Lo “scudino” per i medici: “Oltre non si può andare”

Italia rossa o arancione fino al 30 aprile, obbligo vaccinale per gli operatori sanitari, scudo penale per i vaccinatori e riapertura delle scuole fino alla prima media. Questo, in sintesi, il contenuto del decreto legge approvato ieri dal Consiglio dei ministri.

Continuano le restrizioni, ma il cdm può derogare

Dal 7 aprile – data di entrata in vigore del decreto – al 30 aprile, in tutto il territorio nazionale si applicano “le misure di cui al provvedimento adottato in data 2 marzo 2021”, ossia tutta Italia rossa (spostamenti vietati anche nel comune di residenza se non per motivi di necessità, bar e ristoranti chiusi, aperti solo gli esercizi necessari) o arancione (vietato uscire dal proprio comune, bar e ristoranti chiusi, stop ai centri commerciali). Tuttavia, dispone l’art. 1 “in ragione dell’andamento dell’epidemia, nonché dello stato di attuazione del piano nazionale dei vaccini”, il Consiglio dei ministri ha facoltà di “derogare alle norme stabilite dal provvedimento”.

Scuole aperte Le regioni non possono chiudere

All’art. 2 il decreto dispone la ripresa delle lezioni in presenza “sull’intero territorio nazionale” per le scuole dell’infanzia, le scuole elementari e le prime medie. La disposizione “non può essere derogata da presidenti delle Regioni e delle Province autonome”: In zona rossa, dalla seconda media in su, le lezioni si svolgono “esclusivamente in modalità a distanza”, mentre nelle zone arancioni l’attività didattica in presenza va garantita “ad almeno il 50 per cento e fino a un massimo del 75 per cento della popolazione studentesca”.

Lo scudo per i vaccinatori La protezione minimal

L’art. 3 introduce l’annunciato “scudo penale” per il personale addetto alla vaccinazione: “Per i fatti di cui all’articoli 589 e 590 del codice penale (omicidio colposo e lesioni colpose, ndr) verificatesi a causa della somministrazione di un vaccino per la prevenzione delle infezioni da Sars-CoV-2, effettuata nel corso della campagna vaccinale straordinaria (…) la punibilità è esclusa quando l’uso del vaccino è conforme alle indicazioni contenute nel provvedimento di autorizzazione in commercio emesso dalle competenti autorità”. Una formulazione minima – a quanto si apprende imposta dalla ministra della Giustizia Cartabia secondo la quale non è possibile andare oltre – che ha già provocato il disappunto dei sindacati dei medici. Se ne riparlerà in sede di conversione in legge.

Vaccino obbligatorio anche per i farmacisti

L’art. 4 introduce, come previsto, l’obbligo vaccinale per “gli esercenti le professioni sanitarie” (farmacisti compresi). L’elenco dei soggetti interessati è stilato a cura degli ordini professionali regionali, la verifica dell’avvenuta vaccinazione spetta alle Regioni, che segnalano alle aziende sanitarie locali i casi di non ottemperanza. Chi non si vaccina viene convocato e se persiste nella sua scelta viene sospeso “dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali” e può essere adibito a mansioni “anche inferiori”. Quando una diversa mansione non sia possibile, la retribuzione “non è dovuta”. Il tutto, però, non oltre “il 31 dicembre 2021”.

Parenti e amici stop alle visite

Nel weekend di Pasqua sarà possibile andare a trovare parenti o amici (purché sia una volta sola al giorno, in massimo due persone oltre ai minori di 14 anni), ma dal 7 fino al 30 aprile non sarà più consentito

Moratti: “Più vaccini qui che in Olanda” Però è un’altra balla

Dall’arrivo di Poste agli sms per gli over 80; dalle vaccinazioni di fragili e caregiver fino ad Aria. Nell’ultimo mese non si contano annunci, promesse e date ultimative annunciate dal trio Attilio Fontana, Letizia Maria Brichetto Arnaboldi in Moratti e Guido Bertolaso, e poi regolarmente smentite.

L’ultima della serie è arrivata ieri, alla conferenza stampa per la visita del generale-commissario Francesco Paolo Figliuolo, quando sono state comunicate tre date diverse per il debutto del portale di Poste. Per il Generale, parte oggi; per Fontana il 2 aprile, per l’entourage del presidente, “ancora non c’è una data certa, diciamo dai primi di aprile…”. Ma non è un’informazione da poco, visto che come detto da Fontana: “La vaccinazione massiva inizierà quando avremo il portale di Poste, centri vaccinali e vaccini a disposizione”. La fase massiva “partirà dopo il 13-14 di aprile”, dice il presidente, ma si ignora per quale categoria: se per i soli 79enni, o per la fascia 75-79 anni. Così fanno sorridere le parole di Bertolaso del 22 marzo: “Dai primi di aprile, prima di Pasqua, deve andare tutto alla perfezione”.

Del resto, sull’arrivo di Poste molte se ne sono dette: “Il sistema entrerà in vigore fra 10 giorni”, profetizzava Moratti il 7 marzo a Mezz’ora in più. La stessa ieri si è vantata del fatto che la Lombardia sia la regione col maggior numero di dosi fatte, 1,57 milioni: “Abbiamo vaccinato più della Svezia, del Belgio e dell’Olanda”, ha detto. Una balla, visto che la Svezia ha somministrato 1,58 milioni di dosi, il Belgio 1,77 e l’Olanda 2,38 milioni.

Ma il capitolo più imbarazzante è quello degli over 80. La Regione Lombardia aveva promesso l’appuntamento a tutti entro il 18 marzo, data slittata in corso d’opera fino al 5 aprile, con fine somministrazioni per l’11 dello stesso mese. A chi glielo ha fatto notare, ieri Fontana stizzito ha risposto che gli over 80 vaccinati sono oggi il 60% e che i circa “70 mila che non si sono prenotati saranno contattati”. Ma non è così: secondo i dati, a fronte di una platea di 725.923 over 80, hanno aderito alla piattaforma di Aria in 659.374. È solo su questi che Fontana cita le percentuali, dimenticando i non iscritti. Circa gli iscritti, 176.055 hanno ricevuto prima e seconda dose, mentre 226.984 solo la prima. Mancano ancora 66.549 anziani mai contattati. E che solo adesso si accinge ad avvicinare.

Non che a quelli che l’sms l’hanno invece ricevuto, vada meglio: molti hanno infatti avuto un appuntamento senza data/luogo/ora; altri sono stati mandati anche a 170 km di distanza; altri ancora continuano a citofonare a una casa privata, perché l’indirizzo è sbagliato (accade a Lodi). Il 30 marzo il Corriere denunciava come “Non sono ancora arrivati a tutti gli ultra80enni in attesa i messaggi che è stato assicurato sarebbero arrivati entro ieri”.

Altra nota dolente, la vaccinazione di fragili e relativi caregiver: i più vulnerabili (105.000 persone) dovranno aspettare il 6 aprile per essere contattati telefonicamente per fissare gli appuntamenti, che partiranno dal 15 aprile. Per i caregiver, invece, non vi è alcuna chiarezza.

Infine c’è il capitolo Aria: Fontana, schiacciato dai mal funzionamenti del portale, ha ordinato ai membri del cda di dimettersi. Nessuno della maggioranza ha però voluto rivelare che abbia ordinato il 7 febbraio scorso – quando Poste che fino a quel giorno aveva trattato con Regione per gestire il Piano vaccinale, saluta e se ne va – di dare l’incarico alla società regionale. Bertolaso, indicato da un ex membro del Cda come l’autore della scelta, ha detto che lui di “Aria non sapeva neanche l’esistenza”. Ma nella delibera regionale 4353 del 24.02.2021, che approva il Piano vaccinale, è scritto chiaramente che la responsabilità dei sistemi informativi è del “Comitato Esecutivo” del quale Bertolaso è “coordinatore”.

Zone gialle, Salvini va a sbattere “Draghi? Sembrava la Azzolina”

Solo ieri mattina Matteo Salvini ha capito che aveva perso. Ha parlato con Roberto Speranza, gli ha detto: “Guarda che io non sono negazionista, però non si può chiudere 60 milioni di italiani fino a maggio, dico solo che se i dati sono da zona gialla bisogna andare in zona gialla”. E il ministro della Salute ha risposto: “Lo so, nessuno si diverte a chiudere, ma sono gli scienziati a dire che la zona gialla non basta”. Il Comitato tecnico scientifico lo dice da metà febbraio, da quando i contagi sono risaliti con la variante inglese. Speranza ha invitato Salvini a guardare ai numeri delle terapie intensive “occupate al 41%” e a “cosa succede in Francia”, dove proprio ieri Emmanuel Macron ha chiuso per tre settimane le scuole che non voleva chiudere.

Poi Salvini ha visto la bozza del decreto e ha tempestato Mario Draghi di messaggi. Niente da fare. “Non faremo scelte che rischiano di mettere in pericolo le persone”, gli ha detto Draghi. Salvini voleva il meccanismo “automatico” e non c’è, la zona gialla e non c’è, il riferimento a “bar e ristoranti” e non c’è. Il decreto approvato ieri proroga le misure in vigore dal 6 marzo: nelle zone gialle (Rt sotto 1) si applicano le regole dell’arancione fino al 30 aprile; con Rt sopra 1,25 o 250 contagi a settimana ogni 100 mila abitanti si va in rosso. Il contentino per Salvini è scritto subito dopo, sempre all’articolo 1: “In ragione dell’andamento dell’epidemia, nonché dello stato di attuazione del Piano strategico nazionale dei vaccini (…), con deliberazione del Consiglio dei ministri, sono possibili determinazioni in deroga al primo periodo e possono essere modificate le misure”.

È una norma quasi pleonastica, il governo può comunque revocare, attenuare e modificare. E altre modifiche può farle, in sede di conversione in legge, il Parlamento, sempre che discuta il decreto prima del 30 aprile. Anzi il M5S si preoccupa che la Lega, riconsegnando anche il potere di deroga al govermno, voglia ora “esautorare il Parlamento” dopo che per un anno “si è stracciata le vesti e ha gridato allo scandalo” perché “il Parlamento veniva esautorato” dal governo Conte 2. Però Dario Franceschini, Andrea Orlando e Stefano Patuanelli si sono opposti anche al contentino: “Si dà un messaggio sbagliato”. “Bisogna dare una speranza”, replicavano Giancarlo Giorgetti e la ministra forzista degli Affari regionali, Mariastella Gelmini. Però Giorgetti, numero due della Lega, a Palazzo Chigi è arrivato già sconfitto. Salvini lo sapeva, infatti ha cercato di trattare personalmente. Giorgetti non ha insistito sulla zona gialla ma, sempre con Gelmini, per eliminare la zona rossa sopra i 250 contagi a settimana ogni 100 mila abitanti: “Si penalizzano le Regioni che fanno più tamponi”. La norma però rimane. E intanto, sulle chiusure, il segretario del Pd Enrico Letta ha incontrato e il presidente di Confindustria Carlo Bonomi. Protestano per le chiusure i Comuni: “Per la prima volta non siamo stati consultati”, dice l’Anci.

Riaprono invece, come sappiamo, le scuole: fino alla prima media nelle zone rosse; in quelle arancioni anche le seconde e terze medie e le superiori almeno al 50%. Raccontano che Draghi abbia detto che “qualunque margine per le aperture sarà usato per le scuole”. Commenta una fonte governativa: “Sembrava Lucia Azzolina”, la ex ministra M5s che si è battuta a lungo per riaprirle l’anno scorso.

Speranza ha espresso “soddisfazione per un decreto legge che mette la tutela della salute al primo posto”. Così anche Orlando: “La procedura” per eventuali deroghe, ha detto, “mi pare sarà sostanzialmente quella di sempre e cioè che se i dati migliorano, si rivedono anche le regole restrittive. Speriamo tutti che migliorino”. Patuanelli: “Se non vinciamo la battaglia sanitaria non possiamo pensare di vincere quella economica”. La Lega invece esalta il contentino: “Abbiamo commissariato Speranza e il Cts”. Ma in privato anche i fedelissimi ammettono: “Abbiamo perso”.

L’Onorevole Sospensorio

Si spera vivamente che, dopo tutto il tempo dedicato alle quote rosa nel Pd, Enrico Letta trovi qualche minuto anche per le quote marron. In particolare per Luca Lotti, regista dell’elezione delle nuove capegruppe Malpezzi e Serracchiani. Parliamo infatti del capo della corrente più potente del partito, quella renziana, detta simpaticamente “Base riformista”, che vanta altri big del calibro di Marcucci e Guerini (e, se questa è la base, non osiamo immaginare l’altezza). Rinviato a giudizio per rivelazione di segreto (le microspie negli uffici Consip) e dunque “sereno”, il Lotti è anche uno dei protagonisti del caso Palamara che da due anni terremota la magistratura italiana. Uno scandalo che non gli è costato guai penali, ma deve avergli instillato un vago sospetto di scorrettezza, se sentì il bisogno di “autosospendersi” dal Pd il 14 giugno 2019 in attesa dei “probiviri” (mai visti né sentiti). Sono trascorsi 22 mesi e lui è sempre autosospeso, anche se non si è ben capito cosa ciò comporti, visto che da una posizione così precaria continua a frequentare la Camera (con relativo stipendio) e a fare e disfare nel Pd. Forse è ricorso a un sospensorio, per attutire il penzolamento e garantirsi una certa stabilità. Zinga lo lasciò lì appeso, confidando nell’oblio generale. Ma ora c’è il “decisionista” Letta e una parola chiara dovrebbe dirla, non foss’altro che per liberarlo da quella scomoda postura da insaccato, da caciocavallo, da pipistrello e restituirlo al consesso civile.

Per agevolargli il compito, gli riassumiamo i fatti. Il caso Palamara nasce dagli allegri conversari notturni all’hotel Champagne fra il pm Palamara e i deputati Lotti e Cosimo Ferri (magistrato in aspettativa, all’epoca nel Pd e ora naturalmente in Iv) sulle nomine dei procuratori. Palamara faceva il suo sporco mestiere di capocorrente dedito alle raccomandazioni e alle lottizzazioni togate. Dunque gli intrusi erano Lotti e Ferri. Soprattutto Lotti che, essendo imputato per Consip proprio nella Capitale, tutto avrebbe dovuto fare fuoché occuparsi della nomina dei procuratori di Roma (che indaga su di lui), di Perugia (che indaga sui magistrati capitolini) e di Firenze (che indaga sulla famiglia Renzi). Ieri, forse dimentico persino lui di essere autosospeso, Lotti ha dato un’intervista al Foglio (che non gli ha chiesto di Palamara: certe cose non si fanno) per sciogliere un peana alla nobiltà delle correnti, soprattutto la sua, che ha conservato le “idee riformiste” di Renzi anche dopo la dipartita del de cuius; e per minacciare di “stimolare Letta”, come già Zingaretti. Che fa ora Letta: si tiene Lotti o lo caccia? L’unica cosa che non può fare è lasciarlo lì sospeso a penzoloni. Il sospensorio scricchiola: sta cedendo.

Monroe, Gable, Miller e Clift: quanti “Spostati” a Hollywood

“Siamo tutti bombardieri ciechi, Roslyn, uccidiamo gente che non abbiamo mai visto… Vedi, Roslyn, gettare una bomba è come dire una bugia, rende tutto così tranquillo. Dopo un po’, non senti più niente, non vedi più niente. Nemmeno tua moglie. Ora è diverso perché vedo te. Tu sei la prima donna che vedo veramente”.

Chi non ricorda Gli spostati? Il titolo italiano è fascinoso, però non dà contezza dell’originario The Misfits, più fedelmente “I disadattati”. Pace per i personaggi, il disadattamento segnalava invero un mancato adattamento, dal testo di Arthur Miller al film di John Huston. È lo stesso Miller ad avvertire il lettore: “Si noterà che è un’opera scritta in forma insolita, né romanzo, né dramma, né sceneggiatura… Si tratta di una storia concepita come film. Ogni parola è lì allo scopo di dire alla telecamera cosa vedere e agli attori cosa dire… In un certo senso è stato come se già esistesse un film, e lo scrittore stesse cercando di ricrearlo in ogni suo effetto attraverso il linguaggio, così che… ne è gradualmente venuta fuori una strana forma di narrativa… ma che mi sembra abbia forti possibilità di riflettere l’esistenza contemporanea”.

Detto che Gli spostati dovrebbe essere il livre de chevet di ogni sceneggiatore, Miller ne fece una bomba a frammentazione lanciata nella terra di nessuno tra letteratura e cinema: si contarono i morti, si cantò la leggenda. Il film è uno splendido sessantenne: uscì il 1° febbraio del 1961 in America, il 10 maggio dello stesso anno da noi, affidando a Clark Gable, Marilyn Monroe, Eli Wallach e Montgomery Clift la missione di incarnare le vite spezzate dalla contemporaneità, al triangolo Clark (il cowboy Gay), Eli (il meccanico aviatore Guido) e Marilyn (la bella Roslyn) di prevenire il Jules et Jim dell’anno seguente, a Miller di sovrascrivere il proprio amore per la Monroe.

Gli spostati torna in libreria con Nutrimenti nella sapiente traduzione di Nicola Manuppelli, cui si deve anche una ghiotta postfazione. Nato sotto il segno del meticciato funzionale, financo dell’eterodossia semiologica, crebbe sul set a immaginario e somiglianza dell’eresia cui s’era votato: amori, morti e altri disastri, la teoria a forzare la prassi, la filmografia a deflagrare le biografie. E spostare i confini di Hollywood più in là: un figlio unico, con una madre, molti padri e nessun erede, questo è The Misfits.

Non fece prigionieri: fu l’ultimo film di Clark Gable, che se ne andò di lì a poco, appena cinquantanovenne, con un figlio postumo, John Clark; fu l’ultimo film completo di Marilyn Monroe, che morì il 4 agosto del 1962, a trentasei anni, per overdose di barbiturici. Un De profundis preterintenzionale, da cui l’eros non marcò visita: la storia tra Miller e Monroe era agli sgoccioli, giacché divorzieranno in Messico nel gennaio del 1961 a macchina da presa ancora calda, eppure Roslyn, che rimarrà tra i suoi ruoli migliori, non calza solo a pennello a Marilyn, l’inedita foggia drammatica rivela un surplus di sentimento, la firma non dello sceneggiatore, ma dell’uomo.

Sul set Arthur avrebbe conosciuto la seconda moglie, la celebre fotografa Inge Morath, sul set Marilyn avrebbe girato la prima scena di nudo del cinema americano, poi tagliata al montaggio. Questi fantasmi, e nel novero è pure Montgomery Clift: nel 1956 – sta girando L’albero della vita… – un incidente d’auto lo sfigura, l’amica Liz Taylor gli leva dalla gola il dente che lo sta soffocando, non la necessità di un intervento chirurgico che lo lascerà preda di antidolorifici e alcool, fino alla morte nel 1966. The Dead, da James Joyce, sarebbe stato nel 1987 il film terminale di John Huston, qui dirigeva ancora i vivi: Clark, Marilyn e gli altri spostati.

Anch’egli si concesse uno spostamento di non poco conto: Miller aveva pensato di usare gli spazi aperti per esprimere l’interiorità dei personaggi, viceversa, Huston optò per i primi piani, “perché – scrive Manuppelli – i volti di quegli attori contenevano già quegli ‘spazi’, quelle solitudini, quell’essere ‘fuori posto’”. Come cavalli selvaggi.

 

“I filosofi lustrascarpe, gli intestini degli autori e il corpo che mi rende anticonformista”

Avrei voluto avere Swift per parrucchiere, Sterne per barbiere, Newton a colazione e Hume all’ora del caffè.

Si potrebbe scrivere una dietetica per la sanità del cervello.

Quest’uomo aveva tanta intelligenza che nel mondo non lo si poteva quasi utilizzare in niente.

Le è piaciuto stare con noi? Risposta: moltissimo, quasi quanto se fossi rimasto in camera mia.

Nel bastonare era trasportato da una specie di istinto sessuale; bastonava solo sua moglie.

Ciò che loro chiamano cuore è molto al di sotto del quarto bottone del panciotto.

Non aveva della finezza vera e propria: ma all’occorrenza conosceva l’arte di cavalcare sulle spalle del vicino.

Era uno di quelli che vogliono fare le cose sempre meglio di quanto richiesto. È una qualità orribile in un servo.

I filosofi (i cosiddetti re del mondo) in verità sono solo i lustrascarpe della posterità.

La sua sottana era rossa e azzurra, a larghe strisce, come fosse fatta della stoffa per un sipario. Avrei pagato molto per un primo posto, ma non c’è stata rappresentazione.

Non esiste essere più perfido e maligno sotto il sole di una puttana che per vecchiaia è costretta a divenire bigotta.

Già Holberg ha detto: non è la volontà, è il mio corpo che mi rende nonconformista.

Gli altri compiono le imprese e noi ne traduciamo le narrazioni in tedesco.

Tra le maggiori scoperte fatte dall’intelligenza umana negli ultimi tempi va annoverata, secondo me, l’arte di giudicare i libri senza averli letti.

Se un’altra generazione dovesse ricostruire l’uomo in base ai nostri scritti sentimentali lo vedrà come un cuore provvisto di testicoli. Un cuore con uno scroto.

Peccato che non si possano esaminare i dotti intestini degli scrittori per vedere che cosa hanno mangiato.

Niente contribuisce di più alla quiete dell’animo del fatto di non avere alcuna opinione.

Ci sono effettivamente molti uomini che leggono per non dover pensare.

Lichtenberg, il fisico aforista

Ci vuole il fisico per scrivere aforismi: Georg Christoph Lichtenberg, professore di Fisica – straordinario, poi ordinario – all’Università di Göttingen negli anni Settanta del Settecento.

Scienziato di genio – scopritore delle eponime “Figure” e membro della Royal Society –, Lichtenberg riceve la visita e gli onori persino di Alessandro Volta, in trasferta in Germania per carpire segreti sull’elettricità. Georg nicchia: “La natura: una pelle sull’occhio”. Cinico e sagace, Lichtenberg ottiene la fama non solo come elettricista: le sue lezioni accademiche di fisica sperimentale sono un successo, affollate da studenti e curiosi; scrive con gusto e seguito su diverse testate, da lui stesso fondate o redatte; è un letterato raffinatissimo, amico e nemico di Goethe e Kant; ha la gobba, come Leopardi; è un intellettuale anticonformista per l’epoca, ovvero antiromantico, odiando i contemporanei Stürmer, quelli dello Sturm und Drang. Ma soprattutto il fisico vanta una penna al vetriolo, ironica e versatile, specie nelle forme brevi, aforistiche e iconoclaste.

“Dicono che si spara benissimo quando uno ha bevuto: vedete l’affinità che esiste tra tirassegno e poesia”. Ora una raccolta ragionata di Osservazioni e pensieri torna in libreria con Fiorenzo Albani Editore: in Italia il libro fu scoperto solo nel 1966, grazie a Cesare Cases, che lo fece pubblicare da Einaudi. Per il curatore Nello Sàito, Lichtenberg è un “aforista involontario”, da accostarsi non tanto a Schlegel o Novalis quanto a Pascal e La Rochefoucauld, benché suoi figliocci si considerino Nietzsche e Kraus, maestri di prosa fulminante e fumantina.

L’umorismo in Georg è verosimilmente congenito, essendo nato in una famiglia di pastori protestanti (padre e nonno), ultimo di diciassette figli: classe 1742, a soli otto anni la sua schiena diventa deforme a causa di un incidente, ciononostante è un discreto seduttore. Il suo grande amore è M. Dorothea Stechard, fioraia dodicenne, che porta a vivere con sé ma non riesce a sposare: lei muore prima. In lui però sopravvive la passione per le ragazzine: nel 1783 conosce la 15enne Margarete Kellner e, anche qui, se la trascina in casa molto prima di sposarla, sei anni dopo; nel frattempo i due hanno già avuto due figli, ne seguono altri quattro prima che Georg spiri nel 1799, a neanche 57 anni. “Il buon Dio deve volerci proprio bene: viene da noi sempre col cattivo tempo”.

I brevi componimenti della raccolta sono tratti dai quaderni dell’autore, scritti dal 1764 alla morte (ma usciti postumi, dal 1800 in poi, col titolo di Aphorismen), e ordinati per temi, dalla “Politica” alle “Idee”, dalle “Donne” alla “Scienza”, dalla “Verità da due soldi” a “Paesi e popoli” (“L’asino? Un cavallo tradotto in olandese”, il grande nemico), di cui qui accanto anticipiamo qualche stralcio.

“Bisogna sperimentare con le idee” è il motto dello scienziato letterato, bastian contrario per natura, conservatore coi progressisti – “La Rivoluzione francese: opera della filosofia… Ora cola il vino dei martiri” – e liberale con gli autoritari – “In Francia si fa più alla svelta: si portano via le opinioni con tutta la testa”. Lichtenberg è nobile coi camerieri e popolano con gli intellettuali, uno snob delizioso: “La gente che non ha mai tempo fa pochissimo”.

Se la prende con tutto e tutti, come da trazione satirico-moralista: contro la cara patria tedesca, che “tassa” la comicità e l’ingegno; contro i giornali di politica e cianfrusaglie; contro l’ottusità umana, il qualunquismo, la stupidità: “Oltre alle qualità ch’egli aveva in comune con ogni specie di animali ne aveva in comune con i termometri, gli igrometri e i barometri”. Il bersaglio preferito – da buon aforista – è però la lunghezza, la vaghezza, la prolissità: “Non scrivete un libro su soggetti che possono essere esauriti in un articolo di un settimanale, e di due parole non fate un periodo. Quello che un imbecille riesce a dire in un libro sarebbe sopportabile se lo dicesse in tre parole”. Grazie, eh.

Vaccini e gaffe: la guerra lampo del gen. Figliuolo

“Generale, non potrebbe fornirci un quadro un po’ meno rassicurante e ottimista?”. Tocca alla senatrice Udc Paola Binetti l’ingrato compito di frenare gli entusiasmi nelle commissioni Affari sociali di Camera e Senato, riunite ieri per l’audizione del commissario per l’emergenza, nonché Generale, Francesco Paolo Figliuolo.

Il militare, neanche a dirlo in divisa e accompagnato dal fardello dei nastrini sul petto, è in effetti in Parlamento per confermare che la gioiosa narrazione scelta dai grandi giornali e dai grandi partiti è quella giusta: sui vaccini “c’è un cambio di passo”, “c’è grande determinazione”, “si dà impulso” e così via. Tanto che si arriverà, come aveva già annunciato Roberto Speranza a inizio mese, “ad avere l’80% degli italiani vaccinati il 30 settembre”. Un risultato possibile, assicura Figliuolo, raggiungendo “le 500 mila somministrazioni al giorno entro la terza settimana di aprile”, anche grazie ai “trend in crescita” sulle punture e all’imminente arrivo “di oltre 8 milioni di dosi, 400 mila delle quali del tipo Johnson&Johnson”.

La retorica è un po’ quella della trincea, del nemico alle porte. Ci sono “le linee operative da seguire per completare una campagna rapida”, tipo guerra lampo, c’è la volontà “di progredire senza soluzione di continuità nel piano vaccinale”, a mo’ di invasione della Polonia nel 39, c’è il solenne impegno che “nessun italiano, da Pantelleria a Silandro, abbia chance diverse di vaccinarsi”. E c’è ovviamente “l’onore di servire il Paese in un momento così delicato della sua storia”.

Roba che a metà audizione qualcuno ha già lasciato la sala, probabilmente diretto sul Carso canticchiando qualche ode alla montagna. Franco Zaffini, senatore di Fratelli d’Italia non si tiene più: “Le faccio le congratulazioni perché lei veste una divisa per la quale io ho grandissimo rispetto e che corrisponde ai miei valori”. Se FdI è l’unico partito di opposizione, figurarsi gli altri.

Nell’euforia collettiva, ai più sfugge però un imprevisto cambio di rotta del Generale, colui che un paio di settimane fa aveva consegnato alla nazione il sacro editto: “Pur di non buttare via le dosi, vacciniamo chiunque passi”. Figliuolo, forse traumatizzato dal recente tour nelle Regioni più disastrose nella somministrazione, deve essersi insospettito tanto che, quando i parlamentari gli chiedono di inserire tra le categorie fragili questa o quella classe di lavoratori, lui ammonisce tutti: “Capisco le richieste riguardo all’inserire altre categorie tra le priorità. Però io vi induco a una riflessione, perché se non abbiamo un criterio più oggettivo possibile rischiamo di fare nepotismo”. Dunque va bene vaccinare “chi passa di lì”, ma fino a un certo grado di parentela.

A ogni modo, Figliuolo è parecchio rincuorato dal confronto coi parlamentari e si vede. Dopo gli interventi di onorevoli e senatori, il commissario sembra stupito: “Ringrazio tutti voi, più per le critiche che per gli apprezzamenti”. Un giusto plauso ai pungoli, ma soprattutto un messaggio beffardo al suo predecessore Domenico Arcuri, uno che se le critiche fossero motivo di riconoscenza dovrebbe passare la pensione a sdebitarsi.

Ora però il clima è cambiato e l’unica cosa a cui deve fare attenzione Figliuolo è di non inciampare in qualche gaffe. Lui lo sa e per esorcizzare gli scivoloni ci ride su: “Qui a fianco a me c’è Pierpaolo Sileri che prego di riprendermi se dovessi dire qualche strafalcione. Vorrei evitare il combinato disposto Crozza-Littizzetto”.

Buon tentativo, ma verso la seconda ora di audizione la stanchezza si fa sentire anche per i militari più decorati e sopraggiunge il più fantozziano dei lapsus: “Insieme al ministro Salute…”. Sarebbe Roberto Speranza, ministro della Salute (e non della Speranza), ma per fortuna il commissario se ne accorge subito e si corregge, peraltro sottovalutando la sua capacità di persuasione nei confronti degli ascoltatori, probabilmente davvero convinti per un attimo che nell’esecutivo dei migliori ci fosse una new entry.

D’altra parte è lo stesso Figliuolo a lasciare ai parlamentari una pillola di umiltà, citando il vecchio monito dedicato ai Generali di ritorno dalla battaglia: “I miei non sono toni trionfalistici, il trionfo lo si ha a risultato acquisito. C’è sempre qualcuno a dirti: ‘Ricordati che sei un uomo’”. Il senatore Zaffini, lì sul Piave, prenda appunti.

Bolsonaro teme l’impeachment: cambia ministri e vertici militari

A poche settimane dall’ultima scossa politica – l’annullamento della condanna all’ex presidente Luiz Inacio Lula da Silva – il Brasile viene stravolto dal nuovo cambio di Jair Bolsonaro nel governo e ai vertici delle Forze Armate. Il presidente negazionista, incalzato da diverse richieste d’impeachment alla Camera, soprattutto per la disastrosa gestione della pandemia, ieri ha provato a risollevarsi sostituendo sei ministri. Il tentativo è quello di compiacere gli alleati del “Grande centro” e assicurarsi l’appoggio dell’ala radicale dei militari. A dimettersi sono stati il ministro degli Esteri, Ernesto Araujo, e quello della Difesa, generale Fernando Azevedo, e Silva, sostituito con il generale Walter Souza Braga Netto, più in linea con le posizioni autoritarie del presidente, e avversario del comandante dell’Esercito, generale Edson Pujol. Quest’ultimo mostratosi insofferente alle pressioni di Bolsonaro di associare le Forze armate al suo governo nonché all’ascesa a ministro della Salute del generale Eduardo Pazuello in piena emergenza sanitaria, è stato subito rimosso dal neo ministro insieme ai comandanti delle altre due Forze armate, Ilques Barbosa (Marina) e Antônio Carlos Moretti Bermudez (Aeronautica). È la prima volta dalla dittatura militare che i comandanti delle tre Forze armate lasciano tutti insieme senza un cambio di governo. Bolsonaro ha cambiato anche altri 4 ministri nel momento in cui contagi e morti aumentano a causa della variante di Manaus e le terapie intensive sono al massimo delle possibilità di ricovero. Il Brasile, che ha superato la soglia delle 300 mila vittime, è il Paese dove si muore di più al mondo per il Covid-19 con una media di 2.400 decessi al giorno e una grave crisi economica: il Pil è calato del 4,1%, la disoccupazione è intorno al 14% e quasi 15 milioni di famiglie vivono sotto la soglia di povertà. Il governo Bolsonaro è intervenuto garantendo un sussidio mensile di emergenza di 600 reais, circa 100 euro, ma il programma di aiuti federali è stato sospeso alla fine del 2020 e non si sa se e quando riprenderà. La minaccia ora è una terza ondata pandemica, da molti virologi ritenuta inevitabile e che potrebbe decretare la fine politica del presidente Bolsonaro. Specialmente con Lula libero che non ha usato mezzi termini nel definirlo “responsabile del più grave genocidio della storia del Brasile”. “Non ho mai visto il popolo brasiliano soffrire così tanto come oggi. Si muore nelle corsie degli ospedali, è tornata la fame”, ha rincarato Lula, che potrebbe presentarsi alle Presidenziali del 2022.

Pallottole contro vaccini. No al farmaco occidentale

Ogni goccia di vaccino contro la poliomielite lasciata cadere nelle piccole bocche dei bambini afghani e pachistani si sta trasformando in un rischio per la vita degli operatori sanitari che le somministrano. Due squadre di uomini armati con fucili d’assalto hanno freddato in momenti diversi della giornata di ieri tre infermiere impegnate nella campagna vaccinale nella città orientale di Jalalabad, nell’Afghanistan orientale. La notizia è stata confermata all’agenzia di stampa Reuters da fonti governative. Un funzionario del governo centrale afghano ha però spiegato all’agenzia che non è chiaro se gli attacchi siano da imputare ai talebani o ai membri del gruppo Korasan affiliato all’Isis e presente soprattutto nella parte orientale del paese dove i tentativi per negoziare la pace tra i talib e l’esecutivo sembrano nuovamente incagliati.

Gli omicidi sono avvenuti nel secondo giorno della nuova campagna di vaccinazione porta a porta, che dovrebbe durare cinque giorni, lanciata sia in Afghanistan sia nel confinante Pakistan allo scopo di evitare che milioni di bambini contraggano questa malattia ormai estinta in Europa e nella maggior parte dei Paesi occidentali. Gli operatori sanitari anche nel recente passato si sono trovati esposti al fuoco dei talebani e negli ultimi cinque anni si è aggiunta la minaccia dei gruppi islamisti che si ispirano ai tagliagole dell’Isis. Gli addetti alla campagna di vaccinazione si sono spinti fin nella roccaforte talebana di Kandahar dove oltre alla minaccia di venire uccisi si è aggiunta quella del Covid, molto diffuso anche nel vicino Pakistan. Sarebbero più di 55.000 gli operatori ingaggiati per implementare la vaccinazione, a sentire il coordinatore del ministero della Salute afghano, Jan Rasikh. Rimane però il grande ostacolo posto dai talebani che anche negli anni scorsi non avevano permesso la somministrazione dei vaccini con il metodo porta a porta nelle aree sotto il loro controllo.

Secondo il portavoce dei talib, Zabiullah Mujahid, è ancora in atto la trattativa con l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) per raggiungere un accordo sulla dinamica per portare avanti la campagna vaccinale. Il ministero della Salute afghano ha reso noto che negli ultimi tre anni circa quattro milioni di bambini sono stati privati del vaccino. Il governo centrale afghano ha intenzione di vaccinare circa 9,6 milioni di bambini in 32 delle 34 province del paese, ha sottolineato un funzionario sanitario.

I talebani che sono di fatto un “prodotto” dei servizi segreti pachistani per controllare l’Afghanistan agiscono fin dalla loro costituzione in entrambi i paesi e si sono sempre opposti alle campagne di vaccinazione anti polio, specialmente condotte porta a porta, ritenendole uno stratagemma della Cia per controllarli e impedire loro di mantenere il potere a Kabul. E, in effetti, nel 2011 per scovare Osama bin Laden riparato in Pakistan, ad Abbottabad, dall’Afghanistan, l’intelligence americana sfruttò in parte, con uno stratagemma, la campagna vaccinale contro l’epatite. In Pakistan l’obiettivo è quello di vaccinare più di 40 milioni di bambini sotto i cinque anni di età. Circa 285.000 lavoratori in prima linea si sposteranno nei 156 distretti del Pakistan dovendo peraltro seguire i protocolli di sicurezza previsti per contrastare la pandemia. “Il Covid-19 continua a minacciare anche noi, ma ci impegniamo comunque a garantire la continuità di questo servizio sanitario pubblico essenziale”, ha affermato in una dichiarazione l’assistente speciale del ministro per la Salute, il dottor Faisal Sultan. Il Pakistan e l’Afghanistan sono gli unici due paesi rimasti al mondo in cui la poliomielite è endemica, dopo che la Nigeria è stata dichiarata libera dal poliovirus lo scorso anno. Il Pakistan è arrivato molto vicino all’eliminazione della poliomielite, ma nel 2019 ha registrato 147 casi, il massimo negli ultimi cinque anni , proprio a causa del boicottaggio dei vaccini e degli attacchi agli operatori sanitari.

Le campagne sono finanziate dalle Nazioni Unite, ma nonostante ciò non si placa l’opposizione degli estremisti islamici, che fanno credere alla popolazione, specialmente delle zone rurali, che il vaccino somministrato in più cicli, abbia lo scopo di rendere sterili i bambini musulmani.