Rete. L’incredibile filo umano che resuscita. Don Stella, il prete ammazzato dalla mafia

Echi me lo doveva dire che sarei dovuto andare a lezione da dei ragazzi di Gallarate, in provincia di Varese, per imparare un po’ di storia dell’antimafia siciliana? Invece è accaduto. E non perché un gruppo di studenti si sia messo su Google a fare ricerche astruse di cui darmi i risultati. Ma grazie a uno di quei misteriosi e antichi fili invisibili che legano come per capriccio i luoghi e le persone.

Sentite che meraviglia. La Regione Lombardia organizza un convegno (a distanza) sulla memoria. Vuole ricordare l’impegno dei preti contro la mafia. Manda così un canovaccio alle scuole candidate a partecipare proponendo, perché se ne tenga conto, alcuni casi di preti uccisi dalla mafia. Il funzionario per le cui mani passa questa pratica è un giovane siciliano che lavora con passione presso la speciale commissione regionale antimafia. Si chiama Giuseppe Sirni ed è nato a Mistretta, provincia di Messina. Da quelle parti deve avere sentito gli echi di una vicenda che prima del fascismo coinvolse un prete di Resuttano, paese a me sconosciuto di quasi 2mila abitanti in provincia di Caltanissetta. Il prete si chiamava don Costantino Stella, corregionale e coetaneo di don Sturzo. Venne ucciso, accoltellato, dalla mafia dei campieri e dei gabelloti mentre si batteva per la povera gente dei campi. Si disse “cose di donne”. E nei grigiori culturali dei tempi e della Sicilia del feudo venne dimenticato. Ma sentite ora. Una delle scuole che ricevono l’invito della Regione è l’istituto tecnico-professionale “Giovanni Falcone” di Gallarate. La professoressa a cui arriva si chiama Annitta Di Meo, ed è al Nord dall’80. Al “Falcone” organizza da anni viaggi antimafia per l’anniversario di Peppino Impastato, il 9 maggio, raccogliendo gli studenti più sensibili della scuola. Insomma, siciliana antimafiosa, un genere che i lettori di questa rubrica conoscono bene. Anche lei viene da un paese di cui imparo il nome nell’occasione: Mirabella Imbàccari, tra Caltagirone e Piazza Armerina. Suo padre faceva il contadino. Per i tempi “era istruito, aveva fatto la quinta elementare”, e promise al proprio padre che avrebbe fatto studiare più a lungo le due figlie. Promessa mantenuta.

Quando vede il nome Resuttano la prof lo associa subito a un insegnante amico e da lì arriva a un’altra prof, Maria Piera Puleo, assessore alla cultura appunto di Resuttano. Dove trova i documenti e i ricordi su quel “prete sociale”. Che rimbalzano fino a Gallarate, estremo nord della nazione. E su cui i ragazzi lavorano con entusiasmo, imparando la biografia, dandone lettura e incorniciandola nel sottofondo musicale di Pensa di Fabrizio Moro, chiudendo il tutto con uno spettacolare Hallelujah di Leonard Cohen. “Sì, Luciano Blasutta, il professore di musica, è molto sensibile a questi temi. E per i ragazzi la musica è uno strumento potente di coinvolgimento. Io poi sto attenta a dosare gli ingredienti di ogni esperienza. Quando andiamo in Sicilia cerco di evitare l’abbuffata di legalità. Ci metto anche la bellezza e la cultura, con Agrigento, e l’elemento ludico con i bagni”.

È così che nella memoria sempre un po’ sorda del nostro popolo irrompe da lontano, nel tempo e nello spazio, il nome sconosciuto.

“Pensi al nome, Stella”, chiosa la professoressa Annitta, “come se ci facesse da guida con le sue umili gesta” (“che coraggio contro i campieri!”). Trasecolo nel fiabesco clima musicale diHallelujah. Queste cose le ho studiate, penso. Quante volte abbiamo ricordato i preti uccisi. Ma di don Costantino si erano perse le tracce. Ritrovate ora grazie a dei ragazzi, ma soprattutto alle catene misteriose che sempre hanno salvato la cultura nella storia del mondo. “Che faccio quest’estate?”, la prof non ha dubbi: “Vado a Resuttano. Ci incontreremo tutti lì con i colleghi”. A parlare di Costantino Stella, il prete dei contadini.

 

Satelliti d’amore. Guarire dalla dipendenza emotiva: “Io, un pianetino intorno a un sole”

 

“Una star mondiale della lirica e me (il suo ‘pezzo di carne’)”

Cara Selvaggia, ho vissuto una dipendenza affettiva durata quattro anni. Lui era un cantante lirico di fama mondiale che ha cantato in tutto il mondo, ora è a fine carriera, ha due anni più di me, insegna perché già quando ne ero dipendente si era rotto le palle di cantare in teatro. O così almeno diceva. Ci legava un fattore, che è stato determinante: la malattia, o meglio, lo stato di salute. Eravamo due mondi fusi, o meglio, io ero un pianetino intorno a un sole che non potevo abbandonare. In realtà quel sole bruciava solo per sé stesso, o addirittura non bruciava affatto e io lo vedevo bruciare. A pensarci adesso ti potrei dire che non scaldava nemmeno. Mi dicevo: se lui, così in vista, può fare quello che vuole ed essere quello che vuole, anche NON essere, se vuole NON essere, perché non ci posso riuscire anche io visto che sono “malato” come lui? Ci siamo conosciuti il 24 ottobre 2011 e mi ha lasciato il 2 gennaio 2015 sparendo nel nulla (il tuo organizzava un evento mentre tu eri sdraiata sul fondo, il mio cantava in Francia mentre mi facevano una lavanda gastrica). In mezzo, l’estasi, l’ebbrezza di vivere la sua vita che, come ti ho detto, lo stava stancando. Anzi, mi ripromettevo di ridargli entusiasmo e lui a volte si incazzava e mi diceva “non capisci, ho visto tutto, fatto tutto, provato tutto, mi sono rotto il cazzo e non me ne frega una mazza se il pubblico gode mentre canto”.

La verità è che io vivevo una vita ammaliante con lui, ero ammaliato, ero affascinato. Non ero innamorato, ora lo so. Viviamo in due città diverse, Roma e Bologna. Ogni volta che facevo quei chilometri per andare a trovarlo diventavo un’altra persona, uno che si piaceva molto di più dell’uomo “di Bologna”. Mi ha fatto viaggiare con lui per il mondo perché “non poteva fare a meno di me”. Io pian piano cominciavo a sentirmi un peso, non volevo che spendesse tutti quei soldi per me, mi faceva sentire in debito. Mi stava comprando: ero un pezzo di carne, una merce da acquistare, appunto. O almeno così mi sentivo. Facevo quello che voleva, sempre. Anche pratiche erotiche che non mi piacevano. Forse non t’è mai capitato, ma non solo le donne possono fingere di provare piacere. Il piacere maschile è visibile, è vero, ma io mi sono sempre giustificato dicendo che ero preoccupato per il lavoro, per questo o quell’altro motivo e che la cosa importante dopotutto era la sua soddisfazione. L’unica cosa che non mi propose mai, se come una battuta servita lì, è la droga. Ma, mi disse, solo perché le aveva provate tutte tranne quelle che si iniettano.

Il 10 luglio 2015 ero con lui in Sicilia e mi presentava a registi e colleghi come “l’amore della mia vita” (giuro!). La sera del 10 agosto io presentavo una gara di canzoni tra dilettanti qui vicino casa mia e lui mi disse: “Sei nato per stare su un palco, a fare cosa non so ancora, ma hai buttato via la tua vita… peccato… sei bellissimo stasera, amore mio”. Io vivevo per quelle parole, mi nutrivo della sua approvazione anche quando non era affatto approvazione. Poi una sera mi molla mentre gli servivo il pollo arrosto; si alza, se ne va, io comincio a piangere. Ricordo pochissimo cosa successe dopo, è tutto confuso. Cadde il mondo, trovai il modo di farmi prescrivere sostanze di cui feci un uso improprio finendo in ospedale. Se l’ambulanza fosse arrivata mezz’ora più tardi ora non leggeresti questa lettera.

Dagli altri eravamo visti come la coppia perfetta. Lui sembrava a tutti così amabile e io risplendevo di luce riflessa. Ci illuminavamo. Tutti ci trovavano belli, complementari, perfetti, affiatati. L’unica persona che non riuscimmo proprio a “ingannare” fu una grande attrice ormai anziana, ma arguta come poche, che lui intervistò una sera in un teatro all’aperto: cenammo insieme dopo l’incontro e la sua faccia era inequivocabile, la faccia di una che non crede che acqua e olio possano mescolarsi. Potrei continuare all’infinito raccontandoti tutto di quel periodo. Ma mi fermo, altrimenti scriverei un libro. Anzi, per la verità l’ho già scritto (quelle righe mi hanno salvato) e anche “auto-pubblicato” su Amazon: è la storia di una sorta di dottore demoniaco che spinge al suicidio o alla morte chi tra i suoi pazienti gli faccia girare le palle. Uccide due dirigenti, una collega, diversi suoi amici e, ovviamente, lui alla fine.

Tornando a me e al mio ex. Ho smesso di seguirlo su Facebook il 28 luglio 2017, sei anni dopo il giorno in cui ci siamo conosciuti. Per scelta mia. Ci rimase malissimo anche se dal 2015 al 2017 mi fece cadere sempre dall’alto ogni messaggio, ogni post, ogni commento, ogni incontro (in tutto 4). Non mi telefonò mai.

Poi mi sono ritrovato. Scusa gli errori, ho scritto tutto di getto e non rileggo, prendimi così, al naturale come il tonno.

S.

 

Caro S., diciamo che la tua personalità “dipendente” traspare ancora dall’esattezza maniacale con cui tendi a fissare ogni episodio nella sua precisa casella temporale. Dunque mettiamola così: oggi 29 marzo ti consiglio di rivolgerti a uno specialista in dipendenze affettive che possa spiegarti cosa ti è accaduto, il perché tu ti sia legato a un narcisista anaffettivo e cosa ci sia che non va in te, non nel tuo ex. Quando sarai “guarito” davvero da questa ossessione smetterai di descrivere quanto fosse sadico lui e di ricordare data e ora di ogni passaggio di questa storia. Rimetti al centro te stesso. Non ti serve un palcoscenico come voleva farti credere lui ma, forse, un aiuto.

Selvaggia Lucarelli

Quaresima. Astinenza e digiuno: i cardinali facevano penitenza con buffet di pesci e gelati

Era il sedicesimo secolo e a Firenze, nei cosiddetti tempi di magro, un ufficiale perlustrava la città annusando odori sospetti. Un fiutatore d’arrosti che poi denunciava chi violava la regola dell’astinenza dalla carne.

La Quaresima – le cinque settimane che precedono la Pasqua – è il più noto periodo di magro, sintetizzato dal classico “Venerdì pesce”, che non a caso è il titolo dell’originale saggio di Claudio Ferlan, ricercatore di Trento, su “digiuno e cristianesimo” (Il Mulino, 192 pagine, 15). Una volta infatti il digiuno era decisivo per i cattolici. Oggi, nota Ferlan, papa Francesco non ne ha fatto cenno nell’ultimo messaggio per la Quaresima e spesso il digiuno ha un’accezione più larga, come quando lo scorso anno l’arcivescovo di Bologna, il cardinale Matteo Zuppi, più semplicemente don Matteo, invitò a un digiuno digitale, quaranta giorni senza Internet e senza social. Peggio che la fame vera e propria per molti, probabilmente.

Si calcola che nel Medioevo tra digiuno e astinenza si arrivava anche a 150 giorni di precetto, cioè di osservanza della regola. Ma, si sa, i cattolici hanno sempre risentito della morbida tolleranza di Roma. Altro che la sobrietà luterana della Riforma. E così tra dispense ed eccezioni, talvolta solo i poveri pagavano il fio del magro. Non solo. Ferlan distingue tra formalismo e penitenza e spiega come l’astinenza dalla carne spinse a raffinatissimi banchetti pieni di pesce e ogni altro bendidio. Lo stesso Lutero, benché critico, sperimentò il digiuno per una questione di tempo. Quando era ancora un monaco cattolico tra i mille impegni che aveva non voleva sottrarre ore alla preghiera e così rinunciò al cibo per le orazioni. Risultato: “Persistenti dolori alla testa, disorientamento, stordimento, addirittura rischio di pazzia”. Quindi “secondo la testimonianza del padre della Riforma fu Dio stesso a sollevarlo ‘con una certa violenza da quella macelleria di preghiere’”.

Pure tra gli stessi cattolici fioccavano dubbi su questa forma estrema di rinuncia – va ricordato Ignazio di Loyola, il fondatore della Compagnia di Gesù – ma pesava l’ultimatum di San Tommaso sulla pancia piena che induce all’odiata lussuria. Il saggio di Ferlan è meticoloso e ricostruisce il rapporto tra digiuno e cristianesimo come un pranzo, diviso in quattro parti che s’intitolano: “Antipasto”; “Minestra”; “Porzione”; “”Pospasto”. Ancora a proposito della mollezza di taluni cardinali, cui si contrapponeva per esempio la “santa anoressia” delle mistiche. Nel saggio c’è la storia di Luigi Desanctis, diciannovesimo secolo, padre camilliano cattolico che divenne protestante.

Nel suo libro Roma papale, Desanctis raccontò come rimase nauseato da un banchetto romano durante la Quaresima penitenziale, in casa di un arcivescovo. Un autentico salotto gnam gnam d’antan: “Una superba tavola imbandita di ogni delicatezza, era nel mezzo: pesci di ogni sorta apprezzati con gusto squisito, confetture e frutta di ogni specie, senza neppure mancarvi l’ananasse del Perù (…). Camerieri in abito nero scalcavano e servivano le vivande fredde (…); mentre altri passavano offrendo gelati, e bibite, thè, e vini…”. Formalmente, l’astinenza dalla carne era osservata.

 

Le sue costose missioni estere non sono affari privati

Negli ambienti finanziari milanesi gira da un po’ la voce che Matteo Renzi sia prossimo a cambiar mestiere. La carriera politica fungerebbe da trampolino per incarichi più remunerativi, già testimoniati dal repentino incremento dei suoi redditi. Ma finché Renzi è senatore, e in particolare membro della Commissione Difesa, cui spetta di occuparsi di interessi vitali della nazione, s’impone a lui di adempiere “con disciplina e onore” alla funzione pubblica assegnatagli (articolo 54 della Costituzione).

In democrazia ciò comprende anche il dovere della trasparenza: le sue costose missioni all’estero, che siano retribuite o solo rimborsate da terzi, non possono essere considerate un affare privato. Renzi è un ex presidente del Consiglio, tuttora segretario di un partito che fa parte del governo in carica. Anziché querelare i giornalisti, deve ancora spiegarci cos’è andato a fare a Dubai non più tardi di tre settimane fa in compagnia di Marco Carrai, console onorario d’Israele per il Nord Italia. Né può giustificare il suo ossequioso dialogo pubblico col principe saudita Muhammad bin Salman del gennaio scorso falsificando il rapporto Cia che ne indicava le responsabilità di mandante dell’omicidio Khashoggi. Che si tratti di viaggi d’affari o di un non meglio precisato ruolo nell’ambito dei cosiddetti Accordi di Abramo, la faccenda ci riguarda.

La presenza di Renzi ieri ai box del Gp di Formula 1 in Bahrein si configura come uno sberleffo oltraggioso di fronte a un paese chiuso per lockdown. Trincerarsi dietro al rispetto formale delle regole equivale solo a un’ostentazione di privilegio.

Ci aspettiamo che la presidente del Senato, Maria Elisabetta Casellati, voglia chiedergliene conto nella seduta di martedì prossimo.

Rifondazione per una sinistra anti-Draghi

L’obiettivo è chiaro e lo si capisce anche dal titolo dell’assemblea: “Praticare l’opposizione, costruire l’alternativa. Il tempo è ora”. Il segretario nazionale di Rifondazione Comunista Maurizio Acerbo nei giorni scorsi aveva lanciato un appello a tutte quelle forze di sinistra che non si riconoscono nel governo Draghi e nemmeno lo sostengono per costruire una proposta politica “antiliberista, di sinistra, ambientalista, pacifista e femminista”. Un appello a cui ieri pomeriggio hanno risposto positivamente molti amministratori, intellettuali e attivisti che hanno partecipato all’assemblea via zoom di Rifondazione Comunista.

L’incontro è stato aperto da Manon Aubry, eurodeputata francese del gruppo The Left al Parlamento Ue e nelle ultime settimane in prima linea contro la strategia della Commissione Ue sui vaccini e la privatizzazione dei brevetti di Big Pharma: “Ci vuole una resistenza contro il governo Draghi che ha incluso l’estrema destra della Lega – ha detto Aubry – perché in questo modo si normalizzano le forze neofasciste in Ue”. Molti gli interventi tra cui quelli dell’ex europarlamentare Emilio Molinari, della comica Francesca Fornario, di Giovanni Impastato, dell’ex segretario di RC Paolo Ferrero e del medico Vittorio Agnoletto. L’attore Moni Ovadia ha proposto di “costruire una nuova sinistra che sia attrattiva per i rider, i lavoratori della logistica e del teatro”: “Freghiamocene delle elezioni per una volta e costruiamo un progetto serio – ha concluso Ovadia – così non saremo più fermi a percentuali da prefisso telefonico”. L’ex assessore all’Urbanistica del Comune di Roma Paolo Berdini invece ha individuato tre sfide intorno a cui costruire una nuova sinistra: la ricostruzione del “welfare urbano”, la sanità pubblica e la “grande battaglia della transizione ecologica”. Lo storico dell’arte Tommaso Montanari ha ricordato come la nascita del governo Draghi sia solo il punto finale di un processo di “smontaggio della democrazia le cui tappe sono state l’elezione diretta dei sindaci e dei Presidenti delle Regioni che oggi chiamiamo governatori”.

Per questo Montanari ha chiesto di “fare una grande battaglia in favore della legge proporzionale”: “Con il Mattarellum e il taglio dei parlamentari la destra potrebbe cambiare da sola la Costituzione” ha avvertito lo storico dell’arte. All’assemblea ha partecipato anche il sindaco di Napoli e candidato alla Regione Calabria Luigi De Magistris: “A Napoli abbiamo dimostrato che si può costruire un’alternativa alle politiche neoliberiste – ha detto – per questo porterò il nuovo umanesimo, la lotta alle mafie e la valorizzazione dei beni comuni anche in Calabria”.

“Raggi non si tocca, ma al 2° turno col Pd l’accordo si può fare”

Se quella tra Pd e M5S sarà davvero “un’avventura affascinante”, come l’ha definita il segretario dem Enrico Letta, si vedrà innanzitutto al tavolo giallorosa sulle Comunali, dove Roma rappresenta la grana principale. E Francesco Silvestri, tesoriere del M5S alla Camera, romano, conosce molto bene il tema: “Trovare un accordo con i dem per il secondo turno è possibile, come tutte le cose intelligenti. Ma su Roma il Pd dovrebbe valutare l’appoggio a Virginia Raggi e abbandonare certi toni”.

Per Letta, “a Roma Raggi può essere la pietra d’inciampo per l’alleanza con il M5S”. Ha ragione, no?

A mio avviso Raggi rappresenta un’opportunità. In questi anni, assieme al Movimento, ha svolto un’importante lavoro di risanamento, e infatti la Corte dei Conti ha appena “promosso” i bilanci del Comune. Il Pd dovrebbe fare tesoro di questa esperienza e sostenere la ricandidatura della sindaca.

I dem le contestano molti errori. E le reciproche accuse tra Pd e Raggi raccontano di una distanza incolmabile.

Non sono sullo stesso piano. Negli ultimi giorni il Pd del Lazio ha paragonato la sindaca a Mussolini, mentre Nicola Zingaretti l’ha definita “una minaccia”. Al di là di un problema di stile, il punto è politico: a Roma i dem non sanno ancora distinguere il bene del male.

Anche Raggi spesso è durissima, innanzitutto con Zingaretti.

Le sue sono sempre critiche sul merito. Raggi chiede da sempre collaborazione sui rifiuti, un tema che è innanzitutto di competenza regionale. Invece dal Pd arrivano insulti. E questo rischia di rendere difficile anche un accordo per il ballottaggio. Come si possono convincere gli elettori dei 5Stelle se si attacca così la sindaca?

Quindi l’intesa per il secondo turno è possibile.

Sì, come tutte le cose intelligenti. A condizione che si cambino i toni, e che si lavori assieme a un patto per lo sviluppo della città, in modo trasparente.

Voi chi preferireste come candidato dem, Roberto Gualtieri o Zingaretti?

Per noi non fa differenza, il candidato del Pd andrà rispettato e basta. L’importante è che i dem capiscano che far vincere la destra sarebbe un grande errore, perfino più grave del buco lasciato nel bilancio della città.

Le ultime nomine in Regione come in Comune non mettono in buona luce nè il Pd nè il M5S. In Campidoglio avevano assunto la compagna di un assessore…

Per lo staff Raggi ha speso meno della metà di quanto spesero l’ultima giunta Veltroni e quella di Alemanno, e la metà circa rispetto alla giunta Marino. Dopodiché se c’è stata una nomina inopportuna, è stato giusto fare marcia indietro.

Beppe Grillo non vuole toccare il vincolo dei due mandati, ma gran parte dei parlamentari del M5S è in rivolta. Lei che ne pensa?

Non do molto rilievo al tema, perché le persone di questi tempi pensano a ben altro che ai mandati dei parlamentari. Detto questo, evidentemente Grillo ritiene che i due mandati debbano restare come elemento costitutivo del Movimento. Però ora si deve aprire una riflessione importante su come valorizzare l’esperienza di chi ha svolto due mandati e incarichi di governo.

Tradotto, che propone?

Si può pensare a incarichi rilevanti nel M5S, sempre passando per un voto degli iscritti.

Dove? Grillo ha detto che bisogna trattare con Rousseau, e anche questo ha fatto imbestialire molti.

L’importante è non quale piattaforma, ma il suo perimetro. Rousseau è migliorabile ma non ci sono pregiudizi. Però del M5S si occupa il M5S.

Intanto è un esplodere di correnti con sigle e manifesti. Amaro, no?

È già complicato lavorare in un gruppo, figuriamoci in gruppetti. Dobbiamo restare uniti.

“A destra donne leader, a sinistra solo figurine. L’orribile scelta Dem”

Perché i leader delle formazioni di destra sono spesso donne? E perché a sinistra non ci sono personalità finora in grado di tener loro testa?

Il colloquio con Lucetta Scaraffia, femminista prima che storica e giornalista, inizia da questa curiosa disposizione delle differenze di genere in politica.

“I governi europei sono stati per anni nell’alveo del centrosinistra presidiato da un establishment a forte caratura maschile. Dunque le donne sono sbocciate all’opposizione, dove il potere costituito era più debole e la concorrenza più scarsa. L’antesignana è senza dubbio Margaret Thatcher che conquista la leadership dei conservatori inglesi quando il partito è ridotto al lumicino, senza più energia e futuro. Negli anni, in Italia, Francia, nei Paesi del Nord, le conquiste femminili hanno vissuto di luce propria. Ha fatto carriera chi ha dimostrato capacità, sostanza politica. E poi le donne di destra hanno avuto la fortuna di non soggiacere al principio delle quote rosa che è la costruzione ipocrita di un cartello organizzato spesso per selezionare le favorite dei maschi”.

Le quote rosa sono di sinistra.

La scelta orrenda di Enrico Letta di regolare i conti interni al Pd attraverso la proposizione della questione di genere conferma che la sinistra utilizza questo metodo figlio di una grande ipocrisia.

Un tot di donne, purchessia.

Un tot di donne, magari brave, altre magari amiche, altre ancora magari fidanzate. Un tot, una modalità di gestire il potere consociando spesso il genere femminile ma al livello più basso.

Però le donne del Pd non si sono ribellate.

È questo il problema. Non hanno ribaltato il tavolo, non hanno protestato. La condizione femminile vive anche delle diversità delle aspirazioni, delle ambizioni, delle scelte di carriera di ciascuna. In politica conta questo fatto più ancora del riconoscimento del proprio ruolo. Giorgia Meloni si è affermata grazie all’assenza di queste concessioni benché dentro un partito schiettamente maschilista e paternalista. Ha potuto vincere la sfida in ragione delle qualità proprie non certo comparabili con quelle dei suoi compagni di viaggio.

Due anni fa lei rinunciò alla guida dell’inserto femminista (“Roma Chiesa Mondo”) che ogni mese era ospitato dall’Osservatore Romano. Lo fece dopo aver denunciato le continue e gravi violenze che nella Chiesa si consumavano ai danni delle suore.

Non c’era convento in Asia, in Africa ma anche in Europa dove non vi fossero casi di soprusi e di gravi effrazioni alla dignità e al corpo delle donne da parte dei loro confratelli. Tantissime le suore mandate ad abortire e innumerevoli i casi di riduzione a ruoli meno che ancillari, a servitù domestica.

E la Chiesa non prendeva posizione. Osservava silente e complice.

I pochi casi che venivano alla luce erano classificati come infrazione al voto di castità. Lui e lei avevano infranto la norma. Tutti e due colpevoli. Dunque nessun colpevole. Però le cose stanno cambiando.

Stanno cambiando?

Sono cambiate le suore. La condizione femminile vive una nuova stagione grazie alla generazione di donne giovani, delle nostre ragazze che non sono figlie della società maschilista, di quella cultura. Anche la Chiesa fa i conti con questa esplosiva novità generazionale.

È questo il mondo nuovo?

La presidente dell’unione internazionale delle Superiore Generale ha invitato espressamente a denunciare i soprusi, a dare voce alle proteste. L’avrebbe mai detto?

Anche nel governo del Vaticano si stanno vedendo volti femminili.

Sebbene sia una scelta molto d’immagine, votata più da una necessità stringente che da una scelta di fondo, resta una novità interessante.

La pandemia ha fatto retrocedere le donne, le ha richiuse in casa.

Le donne pagano il prezzo della loro indipendenza perché sono le più colpite dalla disoccupazione. In tante però hanno ritrovato il tempo perduto, pensi solo alle ore consumate negli spostamenti da e per i luoghi di lavoro. E questo tempo, nelle mani di una donna, diventa spesso un tesoro.

Pd: dopo Madia-Serracchiani riparte la guerra delle correnti

Se non è una tregua è almeno il tentativo di salvare le forme. Perché la faida correntizia che si è aperta prima al Senato e ora alla Camera per dare ai gruppi parlamentari del Pd una guida al femminile come richiesto dal nuovo segretario Enrico Letta, ha già inflitto un danno d’immagine profonda dalle parti del Nazareno. E così Marianna Madia cerca di salvarsi in corner porgendo il ramoscello d’ulivo dopo che due giorni fa aveva lanciato la granata contro il capogruppo uscente Graziano Delrio accusandolo di giocare sporco e di aver sostanzialmente cooptato per il suo posto Debora Serracchiani. Ieri Madia ha aggiustato il tiro: “Vorrei solo dire a Debora che mai ho parlato di mancanza di autonomia. Non l’ho mai detto, mai scritto, mai neanche pensato” ha scritto replicando alla sua diretta concorrente che si era risentita per le sue parole.

Ma non tira aria di pace fatta né di buoni sentimenti: l’Eva contro Eva in corso per il posto di capogruppo a Montecitorio toglie il velo dell’ipocrisia al correntismo come fatto solo al maschile. Che le donne democratiche vi siano estranee è una beata illusione a cui pare credere solo la giovane presidente del partito Valentina Cuppi: “Sono certa che le deputate e i deputati del Pd sapranno scegliere per il meglio e che le donne in particolare sapranno confrontarsi serenamente e battersi affinché non prevalga alcuna logica correntizia, che con fermezza abbiamo affermato di voler combattere come donne democratiche, insieme. Sappiamo che c’è bisogno di rigenerare il partito, bisogna saper farlo a partire da questi primi passi concreti, facendo valere la ricchezza del pluralismo, la competenza e il valore delle donne che fanno parte del gruppo del Pd alla Camera. Il segretario Letta ha spinto in questa direzione, nel pieno rispetto dell’autonomia dei gruppi parlamentari”. Lui, il già giovane Letta infatti si tiene a debita distanza e nel giorno della domenica delle Palme preferisce rivolgere il suo pensiero alle vittime innocenti della sanguinosa repressione in Myanmar. Ma il partito è in subbuglio: martedì si aprono i seggi per l’elezione a Montecitorio e la Serracchiani è ancora la candidata da battere con numeri solidi. La sua elezione a capogruppo della Camera comporterà la sua sostituzione alla presidenza della commissione Lavoro che, a sentire i bene informati, sarebbe la prima prova del riposizionamento interno al partito dove si affollano i nuovi lettiani, come l’ex ministro Francesco Boccia.

Sì perché come tradizione vuole, ad ogni cambio di segreteria nel Pd gli equilibri mutano. “La corrente di Nicola Zingaretti si sta liquefacendo e l’area di Andrea Orlando è destinata a destrutturarsi” sussurra qualcuno di Base riformista che nella partita al Senato ha tenuto botta. Il capogruppo Andrea Marcucci è stato costretto al passo indietro ma in compenso è subentrata al suo posto Simona Malpezzi. Che lascerà l’incarico di sottosegretario probabilmente a Caterina Bini, pure lei della corrente degli ex renziani guidata da Luca Lotti. Anche alla Camera l’elezione di Serracchiani (con vice Piero De Luca di Base riformista) sarebbe nel segno della continuità: anche lei come Delrio sono nel gruppo “Fianco a fianco” che fu dell’ex segretario dem Maurizio Martina. E Madia? Nella disfida con Serracchiani si dice pronta ad azzerare i giochi correntizi.

Renzi lascia il lockdown per la zona rosso-Ferrari

“Io non posso allontanarmi duecento metri da casa. Lui va a vedere la Formula1 in Bahrein…”. “Un Paese chiuso in casa ma lui viaggia senza fare mezz’ora di quarantena”. E ancora: “Il Bahrein è il Paese che amo. Qui ho le mie radici, le mie speranze, i miei orizzonti”. Sono solo alcuni dei commenti piovuti ieri sui social come tempesta per la presenza di Matteo Renzi ai box del Gran Premio del Bahrein, immortalato dalle tv in compagnia di Corinna Schumacher, dell’ex pilota Jean Alesi e del medico dei piloti Riccardo Ceccarelli. La presenza di Renzi è stata quindi “ufficializzata” dall’ex ferrarista Jean Todt, ora presidente della Federazione automobilistica internazionale, che ha postato su Twitter le foto con l’ex premier “Senator of Florence” e con il principe Salman ben Hamad al Khalifa, primo ministro del Bahrein.

Nella sonnacchiosa arena politica domenicale sono poche le voci che chiedono conto al senatore toscano: “Sarebbe interessante – domanda Angelo Bonelli, Verdi – conoscere i motivi di legge per cui Renzi si è recato nel Bahrein per assistere al Gran Premio… Ricordo che gli italiani si trovano in lockdown e non possono uscire dai loro comuni se non per salute o lavoro”. “La pandemia c’è per tutti, tranne che per Renzi che continua ad andare dove gli pare senza giustificarsi pubblicamente”, attacca Nicola Fratoianni di Sinistra italiana. Dall’ufficio stampa del renzismo arriva la replica: “Ha come sempre rispettato tutte le norme e martedì sarà in aula. Inutile dire che i viaggi di Renzi riguardano Renzi e non costano un centesimo al contribuente”. E ai suoi fedelissimi di Italia viva lo stesso Renzi dice: “Fanno polemica per i miei viaggi? E io ne faccio uno a settimana. Domenica scorsa in Senegal e oggi al Gran Premio”.

Quel che è certo è che Renzi, essendo senatore, così come i diplomatici, può viaggiare nell’esercizio delle sue funzioni. Ma sui motivi che giustificherebbero anche quest’ultima “missione” non arriva nessuna spiegazione. A sventolare la bandiera a scacchi ieri è stato l’amico imprenditore toscano Paolo Campinoti, proprietario del team Pramac Ducati di MotoGp. La passione dell’ex premier per le auto ha orizzonti ampi: sarebbe interessato a investire nel progetto di auto elettriche Extreme E Team del pilota campione del mondo di F1 Luis Hamilton.

La sai l’ultima?

 

Milano La sentenza: non c’è nessun obbligo di scrivere la verità nelle autocertificazioni

Splendide notizie per chi se ne fotte allegramente della pandemia, dei divieti e delle zone colorate. Un giudice ha stabilito un principio importante: quando si compila un’autocertificazione non è mica necessario scrivere la verità. Un 24enne milanese era finito a processo perché durante un controllo in pieno lockdown, un anno fa, aveva dichiarato il falso (e cioè che stava tornando a casa dal lavoro). Il giudice l’ha assolto – il fatto non sussiste – con queste argomentazioni: perché “un simile obbligo di riferire la verità non è previsto da alcuna norma di legge” e, se pure ci fosse, sarebbe “in palese contrasto con il diritto di difesa del singolo”, previsto dalla Costituzione. Insomma, come spiegano le motivazioni della sentenza, “non sussiste alcun obbligo giuridico, per il privato che si trovi sottoposto a controllo nelle circostanze indicate, di ‘dire la verità’ sui fatti oggetto dell’autodichiarazione sottoscritta”. Una copertura giurisprudenziale per fregare lo Stato: se ne sentiva il bisogno.

 

Pescara. Il gatto Grisù viene cacciato per sbaglio dal treno, la deputata grillina presenta un’interrogazione parlamentare

Grande apprensione anche in Parlamento per le sorti del gatto Grisù. Il micio di 14 anni era scappato dalla sua portantina durante il viaggio in treno tra Lecce e Torino. Il controllore del convoglio, vedendolo vagare in libertà tra gli scompartimenti, aveva pensato fosse un randagio e l’aveva fatto a scendere all’altezza di Pescara. La notizia aveva gettato nel panico non solo i proprietari, ma pure i sempre solerti animalisti italiani. Le ricerche del gatto avevano coinvolto anche gli agenti della Polfer, ma per ritrovarlo non bisognava andare lontano: Grisù, con una pigrizia giustificata dalla veneranda età, non era mai uscito dalla stazione di Pescara. Caso chiuso? Giammai: le sorti dell’animale hanno talmente appassionato alcuni sensibili settori dell’opinione pubblica, che l’affaire Grisù sarà portato alla Camera dei deputati. L’onorevole abruzzese del M5S Daniela Torto ha depositato un’interrogazione parlamentare per “far luce” sulla terribile onta subita dal felino. Sono priorità.

 

Francia. Entusiasmo incontenibile allo zoo di Beauval: due panda si accoppiano per 8 volte in un giorno solo

È fatto noto che i panda abbiano una proverbiale ritrosia all’accoppiamento: preferiscono rischiare di estinguersi alla faticaccia di fare l’amore. Ogni volta che due di questi grossi orsi finalmente si mettono le zampe addosso, in qualche modo è una notizia. Il Guardian di recente ha pubblicato la fondamentale cronaca delle gesta di Huan Huan e Yuan Zi, panda giganti dello zoo di Beauval, in Francia. Di fronte agli sguardi indiscreti ma entusiasti dei gestori della struttura, i due si sono dati da fare, e ripetutamente, ben otto volte in un giorno solo, sabato 20 marzo. L’esultanza degli scienziati è comprensibile: le femmine di panda sono fertili solo uno o due giorni all’anno e in genere riescono ad restare incinte una volta ogni 48 mesi. Per questo c’era molta pressione sulla performance di Yuan Zi, che si è dimostrato “molto più a suo agio nell’approccio rispetto all’anno precedente”. Ora non resta che aspettare e sperare che questo sforzo eroico diventi anche fecondo.

 

Casi medici. Ha febbre alta e tosse, le diagnosticano la tubercolosi, ma aveva un preservativo nei polmoni

L’immagine non sarà delle migliori, ma sono notizie che lasciano l’amaro in gola. L’apprendiamo da Fanpage: “Una donna di 27 anni si è presentata in ospedale con tosse, febbre e muco denso persistente da sei mesi. Quattro mesi prima le erano stati prescritti antibiotici e trattamenti anti-tubercolosi, che sembravano non avere alcun impatto sui suoi sintomi, come scrivono i medici in un caso clinico pubblicato nella National Library of Medicine. Poi invece si è scoperta la verità: la ragazza aveva ingerito o inalato un profilattico e, forse per vergogna o per ingenuità, non ha detto nulla ai medici”. Imbarazzo comprensibile, ma non è meglio dire la verità che rischiare di lasciarci le penne? Decisiva la radiografia al torace: “I medici hanno viso una lesione nel lobo superiore destro dei polmoni. Una struttura simile, secondo i dottori, a una ‘borsa rovesciata’. La donna è stata operata: l’oggetto è stato rimosso e poi analizzato”. Sembrava tubercolosi, era un preservativo.

 

Cesena. L’omelia del parroco don Paolo: “I vaccini anti Covid sono fatti con i feti vivi di donne pagate per farsi ingravidare”

Cosa c’è di peggio di un imbecille che blatera teorie assurde sui vaccini e l’aborto? Un imbecille che blatera teorie assurde sui vaccini e l’aborto in Chiesa, da dietro l’altare. Il prete illuminato don Paolo Pasolini è riuscito a diventare famoso, in terra, grazie all’allucinante omelia che ha pronunciato di fronte ai fedeli della parrocchia di San Rocco, a Cesena. “Gli ingredienti non solo del vaccino anti-Covid, ma anche di altri vaccini, sono tirati fuori da parti organiche di feti vivi abortiti”, ha detto il padre, arricchendo il racconto di dettagli aberranti come questo: “Delle aziende pagano delle donne povere per lasciarsi ingravidare, al quarto mese viene asportato il feto che dev’essere vivo. Gli organi, fegato, cuore e polmoni devono essere vivi, perché non si può utilizzare un corpo morto per fare delle cose vive”. Questi organi, secondo il prete, verrebbero venduti “a un’azienda che produce vaccini, tra cui anche l’AstraZeneca”. Crediamo che Don Paolo sia pronto per lasciare il pulpito ed esporre le sue teorie in un convegno della Lega in Senato.

 

Repubblica Ceca. Due gruppi di scimpanzé intristiti dal lockdown hanno iniziato a frequentarsi su Zoom

Anche le scimmie si incontrano su Zoom. Succede in Repubblica Ceca, tra gli zoo di Dvur Králové e di Brno. Lo scrive il Washington Post: “Due gruppi di scimpanzé angosciati dalla solitudine e dalla noia della pandemia hanno trovato un nuovo modo per divertirsi grazie a un’idea del personale dello zoo: le chiamate quotidiane su Zoom”. Gli scimpanzé – secondo l’articolo – avevano sofferto il lockdown per l’assenza di visitatori. Sono animali sociali: la stimolazione e l’interazione sono componenti fondamentali per la loro salute e felicità. Così i responsabili dei due zoo cechi hanno provato la strada della connessione attraverso la tecnologia: “All’inizio si avvicinavano allo schermo con atteggiamento guardingo o minaccioso”, ha spiegato la direttrice di Dvur Králové Gabriela Linhartova, ma dopo essersi abituati hanno cambiato comportamento. “Ora sembrano godersi le loro videochiamate quotidiane”. Prima di connettersi, proprio come gli umani, si prendono una manciata di snack e si mettono comodi davanti al video.

 

Calcio. L’allenatore dell’Ascoli multato per blasfemia: ha bestemmiato 12 volte. Ma dice: “Non è mia abitudine”

L’allenatore dell’Ascoli Andrea Sottil è stato sanzionato per blasfemia. A giudicare dal referto dell’arbitro, il tecnico si sarebbe lasciato andare a una lunga serie di bestemmie. Dodici, per la precisione. Non è stato squalificato ma dovrà pagare una multa di 1.250 euro. Quella delle bestemmie è un’annosa questione del calcio italiano. Non sempre le orecchie del giudice sportivo sono attente, quando si nomina Dio invano: alcuni giocatori vengono squalificati, altri in genere vengono graziati (per non fare nomi: Gigi Buffon) nonostante un’attitudine straordinaria per l’imprecazione sacramentale. L’allenatore del Crotone Serse Cosmi, appena rientrato in serie A dopo un lungo esilio e subito squalificato per le bestemmie, l’ha resa una questione di principio: “Pensavo vivessimo in uno Stato laico”. Forse le 12 bestemmie di Sottil sono un manifesto per la libertà d’espressione. Lui ha detto: “Sono un padre di famiglia, non è mia abitudine bestemmiare”. Pensa se fosse stata sua abitudine…