Carlo Mosca, il mestiere del prefetto lontano dai flash

Carlo Mosca, deceduto due giorni fa a Roma (era nato a Milano nel 1945) è stato un servitore esemplare della Repubblica, come Direttore della Scuola Superiore del ministero dell’Interno, capo di gabinetto dei ministri dell’Interno Amato e Pisanu, Prefetto di Roma, vicedirettore del Sisde, membro del Consiglio di Stato. Esemplare perché intendeva e viveva il servizio alla Repubblica come “impegno silenzioso e lontano da ribalte illuminate” sostenuto e guidato dalla “forza interiore” che consiste nella “capacità morale, spirituale e intellettuale di cogliere, recepire e vivere un valore o più valori”, come ha scritto in uno dei suoi libri più importanti, Il prefetto e l’unità nazionale del 2016.

Non perdeva occasione per spiegare ai prefetti, anziani e giovani, la speciale dignità che servire la Repubblica, con disciplina e onore, conferisce alla persona. La sua è un’eredità morale, prima ancora che intellettuale, che si distacca nettamente dalla ricerca sfrenata della fama e del potere che pervade tanta parte della nostra vita pubblica. È inestimabile. Carlo Mosca non ci ha lasciato soltanto insegnamenti sul significato e il valore del servizio alla Repubblica, ma una concezione della vita guidata dal principio del dovere. “L’esaltazione del dovere o meglio dei doveri – ha scritto – è importante quanto l’esaltazione dei diritti, soprattutto in un momento storico in cui sembra forte solo l’affermazione dei diritti, i quali non possono essere vissuti ed esercitati consapevolmente, se si perde il senso del rispetto del dovere o dei doveri”.

Intendeva il dovere e il servizio alla Repubblica in una prospettiva cristiana che si traduceva nell’attenzione generosa nei confronti delle persone. Chiunque ha avuto la grande fortuna di conoscerlo, ha trovato in lui un maestro di vita e un amico. Oltre al figlio Davide, lascia tanti amici e allevi nell’amministrazione dello Stato, e nelle università. Il suo esempio e i suoi scritti devono diventare il fondamento di una scuola che educhi veri servitori dello Stato. Era il suo sogno.

Qanon&qomplotti cuore del sistema

Chiedetevi il perché. Perché il magistrato Nicola Gratteri scrive una prefazione benevola a un testo in cui compare la seguente affermazione: “Vogliamo dire chi comanda nel mondo? Comandano gli ebrei! Sta tutto in mano a loro! Tutte le lobby economiche e le lobby farmaceutiche, hanno tutto in mano loro… la grande finanza”.

Perché Giorgia Meloni sceglie di definire George Soros “usuraio”.

Perché il senatore Elio Lannutti condivide su Twitter un falso acclarato come “I Protocolli dei Savi di Sion” per sostenere che il mondo è sottomesso a un potere occulto.

Perché, giunti a questo punto, scommetto che tra i lettori qualcuno già pensa: uffa, il solito ebreo privilegiato che si lamenta.

Del resto, quando feci ritorno per la prima volta nel mio Paese natale ebbi la sorpresa di trovare in vendita al duty free dell’aeroporto di Beirut quegli stessi “Protocolli” che la polizia zarista aveva inventato di sana pianta più di un secolo prima. Ci ho fatto il callo. E non mi ha stupito apprendere che la nuova destra americana diffonde sui suoi social una versione aggiornata della sempiterna “accusa del sangue”: non più il rapimento di bambini ad opera di ebrei che ne impastavano il sangue nella farina del pane azzimo; bensì abuso sessuale dei medesimi bambini perpetrato da pedosatanisti che ne estraggono l’adrenocromo utilizzato come elisir di lunga vita.

Ho trovato una risposta a questi perché nella formidabile inchiesta sul cospirazionismo, frutto di anni di lavoro di Wu Ming 1, appena pubblicata dalle edizioni Alegre: La Q di Qomplotto. QAnon e dintorni. Come le fantasie di complotto difendono il sistema. Il grande merito del suo lavoro risiede nell’inquadramento storico delle varie fantasie circolanti sull’instaurazione di un dominio totalitario e predatorio ai danni dei popoli, artefice delle loro sofferenze. Wu Ming 1 rintraccia, lungo i secoli, una continuità di argomentazioni impressionanti, e si addentra nei luoghi sensibili della mente umana su cui fanno leva. L’“accusa del sangue”, per l’appunto, è atavica e persistente almeno quanto lo stereotipo sugli zingari che rubano i bambini. Come la stregoneria femminile e il satanismo. Costruisce spiegazioni deviate al ripetersi delle ingiustizie sociali, delle epidemie, delle guerre, delle migrazioni e delle catastrofi naturali, attribuendole alla perversione malvagia di figure individuali o collettive. Non a caso la pedofilia, forma suprema di sottomissione dei più fragili e innocenti, i bambini, viene frequentemente descritta come ulteriore vizio distintivo dei potenti, a complemento della loro avidità economica.

Wu Ming 1 ci mette in guardia dall’accontentarci di credere che il cospirazionismo di QAnon e degli altri seminatori di falsità grossolane online trovi seguaci solo grazie alla stupidità, all’ignoranza o alla malattia mentale. Magari. “Irrazionale ma logico”, si intitola giustamente un capitolo del suo libro, laddove esplora i meccanismi dei social network come estensioni della psiche. Non a caso, precisa, il cospirazionismo ha fatto proseliti anche a sinistra e non solo tra fascisti e reazionari vari. Vale qui la celebre citazione attribuita a August Bebel, “l’antisemitismo è il socialismo degli imbecilli”, che in tempi più recenti ha trovato riproposizioni mascherate da anticapitalismo; senza contare le teorie del complotto spesso rivolte contro la sinistra radicale.

Il fenomeno nuovo rappresentato da QAnon, la delirante narrazione sul Pizzagate di Washington nei cui scantinati i maggiorenti democratici praticherebbero orrendi riti pedosatanici, si è diffuso anche perché le fantasie di complotto germinate “dal basso” hanno trovato legittimazione e alimentazione da capi di Stato: in primis da Trump e da vari suoi epigoni come Bolsonaro e Orbán. Uomini senza scrupoli assunti come eroi del contropotere, investiti del ruolo di paladini delle tradizioni popolari minacciate da reti occulte.

Così si è propagata la diceria secondo cui esisterebbe una “Cabal”, cioè un’associazione segreta di potenti comprendente i leader democratici, l’immancabile Soros e i volti più noti di Hollywood, finalizzata a procacciarsi l’adrenocromo insieme alla supremazia finanziaria. Inequivocabile il richiamo alla Cabala ebraica. Naturalmente i membri della “Cabal” sarebbero anche i burattinai del progetto mondiale di “sostituzione etnica” che fa leva sulle migrazioni per sfruttare i popoli. L’abbiamo sentita citare più volte in televisione dai nostri vari Salvini e Meloni, così come dai più sprovveduti Lannutti e Paragone.

Se Wu Ming 1 si è messo di buona lena a scoperchiare questo verminaio, è anche perché si è sentito punto sul vivo. Nel 2018, quando la sigla QAnon si è imposta all’onore delle cronache fornendo il suo profilo alla Alt-right statunitense, qualcuno cercò di rintracciarne le tracce in Q, il libro di successo mondiale a cui lui stesso aveva contribuito con il collettivo Luther Blissett. L’aver giocato con raffinatezza col fuoco della comunicazione surreale, sulla scia di un maestro come Umberto Eco, rischiava di rimbalzargli addosso vent’anni dopo sotto forma di QAnon. Davvero troppo, per essere sopportato. Le “gocce” velenose iniettate da QAnon sul sito 8kun, spesso con l’hashtag #savethechildren, vaneggiando su ottocentomila bambini scomparsi negli Usa nel solo 2017, erano entrate in vena a molti sprovveduti, ma anche ad alcuni criminali autori di stragi di là e di qua dall’Atlantico.

Preziosa è l’ultima parte di questo lavoro, intitolata non a caso: “Filamenti di genoma transatlantico”. Perché “anche in Italia il terreno è fertile. Per ragioni storiche e culturali legate al retaggio dell’inquisizione e della controriforma, le fantasie di complotto sul satanismo hanno facile presa”. E difatti la caccia ai nemici della Chiesa e della Famiglia qui da noi ha propiziato indagini giudiziarie cavalcate con enfasi dai media per poi finire nel nulla: a Bologna contro i Bambini di Satana; sui Diavoli della Bassa Modenese; sulla scuola materna di Rignano Flaminio. Episodi di isteria collettiva basati su testimonianze false o forzate, però adatte a fomentare quel moral panic che da sempre alimenta il cospirazionismo.

Non a caso il libro è dedicato a Marco Dimitri, uno dei Bambini di Satana, scomparso di recente dopo essere stato vittima innocente di una surreale persecuzione. Va a onore di Wu Ming 1 aver contribuito a scoperchiare la macchinazione di cui fu oggetto. Non illudiamoci. Le farneticanti macchinazioni del Qomplotto non sono solo merce d’importazione.

 

Il grano, il loglio e Margrethe…

Distratti dalla riapertura di cinema e teatri – hanno riaperto il 27 marzo come s’era detto no? – solo ieri ci siamo accorti della risposta arrivata martedì dal Tesoro all’interrogazione dell’ex M5S Raduzzi. La potremmo riassumere così: Noi fare causa a Bruxelles per Tercas? Ma che sei matto? Non l’ha fatta neanche Popolare di Bari… È appena il caso di ricordare che dietro l’ostica sigla Tercas si cela il disastro del settore bancario italiano. In sostanza andò così: la Commissaria europea alla Concorrenza, Margrethe Vestager, sostenne nel 2015 che coinvolgere il Fitd (fondo interbancario di tutela dei depositi) nel salvataggio della malandata Cassa di Teramo con Popolare di Bari fosse un vietatissimo “aiuto di Stato”: aiuto di Stato, un po’ come il rigore di Boskov, è quando la Dg Competition di Bruxelles fischia. Quella scelta convinse Renzi&Padoan a procedere col bail-in di Etruria & C. facendo crollare i valori di Borsa dell’intero comparto del 60% in pochi mesi: seguirono le due venete, Mps, etc. Il problema è che il Var – la Corte di Giustizia Ue – ha poi annullato il rigore: l’intervento del Fitd non era aiuto di Stato, tanto più che enti analoghi sono intervenuti in mezza Europa. Insomma, migliaia di azzeramenti per nulla. La sentenza definitiva è del 3 marzo e ci parve di capire allora che tra Roma e Bruxelles sarebbero corsi fiumi di carte bollate, ora si scopre che no. La cosa bizzarra di questa vicenda, però, è un’altra: la responsabile politica di una topica così clamorosa, Vestager, è ancora al suo posto. Di più: in queste settimane – dopo aver autorizzato per mesi fior di governi, da Berlino in giù, a sovvenzionare il settore aereo – è impegnata in un bizzarro kamasutra su Alitalia nel tentativo di separare – quanto a soldi, slot, Millemiglia etc. – il grano degli aiuti di Stato “Covid” (benedetti) dal loglio di quelli “non Covid” (impuri). Il risultato è che gli stipendi non arrivano, mentre Lufthansa e Ryanair potrebbero rubarsi l’estate e il futuro della nuova compagnia “Ita” ancor prima che nasca. Magari tra un paio d’anni il Var ci dirà che Margrethe s’era sbagliata pure stavolta, ma non è questo il punto: se il gioco ha regole incomprensibili e gli arbitri sono mezze figure un po’ equivoche, il problema è di chi continua a giocare.

La ricerca, l’altra vittima del covid

Si sente spesso parlare della vita nell’era post-Covid e delle conseguenze che dovremo ancora affrontare dopo la pandemia. Lo sforzo per fronteggiarla è stato e continua a essere immane. Ma abbiamo fatto un grosso errore. Ci si è concentrati quasi esclusivamente sulla battaglia contro il Covid senza pensare a come evitare gravi danni collaterali. Crisis-time (tempo di crisi) e post crisis (dopo crisi) management sono capitoli di pari importanza. Qualcuno ci fa notare che è stato adottato il criterio della priorità. Abbiamo dovuto scegliere quali malati curare, cosa tralasciare. Accanto alle vite salvate dalla pandemia, ne abbiamo prodotte altre, silenti, oggi e nel prossimo futuro. Nei primi nove mesi del 2020 sono stati effettuati oltre 2 milioni in meno di screening tumorali, si è avuto il 30% in meno di accesso alle cure cardiologiche e l’elenco continua a dismisura. Ma il danno non finisce qui. Lo sforzo economico per finanziare la ricerca Covid, ha assorbito quasi tutte le energie disponibili. Anche in questo settore, il budget destinato alla ricerca in Italia era da tempo penoso. Fanalino di coda in Europa, già nel 2019 vi dedicavamo solo l’1.4 % del Pil, accanto al 6% del Pil come spesa salute, diversamente da altri paesi europei, quali Francia e Germania(11%). Il quadro è peggiorato durante la pandemia, sia nel pubblico che nel privato. La spesa, alla voce Ricerca e Sviluppo per le imprese, nel 2020 ha avuto un calo del 5%. L’Italia si è posta come obiettivo il raggiungimento, nel 2020, di un livello di spesa in R&S in rapporto al Pil pari all’1,53%. Ciò che è ancor più grave è che all’interno di questo stringato budget, la quasi totalità è stata dedicata alla voce Covid, dimenticando ogni altro filone di ricerca. Chi pensa che questo gap sia giustificabile per aver pensato di più alla salute, sbaglia. Non c’è buona sanità senza la ricerca i cui risultati ne migliorano, giorno dopo giorno, le prestazioni. La ricerca è il motore di ogni attività ed anche dell’economia. Un’Italia, ultima in Europa per investimenti, subirà una concorrenza spietata nei brevetti. Eppure i nostri ricercatori sono fra i primi al mondo per produzione scientifica e qualità professionale. Peccato che tali meriti possano avere la possibilità di manifestarsi solo all’estero.

 

Lombardia, il sistema sanitario (privato e pubblico) ha fallito

L’Italia ha sempre imparato poco dalla sua storia (Magistra vitae, ma senza discepoli) e niente dalle sue disgrazie (terremoto dopo terremoto, frana dopo frana, esondazione dopo esondazione). Chissà se imparerà qualcosa dalla pandemia. Che il sistema sanitario non abbia funzionato è sotto gli occhi di tutti. Ma riusciremo a riformarlo per ridurre almeno le storture più evidenti? C’è chi è al lavoro per avanzare proposte di riforma, a Roma e a Milano. A Milano i cambiamenti sono più urgenti, vista la disfatta del sistema sanitario regionale lombardo davanti all’assalto del Covid-19. In Lombardia, la super-privatizzazione dei servizi e la super-ospedalizzazione del sistema, che esibivano qualche effetto benefico in tempi “normali”, hanno mostrato tutta la loro inadeguatezza in tempi di attacco pandemico, quando la sanità diventa ancora più vitale. Questo anno di Covid ha mostrato il fallimento non soltanto della riforma sanitaria di Roberto Formigoni, ma anche di quella successiva e ulteriormente peggiorativa di Roberto Maroni (2015), in un’Italia in cui la sanità nazionale è stata (disgraziatamente, per molti) tagliuzzata in 21 sanità regionali. Che cosa cambiare? Sono al lavoro da mesi i “saggi” convocati dal presidente lombardo Attilio Fontana, da cui si distacca il professor Giuseppe Remuzzi, dell’Istituto Mario Negri, che ha presentato nei giorni scorsi le sue proposte. Uno. Troppo privato, in Lombardia, dove gli imprenditori della sanità privata sono equiparati al pubblico e dove questo rischia di deperire di fronte al più aggressivo concorrente. Remuzzi propone allora che la contrattualizzazione dei privati sia fatta soltanto per quei servizi che il pubblico non riesce a fare. Due. Troppa politica, nella sanità lombarda (e non solo lombarda). I manager, i direttori generali delle aziende ospedaliere, non devono più essere lottizzati e scelti dai partiti.

Tre. Troppo poca sanità territoriale, in Lombardia. Al centro del sistema è stato posto il grande ospedale, con conseguente marginalizzazione della componente territoriale. L’attuale sistema organizzativo è un gomitolo che si fatica a dipanare: da una parte, le Ats (Agenzie di tutela della salute) che dovrebbero presidiare il territorio; dall’altra, le Asst (Aziende socio sanitarie territoriali), il soggetto pubblico che, insieme ai privati accreditati, deve erogare le prestazioni sanitarie e sociosanitarie. Nei poli ospedalieri, innanzitutto, ma anche nella rete territoriale, che però resta debole e inspiegabilmente separata dalle Ats. “Si è perpetuata un’asimmetria tra ospedale e territorio e tra pubblico e privato, in assenza di una cabina di regia super partes”, scrivono i ricercatori del Mario Negri. Poi i malati cronici sono stati affidati ai cosiddetti “gestori”, togliendoli ai medici di base e generando di fatto “reti parallele (di gestori pubblici e privati) in competizione tra di loro e in concorrenza con la medicina di base. Sono così emersi soggetti alternativi al servizio pubblico, svincolati dal contesto territoriale”. Risultato: “Scarsa capacità da parte dei servizi territoriali, impoveriti e disorganizzati, di dare risposte sul territorio ai bisogni socio-sanitari di importanti settori di popolazione come anziani, malati psichiatrici e soggetti socialmente fragili”. Anche prima dell’emergenza Covid. Per gli anziani, infine, è quasi scomparsa l’assistenza domiciliare, a tutto vantaggio delle Rsa, quasi tutte private.

La riforma sanitaria è forse la più necessaria oggi, dopo l’attacco pandemico. La situazione in Lombardia ci dimostra che le incapacità, le sottovalutazioni, gli errori dei governanti e dei loro manager, che abbiamo visto squadernarsi in questo anno-Covid, si innestano in un sistema, quello Formigoni-Maroni, che non funziona e va cambiato al più presto.

 

Renzi è un senatore italiano: non può accettare soldi esteri

Il noto studioso di scienze politiche, Robert Dahl, ha sottolineato come la credibilità della democrazia si fonda sull’uguaglianza politica intesa come principio di governo giustificato da moralità, prudenza e accettabilità e, per questo, più raccomandabile di qualsiasi alternativa. All’uguaglianza s’informa il complesso di diritti e doveri la cui tutela ed esposizione è affidata anche al principio di trasparenza, utile cartina di tornasole per saggiare la democraticità di un ordinamento.

Per questo ogni Stato si preoccupa di disciplinare opportunamente la trasparenza nell’operato dei pubblici funzionari. Sono così imposti rigidi parametri ai pubblici dipendenti per impedire che accedano a cariche esterne e ricevano compensi senza il consenso della loro amministrazione. L’accettazione di cariche in enti diversi e la percezione dei relativi emolumenti sono assoggettate ad autorizzazione nel quadro di un codice di comportamento secondo il quale il dipendente non accetta, per sé o per altri, regali o altre utilità di valore non superiore ai 150 euro. Per i parlamentari vige l’obbligo di dichiarare quanto ricevuto direttamente o a mezzo di comitati per importi superiori a 500 euro annui.

Come si può valutare, in tale contesto, il ricco emolumento percepito dal senatore Renzi per partecipare al board di una fondazione araba? Le cause della dazione possono essere solo due: la prestazione d’opera o la liberalità. Sulla prestazione d’opera è chiaro che nessun funzionario dello Stato italiano potrebbe ricevere quel munifico corrispettivo. Per conseguirlo il pubblico dipendente dovrebbe inventarsi un’eccellente ragione (inimmaginabile in rerum natura) ed essere autorizzato dalla propria amministrazione, previo concerto con ministero degli Esteri e presidenza del Consiglio. Perché, nei rapporti con enti stranieri, il pubblico funzionario rappresenta lo Stato italiano e deve garantire la non esposizione a perplessità e sospetti a tutela della dignità dell’intero apparato. Il principio va esteso, a maggior ragione, ai parlamentari perché il fondamento del presidio istituzionale è rafforzato. Quegli impedimenti assoluti, cioè, valgono vieppiù per un senatore della Repubblica, soprattutto quando costui si trova a rappresentare la Nazione italiana (art. 67 Cost.) in una fondazione estera regolata fors’anche dalla sharia. Chi ritiene legittimo tale contegno opta per un sistema estraneo al nostro ordinamento costituzionale per l’obiettivo rifiuto dell’uguaglianza e della trasparenza oltre che per l’incoerenza tra funzione esercitata e doveri scaturenti dallo specifico status.

Se si ammette che la qualità di parlamentare consente di superare i limiti della legge (e della decenza istituzionale) validi per tutti gli altri pubblici funzionari, vale allora l’adagio orwelliano secondo cui “alcuni animali sono più uguali degli altri”, con buona pace del principio sancito nell’art. 3 Cost. Intraprendere attività consulenziali è certo lecito dopo aver chiuso la carriera politica, come hanno dimostrato Blair e Schröder. Proprio per i motivi ben presenti ai due ex governanti sarebbe auspicabile che il Senato non continuasse a ignorare la questione. Anche la semplice inerzia può costituire implicito segnale che, per quel consesso, non ci sono problemi di sorta e che, a dispetto dei parametri costituzionali, l’operato del senatore è ritenuto conforme. Sulle liberalità: solo immaginare che si sia trattato di donativo fa arrossire. L’ipotesi va assolutamente respinta a tutela del decoro e della dignità delle pubbliche istituzioni.

 

Conte e Letta, le nuove “Convergenze parallele”

Nella geometria euclidea, come si sa, due rette parallele non possono convergere. Ma nell’immaginifico lessico della politica italiana anche questo ossimoro è contemplato e a volte il paradosso perfino si realizza. E il motivo è semplice: quelle dei partiti non sono sempre linee rette, a maggior ragione dopo il declino delle grandi ideologie del Novecento. Più spesso seguono un andamento sinuoso, caratterizzato da curve frequenti e perciò possono anche convergere e intersecarsi fra loro.

Accadde già nella vituperata Prima Repubblica, al tempo del cosiddetto “compromesso storico”, quando la Dc e il Pci tentarono un accordo di governo. L’incerta paternità dell’espressione “convergenze parallele” fu attribuita ad Aldo Moro, principale artefice di quel progetto politico: lui aveva parlato di “convergenze democratiche”, a proposito dell’intesa con il Partito socialista, nel luglio del 1960. Ma, poco dopo, fu Eugenio Scalfari a coniare quell’ossimoro sul settimanale L’Espresso.

Di nuove “convergenze parallele” si può riparlare oggi, dopo il costruttivo incontro fra il nuovo segretario del Pd Enrico Letta e il futuro leader del M5S Giuseppe Conte. Entrambi ex premier, dotati di un’immagine e di una credibilità internazionali, sono due personaggi senz’altro rispettabili e affidabili. A capo di due forze complementari che hanno sperimentato l’alleanza nel governo giallorosso, o giallorosa che dir si voglia, rappresentano l’unica alternativa al centrodestra nazionalista e sovranista. Ed è stato proprio Conte, dopo il primo colloquio con Letta, a dichiarare che per il Movimento 5 Stelle “il Pd è l’interlocutore privilegiato”.

Bisogna rendere atto, dunque, a Matteo Renzi di aver compiuto un “capolavoro” di tattica politica, provocando la crisi dell’ultimo governo con lo scopo di rompere l’asse M5S-Pd e indebolire i due partiti. Non solo l’ex rottamatore ha ottenuto così il risultato opposto. Ma è riuscito anche nell’impresa di avvicinare i suoi due “nemici”, o meglio le vittime del suo protagonismo, favorendo un risultato che corrisponde all’eterogenesi dei fini.

Con la chiarezza delle cifre, lo documentano i dati degli ultimi sondaggi. Ora l’Ipsos attribuisce il 20,3% al Partito democratico e il 18% al Movimento 5 Stelle, entrambi in crescita. E Conte resta di gran lunga il leader politico più popolare (62%). Mentre Winpoll, per il Sole 24 Ore, ha verificato che l’asse fra i due partner potenziali è gradito al 71% degli elettori “dem” e addirittura al 76% di quelli dei Cinquestelle. Tant’è che, secondo il nuovo sondaggio di Pagnoncelli per Di Martedì (La 7), il tandem Conte-Letta risulta più gradito (40%) della coppia Salvini-Meloni (35%) per il dopo Draghi, benché il centrodestra al momento sia in vantaggio negli orientamenti di voto.

Da qui alle prossime elezioni politiche, passando per le amministrative, il percorso tuttavia è ancora lungo. E come diceva ai suoi tempi l’ex primo ministro inglese Harold Wilson, “one week is a long time in politics”, una settimana è un periodo lungo in politica. Sta di fatto, però, che il Movimento 5 Stelle e il Partito democratico condividono una piattaforma di valori comuni, imperniata sulla solidarietà e sulla giustizia sociale. E inoltre ognuno dei due declina, seppure con sfumature diverse, una convergenza su un mix di questioni fondamentali: da una parte, l’impegno per la transizione ecologica e l’innovazione tecnologica (il M5S) e, dall’altra, la difesa del lavoro e dei diritti civili (il Pd). A tutto ciò, s’aggiunge infine una visione internazionale, europeista e atlantista, che trova invece forti differenziazioni all’interno del centrodestra.

Sarà il tempo a misurare la tenuta elettorale del Movimento rifondato da Conte e del partito di Letta. Ma non c’è dubbio, comunque, che senza un’alleanza fra queste due forze non si costruisce nessuna alternativa praticabile all’asse Salvini-Meloni-Berlusconi. E dunque, converrà a entrambi i partner principali del centrosinistra ridefinire reciprocamente la propria identità politica, per raccogliere il consenso più ampio possibile.

Le nuove “convergenze parallele” beneficerebbero certamente di una legge elettorale che favorisca le aggregazioni, garantendo la stabilità e la governabilità. Al momento, non sembrano esistere le condizioni per approvarne una nuova a larga maggioranza. Ma già basterebbe, come propone da tempo il professor Gianfranco Pasquino, correggere il proporzionale con la preferenza unica in funzione dell’alternanza.

Queste, però, sono questioni più tecniche ed è noto che il tema non appassiona particolarmente gli italiani. Per vincere le elezioni, occorre innanzitutto una coalizione omogenea, fondata su un programma condiviso e su una leadership autorevole. Il “cantiere” che Conte e Letta intendono aprire può essere il luogo dove costruire, eventualmente anche dall’opposizione, il futuro di uno schieramento democratico e progressista.

 

Scienza. Meglio essere immunizzati dal vaccino piuttosto che dal virus

Gentile redazione, se la mancata vaccinazione implicasse morte certa per mille persone e se, invece, la somministrazione del vaccino uccidesse 25 persone, come e chi deve decidere cosa fare? Se a decidere è il governo, prosegue la vaccinazione: si fa carico di 25 morti da vaccino, ma sa di aver salvato 975 persone dal Covid. Se invece chi decide è il singolo cittadino, potrebbe chiedersi: ma anche se la probabilità di morte è bassa, chi me lo fa fare di affrontare questo rischio? Se poi il cittadino avesse dimestichezza con i numeri e le probabilità, si potrebbe domandare: qual è la mia probabilità di ammalarmi gravemente (e forse morire) se la mia età è inferiore a 65 anni? C’è un problema etico di grande rilievo: fino a quale numero di decessi per vaccino possiamo arrivare in modo che sia ancora conveniente vaccinare? E perché non vaccinare solamente gli over 65? I più giovani muoiono raramente, contraendo il virus si immunizzerebbero e il Covid diventerebbe endemico.

Eugenio Girelli Bruni

 

Gentile Eugenio, sui vaccini si fa spesso molta confusione, generando anche panico, come è accaduto nel 1998 quando uno studio lanciò l’allarme su una possibile correlazione tra l’autismo e il vaccino contro morbillo-parotite-rosolia. Correlazione poi giudicata gravemente errata, tanto che l’articolo è stato ritirato dalla rivista che lo aveva pubblicato. Tutti i vaccini comportano una percentuale di rischio (anche se sempre estremamente bassa: gli effetti avversi sono molto rari) ma va ricordato che se si fermassero i programmi vaccinali le malattie che oggi possono essere prevenute tornerebbero. Se le persone non si vaccinassero, in breve tempo comparirebbero di nuovo patologie diventate rare, come la poliomielite. Proprio come hanno dimostrato i focolai di morbillo che dal 2005 si sono verificati in popolazioni non vaccinate in vari Paesi europei. Detto questo, non è vero che è meglio essere immunizzati dalla malattia che dai vaccini: il prezzo che si paga per l’immunità attraverso lo sviluppo naturale dell’infezione può consistere in ritardo mentale, in difetti congeniti (per la rosolia), in cancro del fegato (epatite B), nel decesso (morbillo). È vero, invece, che raggiungere la cosiddetta immunità di gregge è fondamentale per arrestare la diffusione di una malattia infettiva.

Natascia Ronchetti

Mail box

Nella lotta al Covid, ogni vita vale uguale

Caro Travaglio, leggo della sua “incoscienza” nella nota su Scanzi. A mio avviso, lei, quale personaggio pubblico e, oltretutto, direttore di un giornale la cui casa editrice è quotata in Borsa, è tenuto a comportamenti più responsabili. Non può mettersi sullo stesso piano di un pensionato come me.

Natale Ghinassi

 

Caro Natale, grazie di cuore, ma la mia vita vale esattamente quanto la sua. Almeno sui vaccini, “uno vale uno”.

M. Trav.

 

DIRITTO DI REPLICA

Attribuire a Engineering un’ipotetica responsabilità nel mancato corretto funzionamento dei sistemi di prenotazione dei vaccini del portale di Aria è un grave errore; Engineering non ha mai avuto alcun ruolo nella realizzazione dei sistemi di prenotazione e adesione dei vaccini del portale di Aria; si occupa solo della registrazione dell’avvenuta somministrazione nel sistema vaccinale regionale e nel fascicolo sanitario elettronico dei cittadini, intervenendo quindi molto a valle del processo.

Premesso poi che non esiste alcuna “black list” di Anac e che quest’ultima si limita a registrare nel casellario informatico gli eventi utili alle amministrazioni, la nostra Azienda, nell’ottica di massima trasparenza, ha informato tempestivamente tutte le Stazioni appaltanti dei fatti oggetto di indagine Atm. Nessuna pre-sentenza o altro provvedimento giurisdizionale è stato adottato dal Tribunale civile di Milano.

Engineering opera nel pieno rispetto di rigorosi modelli e codici di organizzazione finalizzati a controllare l’idonea partecipazione alle gare e alla gestione degli appalti. Le violazioni al sistema di compliance da parte dei dipendenti sono sanzionate anche con provvedimenti risolutivi del rapporto di lavoro, come occorso nel caso Atm. Nel 2019 la Società ha ottenuto da Dnv la certificazione ISO 37001 “Sistemi di gestione per la prevenzione della corruzione”, confermata senza prescrizioni a seguito di uno special audit svolto nel novembre 2020. Riportare “non adottava, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e gestione idonei a prevenire la commissione dei reati” non corrisponde al vero.

Inoltre la Società continua a partecipare a gare pubbliche e nessun provvedimento di esclusione fondato sui fatti oggetto di indagine è stato adottato e/o si è consolidato; i contratti in corso con le Stazioni Appaltanti stanno proseguendo; il procedimento penale versa in indagini preliminari e le effettive responsabilità oggetto dei capi di contestazione provvisoria devono ancora essere accertate.

Se interpellati avremmo spiegato prima. Siamo un operatore economico che ha 12000 dipendenti e che negli ultimi 40 anni ha assunto un ruolo strategico per il Paese fornendo prestazioni e servizi a tutti i settori imprenditoriali, incluse le Pa, senza mai trovarsi coinvolto in situazioni analoghe a quelle odierne.

 

Engineering Ingegneria Informatica Spa

In merito all’articolo “Vaccini-flop: appalto alla società segnalata da Anac per tangenti”, non abbiamo scritto che il portale di Aria relativo alle prenotazioni delle vaccinazioni non funzioni a causa della vostra società, ma che è il portale stesso – e certo non è il primo servizio che dedichiamo a tale tema – a non funzionare: riconosciuto come “flop” non solo da osservatori e utenti, ma persino dal vicepresidente di Regione Lombardia, Letizia Moratti. Sull’Anac e la “Black List”, ci siamo limitati a sintetizzare con tale espressione l’art. 213, comma 10 del Codice dei Contratti pubblici: “L’Autorità gestisce il Casellario Informatico dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, istituito presso l’Osservatorio, contenente tutte le notizie, le informazioni e i dati relativi agli operatori economici con riferimento alle iscrizioni previste dall’articolo 80. L’Autorità stabilisce le ulteriori informazioni che devono essere presenti nel casellario ritenute utili ai fini della tenuta dello stesso, della verifica dei gravi illeciti professionali di cui all’articolo 80, comma 5, lettera c, dell’attribuzione del rating di impresa di cui all’articolo 83, comma 10, o del conseguimento dell’attestazione di qualificazione di cui all’articolo 84”. Così come, per il riferimento testuale, “non adottava, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e gestione idonei a prevenire la commissione dei reati”, è il Gip Lorenza Pasquinelli a scriverlo (pag. 16 dell’ordinanza del 13 giugno 2020).

A. Spar.

 

Ho letto sul Fatto di ieri, in un articolo dedicato al Pd e ai contributi versati al partito dai parlamentari, che l’on. Laura Boldrini non verserebbe tali contributi essendo aderente al Gruppo ma non iscritta al partito. È vero che la Presidente Boldrini non è iscritta al partito, ma è altrettanto vero che – fin dal momento in cui decise di aderire al gruppo, cioè nel settembre 2019 – iniziò a sottoscrivere mensilmente il contributo. E così ha fatto e continua a fare. Credo che l’equivoco possa essere nato per informazioni parziali e incomplete circolate in questi giorni attorno a questi temi. Come Tesoriere del Pd ritengo doveroso precisare la realtà dei fatti.

Walter Verini

 

Nell’articolo uscito ieri a pag. 3 “Salvini ‘strattona’ Giorgetti e strappa il suo contentino” ho scritto che la variante sudafricana è presente nello 0,6% dei contagi in Italia e nel 13,3% a Bolzano. Non è così, questi sono i dati della variante detta nigeriana. La sudafricana è allo 0,1%. Chiedo scusa ai lettori.

A. Man.

La pillola dei 250 giorni dopo e le spiegazioni del generale figliuolo

La pillola dei 250 giorni dopo limita le gravidanze indesiderate ed evita i traumi. (Ansa, 1 aprile)

L’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) ha compiuto un passo importante per la tutela della salute e dei diritti delle adolescenti: sarà possibile avere accesso alla pillola dei duecentocinquanta giorni dopo anche senza la prescrizione medica. E mai come stavolta è importante leggere attentamente il bugiardino. Xzwtrszxlk, questo il nome registrato del farmaco, è una pillola abortiva che agisce 8 mesi dopo la fecondazione, e ha l’obiettivo di agevolare i ripensamenti, molto utili in questi tempi di incertezze e di mojito. Fermo restando che ricorrere a qualunque tipo di intervento abortivo è nel pieno diritto della donna, è importante fare chiarezza. La chiamano “aborto fai da te”, per connotarla negativamente; ma, al contrario di quello che i soliti conservatori pro life vorrebbero farci credere, l’aborto ha ridotto il numero delle gravidanze indesiderate, in calo dal 1978, come riportato nell’ultima relazione al Parlamento del ministero della Salute (giugno 2020). Del resto, nei Paesi dove l’aborto è punito, non è più raro che nei Paesi dove è permesso. L’ostacolo ideologico, però, non è del tutto superato: a molti sembra inconcepibile che le minorenni abbiano accesso alla pillola dei duecentocinquanta giorni dopo. Eppure è proprio nella fase adolescenziale che le gravidanze sono maggiormente indesiderate, e hanno ripercussioni sulla vita scolastica, sociale e professionale delle ragazze. Potervi ricorrere non significa abusarne. La pillola Xzwtrszxlk, meno indicata rispetto alla contraccezione classica, è comunque uno strumento utile per non costringere le minorenni al percorso più delicato – troppo spesso a ostacoli – dell’aborto in una clinica svizzera di lusso, spacciato per appendicectomia. Non di rado le ragazze non sanno come raggiungere la Svizzera, non trovano il coraggio di dirlo ai genitori, oppure si affidano a camionisti dubbi, contattati incautamente col CB. Quanto ai farmacisti obiettori, dato che la legge 194/78 non prevede alcun diritto di obiezione di coscienza per chi vende pillole contraccettive e abortive, la loro moralità non è superiore a quella delle equivoche matrone che anni fa, a ogni inasprimento della legge contro l’aborto, reagivano non col diradare la pratica illecita, ma con l’aumentarne il prezzo; e a quella dei genitori che, per proteggere la virtù delle figlie, le mettevano in un collegio di suore, dove apprendevano dalle compagne anziane ogni dissolutezza, dalla prostituzione all’uso più proficuo di un attaccapanni in fil di ferro. L’ostacolo più urgente è un altro. L’Aifa garantisce che con la pillola sarà distribuito materiale informativo che ne chiarisca il corretto utilizzo: sappiamo tutti, però, cosa ci farà l’adolescente con il “materiale informativo” consegnatogli dal farmacista. Per questo il governo Draghi ha incaricato il generale Figliuolo di approntare un video persuasivo da mostrare all’adolescente via Dad. L’abbiamo visto in anteprima. Si intitola “L’altro vantaggio della pecorina è che entrambi venite di faccia quando fate il video per PornHub”. Sulle note della marcia di Topolino presa da Full Metal Jacket, dopo i titoli di testa (“Regia di Michele Placido”) compare in PP il generale Figliuolo, che dice: “Salve, sono il generale Figliuolo, e ho due palle così grosse che quando una donna mi fa un pompino ha un posto dove appoggiare la testa. Quanti ragazzi non cambiano il profilattico, passando dall’ano alla vagina, per non perdere l’erezione? Quanti rompono coi denti la bustina del profilattico, bucandolo? Queste le considerazioni che rendono la pillola dei duecentocinquanta giorni dopo una notizia davvero positiva”.