Dopo il coito, mia zia ama leggere le sviolinate del “Sole 24 Ore” alla Cina

Almeno un milione di uiguri e altre minoranze sono incarcerati nei campi di prigionia nello Xinjiang, dove le autorità cinesi sono anche accusate di sterilizzare con la forza le donne e di imporre il lavoro forzato. Il colosso della moda H&M blocca l’import di cotone dalla Cina, la Cina lo boicotta. I prodotti H&M sono scomparsi dalla piattaforma di e-commerce Alibaba. (Ansa, 24.03)

Qualche domenica fa ero a letto con mia zia, una prosperosa imprenditrice veneta che a 70 anni pare una gnocca di 50 (il marito miliardario è un cuckold): è lei che mi ha svezzato, non appena si accorse che, quando la andavo a trovare, non potevo fare a meno di sbirciarle le poppe nella scollatura, e allora le esibiva a mio vantaggio chinandosi per darmi il bacino di benvenuto; per mesi me le strusciò addosso come sbadata, in allegria, finché non ho capito (avevo 16 anni, e sono tuttora il suo bull ufficiale). Dopo il coito, la zia si rilassa leggendo il Sole 24 Ore. C’era l’intervista via Skype a una sua amica, la direttrice editoriale della Penguin Random House in Cina, Patrizia van Daalen. Penguin Random House è il primo editore al mondo. La Cina è una dittatura. Tutto normale? “No”, mi risponde zia “e infatti il giornalista mette le mani avanti: ‘La Cina è, insieme, distinta e perfettamente integrata nella realtà internazionale. Accade in ogni campo’. Fare affari con la dittatura cinese conviene: è l’outsourcing dello schiavismo. Se non riesci a guadagnare neppure così, i tuoi prodotti fanno davvero cagare. Ma non essere ipocrita: da dove credi venga la paghetta che ti passo ogni volta che mi scopi?”. Dunque anche lì è un nuovo Rinascimento! Il tono del pezzo era disimpegnato: “Patrizia ha preparato un piatto unico: una insalata di verdure. ‘Ho messo zucchine, broccoli e cavolfiori. Le ho bollite e ripassate in padella. Ho condito il tutto con olio di cocco, sale alle erbe, aceto, tofu e peperoncino del sud della Cina. Tu, invece, che cosa mangi?’ Io ho un polpettone ripieno di zucca e delle patate al forno”. Patrizia adora il suo lavoro, perché in Cina c’è “un mercato enorme ancora tutto da sfruttare”. E non è una dittatura, è “una forma di soft power molto sostenuta e amplificata, per la tutela degli interessi e la trasmissione dei valori del Paese e del regime”. Strano: una dittatura che usa i libri per fare propaganda. Il giornalista del quotidiano capitalista occidentale smussa: “La Cina è molto particolare. Le case editrici private – sia cinesi sia straniere – devono essere affiliate a un editore controllato dallo Stato perché i loro libri ricevano il codice Isbn. È meglio non trattare alcuni argomenti: le tre T, per esempio, cioè Taiwan, Tienanmen e Tibet. Ci sono dei ‘suggerimenti’ che arrivano dai funzionari delle case editrici di Stato con cui uno lavora, per alcune parole”. Del resto, cosa volete che sia, una dittatura, “a fronte di una realtà economica in grande espansione. Il 76% dei cinesi sono considerati ‘lettori’: la media è di otto libri all’anno”. Sei miliardi di libri ogni anno: sapete quanti soldi sono, fessi? Il finale è idilliaco: “Nella complessità e nel sovrapporsi dei mondi, torniamo alla quotidianità delle piccole cose alla fine del nostro pranzo fra la Brianza e Berlino: ‘A Pasqua ho fatto una torta di arance e cioccolato. Oggi nulla. Tu, allora, prendi il caffè con la moka? Io, invece, qui bevo un caffè espresso con il latte’”. A volte uno stronzo mi si mette di traverso nel retto come quel cargo nel Canale di Suez, e devo usare un divaricatore ginecologico per agevolare il parto podalico. “Lo stronzo podalico come metafora del capitalismo!” rise zia. Mi ricompensò indossando uno strap-on. E adesso non pensate cose scostumate, o proverete di avere l’animo corrotto.

 

Ora si scopre che giuseppe va assolto

In una famosa vignetta del New Yorker si vede Dio seduto sulle nuvole che rassicura un’anima penitente convinta di finire all’inferno: “Ma no, neppure questo è peccato, chissà come sei stato in ansia”. Ci viene in mente ogni volta che per effetto dell’indulgenza plenaria concessa urbi et orbi onde celebrare l’avvento dei Migliori, Giuseppe Conte apprende che le colpe per cui era stato cacciato, con somma ignominia, nel limbo degli ex premier, non erano poi così gravi. E ci piace immaginare che ad assolverlo ci sia un Padre Eterno con le fattezze di un misericordioso Mario Draghi. Il clamoroso fallimento giallorosa della campagna di vaccinazione? Ma no, tranquillo, sono gli stessi problemi che sta incontrando il generalissimo Figliuolo, con in più i casini di AstraZeneca. Le Regioni litigiose che andavano in ordine sparso ma tutte contro il governo? Ma no, è tutto uguale a prima con in più i presidenti mitomani che pensano di contrattare lo Sputnik direttamente con Vladimir Putin. Matteo Salvini che malgrado i 400 morti al giorno guidava l’assalto a Palazzo Chigi di ristoratori e albergatori contro le chiusure? Ma no, lui è lì che ripete sempre le stesse cose, però adesso sta dentro Palazzo Chigi. La mancata approvazione del Mes che avrebbe affossato la sanità italiana? Ma no, lo sapevano tutti che non sarebbe servito a niente. Il disastro del Recovery Plan scritto male e con intollerabile ritardo? Ma no, “in Italia ci stiamo ancora domandando se riusciremo a presentare una sufficiente quantità di progetti capaci di superare l’esame, e se una volta ottenuto tutto quel denaro le nostre scassate amministrazioni saranno in grado di spenderlo” (La Stampa).

A questo punto, vedo l’Onnipotente che dice sorridendo al suo contrito predecessore di non preoccuparsi: Giuseppe, come vedi, se non sono peccati i miei, non potevano esserlo neppure i tuoi, chissà come sei stato in ansia. Finalmente mondato dalla colpa, Conte si accinge a ritornare in Italia quando l’occhio gli cade sul titolo di Repubblica: “Quegli strani silenzi di Conte”. Un grido e lo vediamo fare velocemente dietrofront: noooo meglio le fiamme eterne.

Ma dov’era in tutti questi anni l’ingenua Marianna? Al potere

La titanomachia è finita, non senza ostacoli, e con qualche scenetta comica. Giorni fa, la candidata capogruppo alla Camera Madia aveva denunciato il malsano andazzo per il quale molti del Pd, tra cui il capogruppo uscente Delrio, avevano scelto di appoggiare la candidata capogruppo Serracchiani, ricordando molto quelli che partecipano allo Strega cercando di farsi votare dagli amici e poi, se non finiscono in cinquina, denunciano che i partecipanti allo Strega si fanno votare dagli amici.

Invece, naturalmente, paginate di analisi, sviolinate, encomi: “La denuncia di Madia scuote il Pd”, se non l’Italia, “Il j’accuse di Madia”, “Il coraggio di Marianna”, per aver scritto una lettera in cui rendeva pubblico, cioè spiega a noi, che la competizione tra lei e l’altra era “ripiombata nel gioco di accordi trasversali”: ma va? Madia eroina, novella Zola, una Marianne che procede indomita verso l’integrità e il progresso del Partito ehm Democratico. Noi siamo anni che diciamo che il Pd è un covo di mezzi e mezze potenti che avanzano solo se cooptati da un potente, e per noi nemmeno una riga! Peraltro, nel Pd queste agnizioni sono perfettamente funzionali al sistema, come i Carnevali dei tempi antichi.

Ma dov’è stata finora, Madia, prima di proclamare al mondo che “la verità rende liberi”? (E specularmente Serracchiani, se la denuncia fosse venuta da lei; ma non è venuta da lei perché era in vantaggio). Dov’era quando era schiava? (Risposta: al ministero). E se Delrio avesse appoggiato lei, avremmo saputo qualcosa della “cooptazione mascherata”? Non era perfettamente a suo agio, nei giochetti correntizi, al riparo da qualunque refolo di realtà, donna tra le molte affiliatesi a un capo e da lì mai più schiodate, fino al momento in cui si deve decidere quale donna, e quindi quale uomo, premiare nella feroce savana del potere?

Entrambe si giovano da anni di un certo racconto (lo storytelling dei tempi d’oro) che le vuole ingenue Biancaneve capitate per caso nel mondo cinico di un partito di dinosauri, fossilizzato nella burocrazia (agli annali il brocardo di Madia: “Porto in dote la mia inesperienza”, da cui, de plano, la nomina a ministra).

Ma invero le candide rivoluzionarie sono state “portate” nel partito: Serracchiani si fece conoscere all’assemblea dei circoli con un discorso critico nei confronti dei vertici, che subito l’hanno inglobata (e disattivata) candidandola alle Europee del 2009; l’altra, di buona famiglia alto-borghese, è stata notata da dirigenti storici del Pd e ha passato tutte le malattie esantematiche delle correnti: lettiana, dalemiana, bersaniana, renziana, etc., scavalcando persone forse più dotate di lei.

Ma al di là dei meriti, qualcuno avrebbe saputo dire le differenze tra le due? E non diciamo qualcuno tra i cittadini (figuriamoci), ma un deputato chiamato a votare l’una o l’altra per farsi rappresentare. A parte, s’intende, l’essere espressione di una corrente, da intendersi non come corrente politica o di pensiero, ma esclusivamente come increspatura di potere, radiazione in grado di indicare se afferiscono a questo o a quel maschio influente.

Il Pd ha perso 6 milioni di voti a causa di Renzi; se vuol essere un’altra cosa rispetto al partito in cui è stato possibile che uno come Renzi diventasse potentissimo, dovrebbe cominciare a interessarsi di altro che non sia il suo noiosissimo ombelico.

In ogni caso, se la notazione non pare troppo moralistica (e invece è morale): siamo sicuri che stare a parlare di avanzamenti di carriera e beghe di partito durante una pandemia che ha atterrato il Paese sia la missione di un partito che si dice di centrosinistra?

Sinceramente: ma chissenefrega?

Grazie Mario, ora possiamo respirare

• Titolo: “La fede nel cambiamento. Draghi: riscopriamo il gusto del futuro”. Svolgimento: “Aver evocato il futuro è un merito, qualcosa che tocca un sentimento condiviso. Un bisogno di giovinezza, di respiro a pieno polmoni dopo un anno passato a respirare piano”. Michele Serra (Repubblica)

• Lo aveva promesso, ed è stato di parola. Il presidente del Consiglio, Mario Draghi, e la moglie Maria Serenella Cappello, si sono sottoposti questa mattina alla vaccinazione anti Covid-19. Il Foglio.it

• Abbiamo un presidente del Consiglio super figo che solo a pronunciarne il nome ci fa risparmiare miliardi sui mercati finanziari che ha dovuto ricominciare da zero la campagna di vaccinazione e la scrittura del Recovery plan, a causa delle tragiche incapacità di chi lo ha preceduto. Linkiesta

Il piano di Conte all’assemblea M5S. E Bettini lo chiama

Domani sera l’avvocato che è anche rifondatore darà un assaggio della sua rivoluzione ai parlamentari in assemblea. Una sintesi “per grandi linee”, come sussurrano dal M5S, del piano con cui Giuseppe Conte vuole rivoltare da cima a fondo un Movimento squassato dalle correnti e dall’anatema di Beppe Grillo sui due mandati. Ma c’è già altro all’orizzonte per Conte. Per esempio il legame da stringere ancora di più con Goffredo Bettini, veterano dem con cui si sente di continuo, che a fine aprile battezzerà la sua area culturale, o per meglio dire corrente. E Bettini lo farà anche con una iniziativa ancora da definire, ma alla quale parteciperà sicuramente anche Conte, assieme a Enrico Letta, segretario del Pd. E a nomi pesanti della sinistra (si parla di Massimo D’Alema”). “Ormai l’ex premier e Bettini sono due amici”, raccontano.

L’avvocato chiede spesso consigli all’ex europarlamentare, che ha anche preparato la strada all’incontro tra Conte e Letta, incentrato sul tavolo tra Pd e M5S per le Comunali di ottobre. Un altro nodo centrale per l’ex premier, che vive giorni complicati. “Giuseppe è un po’ preoccupato”, dicono un paio di big del Movimento. Gli ha creato rumorosi problemi, il Grillo che venerdì scorso in videoconferenza con i parlamentari ha ribadito che iltotem dei due mandati “resta un pilastro”. Parole di cui Conte non era stato pre-avvertito.

Fonti del M5S assicurano che però neanche il Garante avesse premeditato la tirata: “Beppe ha parlato della regola perché si è arrabbiato per gli interventi di alcuni parlamentari”. Ma così ha complicato la vita a Conte, che avrebbe voluto affrontare la questione più avanti. L’avvocato, spiegano, sta già lavorando su un punto di caduta. Ossia, a scegliere i parlamentari da confermare potrebbe essere proprio lui, il futuro segretario politico, sulla base anche di parametri che facciano da criteri meritocratici. “Conte però non ha ancora chiuso il suo piano di rifondazione” precisano più fonti. E d’altronde c’è pure l’enorme nodo di Rousseau, la piattaforma di Davide Casaleggio che ieri ha avviato una raccolta di fondi e che pretende dal M5S 450mila euro di versamenti. Ma Conte ha scelto comunque di parlare agli eletti prima di Pasqua. Ipotesi su cui ragionava da giorni, come anticipato dal Fatto ieri, per placare l’insofferenza dei parlamentari – compresi diversi big – in ansia per il suo silenzio. Così alle 21.30 di domani si paleserà in videoconferenza. E racconterà le linee generali del suo progetto. Ma il piano, quello vero, lo presenterà la prossima settimana, tra l’8 e il 9 aprile. Dopo, a fine mese, arriverà la corrente di Bettini, da quel Pd con cui l’avvocato vuole costruire un nuovo centrosinistra.

Magari anche con figure come Pier Luigi Bersani, con cui l’ex premier si sente spesso. E di qui si torna alle Comunali e a Roma, dove un’intesa tra il Pd e il M5S al primo turno è impossibile, visto che Virginia Raggi correrà per il bis, forte anche dell’appoggio di Grillo. Tra i dem, invece, è sempre più consolidata la candidatura dell’ex ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri. Anche se al Nazareno continuano a tenere aperte anche altre strade. Resta ilnodo, Carlo Calenda, che in caso di discesa in campo di Nicola Zingaretti si sarebbe fatto da parte mentre con Gualtieri, giura, resterà in corsa per il Campidoglio. Starà a Letta convincerlo a desistere, per non togliere voti vitali al candidato del Pd nel primo turno. E la strada è un accordo di coalizione per le prossime Politiche. Difficile, ma necessario.

Serracchiani batte Madia: il regista è il “sospeso” Lotti

Dopo un weekend aspramente combattuto a colpi di missive, il Pd ha eletto la nuova capogruppo alla Camera: Debora Serracchiani ha battuto Marianna Madia 66 voti a 24. Aveva accusato il capogruppo uscente, Graziano Delrio, di essere un “cooptatore”, di aver favorito la rivale, abdicando a un ruolo di arbitro, la Madia. Già ministro nel governo Renzi, nella preistoria uno stage all’Arel grazie a Enrico Letta, arrivata alla politica con Walter Veltroni (“Porto in dote la mia straordinaria inesperienza”, disse, rimanendo nella storia), ieri Marianna ha di nuovo ribadito: “Non so se le correnti hanno vinto o meno, non si superano da un giorno all’altro”.

Di certo, la corrente che ha pesato di più nella partita dei capigruppo è Base Riformista, guidata da Luca Lotti e Lorenzo Guerini. A Montecitorio conta 35 deputati su 93, ma è riuscita a essere l’ago della bilancia. In particolare, è sceso in campo Lotti, al quale erano state delegate le trattative. Aveva promesso il suo sostegno alla Madia. Poi, c’è stata un’interlocuzione con la Serracchiani. E alla fine, l’ex braccio destro di Matteo Renzi ha spostato su di lei i propri voti, in cambio della promessa di avere Piero De Luca come vicepresidente del gruppo. D’altra parte è stato Lotti in tutti gli anni del renzismo a gestire il rapporto con l’attuale governatore della Campania. De Luca jr, alla sua prima legislatura, è uno che studia. Oltre a essere ambiziosissimo. Ma soprattutto è il principale sodale di Lotti. Che ora coglie l’occasione per mettere un suo fedelissimo alla presidenza del gruppo. In tutto questo c’è una condizione che non è esattamente un dettaglio: Lotti è autosospeso dal Pd dal giugno del 2019, a causa del suo coinvolgimento nello scandalo del Csm, con le intercettazioni che mostravano il suo ruolo per le nomine a capo delle Procure. Anche quella di Roma, dalla quale era indagato per il caso Consip. Sono passati ormai quasi 2 anni e tecnicamente la situazione di Lotti è ancora la stessa. Con un dettaglio finanziario non indifferente: Lotti non versa i 1.500 euro di contributi mensili al partito, che ogni parlamentare è tenuto a dare. Moltiplicati per 19 mesi fanno 31.500 euro. Tutto lecito, perché i contributi li versano solo coloro che sono regolarmente iscritti al Pd. E lui non lo è. Ma evidentemente riesce lo stesso a condizionarne le scelte. Senza contare i malumori nel gruppo della Camera. Il tesoriere Valter Verini deve fare a meno non solo delle sue quote, ma anche di quelle di una come Laura Boldrini, che sta nel gruppo, ma non nel partito. E di vari peones che – con questi fulgidi esempi – non sono troppo motivati a versare, nonostante le richieste.

Lotti reclama un posto per una a lui vicina anche al governo: toccherebbe ad Alessia Morani andare a sostituire Simona Malpezzi, che si è dimessa da sottosegretario ai Rapporti con il Parlamento perché eletta capogruppo. A proposito di Base Riformista, le scorie lasciate dall’addio di Andrea Marcucci ancora permangono. Avrebbe voluto che lasciasse con lui tutto l’ufficio di presidenza del gruppo del Senato. Sono volati gli stracci per giorni. Alla fine non c’è riuscito, ma ha imposto Alan Ferrari vice capogruppo vicario.

La Madia è stata sostenuta dall’ala sinistra del Pd, a partire dai Giovani Turchi di Matteo Orfini e dagli orlandiani. “Una scossa che ha dato l’occasione alle donne per esprimere la loro leadership”: con queste parole ha ringraziato il segretario la neo eletta Serracchiani, votata da Br, da Area Dem di Dario Franceschini e da Delrio. Arrivata sulla scena politica durante una riunione dei circoli del 2009 nella quale criticò con foga la classe dirigente dem, è stata eurodeputata, presidente del Friuli e vice segretaria del Pd di Renzi. Letta ieri ha ribadito che “le correnti non devono decidere tutto”. Poi, in serata, ha salutato con un certo sollievo il superamento del primo scoglio interno. Per come sono andate le cose, rischia di essere solo un antipasto.

Conflitto di interessi: multa Ue a Moody’s. In Italia coinvolte Bp, Intesa, Ubi e Telecom

Per la seconda volta in due anni, l’Autorità europea di controllo dei mercati e strumenti finanziari (Esma) ha sanzionato una delle tre maggiori agenzie di rating mondiali (valutano il merito di credito di una società) per aver violato le regole sui conflitti d’interessi. Il 28 marzo 2019 era toccato a Fitch, multata per 5,13 milioni, ieri è toccato a Moody’s che dovrà pagarne 3,7. L’autorità omologa dell’italiana Consob ha colpito le filiali di Moody’s in Gran Bretagna (multata per 2,735 milioni), Francia (280 mila euro), Germania (340 mila euro), Italia e Spagna (174 mila euro ciascuna). Sotto la lente sono finiti 206 report con altrettanti rating su 101 società emessi dal gruppo Moody’s tra il primo gennaio 2013, data di entrata in vigore delle norme Ue sui conflitti d’interesse, e il 4 settembre 2017. Per il controllore, queste società non potevano essere giudicate in quanto parti correlate di Moody’s per via degli incroci azionari. Le regole scattano quando gli azionisti di un’agenzia di rating possiedono quote azionarie oltre alcune soglie (il 10% o il 5%) nelle società oggetto di analisi. Coinvolte anche 4 blue chip italiane. Nessun settore è stato risparmiato: dai giganti dell’hi-tech (Alcatel-Lucent, Sky, STMicroelectronics), all’industria (Continental, Valeo), dalla finanza (Julius Baer, Lloyds, Ubs, Volkswagen Services, Zurich) all’energia (Royal Dutch Shell Plc, Bp), dalle linee aeree (easyJet, Lufthansa) alle materie prime (Glencore), dagli alimentari e distribuzione (Diageo, Tesco) alla farmaceutica (AstraZeneca, GlaxoSmithKline). Ma il record è quello delle banche: 7 i rating omissivi su Aegon e Royal Bank of Scotland, 9 su Hsbc, 11 sulla siderurgica ArcelorMittal, ben 15 ciascuno su Ing e National Westminster Bank, 17 su Unilever e addirittura 18 su Barclays Bank. Per quattro società italiane Moody’s non ha segnalato i suoi conflitti d’interesse: Banco Popolare e Telecom Italia, due rating su Intesa Sanpaolo e ben quattro su Ubi Banca International. Nel periodo in questione tra i principali azionisti di Moody’s c’erano la Berkshire Hathaway del miliardario Usa Warren Buffet, con una quota stabilmente superiore al 10%, e i due giganti mondiali dei fondi comuni Vanguard e Blackrock, con quote variabili tra il 5,4 e l’8,7%.

Giuseppe Conte scagionato per il caso scorta

Il Tribunale dei Ministri archiviato l’indagine per peculato aperta dalla Procura di Roma nei confronti di Giuseppe Conte. L’ex premier era accusato di aver abusato dell’utilizzo della scorta, quando il 26 ottobre 2020 la compagna Olivia Paladino riparò in un supermercato per sfuggire all’incursione di Filippo Roma, inviato del programma tv Le Iene, protetta proprio dall’intervento della sicurezza di Conte. L’episodio aveva ispirato un esposto presentato lo scorso ottobre da Roberta Angelilli, di Fratelli d’Italia, da cui è nata l’inchiesta romana e la successiva segnalazione, come da prassi, al Tribunale dei Ministri. Angelilli aveva chiesto ai pm di verificare proprio un eventuale “uso improprio” del personale di scorta. In quel- l’occasione il Viminale, in un’informativa, aveva precisato che gli uomini di scorta erano in servizio “di osservazione e controllo al di sotto dell’abitazione della compagna del premier” perché lui era in casa e stava per uscire.

Deputata Aiello: “No ai permessi per i mafiosi”

Da vedova di un mafioso che non condivideva, grazie a Paolo Borsellino diventa testimone di giustizia. Ed è proprio per la scelta di campo contro la mafia che Piera Aiello, oggi deputata, ha scritto una lettera al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, anche come fratello di Piersanti Mattarella, il presidente della Regione ucciso a Palermo nel 1980. Nella lettera si esprime contro la possibilità che la Corte costituzionale, con la sentenza attesa dopo Pasqua, possa accogliere il ricorso della Cassazione secondo la quale è incostituzionale la norma per cui i boss ergastolani non possano ottenere la libertà condizionata se non hanno collaborato. “…Fine pena mai è un’espressione spaventosa, definitiva, ma definitive sono anche le morti che molti familiari di vittime di mafia stanno ancora piangendo. E se non si intravvede (nei boss ergastolani, ndr) almeno la volontà di collaborazione, francamente non posso accettare che sia lo Stato a retrocedere per primo…”.

Sequestrate 60 milioni di mascherine “Acquistate da Arcuri, erano pericolose”

Lo Stato italiano nel marzo 2020 ha acquistato dalla Cina 250 milioni di mascherine Ffp2 e Ffp3 che, secondo la Procura di Gorizia, sarebbero “pericolose per la salute”. Dispositivi utilizzati per mesi da medici e infermieri di tutta Italia. Di queste, ieri mattina la Guardia di Finanza di Gorizia ne ha sequestrate oltre 60 milioni, recuperando quelle ancora in giacenza nei depositi delle protezioni civili di tutto il territorio nazionale e non ancora distribuite. Si tratta di materiale comprato lo scorso anno attraverso la struttura commissariale per l’emergenza Covid, in quel momento guidata da Domenico Arcuri (estraneo all’inchiesta).

Fra i fornitori cinesi elencati nel decreto di sequestro, ci sono le società cinesi coinvolte nell’inchiesta della Procura di Roma per traffico di influenze e peculato che vede indagati come mediatori, fra gli altri, il giornalista Rai, Mario Benotti e l’imprenditore milanese, Andrea Tommasi. Ora i magistrati capitolini hanno chiesto ai colleghi friulani di acquisire la documentazione per confrontare il materiale sequestrato con le partite arrivate grazie alla mediazione ritenuta illecita – per la quale vennero pagate provvigioni per circa 72 milioni di euro – e istruire il fascicolo già aperto a piazzale Clodio.

Secondo le analisi di laboratorio, la capacità filtrante dei dispositivi era “addirittura 10 volte inferiore rispetto a quanto dichiarato”, con “conseguenti rischi per il personale sanitario che li aveva utilizzati nella falsa convinzione che potessero garantire un’adeguata protezione”. Gorizia ipotizza il reato di vendita di prodotti industriali con segni mendaci, per ora contro ignori. Fonti inquirenti non escludono che non si possa arrivare a contestare anche il reato di epidemia colposa. I finanzieri hanno perquisito anche gli uffici di Invitalia. Acquisiti i certificati di conformità dei dispositivi, gli stralci dei verbali del Comitato tecnico scientifico (Cts) relativi alle verifiche e alle conseguenti validazioni dei dispositivi, i contratti di fornitura – comprese le comunicazioni con i mediatori – e la documentazione contabile, anche bancaria. Da Invitalia fanno sapere che i dispositivi furono verificati dal Cts.