Tre anni e mezzo fa, presentando a Roma un volume di scritti di Lenin, ci parve – pur senatore – ancora irriconciliabile con la realtà. Alla fine, dopo aver elencato i successi economici del governo cinese, concluse con luciferina grazia: “Dicono che non c’è la democrazia… be’, pazienza”. Mario Tronti, 90 anni a luglio, ha significato più di qualcosa per il movimento operaio italiano e in particolare per la sua ala più radicale: ancorché, “pensare estremo e agire accorto”, raccomandava. Ora ce lo ritroviamo, su La Stampa, gioioso cantore di Enrico Letta (Letta?!), innamorato della “competenza”, sostenitore del maggioritario e del bipolarismo, in cui la sinistra (Letta?!) propone “un suo autonomo progetto di società e di alleanze anche con le forze di centro, (…) liberal-democratiche”. Ci perdonerà il filosofo di Operai e capitale se useremo la sua intervista per illustrare quello che ci pare un equivoco intellettuale diffuso nel vasto mondo detto sinistra: essere di fatto la ridotta dello status quo, delle buone cose di pessimo gusto della politichetta, ma pretendersi allo stesso tempo forza di cambiamento, col frasario e le mitografie rivoluzionarie d’antan. Tronti, per dire, benedice “la transizione” rappresentata da Draghi (Draghi?!), ritiene che darà tempo al Pd di divenire “la grande forza popolare di sinistra, nuova, avanzata, inedita, di cui si sente oggi acutamente la mancanza” (Letta?!) per poi allearsi con Calenda, Renzi e soci: insomma, rifare la Seconda Repubblica morta da un decennio espungendo il corpo spurio (che sarebbero i grillini, i quali peraltro s’espungono benissimo da soli). Nel frattempo la nuova sinistra (Letta?!) dovrebbe radicarsi “nei luoghi dello sviluppo accanto ai ceti produttivi”, ma pure (Veltroni?!) “nelle periferie del Paese, a contatto col disagio sociale crescente”. Eh sì, perché pare che il capitalismo produca le “stesse divisioni, disuguaglianze e lancinanti ingiustizie” d’un tempo e serva “non meno ma più antagonismo. Purtroppo oggi manca un soggetto politico che lo rappresenti e lo organizzi. Questo è il problema a cui dare soluzione”. Vabbè, vorrà dire che mo’ a organizzare l’antagonismo ci pensano Letta e i lib-dem. Dicono che così è una presa per il culo? Be’, pazienza…
MailBox
Storia di un “fragile” in coda in Lombardia
Un carissimo amico di Milano si trova in questa kafkiana situazione. Toni è nato nel 1948, ha avuto a quarant’anni un infarto che gli ha provocato un aneurisma all’apice del cuore, ha avuto un ictus nel 2016 che gli ha provocato emiparesi e perdita della parola, è affetto da bronchite asmatica, prende farmaci contro l’epilessia e ha un’invalidità civile al 100 per 100. Nonostante ciò, non è stato ancora vaccinato. Come mai? Perché non rientra nelle categorie fragili. Contattati neurologo, medico curante, farmacisti, impiegati della Regione Lombardia, ancora niente. Siamo disorientati, impauriti, arrabbiati. Vi scrivo perché nutro ancora fiducia nel Fatto . Spero che questo sfogo serva ad aiutare altre persone.
Maria Gloria Bastieri
Con il nuovo esecutivo, Fontana può lasciare
Ho pensato nel periodo del governo Conte-2 che Fontana si sarebbe anche dimesso, ma Salvini lo avrebbe bloccato per evitare confronti tra governo giallorosa e la gestione disastrosa lombarda. Sono curioso di vedere se a breve succederà qualcosa, visto che ormai si giustificherebbe tutto con i “cambi di passo”, la presenza di Draghi e le destre al governo.
Orlando Murray
Non si possono fare le iniezioni in farmacia
Il governo vuole far vaccinare anche in farmacia. Ma in Italia non esiste farmacia che nel rispetto del protocollo possa vaccinare. Non c’è spazio sufficiente. Chi fa il vaccino, l’attesa dei 15 minuti la passa in mezzo alla strada?
Antonio Fiengo
Pd, la grande “svolta” della senatrice Malpezzi
Perché la candidatura di Simona Malpezzi, proposta da Marcucci, è stata accolta? Se è una filorenziana, Letta ha fatto un buco nell’acqua e, visti i precedenti, può restare sereno per un tempo limitato. Per estirpare le erbacce renziane non ci si può nascondere dietro la parità di genere.
Maurizio Burattini
Caro Maurizio, la grande svolta è che prima il Pd aveva due capigruppo renziani e ora avrà due capigruppo renziane.
M. Trav.
La vicenda Boldrini e la linea del “Fatto”
Ci voleva la Boldrini per farmi capire che Il Fatto fosse un giornale di destra e Selvaggia Lucarelli un’esperta mestatrice e manovratrice della macchina del fango. Adesso tutto mi è chiaro. Avete il torto di raccontare le cose come stanno ed è pertanto giusto che la Boldrini vi accusi. Ben vi sta!
Pietro Volpi
Caro Volpi, le notizie non hanno colore, almeno al “Fatto”. Per questo passiamo vorticosamente da giornale di destra a giornale di centro a giornale di sinistra a giornale “grillino”: perché le pubblichiamo tutte.
M. Trav.
C’è poco da stupirsi per i concorsi truccati
Non mi meraviglia l’inchiesta sull’Università di Firenze sui concorsi aggirati. Io medico conosco perfettamente questi meccanismi e nella mia vita mi sono vista passare davanti decine di colleghi, sempre più impreparati, inadeguati e raccomandati. Una battuta molto amara che faccio spesso è quella di non rivolgersi mai al primario di un reparto quando si ha un problema serio, perché di solito è figlio di papà o molto ricco, ma mai il più bravo. Non sono favole, succede un po’ dappertutto. Se un apicale è anche il migliore, allora sì che c’è da meravigliarsi!
Grazia Ciccarelli
DIRITTO DI REPLICA
Nell’articolo di ieri “Mise sponsorizza evento a Riyad” si sostiene che l’evento web del 24 marzo dedicato agli imprenditori per spingerli a investire in Arabia Saudita tra turismo e cultura sia nato per volontà e dalla mente di questo ministero. Pur precisando che ogni iniziativa è legittima, devo sottolineare che l’evento, così come tutto quello che riguarda la politica commerciale e di internazionalizzazione del Paese e quindi anche Ice, da oltre un anno e mezzo non è più competenza del Mise, ma risponde al ministero degli Affari Esteri. Programmazione, competenze e strategie sono dunque state trasferite e non più riconducibili al Mise.
Iva Garibaldi, Capo uff. st. ministro Giorgetti
Le nostre fonti sono la legge 214 del 22 dicembre 2011 in cui si afferma che l’ente è “sottoposto ai poteri di indirizzo e vigilanza del ministero dello Sviluppo” e i dati pubblicati nella sezione “chi siamo” sul sito www.ice.it, mentre non sono state trovate altre normative più recenti. Non volendo mettere tuttavia in discussione quanto affermato nella vostra replica, andrebbe quantomeno preteso che l’agenzia modifichi le informazioni contenute sul proprio sito internet in cui campeggia in bella mostra il logo del Mise.
Vin. Bis.
I NOSTRI ERRORI
Ieri a pagina 3, nell’articolo sulla task force di Figliuolo, abbiamo scritto che le Regioni sono state convocate per giovedì, quando invece l’incontro è stato anticipato a lunedì. Ce ne scusiamo.
Fq
Nel titolo di pagina 15 abbiamo confuso i due rami del Parlamento: ad “aiutare” Luigi Cesaro è stato il Senato, non la Camera. Ce ne scusiamo con gli interessati e con i lettori.
Fq
Vaccini “In Svizzera, prima gli anziani. Persino noi medici veniamo dopo”
Gentile redazione, sono medico ginecologo, lavoro in Svizzera dal 1990, ho 63 anni. Forse vi sorprenderò, ma benché attivo in una maternità che accoglie pazienti Covid positive, io come tanti altri colleghi non siamo stati ancora vaccinati. La scelta delle autorità svizzere è di dare la precedenza alle fasce di età a rischio e, vista la carenza di vaccini, si è addirittura rinunciato a vaccinare i sanitari, anche i non più giovani come il sottoscritto. Questo atteggiamento è sicuramente discutibile, e non va a mio vantaggio, ma facendo due calcoli sulle statistiche dell’Oms mi sono reso conto che in Svizzera, fatte le dovute correzioni per numero di casi e popolazione, la mortalità per Covid-19 è molto più bassa che in Italia. Spero di essere smentito, ma credo che la ragione sia che in Italia sono ancora molti gli anziani non vaccinati a vantaggio delle varie categorie professionali “a rischio”, arrivando alle comiche pretese di avvocati, giornalisti e, dulcis in fundo, parlamentari. Lascio a voi ulteriori considerazioni.
Roberto Pasqualetti
Gentile dottor Pasqualetti, non so quanto possa esserle di conforto, ma le posso assicurare che in Lombardia, ancora oggi, sono moltissimi i medici che non sono stati vaccinati. Ecco, la differenza tra loro e lei è che, per quanto la riguarda, si tratta di una scelta ponderata delle autorità. Discutibile, sicuramente, ma almeno frutto di una riflessione. Per i suoi colleghi lombardi, invece, l’assenza di vaccinazione è solo determinata dal caos, dalla disorganizzazione, dal pressappochismo con il quale le autorità stanno affrontando la pandemia. Ignoriamo le determinazioni delle autorità elvetiche a proposito delle altre categorie “a rischio” che invece in Italia hanno avuto accesso all’agognata iniezione. Non ci riferiamo, naturalmente, agli ultra80enni o ai fragili, ma a veterinari in pensione, agli psicologi che esercitano rigorosamente online, agli avvocati che redigono atti nel chiuso dei loro uffici, ai baldi assistenti universitari 23enni, in Dad da mesi. In mancanza di dati certi, possiamo solo supporre che dalle parti di Berna si siano fatti una grassa risata ricevendo le richieste dai vari Ordini professionali di cui sopra e le abbiano cestinate. In Italia, come sa, non è andata così. Ragion per cui, almeno in Lombardia, siamo in tanti a sperare in un’invasione elvetica.
Andrea Sparaciari
La Rai dei Migliori sotto l’assalto della partitocrazia
“Intorno all’istituzione del talk show si crea una comunità; si tratta però di una comunità ossimorica, una comunità di individui uniti solo dalla loro autosegregazione e autoindipendenza” (da La società sotto assedio di Zygmunt Bauman Laterza, 2005 – pag. 181)
È curioso che – al tempo della politica-spettacolo – tocchi a un ex comico, uno showman, un uomo di televisione e di teatro come Beppe Grillo, ancorché garante del M5S, dettare le regole per i talk show. Non solo perché Grillo ha assunto ormai un profilo politico. Ma anche perché lui stesso da quel mondo proviene e nella sua carriera ha largamente praticato quel genere ibrido che si chiama infotainment, mischiando spesso l’informazione con l’intrattenimento, la satira con l’invettiva.
In un post sul suo blog, il garante dei Cinquestelle ha criticato in particolare le “inquadrature spezzettate e artatamente indirizzate”, suggerendo riprese “in modalità singola, senza stacchi” e senza indugiare su particolari come le “calzature indossate”: forse per il timore che qualcuno dei suoi possa ragionare con i piedi. E ha giudicato non più ammissibile che l’ospite di turno “venga continuamente interrotto, quando da altri ospiti, quando dal conduttore, quando dalla pubblicità”. Una specie di vademecum, insomma, per i conduttori e i registi dei talk show.
C’è da dubitare che il “codice Grillo” venga adottato da quelle reti televisive private che, in forza di un conflitto d’interessi permanente, fanno ancora riferimento a Silvio Berlusconi, sopravvissuto a se stesso come leader dei superstiti di Forza Italia e come padre-padrone del centrodestra. Né si può sperare che la televisione pubblica modifichi il proprio orientamento finché sarà subalterna alla pubblicità e suddita della partitocrazia: tant’è che nei Tg ormai Salvini parla più di Draghi. Ma sarebbe già tanto se la Rai, in ragione del canone d’abbonamento, offrisse un’alternativa rispetto ai talk show abituati a fare più spettacolo che informazione, rinunciando magari alla tentazione dell’infotainment e distinguendosi così dalla tv commerciale.
A quanto pare, invece, anche il Governo dei Migliori e la sua maggioranza extralarge si apprestano a replicare il rituale satanico della partitocrazia, per rinnovare il consiglio di amministrazione dell’azienda radiotelevisiva nel segno della lottizzazione e di una spartizione questa volta ancor più “allargata”. Per soddisfare gli appetiti di una “coalizione XL”, come quella eterogenea composta da giallorossi e verdazzurri, è fatale che si debbano aggiungere altri posti a tavola e aumentare le portate. E la ciliegina sulla torta sarà verosimilmente la nomina alla presidenza di un giornalista collaudato e affidabile, ancor meglio se nordista e con l’imprimatur confindustriale. Fatto sta che, nella situazione data, deve risultare comunque gradito al centrodestra, sia che questo si trovi in maggioranza sia che si trovi all’opposizione. Auguriamoci almeno che il nuovo amministratore delegato provenga dall’azienda e venga confermato il consigliere interno Riccardo Laganà, anche per valorizzare al meglio le risorse professionali di cui la Rai dispone.
In ogni caso, tutto lascia prevedere purtroppo che questa non sarà la “Rai dei Migliori”. Con buona pace di Beppe Grillo e dei parlamentari a 5Stelle, la lottizzazione “allargata” produrrà verosimilmente i talk show peggiori di sempre: uno specchio che riflette e deforma la realtà e il confronto politico. Un finto servizio pubblico, insomma, dominato come non mai dalla partitocrazia, con qualche concessione spartitoria all’opposizione di quella falange del centrodestra a presidio del conflitto d’interessi che fa capo al leader del partito-azienda.
Renzi “Messaggero” d’Arabia e apostolo della democrazia
Di regola, in democrazia un politico non si può intervistare da solo, perché si farebbe le domande che vuole, nel linguaggio che più gli conviene, mettendo in atto le strategie retoriche necessarie a nascondere le proprie pecche e a dare di sé un ritratto migliore. Ma nel caso del soggetto in questione, intervistarsi da sé o essere intervistato da un giornalista sortisce esattamente lo stesso risultato. Qualità precipua di Renzi è infatti ribaltare la realtà: nei rari casi in cui qualcuno gli chiede conto di qualcosa di scabroso che lo riguarda, gli basta rispondere la cosa più assurda, insensata e manipolatoria possibile per neutralizzare qualsiasi domanda.
Il cronista del Messaggero (che lo chiama presidente, chissà di che) gli chiede dei suoi rapporti col principe saudita Mohammed bin Salman: “Il portavoce di Amnesty Italia la accusa di ‘fare un cattivo servizio ai diritti umani’. Cosa risponde?”. Facile: Renzi, immune dall’imbarazzo, dalla coscienza del proprio ruolo e in definitiva dal decoro personale, risponde che si reca in Arabia Saudita, dove siede in un board collegato alla famiglia reale in cambio di 80 mila euro l’anno, per aiutare il regime a “scegliere la strada delle riforme incoraggiando la difesa dei diritti umani”. Come mai non ci abbiamo pensato prima? Basta guardare il video della chiacchierata tra Renzi e il principe che la Cia e l’Onu ritengono un assassino segaossa: c’è da scommettere che bin Salman, chiamato con deferenza “Vostra Altezza” e “amico mio”, mentre sorride davanti a questo buffo personaggio azzerbinato che in uno stravagante inglese si vende la storia di Firenze cianciando di Rinascimento dietro compenso, sta pensando alle riforme da avviare. Cosa non si fa, per esportare la democrazia. Del resto, il giorno prima aveva rimproverato alcuni cronisti fuori dal Senato perché non si occupano del tema dei “big data dell’Arabia Saudita” e stanno dietro ai presunti omicidi dei dissidenti. A una cronista troppo informata ha detto di “fidarsi più di Biden che di lei”; il quale Biden riterrebbe il principe innocente perché non l’ha sanzionato. Qui la manipolazione è massima: Renzi, sull’orlo della crisi nervosa, sposta l’attenzione da sé alla cronista (che ha citato un rapporto dell’intelligence di Biden); porta un argomento fallace (mancanza di sanzioni Usa = assoluzione del principe saudita) a sostegno dell’opportunità della sua prestazione a gettone; infine, gioca con le parole: “Io chiamo my friend una persona che conosco da anni e che è un mio amico” (dev’essere un perfezionamento del metodo delle querele contro i giornalisti). Se è un suo amico, perché va dicendo che vola a Riyad per motivi geopolitici? E se ci va per motivi geopolitici, perché si fa pagare? Perché, dice il membro della Commissione esteri e senatore della Repubblica col 41% delle presenze ma il 100% dello stipendio, recarsi su un jet privato ad adulare uno spietato autocrate che si finge moderno per dare una ripulita d’immagine al regime che tortura e crocifigge i dissidenti è l’impegno di chi fa politica: “Chi fa politica deve coltivare relazioni perché i leader dei Paesi non ancora democratici incoraggino e valorizzino i diritti. Io nel mio piccolo lavoro in questa direzione”. Ecco cos’è, Renzi: una specie di apostolo della democrazia, un ambasciatore dei diritti umani presso le petromonarchie che non li rispettano. A saperlo prima, Jamal Khashoggi, entrato nel consolato saudita di Istanbul con le sue gambe e uscitone a pezzi (non tutti: alcuni sono stati ritrovati in giardino), avrebbe fatto meglio a incensare il “nuovo Rinascimento” del principe dietro lauto compenso, invece di scribacchiare di diritti umani sul Washington Post.
(Ps: sullo spessore politico del soggetto in questione il 98% degli italiani non ha dubbi; ma, nel caso, basta leggere nella stessa intervista che la crisi è stata “aperta da Conte” e si spiega tutto).
Il governo Draghi non è “neutro”. Già, che cos’è?
Il governo Draghi è il 67esimo esecutivo della Repubblica ed è entrato in carica il 13 febbraio scorso. Trascorso oltre un mese dall’insediamento, è tempo di (provvisori) bilanci, tanto sull’iter seguito per la sua costituzione, quanto per i provvedimenti fin qui adottati (o solo annunciati) sia sui temi dell’emergenza, sia sulle più generali questioni che hanno dato luogo, come è noto, alla crisi del Conte II.
Chi scrive non aspira ad alcun incarico di sottogoverno, la dichiarazione preventiva è dovuta, visti i cori angelici che si stanno levando a destra e a manca al solo fine di ottenere una qualche prebenda, può pertanto esprimere opinioni e giudicare i fatti senza infingimenti, ma col solo fine di contribuire alla comprensione di quanto sta accadendo, utilizzando sensibilità politico-istituzionale, esperienza e conoscenza della forma di governo parlamentare.
È opportuno, innanzitutto, ripercorrere i fatti relativi alla crisi di governo e, in particolare, il ruolo ricoperto dal presidente della Repubblica che – del tutto inaspettatamente, dopo aver incaricato il presidente della Camera per un mandato esplorativo (circostanza già accaduta numerose volte nella storia della Repubblica), averne raccolto le valutazioni e impressioni e dopo aver smentito lo scoop di un noto quotidiano, senza che sia dato sapere se nelle consultazioni (della prima e della terza carica dello Stato) vi era stata una qualche indicazione delle forze politiche – decide autonomamente di incaricare il Prof. Mario Draghi. Non rammento, a memoria, che un presidente della Repubblica abbia dato l’incarico a un soggetto, le cui qualità non sono in discussione, senza aver preventivamente comunicato alle forze politiche le sue intenzioni, ovvero senza aver ricevuto, durante le consultazioni, una indicazione in tal senso.
Sembra, dunque, che questo “governo del Presidente” abbia caratteristiche molto diverse da quello Dini e da quello Monti, che pure avevano visto l’inquilino del Quirinale avere un ruolo attivo che nella prassi va ben oltre (ma non contro) la lettera e lo spirito della Costituzione. Temo che le ragioni “non politiche” che hanno indotto il presidente della Repubblica ad assumere una decisione così importante, siano ascrivibili alla “emergenza” che, tuttavia, rappresenta un precedente molto ingombrante (e talora piuttosto imbarazzante) per il futuro.
Vi è poi il merito delle decisioni assunte (o annunciate) nel breve lasso di tempo nel quale il governo Draghi ha operato, condizionate dall’avanzare tumultuoso della pandemia che appare, similmente all’anno passato, fuori da controllo per numero di nuovi casi (ma oggi, diversamente dal passato, significativamente legati ai tamponi), per quantità di ricoveri (ordinari e in terapia intensiva) e, infine, per scarsità (o insopportabile) lentezza nella vaccinazione.
Eppure, nonostante fino a qualche mese fa, i maestri più autorevoli del diritto costituzionale e amministrativo abbiano fortemente criticato l’agire politico-istituzionale del governo Conte (che si è esplicata attraverso un uso massiccio di atti amministrativi – i Dpcm – emanati nel rispetto solo formale della riserva di legge che permea l’insieme dei diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione), oggi tacciono sull’atteggiamento, praticamente identico, tenuto dal nuovo Esecutivo, nonostante comincino ad affiorare le prime crepe a opera dei Tribunali della Repubblica (vedi il caso di Reggio Emilia) nella tenuta giuridica dello schema “delega in bianco con Decreto legge-Dpcm-Dm. Sullo sfondo, infine, i provvedimenti relativi al Recovery Plan, altro motivo di feroce critica all’esecutivo Conte, che non mi pare abbiano subito sostanziali modifiche, tanto nel procedimento di adozione, quanto nel merito nei lavori del nuovo esecutivo.
La compagine ministeriale – e i numerosi quanto golosi posti di sottogoverno – dimostrano quanto tasso di “politicità” abbia questo esecutivo, e quanta abilità deve esser riconosciuta a chi lo coordina, privo come è di esperienza politica, ma sicuramente dotato di abilità dialettiche fuori dal comune. I provvedimenti e il tempo ci diranno se questo governo potrà essere ascritto al campo dei moderati o a quello dei conservatori, di sicuro non appare, almeno a chi scrive, “neutro”.
Resta, in ogni caso, il problema di comprendere le ragioni più profonde della caduta del governo Conte e dell’ascesa a Palazzo Chigi dell’unanime governo Draghi, sotto l’egida del Colle. Normale implosione di una risicata maggioranza parlamentare o ennesima conferma della incredibile attualità del Gattopardo di Tomasi di Lampedusa?
Da “che ci faccio qui” alla “santa messa”: È il meglio della tv
E per la serie “Chiudi gli occhi e apri la bocca”, eccovi i migliori programmi tv della settimana:
Rai 3, 20.45: Un posto al sole, soap. Dopo una gravidanza di 3 mesi, Giulia dà alla luce una cosa verde che brilla al buio.
Canale 5, 15.30: Daydreamer, soap. Al party di Deren, un imprenditore della metallurgia che chiama “Valeria” tutte le sue tenaglie, Sanem confida a Can che Pancho, il fidanzato messicano arricchitosi nelle persecuzioni antireligiose, l’ha lasciata. A fine serata, Sanem e Can si ritrovano a parlare del loro futuro. SANEM: “Non faccio che pensare a quando sposerò uno qualunque dei figli di Bezos. E a quando lo ucciderò subito dopo”. CAN: “Chi sposa una donna fortunata finisce col renderla vedova”. Can accompagna Sanem a casa, dove aspetta che Sanem si addormenti per usare in bagno il suo Rabbit.
Rai 1, 10.15: La Santa Messa, fiction. Il miracolo delle nozze di Cana: Gesù fa risorgere un pollo arrosto e lo ipnotizza, facendogli ballare il cha cha cha.
Rai 2, 21.20: Anni 20, attualità. Un altro flop di Rai 2 con Alessandro Giuli. Fu facile profetizzarlo quando, cancellato Seconda linea, condotto da Giuli e Francesca Fagnani, dopo appena due puntate, Rai 2 annunciò che Giuli e Fagnani sarebbero tornati in onda in primavera, ciascuno con un proprio programma, “in modo da garantirsi due flop” (cfr. Ncdc, 31 ottobre). En attendant Belve con la Fagnani, ad aprile.
Rete 4, 19.35: Tempesta d’amore, soap. Selina vede Ariana minacciare Christof con un carciofo e rimane sconvolta.
Rai 3, 13.15: Passato e presente, documentario. Quando, nel 1869, George Herbert Taylor inventò il vibratore per curare l’isteria femminile, non volle che l’invenzione portasse il suo nome: la modestia dava ben altre soddisfazioni. Inventò anche un apparecchio pieno di fili elettrici collegati a una calotta che dava al cliente, in punto di morte, la convinzione di aver compiuto qualcosa di filantropico in vita. Il costo dell’apparecchio era alto, e non era facile adoperarlo senza l’aiuto di un tecnico competente: un piccolo errore avrebbe portato a conseguenze molto spiacevoli. Un politico texano, per risparmiare pochi dollari, usò da solo l’apparecchio e andò all’altro mondo con la convinzione di essere la cugina di Nixon. Paolo Mieli ne parla con Alessandro Barbero.
Rai 3, 23.15: Che ci faccio qui, attualità. La puntata di oggi racconta l’incontro speciale fra due donne: una ragazza completamente sorda e la sua maestra, che con la musica l’ha fatta sentire ancora più triste.
Focus, 12.30: Fai da te, documentario. Ep. 542: “Massaggiare la moglie come fosse una perfetta sconosciuta”.
Canale 5, 14.10: Una vita, telenovela. Arantxa accetta il corteggiamento di Cesareo e decide di partecipare a una festa con lui nella villa di un amico, un celebre veterinario, talmente grasso che è il doppio del proprio peso. Lo trovano al barbecue che sta cuocendo le bistecche: “Questa è la fine che fanno i miei clienti se non pagano. Ahr ahr ahr”.
Rai 1, 15.55: Il paradiso delle signore, soap. Giuseppe parla ad Agnese del suo proposito di intraprendere l’attività che ha sempre sognato, ma deve rinunciare a diventare un prestigiatore illusionista quando scopre di essere allergico alle colombe. Ripone a malincuore i libri di magia, ma una notte dice “abracadabra” nel sonno: quando si sveglia, i mobili sono spariti. La notte dopo, ridice “abracadabra” nel sonno: quando si sveglia, è nella vagina di Agnese. Con tutti i suoi mobili.
“Tamponi a tappeto”? No, abbiamo scherzato
È durata ventiquattr’ore l’idea di fare i tamponi per tutti dal nido alle scuole superiori. L’ipotesi messa in campo da super Patrizio Bianchi è stata smentita ieri dal premier Mario Draghi e dall’ex coordinatore del Cts Agostino Miozzo, al lavoro in Viale Trastevere da pochi giorni.
D’altro canto l’ipotesi catapultata nelle mani del generalissimo commissario Francesco Figliuolo, non poteva essere che uno spot. Qualsiasi maestro o professore (chiaramente mai consultati) ha subito compreso quanto fosse impossibile realizzare oltre 8 milioni di test da fare in più di 40 mila scuole (da questo numero sono esclusi i nidi).
Facciamo la prova del nove: nella mia scuola ci sono circa 100 bambini. Ammettiamo che per ogni tampone servano tre minuti. Per fare tutta l’operazione è chiaro che sarebbero necessarie 5 ore. In una classe in media ci sono 22 bambini: un’ora d’attesa. A questo punto dovremo andare a scuola alle sette del mattino oppure rinunciare a qualche ora di italiano o storia o matematica. Ma chi li farà questi tamponi?
Sul Corriere della Sera
di giovedì si è annunciato l’arrivo dei soldati a scuola ma ieri si sono affrettati tutti a cancellare la parola “esercito” ribadendo (scontato) che dovrebbero essere fatti da operatori sanitari.
A smentire tutto ci ha pensato Miozzo: “Non mi è mai passata per l’anticamera del cervello l’idea di far fare 8 milioni di test tutti i lunedì mattina perché è surreale e improbabile”. A mettere la pietra sul progetto ipotizzato è stato anche Draghi: “In alcuni casi sarà possibile fare dei test anti-Covid”. Risultato? Abbiamo scherzato. L’ennesima fuga di notizie. Sarà sicuramente colpa dei giornalisti. Ma a questo punto qual è il piano di questo governo sui tracciamenti a scuola?
Efficienza: Buon esempio del Lazio
Chi siano i migliori, quando esistono, non lo decidono certo i giornali appecoronati al Governo dei Migliori, ma la realtà dei fatti e dei risultati ottenuti. Vale per ogni attività umana, dunque anche per coloro che amministrano la cosa pubblica e a maggior ragione per chi gestisce la difficile campagna della vaccinazione anti-Covid.
È confortante leggere sul Corriere della Sera
il titolo: “Il Lazio un esempio da seguire” perché ciò che scrive Edoardo Segantini viene confermato non solo dai numeri riportati (“è la regione a essere la prima per copertura vaccinale degli ultraottantenni”), ma dalle stesse testimonianze di chi ha usufruito della somministrazione. Organizzazione efficiente, personale disponibile, attese ridotte, anche se qualcosa va aggiustato nel sistema spesso lento delle prenotazioni online.
È un apprezzamento che sempre sulla base dei risultati può essere esteso a Campania, Emilia-Romagna e alle altre regioni virtuose. Ma non a Lombardia, Liguria e Calabria, dove il bilancio risulta purtroppo negativo, ai limiti del disastro. Insuccessi addebitati dai responsabili ai più svariati motivi. O ai pochi vaccini disponibili, o a un complotto ordito dalla Stato centrale, o alle polemiche pretestuose della solita sinistra. Perfino colpa della sfortuna e del destino cinico e baro, come sentivamo dire giusto un anno fa dagli agit-prop della giunta lombarda per giustificare le stragi nelle residenze per anziani o la mancata chiusura della Val Seriana con le conseguenze che sappiamo.
Il fatto è che da quelle parti si tende a non prendere in considerazione l’unico criterio che dovrebbe essere adottato per giudicare i fallimenti (così come i successi) di chi ha il potere di decidere: ovvero la capacità di risolvere i problemi, compresa la quantità di sale in zucca. Alessandro Sallusti è certamente un bravo direttore e siamo convinti che se gli capitasse mai di dover gestire qualcuno inadatto al giornalismo non esiterebbe a dirgli ‘caro cercati un altro mestiere’. Eppure quando in tv si critica la presidenza Fontana per la condizione in cui versa la sanità lombarda, egli scuote il capo e appare sinceramente affranto. E noi pure.
Repubblica celebra l’aiutino di Biden
Entusiasmo contagioso su Repubblica di ieri. I leader europei in Consiglio hanno preso atto dei ritardi, delle difficoltà e del fallimento di questa prima parte di campagna vaccinale, ma per fortuna c’è l’America. Tra gli sguardi tetri dei governanti continentali, brilla il sorriso bianchissimo di Joe Biden. La partecipazione del presidente degli Stati Uniti al summit europeo è poco più di un pro forma, un atto di cortesia diplomatica per cambiare passo dopo gli anni di Trump. Biden ha detto che darà una mano con i vaccini in eccedenza (negli Usa la campagna vola), ma non ha preso impegni concreti. Per Repubblica e il direttore Molinari, atlantista di ferro, invece è la svolta. “Biden promessa alla Ue: vaccini prima possibile” è il titolone in prima pagina. L’entusiasmo prosegue a pagina 3: “La mano tesa di Biden alla Ue: ‘Appena l’America potrà, condividerà con voi le dosi’”. È quell’“appena” che fa pensare un po’. Sembra come quando a Roma ti dicono “magna tranquillo”.