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Commissione Difesa: che ci fa lì Matteo?

Se io fossi senatore, di un qualsiasi gruppo politico, e tenessi alla dignità personale e dell’Istituzione in cui opero, e fossi assegnato alla commissione Difesa, alla prima riunione, presente Matteo Renzi, mi alzerei e me ne andrei. Motivazione: “Io non discuto di questioni di difesa nazionale, che possono essere anche delicatissime, di fronte a uno che prende soldi da un Paese totalitario”.

Enzo Marzo (critica liberale)

 

Dad, è ora di rispondere al disagio adolescenziale

Ho tre figli in età adolescenziale e vorrei esprimere la mia preoccupazione per la grave crisi che i ragazzi si trovano a vivere. Li vedo sempre più abulici, passivi, svuotati, ma è inutile chiedersi perché: la didattica a distanza è uno scempio, un’aberrazione della scuola, pur nella consapevolezza che è una necessità. Servirebbe il coraggio di rimetterci in discussione, di “perdere tempo” con e per i ragazzi, anche a costo di trascurare un po’ i programmi! Non disancoriamoli dalla realtà fornendo loro solo nozioni, ma diamo strumenti per attraversarla nella consapevolezza di ciò che intorno e dentro loro accade: facciamo in modo che questo passaggio storico sia l’occasione per una svolta verso il bene ed il progresso della società, non verso la sua regressione.

Marialisa Berti

 

Boldrini: più che Caf, un po’ troppe gaffe

Ho letto i chiarimenti della Boldrini. Non entro nel merito della questione, ma le sue giustificazioni appaiono poco credibili. Invece di rivolgersi al Caf, che ha altre funzioni, poteva rivolgersi all’Ufficio del lavoro per una conciliazione della vertenza, come da Codice di procedura civile. Avrebbe fatto tutto secondo legge ed evitato le polemiche.

Mario De Florio

 

Tra condoni e pene lievi chi evade non paga mai

Sempre più di frequente mi capita di sentir parlare del fatto che i condoni possano o meno essere un modo per arginare l’evasione fiscale (sic). Io trovo che una misura di buon senso per sconfiggere questo cancro sarebbe il carcere per gli evasori. Soltanto in questa maniera possiamo rendere sconveniente evadere. Oggi invece l’evasione è assolutamente conveniente: costituisce reato solo a partire da 250.000 euro; abbiamo inserito la modica quantità per uso personale, come nelle droghe! Sarebbe necessario inoltre garantire la certezza della pena: se si viene condannati a due anni, si va in carcere. Oggi, invece, se vieni condannato a 2 anni di reclusione, mal che vada vai ai servizi sociali, come B.

Andrea Maglia

 

Caro Andrea, un anno fa il governo Conte abbassò le soglie per la punibilità degli evasori. Purtroppo le norme penitenziarie prevedono che non sotto i 2 anni, ma addirittura sotto i 4, la pena venga scontata comodamente ai domiciliari o ai servizi sociali. E c’è pure chi grida al “giustizialismo”.

M. Trav.

 

DIRITTO DI REPLICA

Chiedo al Fatto Quotidiano di rettificare le notizie sul mio conto gravemente inesatte pubblicate nell’articolo del 26 marzo. Non è affatto vero che io abbia sottopagato irregolarmente o sfruttato in altro modo la mia dipendente. Tutti i pagamenti sono stati effettuati in conformità con la legge argentina e sono registrati presso le nostre agenzie statali (Anses e Afip). Quelli che mi conoscono sanno che tutta la mia vita politica è stata guidata dai principi di solidarietà. Ed è per questo che nel momento in cui Arminda mi ha detto che voleva rinunciare al suo lavoro a casa mia per motivi personali, le ho offerto la possibilità di partecipare a qualcuno dei programmi sociali del governo o a quelli collegati all’Istituto che presiedo, l’Inadi, sempre in cambio di mansioni che poteva svolgere vicino a casa sua. Non ho mai avuto l’intenzione di usare le risorse dello Stato per fini personali. Questa signora ha fatto parte della mia famiglia per molti anni: è stata con mia mamma nei momenti peggiori, ha fatto parte della mia infanzia, mi ha cresciuto e si è presa cura di me. Non potevo fare altro che cercare di aiutarla. Comunque ho ascoltato le preoccupazioni per quanto è accaduto e per questo ho offerto la mia rinuncia al presidente Alberto Fernández, che l’ha respinta. È così che continuerò a fare il mio lavoro all’Inadi. Sempre a disposizione di ciò che decide il presidente. Allo stesso modo respingo la ricostruzione che l’articolo fornisce del mio percorso politico, parlando di una “discussa traiettoria”: il mio obiettivo è stato, è e resterà sempre quello di migliorare la vita di tutti coloro che vivono in Argentina.

Victoria Donda

Ringrazio la deputata Donda per l’esauriente scritto: il 21 marzo la sua ex impiegata domestica, in un’intervista esclusiva realizzata dal collega Luis Gasulla per una seguitissima trasmissione di indagine giornalistica, poi riportata dai principali giornali argentini, ha dichiarato di non esser stata regolarizzata per 10 anni. Quanto poi alle offerte sia di un sussidio sociale sia di un posto presso l’istituzione governativa da lei diretta, l’Inadi, risulta che il magistrato Marijuan è tornato a chiedere al giudice Casanello di poter indagare sulla questione dopo che, in una prima istanza, lo stesso giudice aveva respinto la richiesta perché, secondo quanto da lui dichiarato, le proposte fatte, che compaiono sia in registrazioni che in sms, non erano poi state attuate, non violando quindi gli articoli di legge citati dal magistrato.

G. Gazz.

Vaccini Scanzi non ha saltato file né rubato fiale: ha parlato troppo

Caro direttore, credo che ad alcuni lettori/amici del Fatto farebbe piacere conoscere l’opinione del giornale sulla vexata (ma non sul Fatto) quaestio della vaccinazione di Andrea Scanzi.

Cesare Sartori

 

Caro Sartori, lei ha ragione, ma cerchi di capirmi. Per una settimana, ogni volta che mi accingevo a scriverne, mi planava sulla scrivania un lancio di agenzia con le scemenze di qualche stalker da social, mitomane da talk, politico o politica senza pudore ma di molta casta, pennivendolo difensore dei privilegi propri, che facevano la morale ad Andrea e mi facevano scappare la voglia di intervenire per non essere confuso o intruppato con loro. Ora che – pare – il linciaggio si è un po’ placato, provo a riassumere l’idea che mi sono fatto. Scanzi, diversamente da me che sono un po’ incosciente, è un ipocondriaco terrorizzato dal Covid. Per sé e per i suoi genitori. Parlando col suo medico, ha saputo che in Toscana (ogni Regione fa come le pare anche sotto il Governo dei Migliori) ci si poteva segnalare all’Asl come riservisti o panchinari per le dosi di vaccino rimaste inutilizzate la sera. E si è prenotato. Il suo medico ha segnalato il suo nome, insieme a quelli dei pazienti di altri medici. Per un mese Andrea ha atteso che lo chiamassero, sollecitando ogni tanto notizie. Alla fine l’han chiamato e vaccinato, quando AstraZeneca non era proprio popolarissimo. Io l’avrei fatto? Mai: so benissimo che, anche se una cosa è lecita o usuale o normale, ho addosso i fucili spianati dei tanti che mi vogliono un gran bene, pronti a prendermi in castagna anche se non faccio nulla di sbagliato o di illegale. Ma non è detto che le mie regole personali debbano valere per tutti. Scanzi e chi l’ha vaccinato hanno seguito quelle del mitico generale Figliuolo, che ha raccomandato urbi et orbi da Fazio di iniettare i vaccini eccedenti “a chi passa”, da tutti elogiato come campione di efficienza. Semmai Andrea ha poi esagerato con la profluvie di parole usate per difendersi sui social e in tv, arrivando a dire che tutti dovrebbero ringraziarlo come testimonial anti-No Vax o che era il caregiver dei genitori. Ma non ha saltato alcuna fila e non ha rubato alcuna fiala. Insomma, troppo rumore per troppo poco, anche se a quel rumore ha contribuito anche lui.

Marco Travaglio

Nido di Vespa: l’assurda nomina al “cyber-bullo”

La vicenda in sé non è neanche troppo rilevante, riguardando personaggi di seconda fascia, ma dice molto. Riguarda Pasquale Vespa e Rossano Sasso, che per fortuna non conosce quasi nessuno. Vespa è un professore precario campano e un sindacalista della Uil, nonché presidente dell’Associazione nazionale docenti per i diritti dei lavoratori. Alle ultime Regionali, in Campania, si è candidato con il centrodestra. La scorsa settimana, Sasso lo sceglie come consulente. Passo indietro: chi è Sasso? È il sottosegretario leghista alla Pubblica istruzione. Sasso ha tutti i requisiti per occupare quell’ambita sedia, avendo scambiato – proprio il giorno dell’annuncio della sua nomina – Dante con Topolino. Capite bene che Sasso ha davvero tutte le carte in regola per fare il sottosegretario alla Pubblica istruzione nel Governo dei Migliori (sic).

Quando Sasso sceglie Vespa come consulente, giustifica tale scelta alludendo allo spirito battagliero del suddetto, sempre in prima linea nella lotta in difesa degli insegnanti precari. Bene. Cioè male, perché l’ex ministro alla Pubblica istruzione Lucia Azzolina fa sapere che il Vespa è stato da lei più volte denunciato per diffamazione e minacce, e che per tali reati il Vespa verrà processato nelle prossime settimane. Azzolina dice che il Vespa l’ha insultata pesantemente su Facebook, ora nella sua pagina personale e ora in gruppi popolati da figure a lui intellettualmente analoghe, sin da quando era membra della Commissione cultura (2018). Vespa le rivolgeva numerosi insulti e “aggressioni verbali”, spesso facendo allusioni sessuali. Tali messaggi sono poi stati cancellati dal coraggioso Vespa, ma Azzolina li aveva già salvati e consegnati al suo avvocato.

Si potrebbe ora pensare che Azzolina non accetti le critiche e scambi il dissenso per diffamazione. È possibile. Andiamo allora a scoprire questi eventuali insulti. Eccoli: “Epiteti e sottintesi fortemente sessisti e grandemente offensivi” (sono parole dell’avvocato di Azzolina) che Vespa le aveva rivolto, alcuni dei quali citavano il rossetto rosso spesso usato dall’ex ministra con l’hashtag #BoccaRouge, e proponevano inviti a sfondo sessuale a “chiudere la bocca ad Azzolina”.

Di più: il Vespa associava il volto della Azzolina a film horror, chiamandola “Cazzolina” e “Bocca Rouge”, oppure scrivendo messaggi di grande amore come “si sta scavando la fossa e noi la atterreremo”, oppure “le mele rosse sono sempre avvelenate… ma noi ti sbucceremo”.

Un “cyberbullo” in piena regola, che prima insulta e poi cancella, chiamato addirittura al governo (dei migliori!) come consulente (della Pubblica istruzione!!!). Oltre ogni follia. E il Vespa, tanto per aggiungere un’altra spruzzata di paradosso tragico, ha dichiarato che nel processo si appellerà al diritto di satira (?).

Per fortuna il ministro Bianchi ha bloccato questa scellerata consulenza, ma c’è un altro aspetto. Per certi versi ancora più inquietante. Ed è la risposta del Sasso, ovvero l’insigne sottosegretario che cita Mickey Mouse credendolo Alighieri. Di fronte alle polemiche, Sasso se n’è uscito così: “L’onorevole Azzolina non è nuova ad attacchi nei confronti di insegnanti e dirigenti scolastici che hanno manifestato dissenso nei confronti delle sue politiche”. Avete capito? Insultare, denigrare e minacciare, per la destra (spero non tutta) al governo, significa “manifestare dissenso”. È una cosa lecita. E se l’insultato osa pure lamentarsi, è lui a sbagliare perché permaloso e non democratico.

Lo capite che siamo dentro un incubo, sì?

 

Letta sbaglia su Renzi: lo deve spegnere come dice Machiavelli

Enrico Letta ha dichiarato, a proposito dei rapporti del senatore Matteo Renzi con il principe saudita Mohammad bin Salman: “C’è un vuoto normativo su temi relativi a incontri e impegni con i regimi autoritari. Noi abbiamo una posizione diversa rispetto all’Arabia Saudita, siamo vicini alla posizione dell’America di Biden” (Il Fatto online 26 marzo).

Ho la massima stima per Enrico Letta e mi onoro di aver partecipato più volte alle ottime iniziative e ai corsi della Scuola di Politiche che ha fondato e presiede. Ma non condivido il suo commento su Renzi. C’è davvero bisogno di una norma giuridica con tanto di sanzioni che regoli gli incontri e gli impegni dei parlamentari italiani con regimi autoritari? Non dovrebbe bastare la semplice coscienza morale a dissuadere ogni persona degna di rispetto dall’intrattenere rapporti politici e professionali con capi di regimi che violano sistematicamente i diritti umani e si macchiano di crimini orribili?

Nel caso di un rappresentante della Repubblica Italiana c’è, oltre al dovere morale, il dovere, che la Costituzione impone, di adempiere le funzioni pubbliche “con disciplina e onore”. Anche quando agisce in forma privata, un senatore o un onorevole sono pur sempre rappresentanti dell’Italia e hanno dunque il dovere dell’onore. Dovere che esige di non violare mai il principio della dignità della persona umana sancito dalla Costituzione. E davvero non occorre uno speciale rigore intellettuale per capire che stringere la mano al principe di un regime che viola i diritti umani è atto disonorevole.

Né vale addurre, a giustificazione dei propri rapporti con il principe saudita, l’argomento che gli Stati Uniti continuano a intrattenere relazioni diplomatiche con il regime saudita anche dopo che Biden ne ha denunciato i crimini. Ma altro è intrattenere rapporti diplomatici per salvaguardare gli interessi strategici del tuo Stato, altro è lodare il regime e ricevere denaro per interesse e beneficio propri. E peggio ancora è affermare di considerare un amico un principe di quel regime immondo.

A Enrico Letta mi permetto quindi di consigliare di non accennare a vuoti normativi e di esprimere invece una condanna intransigente del comportamento del senatore Renzi nei confronti del principe saudita. Consiglio, inoltre, anche a Giuseppe Conte, di non avviare alcun incontro con Renzi e di operare per isolarlo il più possibile. Per l’ovvia ragione che l’uomo si è rivelato del tutto inaffidabile. Segretario del Pd, partito cardine della coalizione di governo, ha determinato la caduta del governo Letta (14 febbraio 2014). Capo di Italia Viva, partito fondamentale per la coalizione di governo grazie ai parlamentari a suo tempo eletti nel Pd, ha determinato la caduta del governo Conte (13 febbraio 2021). Perché fidarsi ancora? Anche ammesso che riusciate a stringere buoni accordi con lui, potete stare certi che appena vedrà miglior tornaconto personale li romperà. Molto meglio averlo come aperto nemico che come infido amico.

Consigliava il savio Machiavelli che gli uomini “si debbono o vezzeggiare o spegnere”. Vezzeggiarlo non potete perché dovreste soddisfare le sue richieste e le sue richieste sono incompatibili con i progetti che avete in animo per il Pd e per il M5S; potete solo spegnerlo, ovvero renderlo politicamente innocuo. Risultato che potrete facilmente ottenere rompendo ogni dialogo con lui. Isolato, sarebbe costretto ad andare con il cappello in mano da Salvini o da Berlusconi e imparerebbe, con Dante, “sì come sa di sale / lo pane altrui, e come è duro calle / lo scendere e ’l salir per l’altrui scale”.

 

Palamara dimostra solo il potere delle correnti

Come è noto, i pm di Palermo, compreso il Procuratore capo Lo Voi, hanno chiesto il rinvio a giudizio di Matteo Salvini per sequestro di persona per aver negato lo sbarco, nell’estate del 2019, a 147 migranti soccorsi al largo di Lampedusa dalla nave della ong Open Arms. La richiesta ha dato spunto al direttore del Giornale, Sallusti, per un editoriale del 21 marzo dal titolo “Il Procuratore ‘made in Palamara’”. L’intento del direttore – oltre alla solita contumelia nei confronti della magistratura: “Facciamo finta di non vedere che la giustizia è nelle mani di una banda di sciagurati” – era quello “almeno che gli italiani sappiano da che pulpito arriva la richiesta di rinviare a giudizio Salvini per un presunto reato politico”.

In proposito, si è “affidato alle parole di Luca Palamara nel libro Il Sistema”, circa la nomina del nuovo procuratore di Palermo: “Mi convoca il procuratore di Roma Pignatone e a sorpresa mi dice: ‘Si va su Lo Voi?’. Rimango sorpreso, è il candidato con meno titoli tra quelli in corsa, ma sono uomo di mondo, mi adeguo e studio la pratica. È un’impresa difficile, l’uomo era distaccato fuori sede, all’Eurogest. Ricordo la trattativa come una delle più difficili della vita, faccio un doppio gioco e la vinco: Lo Voi va a Palermo e, dopo il giusto ricorso di un suo avversario, io e Pignatone organizziamo una cena con il magistrato che dovrà decidere sul ricorso che…”.

In realtà non esiste alcuna correlazione tra i due episodi, poiché la nomina a Procuratore del Lo Voi (avvenuta nel 2014) non incide in alcun modo sulla legittimità della richiesta di rinvio a giudizio che l’organo dell’accusa, nel contraddittorio tra le parti, sottopone alla valutazione di un giudice terzo, sicché del tutto impropria è l’affermazione del Sallusti: “Ecco, la politica oggi si fa giudicare da un uomo così”.

Inoltre, l’episodio è di una gravità inaudita per il Palamara il quale, componente del Csm, non solo non respinge la “raccomandazione” (semmai vi è stata) del Procuratore di Roma in favore di un candidato meno titolato di altri concorrenti al posto di Procuratore di Palermo, ma addirittura si impegna – in violazione del dovere di imparzialità, facendo anche il “doppio gioco” (!!) – a far vincere la procedura concorsuale al candidato “segnalato”, meno titolato, danneggiando così il candidato più titolato costretto a rivolgersi al Tar ove vince. Ma è il Palamara a non darsi per vinto perché “propizia” (se è vero) a casa sua un incontro tra il Pignatone e il magistrato del Consiglio di Stato che dovrà giudicare il ricorso – poi accolto – del Lo Voi avverso la decisione del Tar.

Orbene, vi è materia sufficiente per un’indagine che faccia luce sulla inquietante vicenda anche acquisendo la versione di Pignatone.

L’episodio in questione è uno dei tanti che il Palamara racconta nella sua intervista al Sallusti e tutti dovrebbero essere oggetto di accertamenti quantomeno disciplinari (accertamenti ancora possibili poiché il Palamara non è stato definitivamente rimosso dall’ordine giudiziario), tenuto conto che lo stesso Palamara ammette “che negli ultimi anni non ho fatto il magistrato: io ho fatto politica. Non dentro un partito politico, ma inserito in un sistema politico. Ho confuso i ruoli, certo, ma è giusto dire che non ero un pazzo isolato; eravamo in tanti ed eravamo compatti, eravamo diventati quelli di una parte pronti a colpire l’altra, e non c’entravamo più nulla con il collega che si alza ogni mattina e si deve occupare di furti, rapine, separazioni e fallimenti”.

Ora, un personaggio del genere – che vuole riciclarsi e vuole combattere per “una giustizia più giusta” – è diventata una star televisiva, riverito e osannato da una certa parte politica e da una certa stampa giunta al punto di affermare – e la cosa ha dell’incredibile – che “Palamara è ancora vivo e lotta insieme a noi” (così Il Tempo del 21.3, a firma di F. Storace).

Si tratta evidentemente della gratificazione dovutagli per essersi inventato un “Sistema” per il quale la magistratura si compattava contro i politici che “hanno sfidato i magistrati” e quindi Berlusconi, Renzi, Salvini (eccetto Enrico Letta e Paolo Gentiloni che “non hanno sfidato i magistrati”).

Per la verità, un tale sistema non è mai esistito, ma è esistito un sistema correntizio – di cui uno dei principali protagonisti era il Palamara – che inquinava le procedure concorsuali per incarichi e nomine basate non sul merito, ma sull’appartenenza alla corrente e su tale sistema non si è indagato a fondo, quantomeno in sede disciplinare.

 

La cuoca cinese di mia zia, l’infinita crisi del Pd e i suoi taralli alle olive

Anni di disaffezione, perdita di iscritti, crollo del giro di attivisti e simpatizzanti (Repubblica, 28.03, “Il grande incompiuto”, sulla crisi del Pd)

L’altro giorno, la cuoca cinese di zia, bravissima a cucinare pugliese (crede lei), non se la smetteva di ridere. Stava leggendo un longform di Repubblica sulla crisi del Pd. Poiché è la nipote di Qing Jiang e Mao, di politica ci capisce, e così, mentre cercavo il numero del dentista per la ricostruzione di un molare appena frantumato da uno dei suoi taralli con olive (non toglie i noccioli), le ho domandato perché quel pezzo la facesse sganasciare. E lei: “Be’, a ogni débâcle sponsorizzano il nuovo salvatore della baracca, e sempre con il ritornello ‘Non ci sarà un’altra occasione’. Ricordo certi editoriali di Scalfari: nel 2016, all’epoca del referendum sulle trivellazioni petrolifere, in nome di un “compromesso” fra sinistra moderata e destra moderata esaltava Renzi paragonandolo a Giolitti. E oggi ritornano sul luogo del delitto facendo gli gnorri: riescono per ben 8 pagine a non nominare il difetto di fabbrica del Pd, riassunto dallo slogan dalemiano ‘Le elezioni si vincono al centro’”. “Cosa c’era di sbagliato?”. “Da ormai 30 anni, le scienze cognitive hanno scoperto che gli elettori non votano i programmi elettorali, ma una visione del mondo. Il modello di Berlusconi era molto definito: il padre autoritario. Chi vota a destra vota quella visione del mondo. La paura dell’extracomunitario, come la strumentalizzazione dei temi etici, servono a rinforzare il modello del padre autoritario. La destra non ha bisogno di spostarsi al centro per vincere le elezioni”. “E il Pd che modello ha?”. “Non ne ha nessuno, così si sposta verso destra, vedi le leggi Renzi-Poletti sul lavoro, e perde”. “Perché?”. “È un problema di framing. Il modello del Pd dovrebbe essere alternativo, e invece va a rimorchio della destra. Quando il Pd parla di ‘sgravi fiscali’, per esempio, rinforza il modello della destra, che usa quelle parole perché considera le tasse un peso. Nel modello alternativo, le tasse proteggono il presente e il futuro dei figli. Se tagli le tasse, i diritti tuoi e dei tuoi figli (sanità, scuola, pensione) diventano servizi a pagamento. Non c’è più giustizia sociale: col taglio delle tasse, la destra decurta i fondi per i programmi sociali che si prendono cura della gente. Vuoi una nuova proposta di sinistra? Il reddito di base. Come vedi, questo modello alternativo è pieno di idee migliori, ma il Pd le ha abbandonate, e adesso è eccitante come un catalogo di sementi”. “Letta propone lo ius soli, una nuova legge elettorale, e una norma anti-trasformisti”. “Oh, lo ius soli è sacrosanto: purtroppo non è ancora applicato in Italia, dove il Pd ha governato per nove degli ultimi dieci anni. E Letta propone il ritorno al maggioritario. Prodi lo indicò come unica via al bipolarismo, ma fu sbugiardato da Sartori, poiché esistono sistemi proporzionali dagli esiti bipolari. Il proporzionale dà senso al voto: permette una rappresentanza più giusta”. “Come garantire la governabilità?”. “Nel 2013, Sartori propose di copiare il modello francese a doppio turno: primo turno proporzionale, secondo turno maggioritario, abbinandolo al semi-presidenzialismo. È la formula più efficace, dittatura cinese a parte”. “E la norma anti-trasformisti?”. “È un’altra forzatura che ribadisce il modello del padre autoritario. Un parlamentare rappresenta tutto il popolo, non il suo partito: quindi la sua autonomia decisionale deve restare intatta in ogni momento della legislatura, non va coartata da regolamenti per cui, se voti in dissenso, vieni punito. Vuoi che ti faccia altri taralli?”. “No, grazie”. “Non ci sarà un’altra occasione”. “Ho solo 32 denti”.

 

Ora rivoluzionare subito l’Oms

Più si avvicina, speriamo rapidamente, la sconfitta della pandemia da Covid, più è pressante il timore che non si utilizzi tutta l’esperienza maturata (errori e successi) affinché il futuro possa essere migliore, anche nell’affrontare nuove sfide pandemiche. Lo abbiamo ripetuto più volte. Gli errori, alcuni inevitabili, non dovranno mai più ripetersi. È un dovere della nostra generazione “Covid” nei confronti delle numerose vittime e di chi spera che le prossime generazioni possano trovare migliori condizioni per affrontare nuove sfide. L’11 agosto scorso è stato costituito un gruppo internazionale al fine di proporre soluzioni, a livello globale, per il mondo sanitario, e non solo, post-Covid. I lavori saranno conclusi il prossimo settembre. Ne fanno parte ex capi di Stato e di governo, scienziati, economisti, capi di istituzioni sanitarie e di assistenza sociale e leader della comunità imprenditoriale e delle istituzioni finanziarie. Il primo documento è stato prodotto a marzo e comprende gli obiettivi indicati dalla commissione per il post Covid. “Dobbiamo accettare – si legge nella premessa – che il sistema globale non è riuscito a contenere questa pandemia e siamo empatici con tutti coloro che hanno perso i propri cari a causa del Covid-19. Siamo grati per i fenomenali sforzi compiuti dal personale sanitario e sociale. Abbiamo bisogno di nuove strutture in grado di rilevare le minacce emergenti e rispondere rapidamente. Dobbiamo rafforzare le istituzioni esistenti, inclusa l’Oms sia a livello centrale che, in particolare, presso l’Ufficio regionale per l’Europa e gli uffici nazionali; e sviluppare un approccio nuovo e ambizioso che vada oltre tutto ciò che abbiamo fatto finora”. Ottima idea, e vista la qualità dei componenti il gruppo di studio, ottima qualità di lavoro. Speriamo che si passi alla pratica. All’orizzonte, lo scoglio senza il cui superamento ogni sforzo in tal senso si mostrerà inutile, e mi riferisco al limitato potere dell’Oms, organo che non può limitarsi a essere una sentinella.

 

Il sorteggio di Grillo, l’idraulico di Manconi

Un po’ di stampa mainstream dà spazio alla proposta rilanciata qualche anno fa da Beppe Grillo. Domenica, infatti, La Stampa ha scelto l’onore dell’editoriale che parte dalla prima e occupa lo spazio nobile, accanto alla firma del direttore per perorare la causa del sorteggio. Non come “un’istanza populista” e nemmeno “una discussione solo teorica”. E neanche “si tratta di una proiezione utopica” semmai del suo esatto contrario: “Una forma meticolosamente organizzata e informata di attività pubblica”. Si potrebbe pensare che a firmare l’editoriale sia proprio Grillo che, quando lo proponeva, era invece un “provocatore”, un “tragicomico”, un cultore di “brodo ideologico” o, come ricordava il prof. Sabino Cassese sull’Huffington Post, uno che “sceglie un parlamentare come sceglie l’idraulico”. Ma la firma non era di Grillo, ma del più “democratico doc” Luigi Manconi, che Grillo e il M5S non li cita nemmeno. Forse perché lui l’idraulico ce l’ha già.

Il default del fondo Archegos fa tremare i mercati: affondano Nomura e Credit Suisse

La spettacolare svendita di azioni hi-tech innescata nei giorni scorsi da Archegos Capital Management spaventa i mercati finanziari. La società Usa, nominalmente un family office che gestisce il patrimonio del miliardario fondatore Sun Kook “Bill” Hwang, ha costretto le banche finanziatrici a disfarsi di azioni per oltre 20 miliardi di dollari. A innescare la reazione è stata la richiesta di un broker che aveva richiesto ad Archegos l’integrazione del collaterale a garanzia di alcune operazioni finanziarie in derivati.

Il fondo non ha adempiuto e questo ha spinto colossi come Deutsche Bank, Goldman Sachs e Morgan Stanley che hanno scaricato grandi pacchetti azionari detenuti per conto di Archegos. Si è così innescata una spirale che ha finito per coinvolgere grandi banche globali come Nomura e Credit Suisse, che hanno avvertito il mercato del rischio di potenziali ingenti perdite. Sulla base dei corsi di Borsa, Nomura potrebbe perdere sino a 2 miliardi di dollari mentre Credit Suisse – già coinvolto nello scandalo Greensill – non ha fornito cifre, ma il Financial Times ritiene che le perdite potrebbero essere comprese tra 3 e 4 miliardi. Le rivelazioni delle banche coinvolte sono arrivate dopo il tonfo dei titoli di alcune società hi-tech statunitensi e cinesi, colpiti dalla svendita innescata da Archegos. Dal 23 marzo le azioni della società hi-tech cinese Baidu sono crollate di circa un terzo e quelle di Tencent Music addirittura del 49%, mentre dal 26 marzo le azioni di ViacomCBS e Discovery sono calate del 27%. Secondo alcuni osservatori è da tempo che i segnali di rischio relativi ad Archegos non sono stati raccolti e valutati dal mercato. In discussione è innanzitutto Hwang: il finanziere di Hong Kong è stato accusato di frode nel 2012 e 2014 e ha patteggiato, venendo bandito dal trading sul mercato asiatico dopo aver pagato multe per 44 milioni di dollari. Inoltre è vero che un family office ha meno obblighi di trasparenza, ma come hanno fatto alcune delle maggiori banche di investimento mondiali a non accorgersi che Archegos accumulava posizioni a rischio per miliardi? Infine, i 10 miliardi amministrati da Archegos erano di Hwang o c’erano di mezzo anche fondi di terzi non dichiarati?

Torna alla memoria il tracollo di Long-Term Capital Management (Ltcm), un grande hedge fund guidato da economisti vincitori del Nobel che dal 1994 al ’98 attrasse miliardi degli investitori grazie alle sue promesse di riduzione dei rischi. Non andò così: nel 1998 Ltcm aveva debiti pari a circa 25 volte i suoi 5 miliardi di capitale e finì per implodere. A salvare il fondo, per sventare i rischi di una crisi finanziaria globale, fu addirittura la Federal Reserve.

Assegno unico, la riforma al via tra molti difetti

Nel rivendicarne la paternità, la ministra renziana della Famiglia, Elena Bonetti, ha presentato l’assegno unico familiare come una rivoluzione per le politiche di sostegno alla natalità. Gli osservatori più autorevoli, invece, ci vanno cauti e parlano di un provvedimento che ha sì dei pregi, ma anche diversi difetti, di cui un paio gravi e sui quali si sta cercando di mettere una toppa. A partire, per esempio, dalle tante famiglie che rischiano di perderci: 1,3 milioni secondo le prime stime. Il testo, una legge delega, è oggi all’esame del Senato per il via libera definitivo: diventerà realtà a luglio.

Tra 4 mesi, insomma, la misura ingloberà ben 8 strumenti oggi esistenti: dal bonus bebè alle detrazioni fiscali. Il nuovo aiuto consisterà in un contributo – o credito d’imposta – di massimo 250 euro al mese e partirà dal settimo mese di gravidanza fino al compimento dei 21 anni del figlio. Ed è già qui che sorge il primo problema: come aiutare le famiglie con ragazzi di età superiore rispetto ai 21 anni? Non una questione banale, considerando che in Italia l’inserimento nel mercato del lavoro è molto lento e spesso si resta precari a lungo senza riuscire a emanciparsi economicamente dal nucleo familiare. Proprio su questo, ieri Bonetti ha spiegato che sarà approvata una norma transitoria per permettere ai nuclei con figli più grandi di continuare a percepire le attuali detrazioni. Insomma, se è vero che uno degli obiettivi dell’assegno unico è – per l’appunto – semplificare l’attuale groviglio di norme, il risultato sarà raggiunto solo in parte, perché continueranno a coesistere due regimi differenti a seconda dell’età dei figli. In seguito, solo quando si arriverà al Family Act, si dovrebbe definitivamente trovare una soluzione unica.

Secondo Patrizia Luongo, economista del Forum Disuguaglianze e Diversità, è comunque importante l’aver messo ordine e, soprattutto, aver optato per un intervento universale e decrescente con l’aumentare dell’Isee: “Questa universalità selettiva consente anche a famiglie che prima non ne usufruivano di averne accesso, penso agli autonomi che non ne avevano diritto, o ancora agli incapienti, cioè quelli che oggi non hanno detrazioni fiscali perché il reddito non arriva alla soglia minima”. Dunque per la prima volta il bonus andrà nelle tasche di chi guadagna meno di 8 mila euro l’anno e finora è stato escluso dagli aiuti poiché, non essendo tassati, non potevano nemmeno ottenere sconti fiscali. È quello che è successo ad esempio con il bonus 80 euro.

Se da un lato la coperta si allarga e raggiunge anche le famiglie più benestanti (come già succede oggi con le detrazioni), per qualcuno diventa meno confortevole. Come detto, le famiglie composte da lavoratori dipendenti si vedranno ridotto il beneficio, con una perdita che dovrebbe attestarsi in media sui 32 euro al mese. Anche qui si sta lavorando per un correttivo: una sorta di clausola di salvaguardia – che era già stata inserita e rimossa una prima volta – con uno stanziamento da 800 milioni per evitare che qualcuno inizi a prendere meno di prima. Cifra che si aggiungerebbe ai 20 miliardi totali, per due terzi derivanti dalle misure inglobate.

C’è poi una scelta che appare poco avveduta: le maggiorazioni sull’assegno saranno applicate solo a partire dal terzo figlio. “È vero che l’obiettivo è incentivare la natalità – fa notare Luongo – ma non si capisce perché non partire già dal secondo in un Paese in cui il numero medio di figli per donna è inferiore a due”. La realtà italiana avrebbe suggerito uno sforzo maggiore.

Resta una certezza: l’esperienza mostra che i bonus da soli non fanno miracoli. “Servono anche congedi parentali, più asili nido e servizi per l’infanzia”, conclude Luongo. Come ha detto la Svimez a novembre, al Sud il tasso di copertura di posti negli asili nido è fermo al 13,5%, ben distante dall’obiettivo europeo del 33%. Una carenza che penalizza le donne sul mercato del lavoro.