tribunale dei ministri. Il caso riguarda infatti alcuni viaggi compiuti dal leader della Lega durante il suo periodo al Viminale: un’inchiesta di Repubblica svelò come a ridosso di certi impegni istituzionali – ovvero quelli che giustificavano il trasferimento col volo di Stato – Salvini avesse approfittato per svolgere attività di partito negli stessi luoghi. Contattato dal Fatto, lo staff del segretario del Carroccio conferma di non aver più ricevuto aggiornamenti sull’indagine. Peraltro, lo stesso Salvini è anche a processo a Palermo per omissione d’atti d’ufficio, oltre che per sequestro di persona: dovrà convincere il giudice che il mancato sbarco della nave Open Arms, deciso quando era ministro, non ha infranto la legge.

Quanto a Berlusconi, l’abuso di ufficio è solo una delle tante tappe di una pittoresca carriera giudiziaria. Silvio finì indagato nel 2011, quando la magistratura scoprì che l’allora presidente del Consiglio si lamentava della trasmissione Annozero di Michele Santoro parlando al telefono con l’allora dg Rai, Mauro Masi, e con il commissario Agcom, Giancarlo Innocenzi. I pm prima ipotizzarono che quelle telefonate potessero essere valutate come pressioni indebite per far chiudere il programma, ma poi chiesero l’archiviazione riconducendo le conversazioni intercettate a semplici sfoghi di un privato cittadino deluso dal palinsesto.

 

 

In corso Tutti i casi aperti

Sono tante però le indagini aperte per abuso d’ufficio che ancora riguardano uomini di spicco del centrodestra. Uno degli ultimi a ricevere l’avviso di garanzia è stato il presidente della Regione Sardegna, Christian Solinas, indagato insieme a un’assessora e al suo capo di gabinetto. Secondo la Procura di Cagliari, i tre avrebbero nominato due dirigenti che non avevano i titoli per ricevere l’incarico. Di pochi mesi fa è anche la storia di Claudio Corradino, sindaco leghista di Biella: ancora una volta, la colpa è di alcuni incarichi pubblici che l’accusa ritiene esser stati assegnati in maniera illegittima. Diverso invece il caso del senatore salviniano Giuliano Pazzaglini. I suoi guai con l’abuso d’ufficio risalgono a quando era sindaco di Visso, paese in provincia di Macerata. Il leghista è stato rinviato a giudizio perché la Procura sospetta che alcuni fondi per la ricostruzione post sisma siano stati dirottati sui conti di due società riconducibili a Pazzaglini, invece che sulle casse del Comune. Sotto inchiesta è poi Vincenzo Catapano, coordinatore provinciale della Lega a Napoli e sindaco di San Giuseppe Vesuviano: dovrà rispondere di una nomina sospetta. Da un leghista all’altro, a fine 2020 è emerso il caso di Pasquale Cariello, consigliere regionale in Basilicata, indagato per abuso d’ufficio in concorso per fatti risalenti al 2018, quando era consigliere d’opposizione nel Comune di Scanzano Jonico, poi sciolto per mafia.

 

 

Niente da fare Assolti, archiviati o prescritti

Chi invece è appena uscito da un’inchiesta è Attilio Fontana. Il governatore lombardo era stato accusato di aver nominato in maniera illegittima l’ex socio Luca Marsico come membro esterno del “Nucleo di valutazione degli investimenti pubblici”, ma poi è arrivata l’archiviazione del gip di Milano. Se si va più indietro nel tempo, non si fatica a trovare nomi noti. Agli sgoccioli dell’epoca d’oro berlusconiana, per esempio, fu indagato Denis Verdini, allora coordinatore nazionale del PdL. L’accusa era di aver tentato, attraverso relazioni politiche, di favorire il consorzio di un imprenditore amico nella spartizione dei lavori dopo il terremoto dell’Aquila. Il gup decise però di prosciogliere Verdini, dopo che la Camera aveva negato l’utilizzo delle intercettazioni sull’ex factotum di Silvio. Ricorda invece i tormenti di Salvini quanto successo a Roberto Maroni, anch’egli ministro dell’Interno della Lega e alle prese con i problemi dell’immigrazione. A provocare l’indagine – era il 2009 – fu il respingimento di 227 migranti salvati in acque internazionali, vicenda su cui il Tribunale dei ministri decise per l’archiviazione. Stessa fine dell’inchiesta sull’attuale ministro del Turismo Massimo Garavaglia, indagato per abuso d’ufficio per una strana operazione immobiliare risalente a quando il leghista era sia assessore in Regione Lombardia che componente del Cda di Cassa Depositi e Prestiti: nel 2014 la Regione vendette a Cdp la sede dell’ex Asl di Milano per 25 milioni di euro, ma lo stesso stabile otto mesi più tardi sarebbe stato rivenduto a un’altra società per 38 milioni. Una “operazione maldestra”, come la chiamarono i magistrati, ma non abbastanza da chiedere il processo per il ministro.

Se l’è cavata invece con la prescrizione il deputato forzista Ugo Cappellacci, già governatore della Sardegna. Il pubblico ministero lo aveva accusato di alcune nomine ballerine nel processo alla P3, ma tre anni fa sono scaduti i termini. Prescritto è anche Mario Mantovani, una vita al servizio di B. (e oggi in Fratelli d’Italia) tra Senato, Europarlamento e Regione Lombardia, dove fu vicepresidente. Arrestato nel 2015 per abuso d’ufficio, turbativa d’asta, corruzione e concussione, sospettato di aver truccato alcuni appalti, ha già visto esaurirsi la scadenza massima per l’abuso d’ufficio.

Dopo anni d’indagine si è invece chiusa con l’assoluzione la vicenda di Claudio Fazzone, senatore di FI finito a processo per alcune nomine all’Asl relative a quando era presidente del Consiglio regionale del Lazio.

Depositati 3 ddl: “Ora via il reato” Cartabia dice no

Mario Draghi lo aveva annunciato nel suo discorso programmatico in Senato il 17 febbraio scorso: “Occorre evitare gli effetti paralizzanti della fuga dalla firma”, aveva detto tra gli applausi dei parlamentari e dei tanti amministratori locali. Ora il centrodestra si sente con le spalle coperte per andare all’assalto del reato di abuso d’ufficio, il principale nemico di molti politici e amministratori. Obiettivo: smontarlo ulteriormente dopo che il governo Conte-2 la scorsa estate lo aveva già depotenziato nel decreto Semplificazioni, volto a sbloccare decine di opere pubbliche. A far partire l’attacco all’articolo 323 del codice penale è la Lega, che nei giorni scorsi ha annunciato una proposta di legge a prima firma di Andrea Ostellari, presidente della Commissione Giustizia del Senato. Ostellari sta ancora lavorando e limando il testo, co-firmato da tutto il gruppo della Lega a Palazzo Madama, ma ha già annunciato quale sarà il principio cardine della proposta: eliminare una volta per tutte la responsabilità penale degli amministratori nella “firma degli atti”.

Il governo Conte, con il decreto del 16 luglio 2020, aveva già ristretto i margini dell’applicabilità del reato escludendo tutte le violazioni contenute in fonti diverse da leggi o atti aventi forza di legge e tutti quei comportamenti che abbiano “margini di discrezionalità”. Adesso la Lega vorrebbe specificare che non sarà punito l’eccesso di potere degli amministratori. Ergo: smontare quel poco che rimane dell’abuso d’ufficio. La ratio che ha portato la Lega a dare un’accelerata per riformare il reato è la ripartenza delle opere pubbliche chiesta da Matteo Salvini: “L’Italia ha bisogno di cantieri – ha spiegato Ostellari all’AdnKronos – La disciplina attuale dell’abuso d’ufficio impedisce agli amministratori locali e ai dirigenti di prendere decisioni serenamente e finisce per rallentare un processo di sviluppo e crescita di cui il Paese è affamato”. E quindi, continua il presidente leghista della Commissione Giustizia, “non possiamo permetterci che l’Italia sia ferma perché sindaci e assessori hanno paura di firmare. Nel 2018 ci sono stati più di settemila procedimenti giudiziari per abuso d’ufficio, la gran parte finisce nel nulla, ma l’infamia resta a vita”. Il nuovo testo potrebbe unificare gli altri due già depositati in Parlamento in questa legislatura per abolire il reato, entrambi del centrodestra. Il primo è quello presentato il 21 ottobre 2019 da dieci deputati leghisti guidati da Roberto Turri, avvocato e capogruppo del Carroccio in commissione Giustizia a Montecitorio, che esclude l’applicabilità per le “norme di principio o di norme genericamente strumentali alla regolarità dell’attività amministrativa”, mentre la punibilità è esclusa per tutti quei provvedimenti il cui contenuto “non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato” o “nei casi di particolare tenuità del fatto”. La modica quantità di abuso di potere.

Forza Italia invece propone proprio di abolire l’abuso d’ufficio con Silvio Berlusconi che nelle ultime settimane ha dato due interviste, prima al Messaggero e poi al Giornale, per chiedere di “rivedere” il reato. La deputata forzista Cristina Rossello, avvocato anche lei, ha depositato insieme a 18 colleghi una proposta di legge composta da una sola riga: “L’articolo 323 del codice penale è abrogato”. Nella scheda di presentazione del provvedimento i berluscones se la prendono con i magistrati colpevoli di indagare: “Una quantità enorme di procedimenti che iniziano a fronte di una quantità infinitesimale di quelli conclusi con condanna – si legge – nel frattempo, carriere, vite e famiglie di coloro che ne escono non colpevoli, dopo lunghissimi anni, sono rovinate e spesso costoro sono ridotti in miseria”. Per questo, sostiene FI, il reato di abuso d’ufficio va abolito. Non è della stessa opinione la ministra della Giustizia, Marta Cartabia, che ha già dato non pochi dispiaceri al fronte garantista: da Via Arenula fanno sapere che la modifica del reato di abuso d’ufficio non è all’ordine del giorno.

Rocco Di Blasi, le notizie sempre dal verso giusto

Il vero peccato è che tanti di voi, forse troppi, non abbiate conosciuto la scrittura di Rocco Di Blasi. Ieri lui ci ha lasciati, costringendo Eduardo, suo figlio e nostro collega, a dare la dolorosa notizia su Facebook che Rocco, 73 anni di una vita densa e fortunata, usava come un’agenzia di stampa da vizioso cronista qual era.

Di Blasi portava infatti nel corpo la notizia, valutava esattissimamente la sua portata, ne illustrava, prima ancora di vederla pubblicata, con millimetrica precisione la capacità deflagrante. Come successe quando inviò all’Unità, il giornale di cui è stato colonna per decenni, un articolo che prefigurava la dimensione dell’assalto camorristico allo Stato. Aveva seguito il consiglio comunale di Pagani, sua città natale, e capito dalle parole preoccupate del sindaco, Marcello Torre, che la camorra aveva fiutato l’affare della ricostruzione dopo il terremoto del 1980 e deciso di appropriarsene. “Gli assassini sono a piede libero”, scrisse allarmato. A Roma non gli credettero e misero nel cassetto la corrispondenza. Alle 8 del mattino del giorno dopo quel sindaco fu massacrato in un agguato.

Laureato a 22 anni in Filosofia (110 e lode con una tesi sul pragmatismo americano), lasciò la brillante carriera universitaria perché aveva trovato il modo di coniugare le sue due grandi passioni: il giornalismo e la politica. Alla redazione di Napoli dell’Unità, in via Cervantes, cercavano un cronista. Eccolo! Conquistò presto i galloni di capo e guidò – dopo l’esperienza con Michele Santoro a La Voce della Campania – una formazione formidabile di colleghi che avrebbero trovato il successo: Antonio Polito, Marco Demarco, Federico Geremicca, Franco Di Mare, Luigi Vicinanza, Marcella Ciarnelli, Vito Faenza, tra gli altri. Erano gli anni in cui la città – conquistata dal Pci – elesse Maurizio Valenzi sindaco. Napoli era in prima pagina quasi ogni giorno e quella redazione divenne il fiore all’occhiello del giornale del partito di Enrico Berlinguer. Quel giornale in quegli anni era la più grande scuola di giornalismo, una fucina di firme intraprendenti e preziose.

Tanto era farina del sacco di Di Blasi, il caporedattore. Che infatti poco dopo fu mandato a guidare il fascicolo dell’Emilia-Romagna, il cuore del partito e dunque il centro del centro. Compito delicato, che necessitava di una fiducia assoluta coi vertici non solo del giornale. Una poltrona di vero potere, si direbbe oggi. Infine Roma, sempre nell’ufficio centrale, la regia produttiva dove le notizie vengono selezionate e restituite ai lettori secondo un principio gerarchico, il luogo dove anni dopo sarebbe approdato, qui al Fatto, proprio suo figlio Eduardo. Generoso e testardo, papà Rocco ha continuato a produrre idee e visioni. Ha immaginato e diretto Il Salvagente, settimanale dei consumatori, a cui ha destinato ogni energia dopo gli anni di lavoro all’Unità. Ora guidava consumatrici.it, la versione digitale, nel solco del giornalismo di servizio a cui era fedele e devoto.

“Lo Statuto di Conte è la svolta. Ora il M5S è nel centrosinistra”

Il discorso di giovedì di Giuseppe Conte voleva preparare il M5S alla rifondazione. Ma per il ministro all’Agricoltura Stefano Patuanelli, 5Stelle vicino all’ex premier, la novità c’è già: “Conte ha spiegato che nel nuovo Statuto ci sarà un riferimento chiaro al perimetro politico del M5S, la sua collocazione nel campo del centrosinistra, e per i 5Stelle rappresenta una grande innovazione”.

Partiamo dai temi di governo. Magistrati e forze dell’ordine ricordano che le mafie sono pronte a dare l’assalto ai fondi del Pnrr.

È un rischio evidente, ed è per questo che bisogna prevenire con meccanismi di controllo. Parlando dell’ambito del mio ministero, mi auguro che il Parlamento approvi in fretta la legge Caselli contro le agromafie. Lavoriamo anche a un’autorità di regolazione dell’agricoltura, necessaria per regolare un settore che a causa delle variazioni di prezzi obbliga spesso i produttori a lavorare sottocosto e provoca situazioni difficili per i braccianti agricoli.

Come vi trovate nel governo Draghi? State stretti, con tutti questi partiti?

Siamo ancora nella fase in cui si cercano gli equilibri, sia con le altre forze politiche che con i ministri tecnici. Anche col premier stiamo imparando a conoscerci. Per questo il dl sostegni ha ripreso la struttura del decreto rilancio fatto dal governo precedente. Ora bisognerebbe pensare a un decreto liquidità bis. L’interesse generale per il bene del Paese prevale sempre, al di là di qualche incursione che arriva dall’esterno.

Allude a Salvini? Invocava le aperture, ma lei e altri ministri avete fatto muro.

Direi che il problema sulle aperture non è con la Lega, ma dentro la Lega. I nostri colleghi di governo hanno sempre mostrato di comprendere la situazione. Quanto a me, mi baso semplicemente sui dati. Abbiamo le terapie intensive piene al 41 per cento e tanti morti, ogni giorno. Non era possibile un meccanismo automatico per riaprire. Le frasi di ieri di Salvini sul sequestro di persona sono inaccettabili. In modo irresponsabile sta dicendo ai cittadini di non rispettare le norme.

A suo dire, il discorso di Conte rappresenta un’innovazione.

Certamente. I precedenti statuti facevano riferimento alla gestione, invece il testo di cui ha parlato Conte collocherà il M5S in un preciso ambito, e quindi rappresenterà anche un vincolo alla nostra azione politica. Non a caso ha messo le persone e i loro diritti e bisogni come prima stella del Movimento.

L’ex premier ha parlato di una struttura ramificata sui territori. Ma una struttura complessa richiede soldi, no?

Bisognerà capire nel dettaglio come verrà costruita. Averla comporterà dei costi e il trovare una sede. Ma il fatto di aver già aperto un conto corrente a nome del M5S mi sembra fondamentale.

Dagli Stati generali era emersa l’indicazione di riflettere sull’utilizzo del finanziamento pubblico, almeno del 2 per mille. È il caso di parlarne tra voi?

Non sono sicuro di avere una risposta. Il confine tra ciò che funziona in teoria e quanto dimostrato dalla pratica è sempre labile. Sulle donazioni non vedo una grande risposta da parte dei cittadini. Come M5S abbiamo dimostrato di poter fare politica e di avere grande consenso anche con un utilizzo molto limitato di fondi. Ma non saprei dire quale sia il modello migliore.

Conte è stato duro verso correnti e associazioni.

La penso come lui. Sono certo che c’era una volontà positiva nel costruirle, ma le stesse iniziative si possono portare avanti con il simbolo del M5S.

Le correnti sono la via per liste con cui superare il vincolo dei due mandati, no?

Gli interessati hanno smentito.

Il diktat di Grillo (“i due mandati sono un pilastro”) ha fatto infuriare molti.

Tutti noi eletti siamo in potenziale conflitto d’interessi su questo. Per il Movimento ha già parlato Beppe, spiegando però anche che l’esperienza di chi ha maturato due mandati non può essere perduta. E in questo senso sarà importante la nuova struttura.

Con Rousseau finirete davvero in tribunale?

Se c’è la volontà, si può trovare una soluzione a questo surreale confronto tra il M5S e Rousseau. Ma serve buonsenso.

Il Pd “ma anche” della Tinagli che guarda a Calenda sindaco

C’è il Pd di Enrico Letta che incontra Luigi Di Maio, con florilegio di veline amorose sull’“ottimo clima” e la “forte intesa”. C’è il Pd della corrente (aridaje) di Goffredo Bettini per abbracciare il ritorno di Conte e far ripartire il cantiere con i Cinque Stelle. “Ma anche” c’è il Pd di Irene Tinagli, vicesegretaria voluta da Letta medesimo. Liberale di culto montiano, molto scettica sugli approdi dell’alleanza col Movimento: prima di far entrare i grillini in famiglia, in Italia e in Europa, bisogna vedere se questi strani animali hanno davvero cambiato razza (“Il M5S – ha detto a Repubblica – sta dando prove di europeismo, ma attraversa ancora una fase di profonda trasformazione”).

Il Pd è ancora così: un po’ di qua e un po’ di là, come i due vice. Un po’ Peppe “il rosso” Provenzano e un po’ Tinagli la bianca. La quale, con cautela montiana e molte proposizioni subordinate, esprime la sua preferenza per Carlo Calenda al Campidoglio: “Credo abbia energia, capacità e metodo per affrontare un’impresa del genere”. Certo – dirà più tardi, seccata dalle solite polemiche calendiane – “deve rispettare la comunità del Pd” e mettersi in testa che dovrà passare per le primarie. Come già Beppe Sala, un altro di destra che ha finito per diventare sindaco del Partito democratico. “Ma sarebbe un bravo amministratore”.

Tutte queste belle cose la vice-Letta le dice in un incontro organizzato da Linkiesta. Dal parterre virtuale si capisce subito dove si vuole parare: appunto Tinagli e Calenda, Ivan Scalfarotto, Emma Bonino, Giorgio Gori e Marco Bentivogli. Siamo in odore della “maratona riformista” che domenica scorsa ha regalato tanta involontaria comicità. Modera il direttore de Linkiesta Christian Rocca, che presenta i suoi ospiti così: “Sarebbe un Consiglio dei ministri dei sogni” (forse mangiando pesante). Poi s’interroga, risoluto e caustico: “Il Pd continuerà a perseguire l’alleanza strategica con Fofò dj (soprannome perculante di Alfonso Bonafede, ndr), come credono molti nostalgici di Casalino? Oppure sceglierà la spinta propulsiva di Draghi?”.

La domanda è proprio per Tinagli, che risponde con una supercazzola oggettivamente meravigliosa: “Il Pd, per come lo sto interpretando e vivendo, è il Pd delle sue origini, che sta tenendo insieme anche diverse sensibilità di centrosinistra, ma con un obiettivo chiaro: perseguire una crescita sostenibile, che ci aiuti a eliminare delle diseguaglianze della società”. Sì, ma quindi? “Questo è il progetto su cui si è fondato il Pd, portare insieme tradizioni diverse per obiettivi comuni. La stiamo vivendo così, vogliamo aiutare queste tradizioni ad essere incisive”. Sì.

Le perle sono molteplici. Scalfarotto è della mozione Ikea: “Serve un contenitore dei riformisti”. Calenda vola alto: “Serve una costituente liberaldemocratica. Renzi ci dica se vuole fare ancora politica o se gli interessa altro”. Apre: “Dobbiamo fare un partito. Ma non è che siccome noi di Azione siamo più alti nei sondaggi (per alcuni è sopra il 3%! ndr) il marchio deve essere il nostro o la leadership la mia”. Modesto. Bonino lo smonta brutalmente: “Calenda, dici così perché non ci sei mai stato dentro a un partito, non hai la più vaga idea di cosa voglia dire gestirne uno. Meglio una federazione di realtà già esistenti”. A quale realtà appartenga Bonino, dopo l’addio a +Europa, non è chiarissimo. Ma è tutto molto bello.