Almeno un milione di uiguri e altre minoranze sono incarcerati nei campi di prigionia nello Xinjiang, dove le autorità cinesi sono anche accusate di sterilizzare con la forza le donne e di imporre il lavoro forzato. Il colosso della moda H&M blocca l’import di cotone dalla Cina, la Cina lo boicotta. I prodotti H&M sono scomparsi dalla piattaforma di e-commerce Alibaba. (Ansa, 24.03)
Qualche domenica fa ero a letto con mia zia, una prosperosa imprenditrice veneta che a 70 anni pare una gnocca di 50 (il marito miliardario è un cuckold): è lei che mi ha svezzato, non appena si accorse che, quando la andavo a trovare, non potevo fare a meno di sbirciarle le poppe nella scollatura, e allora le esibiva a mio vantaggio chinandosi per darmi il bacino di benvenuto; per mesi me le strusciò addosso come sbadata, in allegria, finché non ho capito (avevo 16 anni, e sono tuttora il suo bull ufficiale). Dopo il coito, la zia si rilassa leggendo il Sole 24 Ore. C’era l’intervista via Skype a una sua amica, la direttrice editoriale della Penguin Random House in Cina, Patrizia van Daalen. Penguin Random House è il primo editore al mondo. La Cina è una dittatura. Tutto normale? “No”, mi risponde zia “e infatti il giornalista mette le mani avanti: ‘La Cina è, insieme, distinta e perfettamente integrata nella realtà internazionale. Accade in ogni campo’. Fare affari con la dittatura cinese conviene: è l’outsourcing dello schiavismo. Se non riesci a guadagnare neppure così, i tuoi prodotti fanno davvero cagare. Ma non essere ipocrita: da dove credi venga la paghetta che ti passo ogni volta che mi scopi?”. Dunque anche lì è un nuovo Rinascimento! Il tono del pezzo era disimpegnato: “Patrizia ha preparato un piatto unico: una insalata di verdure. ‘Ho messo zucchine, broccoli e cavolfiori. Le ho bollite e ripassate in padella. Ho condito il tutto con olio di cocco, sale alle erbe, aceto, tofu e peperoncino del sud della Cina. Tu, invece, che cosa mangi?’ Io ho un polpettone ripieno di zucca e delle patate al forno”. Patrizia adora il suo lavoro, perché in Cina c’è “un mercato enorme ancora tutto da sfruttare”. E non è una dittatura, è “una forma di soft power molto sostenuta e amplificata, per la tutela degli interessi e la trasmissione dei valori del Paese e del regime”. Strano: una dittatura che usa i libri per fare propaganda. Il giornalista del quotidiano capitalista occidentale smussa: “La Cina è molto particolare. Le case editrici private – sia cinesi sia straniere – devono essere affiliate a un editore controllato dallo Stato perché i loro libri ricevano il codice Isbn. È meglio non trattare alcuni argomenti: le tre T, per esempio, cioè Taiwan, Tienanmen e Tibet. Ci sono dei ‘suggerimenti’ che arrivano dai funzionari delle case editrici di Stato con cui uno lavora, per alcune parole”. Del resto, cosa volete che sia, una dittatura, “a fronte di una realtà economica in grande espansione. Il 76% dei cinesi sono considerati ‘lettori’: la media è di otto libri all’anno”. Sei miliardi di libri ogni anno: sapete quanti soldi sono, fessi? Il finale è idilliaco: “Nella complessità e nel sovrapporsi dei mondi, torniamo alla quotidianità delle piccole cose alla fine del nostro pranzo fra la Brianza e Berlino: ‘A Pasqua ho fatto una torta di arance e cioccolato. Oggi nulla. Tu, allora, prendi il caffè con la moka? Io, invece, qui bevo un caffè espresso con il latte’”. A volte uno stronzo mi si mette di traverso nel retto come quel cargo nel Canale di Suez, e devo usare un divaricatore ginecologico per agevolare il parto podalico. “Lo stronzo podalico come metafora del capitalismo!” rise zia. Mi ricompensò indossando uno strap-on. E adesso non pensate cose scostumate, o proverete di avere l’animo corrotto.