La mafia uccide solo d’estate? Di certo, non nell’ultimo inverno, e nemmeno in questo scorcio di primavera, almeno nelle fiction: da Montalbano a Màkari, dal Commissario Ricciardi a Lolita Lobosco, Cosa Nostra non è stata cosa loro. Premiate dal pubblico, meno dall’impegno civile: mafia, camorra e compagnia criminosa nel fuoricampo, buoni sentimenti e splendide cornici, al più, per dirla con il nume Andrea Camilleri, qualche ammazzatina.
Già, pizza e mandolino hanno messo tra parentesi la mafia: inversione autoriale, gusto spettatoriale, desiderata delle sempre più importanti film commission, che cosa ha mandato in soffitta coppola e lupara? Carlo Degli Esposti, lo storico produttore di Montalbano e ora di Màkari, rispedisce l’addebito: “Camilleri ha dedicato la vita all’antimafia, però con Salvo i clan ha preferito sfotterli, prenderli in giro, persino per il culo. Una parafrasi comica, un’indole antropologica, in punta di fioretto, laddove nei suoi romanzi storici ci va giù più pesante”.
La mafia marca visita anche da Màkari, tratta dai romanzi di Gaetano Savatteri, ma il capo di Palomar rimanda alla seconda stagione: “Dovevamo prima fondare i personaggi, il crimine organizzato arriverà”. Certo è che la Sicilia Film Commission non ha catalizzato questa assenza: “Màkari non è stata sostenuta, Montalbano “ha preso 82mila euro nel 2017, a fronte di una ricaduta sul territorio stimata in un miliardo”. Degli Esposti sogghigna ricordando la minaccia di girare le avventure del commissario di Luca Zingaretti in Puglia, affinché l’allora presidente della Regione Siciliana, Rosario Crocetta, alzasse il telefono, ma seriamente si rivendica Maltese, “la più tosta serie sulla mafia degli ultimi dieci anni, con un mix di fatti storici e fantasia degno de La Piovra”. Da Squadra antimafia allo spin-off Rosy Abate, Pietro Valsecchi ci ha costruito – l’altro architrave è Checco Zalone – la fortuna di Taodue, eppure l’avviso di sparizione lo sottoscrive: “I fattori sono multipli, le onde editoriali conclamate. Oggi broadcaster e streamer preferiscono le mafie sudamericane, io ho una serie su Tommaso Buscetta ferma da un paio d’anni, e non credo che Il Traditore di Marco Bellocchio sia la causa. Vanno di più passioni, intrighi e cronaca, con Mediaset e Netflix ho appena condiviso la serie Yara (Gambirasio, ndr), per la regia di Marco Tullio Giordana”.
Anche Valsecchi non ha chiesto fondi alla Sicilia Film Commission, anch’egli non abdicherà alle cosche sul piccolo schermo: “Inizierò a breve Lady Corleone, storia di una ragazzina che sale ai vertici di Cosa Nostra e ne consolida l’impero finanziario: un colpo di scena dirà quel che la mafia significa oggi”. Nullaosta anche da parte di Nicola Tarantino, subentrato nel novembre scorso ai vertici di Sicilia Film Commission, che ha appena licenziato un bando (scadenza il 15 aprile) da 3 milioni e 400mila euro per produzioni audiovisive nell’isola: “Puntiamo a esaltare il nostro territorio, tra cultura, paesaggi e gastronomia, ma trattare la mafia non è pregiudiziale al finanziamento di film o fiction: non consideriamo solo la promozione, bensì la filiera e l’indotto di una produzione, che – ricordo – deve spendere in loco il 150% del contributo”.
Per Tarantino, “sebbene una serie come Il cacciatore insista con merito sulla mafia, la linea di tendenza è tracciata, e ovviamente la incentiviamo: spensieratezza, bellezza, piuttosto che crimine e brutture, ma dichiarazioni come quelle del vicepresidente della Calabria (Nino Spirlì: “A chi viene qui per girare film, fiction e documentari sul malaffare e sulle saghe mafiose, diciamo: ‘Non sei il benvenuto’”, ndr) sono più politiche che tecniche, e non intaccano le nostre valutazioni”.
Il critico televisivo Giorgio Simonelli, ospite fisso a Tv Talk, tira le file: “In Lolita c’è un accenno al crimine organizzato, alla voce speculazione edilizia, per Ricciardi il fascismo aveva eliminato la mafia, o forse vi si era sostituito, vero è che il versante promozional-turistico è preminente, e se racconti un mondo idilliaco le cosche guastano”. Ma le ragioni dell’assenza sono strutturali: “La mafia è un genere, non un contenuto: non puoi metterla altrove. Non bastasse, ha modelli troppo alti, da La Piovra a Romanzo criminale, perché chiunque vi si possa misurare. A meno di non voler dare contentini agli ‘impegnati’ di professione, è meglio soprassedere: Cosa Nostra non è un romanzo d’appendice”.
Celeberrimo commissario Cattani nella serie battezzata da Ennio De Concini, poi alla regia di Romanzo criminale, Michele Placido predica il ritorno al futuro: “Ho proposto alla Rai un progetto su Rosario Livatino, il magistrato assassinato dalla Stidda nel 1990, che il prossimo 9 maggio verrà beatificato: sento la necessità di onorarlo”. Sopralluoghi già fissati, Placido inquadrerà “i sicari ventenni del giudice ragazzino, alla mia maniera pop(olare): voglio omaggiare il maestro Francesco Rosi e Damiano Damiani, che fece della prima Piovra cinema più che tv”.