La Sanità lombarda non può sognare un Mago Merlino

Sul Fatto del 24 marzo, Andrea Sparaciari espone lo sfogo del professor Mazzoleni, membro dimissionario del cda di Aria, sui problemi organizzativi della società della Regione Lombardia, affidataria del sistema di prenotazioni per il vaccino Covid. Emerge da quella narrazione che il Pirellone, a gennaio, aveva trattato per usare la piattaforma di Poste Italiane ma che, a febbraio, queste ultime avevano declinato la proposta perché ingestibile. Il professor Mazzoleni indica tra le ragioni del rifiuto la peculiarità del sistema sanitario lombardo per il “caos organizzativo di deleghe tra Ats, Asst”. In altre parole, l’ordinamento piramidale con tre livelli della sanità lombarda, unico in Italia, ha costituito il grande ostacolo all’affidamento delle prenotazioni a Poste Italiane, determinando il passaggio dal caos amministrativo a quello vaccinale. In verità, fin dal 10 aprile 2020, con un articolo sul Fatto, avevo segnalato le gravi incongruenze della sanità lombarda rilevando che “agli effetti negativi di un’eccessiva parcellizzazione si uniscono le più gravi conseguenze derivanti dalla netta separazione tra decisioni tecnico-sanitarie e amministrative, con la primazia riconosciuta irragionevolmente a queste ultime”. Consapevole dell’impermeabilità della Regione Lombardia a valutazioni critiche, nel Fatto del 22 aprile 2020 avevo sostenuto che, in mancanza di profonde modifiche alla legge regionale n. 23/15, era indispensabile commissariare la Regione perché, con l’omessa riforma legislativa, si sarebbe persa “l’occasione per ricomporre, senza ulteriori danni, emergenza e disfunzioni della sanità lombarda in un quadro unitario, nel rispetto dei principi di sussidiarietà e leale collaborazione”. Quelle previsioni non erano dettate da cassandrica ispirazione, ma dalla logica. La mia proposta di aprile 2020 di commissariare la sanità lombarda, ora condivisa da molti, è rimasta lettera morta. La Regione, nel frattempo, ha ritenuto di sopperire alle difficoltà cambiando assessore e reclutando il dottor Bertolaso. Quest’ultimo è, secondo il professor Mazzoleni, colui che ha deciso l’affidamento del servizio ad Aria. Indipendentemente dalla veridicità o meno di quel fatto, conta sottolineare come la decisione di chiamare un esterno per risolvere un enorme problema normativo e organizzativo riveli la pochezza di un’intera classe politica. Al fondo della decisione v’è forse la nostalgia per l’archetipo dell’uomo solo al comando. Si tratta del sostrato psicologico di una legislazione nazionale in materia amministrativa fondata sulla personalizzazione del potere (ad es. il d. lgs. 502/92 sulla sanità) e responsabile dell’arretramento del nostro Paese. Personalizzazione vuol dire comunicazione: il preposto ha fame di comunicazione positiva senza curarsi della bontà e perfino dell’effettiva congruenza di quanto asserisce di aver realizzato. Le strutture sottostanti sono talora viste come limitanti la suasiva comunicazione del preposto. Ciò crea spesso una frattura tra i generali (ministri, sindaci, presidenti di Regione) e le loro truppe (gli uffici e il personale interno) con gravissimo danno istituzionale. La via d’uscita è semplice: occorre modificare la prospettiva muovendo non dalla personalizzazione, ma dalle strutture, rafforzandole e fornendo loro strumenti idonei anche tramite la corresponsabilizzazione con il potere politico. Sarà la struttura stessa a individuare e a valorizzare i soggetti capaci di corrispondere al progetto o alla necessità operativa (questo è, ad esempio, il metodo ancora in uso nella carriera prefettizia). I lombardi e gli italiani non possono vivere nell’attesa del personaggio che cammina (o quasi) sulle acque o possiede quantomeno i poteri di Mago Merlino: devono contare su solide strutture normative e organizzative che risolvano tanti problemi delle persone e assicurino stabilità ed efficienza. Diversamente, dovremo rassegnarci ad assistere a grottesche scene da commedia dell’arte, come quando Capitan Fracassa offrì il modello Bertolaso quale sistema garantito per vaccinare l’intero Paese.

 

Salvini è “non punibile”, ma il vilipendio resta

La pronuncia del giudice di Torino che ha dichiarato Matteo Salvini non punibile in ordine al delitto di vilipendio dell’ordine giudiziario (art. 290 del codice penale) per speciale tenuità del fatto, è stata esposta con una certa approssimazione dai mezzi di informazione, che hanno parlato di assoluzione.

Peraltro, solitamente, televisioni, radio e giornali parlano di assoluzione anche quando viene pronunciata una sentenza di prescrizione, persino se l’imputato nei cui confronti viene dichiarato il non luogo a procedere per prescrizione, viene contestualmente condannato a rifondere le spese di giudizio alla parte civile e vede confermata la condanna al risarcimento dei danni, pronunziata nei precedenti gradi di giudizio.

Vediamo cosa dice il primo comma dell’art. 131 bis codice penale: “Nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’articolo 133, primo comma, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale.”.

Non si tratta quindi di una condanna (tanto che il giudice non può pronunciare sulla richiesta di spese e di risarcimento dei danni della parte civile; da ultimo Cassazione Sez. 5, sentenza n. 5433 del 18.12.2020 dep. 11.2.2021, Rv. 280409 – 01), ma neppure di una assoluzione, ma della dichiarazione che l’imputato, che pure ha commesso quel fatto, non è punibile perché “l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale”.

Infatti la Corte suprema di Cassazione ha precisato che sussiste l’interesse dell’imputato a impugnare la sentenza che esclude la punibilità di un reato in applicazione dell’art. 131-bis cod. pen., trattandosi di pronuncia che ha efficacia di giudicato quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso; è soggetta a iscrizione nel casellario giudiziale e può ostare alla futura applicazione della medesima causa di non punibilità ai sensi del comma terzo della medesima disposizione. (Così da ultimo Cass. Sez. 1 Sentenza n. 459 del 2.12.2020, dep. 8.1.2021, Rv. 280226 – 01, con riferimento a un reato militare).

Quindi è rischioso, per l’imputato dichiarato non punibile, ripetere il comportamento accertato perché il terzo comma dello stesso articolo 131 bis cod. pen. stabilisce che: “Il comportamento è abituale nel caso in cui l’autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano a oggetto condotte plurime, abituali e reiterate.”.

Per opportuna conoscenza dei lettori, il delitto di vilipendio di cui all’art. 290 del codice penale non protegge specificamente l’ordine giudiziario, ma punisce (con la multa da euro 1.000 a euro 5.000) chiunque pubblicamente vilipende la Repubblica, le Assemblee legislative o una di queste, ovvero il governo o la Corte costituzionale o l’ordine giudiziario, nonché le Forze Armate.

C’è chi sostiene che questo reato dovrebbe essere soppresso in nome della libertà di manifestazione del pensiero, segnalando che in altri Stati non esistono reati di vilipendio.

La libertà di pensiero la critica, che però è cosa diversa dall’offesa.

È tuttavia vero che in altri Paesi non sono previsti reati di vilipendio, ma in quegli Stati, a pochi verrebbe in mente di offendere quegli organi o la bandiera nazionale, perché i cittadini ricordano ciò che in Italia si dimentica: lo Stato è l’organizzazione di un popolo su un territorio. Il popolo è l’insieme dei cittadini.

Spero che venga presto il giorno in cui si possano abolire i reati di vilipendio, perché a pochissimi (e certamente non a chi è stato ministro dell’Interno e quindi ha anche giurato fedeltà a questa Repubblica) verrebbe in mente di esprimersi in questo modo verso le istituzioni del suo Paese.

 

La piaggeria verso Draghi, Napoleone lascia l’Elba e le opere di Umberto eco

E per la serie “Yogurt ecco il veleno”, la posta della settimana.

Caro Daniele, la piaggeria dei giornali verso Draghi è ridicola! (Annalisa Lugli, Carpi)

Il servilismo giornalistico verso i potenti non è cosa nuova, e non è un’esclusiva italiana. Quando Napoleone lasciò l’isola d’Elba, un giornale monarchico di Parigi, Le Moniteur, annunciò il suo sgradito ritorno verso la capitale con questa eloquente sequenza di titoli, dal 9 al 22 marzo 1815 (Gozzini, 2000; LinkPop, 2016):

– Il mostro è evaso dal suo luogo d’esilio

– L’orco della Corsica è sbarcato a Cap Juan

– La tigre si è mostrata a Gap. Le truppe avanzano da tutti i lati per fermare il suo cammino. Concluderà la sua avventura miserabile da fuggitivo tra le montagne

– Il mostro ha avanzato fino a Grenoble

– Il tiranno è ora a Lione. Il terrore ha colto tutti alla sua apparizione

– L’usurpatore ha osato avvicinarsi fino a 60 ore di marcia dalla capitale

– Bonaparte avanza a marce forzate, ma è impossibile che raggiunga Parigi

– Napoleone arriverà domani sotto le mura di Parigi

– L’Imperatore Napoleone è a Fontainbleau

– Ieri sera sua maestà l’Imperatore ha fatto il suo ingresso pubblico ed è arrivato alle Tuilieries. Niente può superare la gioia universale.

Ho un tuo libro autografato. Purtroppo non è una prima edizione. (Lorella Palladino, Campobasso)

Sei fortunata. Con uno scrittore come me, le seconde edizioni sono più rare.

Perché i leghisti indossano la cravatta verde? (Ernesto Macchi, Varese)

La cravatta verde è il modo con cui i leghisti cercano di impressionare gli italiani che non hanno fatto le superiori.

Conosci le opere di Umberto Eco? (Mario Zoffoli, Forlì)

No, di lui so poco, mi spiace. So che insegnava all’Università di Bologna. Io invece una volta sono stato buttato fuori da un motel di Forlì. Che poi prese fuoco.

Come giudicare le persone alla prima impressione, in modo da evitare fregature? (Erika Marras, Cagliari)

È un’arte. Romiti diffidava degli uomini con le scarpe a punta, che giudicava inaffidabili. Per lo stesso motivo, diffido degli uomini che portano occhiali dalla montatura colorata (blu, verde, bianca, argento): li giudico capaci della qualunque, e li evito come il Covid e i Testimoni di Geova. Le donne invece mi piacciono tutte, tranne Lino Banfi, per cui prendo spesso fregature. Una volta ne ho conosciuta una che era irresistibile: non solo aveva il corpo di Diletta Leotta, ma arrossiva ogni volta che rubava un’auto della polizia. Insomma, tutti abbiamo l’anatomia, ma a una donna sta molto meglio, e così vado in tilt. Buona Pasqua a voi, taglie dalla 76 alla 104!

Come si fa a rimorchiare una ragazza? (Aldo Mastrosimone, Caltanissetta)

Devi provarci e riprovarci. Poi smetti pure: non vale la pena perderci il sonno.

Cercate anche voi una guida spirituale? Scrivetemi (lettere@ilfattoquotidiano.it). Benché ogni settimana mi arrivino email a centinaia, fingerò un interesse particolare anche per la vostra.

 

Grazie a lui le mamme avranno più diritti

 

• Titolo: “Il premier Draghi: ‘Le mamme non dovranno più scegliere tra figli e lavoro’”. Svolgimento: “Il presidente del Consiglio indica a MoltoDonna la via del governo: ‘Riequilibrio del gap salariale e welfare: così le lavoratrici potranno dedicare alla carriera le stesse energie degli uomini’”.

Moltodonna, il messaggero

 

• Titolo: “L’ottimismo di Draghi”. Svolgimento: “Le vaccinazioni arriveranno a quota 500 mila al giorno, le scuole riapriranno, in estate ci sarà un passaporto per viaggiare e l’Italia ce la farà. Governo, pandemia e futuro. Il discorso del premier”.

Il foglio

 

• Titolo: “Lo schiaffo di Anagni. ‘Bloccate da Draghi 29 milioni di dosi’. Astrazeneca non dice a chi sono destinate”.

Il Giornale

 

• Titolo: “Un linguaggio nuovo che chiama le cose con franchezza non politica”. Svolgimento: “Draghi procede spedito in un clima politico ancora abbastanza nebuloso. Nel suo intervento non ha usato giri di parole. (…) I presidenti delle Regioni dovrebbero fare autocritica dopo le parole di Draghi”.

Il Quotidiano del Sud

Mancini testimonial dal tempismo impeccabile

Ve lo immaginate Arrigo Sacchi, ct della Nazionale, alla vigilia di Euro 92, far da testimonial al Pio Albergo Trivulzio o all’Impresa lombarda pulizie industriali di Luca Magni, la prima palla di neve da cui rotolò la valanga Tangentopoli? Ok, a quel torneo l’Italia non partecipò, ma la storia della pubblicità altroché se regge. D’altronde, con Europei e Mondiali alle porte, chi più “attraente” del cittì azzurro? Ecco perché vedere ieri su tutti i quotidiani Roberto Mancini – già testimonial Maserati – ritratto in posa, con un bel maglioncino bianco, non ci ha sorpresi più di tanto. È stata la scritta “Paul&Shark” a incuriosirci. Aspetta un po’. Ma non sarà mica? Eh già, il marchio – pregevole e di qualità – è da un annetto molto presente sui giornali. Ma non nelle pagine di moda, ma in quelle di cronaca e politica.

Il marchio (uno squalo) è in pancia alla Dama spa, l’azienda della famiglia Dini (fratello e sorella, quest’ultima moglie del governatore lombardo, Attilio Fontana), finita sulla graticola per la fornitura di camici proprio alla Regione Lombardia. Venduti od offerti, non si è ancora capito bene. Anche se la differenza non è da poco. Dai Forza Italiaaaa, che siamo tantissimiiii.

Sciopero! Qualche diritto in più, molti ne mancano

Non è bastata nemmeno la maxi-inchiesta con cui, un mese fa, la Procura di Milano ha ordinato alle app di assumere 60 mila rider: oggi i fattorini che consegnano cibo a domicilio dovranno ancora una volta scioperare, con la rete Rider X i Diritti, per chiedere di abolire il modello imposto dalle multinazionali. Quello che li definisce pretestuosamente lavoratori “autonomi” e senza diritti, quello dei pagamenti a cottimo che li costringe a stare in sella per tante ore pur di guadagnare stipendi appena decenti.

Un sistema che non solo è ancora del tutto in piedi dopo anni di battaglie (e anche qualche vittoria), ma che ogni giorno si evolve e presenta nuove insidie. Magari non è il caporalato tradizionale, ma un po’ gli assomiglia. Da tempo, infatti, è partito tra i rider un mercato di applicazioni per smartphone che permettono a chi le scarica, a fronte di una tariffa mensile, di prenotare i turni di lavoro liberi prima di tutti. Tradotto: consentono di rubarli ai colleghi e fare incetta di ordini per far lievitare i guadagni. Qualcuno potrebbe definirle un servizio utile e conveniente, ma è solo l’ultima frontiera della guerra tra poveri scatenata nella gig economy.

Oggi esistono diverse versioni di questi bot per Just Eat e Glovo, cioè le aziende che ancora utilizzano il sistema dell’assegnazione di slot. Contrariamente a quanto si può pensare, non è un mercato nascosto nel deep web, ma un’attività alla luce del sole, ben nota quantomeno tra gli addetti ai lavori. C’è un passaparola, si crea un effetto domino tra fattorini o nei vari gruppi su Facebook, e si viene a conoscenza della persona da contattare. Con un rapido scambio di messaggi si ottiene l’Iban su cui effettuare il bonifico. Al Fatto Quotidiano lo ha raccontato Lorenzo, nome di fantasia che attribuiamo a un rider torinese. Lui non era davvero interessato a scaricarlo, ha sentito il venditore della app solo per vederci chiaro. Gli ha scritto e ha ottenuto in pochi minuti tutte le istruzioni: un link, le coordinate bancarie per il pagamento, ma poi non ha proseguito. Il prezzo è di 100 euro per il primo mese e di 70 euro per ogni rinnovo. Il funzionamento è abbastanza semplice. Su Just Eat è possibile ogni settimana prenotare il proprio turno di lavoro tra quelli disponibili. Spesso però molti rider disdicono la propria prenotazione e le fasce orarie lasciate tornano in circolo. Insomma, assomiglia alla vendita di biglietti per concerti e partite di calcio, bisogna essere più svelti di tutti.

È proprio sulla velocità che interviene il bot: è programmato per fare l’aggiornamento della pagina in maniera continua, ogni tre secondi, questo gli permette di poter scoprire i turni che tornano disponibili con estrema rapidità e di conseguenza bloccarli. Davide Contu, rider milanese iscritto alla Cgil, ha scritto a Just Eat per segnalare questa pratica, dicendo anche di essere pronto a fornire tutto il materiale: “Mi è arrivata solo la risposta automatica che arriva a ogni mail”.

Alcune di queste app hanno anche un sito internet e si promuovono con lanci tipo questo: “Quando guidi, dormi, giochi, mangi, il bot aggiorna la visualizzazione del calendario in background ogni 5 secondi e riserva i blocchi liberi in base all’orario di lavoro impostato. Guadagnerai più di quanto pensi”. “Il problema – riflette Yiftalem Parigi, rider e sindacalista Nidil Cgil – è nel modello delle piattaforme, per cui il più veloce prende i turni”.

Anche per smetterla con la guerra tra poveri si va in piazza oggi in quella che sarà l’ennesima manifestazione dei rider. È stata decisa circa un mese fa dopo l’iniziativa della Procura di Milano da cui siamo partiti (considerare i rider lavoratori subordinati) e contro cui le aziende hanno presentato ricorso nelle scorse settimane. Nel frattempo, l’altroieri aziende e sindacati hanno firmato il protocollo di contrasto al caporalato al tavolo ministeriale iniziato con Nunzia Catalfo e proseguito ora da Andrea Orlando. Le multinazionali delle consegne a domicilio, però, restano decise nell’applicare il contratto di comodo firmato con l’Ugl: vale a dire nel considerare i rider lavoratori autonomi e nel pagarli in base al numero di ordini trasportati. Al momento fa eccezione solo Just Eat che in queste ore sta concludendo le trattative per l’applicazione del contratto nazionale della logistica.

Oggi, a quattro anni e mezzo dalla prima volta, i rider saranno in piazza con Deliverance Milano, Rider Union Bologna, diversi sindacati della galassia Cgil e Uil. Dopo una serie di conquiste ottenute quasi sempre con azioni giudiziarie, come l’ordinanza del Tribunale di Bologna che ha definito “discriminatorio” l’algoritmo di Deliveroo, e a volte con la contrattazione, questa battaglia non solo non è finita, ma presenta ogni giorno nuove ragioni.

 

Il conflitto impossibile del rider “candido”. Il dialogo tra il pm e lo scrittore

L’uno è uno scrittore, autore di romanzi di successo, che nella vita si occupa di finanza e investimenti. L’altro è il procuratore della Repubblica a Milano. Entrambi hanno affrontato il tema dei rider, i fattorini che ci portano il cibo a casa correndo in bicicletta per le strade delle città. Il primo, Guido Maria Brera, ha raccontato il mondo dominato dagli algoritmi della “sharing economy” nel romanzo Candido (La nave di Teseo). Il secondo, Francesco Greco, ha aperto indagini innovative sui colossi dell’economia digitale (Glovo, Deliveroo, Uber Eat, Amazon, Google, Facebook…) imponendo il pagamento delle imposte in Italia e l’equiparazione dei rider ai lavoratori dipendenti. Questa è la sintesi di un più vasto dialogo (avvenuto online) in cui Brera e Greco si confrontano su un futuro distopico, narrato nel romanzo, che è già in larga parte il nostro presente.

Barbacetto: Il rider Candido, protagonista del romanzo di Brera, è convinto di vivere “nel migliore dei mondi possibili”, come il Candido del romanzo di Voltaire. Ma l’autore ha voluto scrivere un romanzo filosofico oppure un romanzo realistico, sul futuro che ci aspetta?

Brera: Io volevo fare entrambe le cose. Mi ha aiutato il collettivo di scrittura dei “Diavoli”: la prima metà del libro segue il Candido di Voltaire, poi a metà libro, quando il protagonista prende coscienza di non vivere “nel migliore dei mondi possibili”, cambiamo registro il libro diventa un romanzo realista, critico e crudo.

Barbacetto: Il realismo sfocia in un futuro distopico, con droni, guerra, morti, distruzioni… Il migliore dei mondi possibili diventa il peggiore.

Brera: Giusto. Ma quel futuro distopico, a parte le distruzioni finali dopo lo sciopero dei rider andato male, è già il presente, per esempio in Cina. Il sistema di capitalismo della sorveglianza è già presente nel nostro mondo. Insomma: è “il futuro tra 5 minuti”.

Greco: La mia generazione, quella del ’68, è cresciuta con lo slogan: “Ribellarsi è giusto”. Nel libro c’è la ribellione finale, che non so se sia un’utopia auspicabile. Ma nella realtà di oggi la ribellione non c’è.

Brera: Il nostro auspicio è di tornare al conflitto, perché è proprio l’assenza di conflitto che ha massacrato tutti in questa fase. Il conflitto però in questo caso è impossibile. Il lavoratore oggi è un individuo solo e non sa più nemmeno contro chi ribellarsi.

Barbacetto: La Procura di Milano è intervenuta sull’economia digitale con più indagini giudiziarie. Come e perché?

Greco: Siamo partiti da una serie di incidenti stradali in cui erano coinvolti i rider. Ci siamo posti il problema della sicurezza sul lavoro. Poi ci siamo mossi per capire quali fossero le condizioni di lavoro e anche l’organizzazione del comando e della governance di questi rider. Parallelamente avevamo aperto un’altra indagine che riguardava una di queste società che si rivolgeva a “caporali digitali” per trovare manodopera. Tenete presente che nel mondo (in Australia, in Spagna, a Palermo…) ci sono già state sentenze che hanno riconosciuto che quello dei rider è un rapporto di lavoro subordinato. La giurisprudenza è un po’ altalenante, anche perché c’è poca conoscenza delle dinamiche effettive di questo lavoro. Quello che colpisce, è che l’interlocutore del rider non è un “padrone”, ma un software di intelligenza artificiale. Oggi ci troviamo di fronte non a un problema morale, ma a una questione giuridica. O gli Stati impongono delle regole, oppure la partita è vinta da quello che viene chiamato il capitalismo delle piattaforme digitali. Noi abbiamo creato un mondo che per la prima volta è privo di regole. Il mondo della connessione non ha regole: non per il fisco, non sull’antitrust, non sulla tutela della privacy, non sulla manipolazione. Quando gli americani si accorsero che le loro corporation erano più forti dello Stato, introdussero la responsabilità delle persone giuridiche. E questo è servito per l’economia reale. Ma oggi l’economia reale non c’è più, c’è l’economia connessa: bisogna darsi dunque regole nuove.

Brera: Sì, il 2000 è stato un anno veramente strano, dovremmo riscrivere la storia del mondo partendo dalla presidenza Clinton: nel 2000 scatta la deregulation sulle piattaforme digitali e, dall’altra parte del mondo, la Cina entra nel Wto. Saltano le regole: tu puoi andare in Cina a produrre e puoi fare quello che vuoi, inquinare, copiare i brevetti, non pagare i lavoratori. La Cina diventa il luogo – e questo è grave – dove l’Occidente può fare quello che la “rule of law” in Occidente non gli consente di fare.

Barbacetto: La Cina, formalmente Stato comunista, diventa territorio libero per il capitalismo dell’Occidente.

Brera: La Cina è una fusione tra neoliberismo e capitalismo di Stato. E ci dimostra che il capitalismo di per sé funziona benissimo, purché sia senza regole. In Cina lo Stato decide che cosa si può fare e che cosa no. Per ritornare a Clinton: parte con le platform, fa la deregulation, apre alla globalizzazione senza regole e abolisce la legge che imponeva alle banche d’investimento di non fondersi con le banche commerciali: così crea un regime di tassi d’interesse bassi e decrescenti. Che permettono ai privati di indebitarsi con poco: libera la belva che è in noi, l’individualismo spinto. Partono i prestiti ai poveri per comprare la casa, agli studenti per andare a studiare dove vogliono, ma questi prestiti poi ti incatenano a vita, i debitori non hanno più i soldi da restituire alle banche e le banche saltano. In questa follia di deregulation, trionfa la narrativa che tutto è bello e che il mondo è piatto. Così nascono i mostri. Ora regolare le platform è come rimettere il dentifricio dentro il tubetto.

Greco: C’è una strana idea per cui il mondo della connessione sia il mondo della libertà. Nella presentazione dell’iMac fatta da Steve Jobs, erano richiamati tutti i simboli della sinistra americana, radicale e non radicale: Martin Luther King, Bob Kennedy, John Lennon. Si è creata l’illusione della libertà e il trionfo della disintermediazione.

Brera: Siamo allo scambio merci contro diritti, che Ezio Tarantelli chiamava “scambio politico masochista”, in cui le classi deboli si fanno male da sole, rinunciando ai diritti sociali per avere merci a basso costo. Sostanzialmente è stato smantellato lo Stato e senza che ciò sia passato da un voto parlamentare.

Barbacetto: Greco non teme che gli interventi della Procura in questi campi siano bollati, come al solito, come intrusione dei magistrati nell’economia, a frenare lo sviluppo e “gettare fango” sui campioni nazionali e internazionali?

Greco: Vecchia storia. I Paesi del terzo e quarto mondo, pieni di risorse, sono stati prima colonizzati e oggi vittime di un neocolonialismo fatto o di interventi alla cinese, o di tangenti e di sostegno a regimi più o meno corrotti. Ma la storia ci ha insegnato che quando hai un’economia sana, alla fine hai un’economia migliore. Agli attacchi siamo abituati e abbiamo le spalle larghe, però la gente dovrebbe capire che lo sviluppo distorto dell’economia poi torna indietro come un boomerang. Quanto ci costa poi il flusso migratorio, o una situazione di guerriglia continua in certi Paesi?

Il Mise sponsorizza il business a Riyad

Un webinar che invita le imprese italiane a investire nel business di Ryad e nello sviluppo turistico dell’Arabia Saudita. Il governo italiano guarda con grande interesse al progetto da 32 miliardi di dollari di Al-Ula, l’area archeologica di recente scoperta nel bel mezzo del deserto saudita, che il re Salman vorrebbe trasformare, entro il 2030, nella “nuova Petra”, in riferimento alla nota destinazione turistica della Giordania. Un fazzoletto di sabbia di quasi 30mila metri quadrati che va urbanizzato e reso accogliente per i turisti: strade, ferrovie, infrastrutture, alberghi, musei, parchi divertimento, per ricevere oltre 2 milioni di turisti ogni anno. Quasi tutto da costruire da zero, nel giro di 9 anni. Un programma ambizioso per il quale la monarchia saudita vuole coinvolgere l’imprenditoria italiana. E viceversa. Sulle “magnificenze di Al-Ula” si è soffermato a ripetizione, nelle ultime settimane, anche Matteo Renzi, sia nei suoi interventi in Senato al ritorno dai viaggi a Ryad, sia in una conferenza con il principe Mohammad bin Salman durante la quale l’ex premier ha definito l’Arabia la culla del “nuovo Rinascimento”. E ora il business sembra essere stato fiutato anche dalle parti del Mise, guidato da Giancarlo Giorgetti.

Mercoledì mattina l’Agenzia Ice – Italian Trade Agency, ente governativo che risponde agli indirizzi del Ministero dello Sviluppo Economico, ha tenuto un webinar co-organizzato con la Royal Commission For Al-Ula (Rcu) e rilanciato da Lazio International, portale della Regione Lazio. Nonostante il convegno online fosse strettamente riservato a imprenditori selezionati nei giorni precedenti all’evento, Il Fatto è riuscito a partecipare e ad ascoltare gli interventi, quasi tutti riservati ai delegati della Commissione Reale.

La parte del leone l’hanno fatta i progetti di partnership ipotizzati dai sauditi, esplicitati nell’intervento di Naser Alkhatany, fra i responsabili marketing della Commissione Reale. L’obiettivo, messo nero su bianco nelle slide di presentazione, è aprire il dialogo con cinque ministeri italiani: Beni culturali, Affari esteri, Turismo, Agricoltura e Istruzione e ricerca. La relazione permetterebbe di coinvolgere oltre 140 imprese italiane che hanno già la licenza per operare in Arabia Saudita, di cui 17 già presenti nel Regno con le loro sedi. Fra queste ultime vengono citati colossi della difesa e delle costruzioni come Leonardo, Pizzarotti, Proger, WeBuild e Tecnimont.

Ad Al-Ula infatti manca ancora molto: l’acqua potabile, un ciclo dei rifiuti moderno, una rete infrastrutturale. Al resto, nell’idea dei sauditi, penseranno studi di architettura e operatori del settore artistico. Negli interventi di Samantha Cotterell, direttore esecutivo dell’area Design Management e di Kate Tipping, cap dell’area Musei, arte e pianificazione culturale, sono stati illustrati progetti come la “Mosque Experience”, ma anche l’Al-Ula Art District e l’Al-Ula Arts Festival, che punta ad aprire l’area agli artisti di Land Art.

Il business, a detta dei relatori, è “promising” (promettente) e punta a oltre 32 miliardi di dollari. Il convegno digitale è stato concluso dall’intervento di Enrico Barbieri, che dell’Agenzia Ice è il responsabile presso l’ambasciata di Ryad.

La relatrice Onu minacciata dal collaboratore di MbS

Lo scoop è del Guardian: Awwad al-Awwad, capo delle commissione saudita per i diritti umani e già stretto collaboratore del principe ereditario Mohammad bin Salman, avrebbe minacciato di morte Agnès Callamard, la Relatrice speciale del Consiglio Diritti Umani dell’Onu e autrice di una relazione sull’omicidio di Jamal Khashoggi.

Indagine svolta in autonomia e sfociata in un rapporto di 100 pagine, pubblicate nel giugno 2019, in cui l’esperta francese di diritti umani concludeva per prima che ci fossero “prove credibili, che richiedono ulteriori indagini, sulle responsabilità individuali di funzionari sauditi di alto livello, compreso il principe ereditario Mohammad bin Salman” nella mattanza del giornalista ucciso a ottobre 2018 nel consolato saudita di Istanbul. Le minacce alla Callamard sarebbe state fatte durante un incontro di alto livello, a Ginevra, il 20 gennaio 2020, fra diplomatici sauditi di stanza in Svizzera, funzionari sauditi in visita ufficiale ed esperti di diritti umani dell’Onu. I sauditi avrebbero espresso la loro rabbia verso le conclusioni dell’inchiesta, e al-Awwad avrebbe riferito di aver ricevuto telefonate da ‘soggetti’ pronti ad ‘occuparsi” della Callamard.

Minaccia prima ridimensionata di fronte alle proteste degli esperti Onu, poi, secondo i presenti, ripetuta da al-Awwad, che avrebbe detto esplicitamente di “conoscere persone disposte a occuparsene, se non lo farete voi”. Una ricostruzione accreditata da Rupert Colville, portavoce dell’Alto commissario Onu per i diritti umani: “Confermiamo l’accuratezza dei dettagli dell’articolo del Guardian sulla minaccia rivolta a Callamard. È stato il nostro ufficio ad informare sia la Callamard che il consiglio di sicurezza dell’Onu e il presidente del Consiglio dei Diritti umani, che a loro volta hanno informato le autorità competenti”. Un allarme preso molto seriamente dalle Nazioni Unite, tanto da indurre funzionari francesi a sollevare la questione “privatamente” con Ryad.

Il governo saudita non ha ancora risposto ufficialmente alle nuove accuse ma al-Awwad su Twitter ha negato ogni responsabilità: “Sono sconfortato al pensiero che una mia affermazione possa essere stata interpretata come una minaccia”. Ha poi contrattaccato, suggerendo si tratti di un’operazione mirata a “distrarre dall’importante lavoro che stiamo facendo per far progredire i diritti umani in Arabia”.

Ma quel 20 gennaio 2020 la tensione era alta fra sauditi e Onu: tre giorni prima Agnès Callamard aveva inviato al governo saudita una lettera in cui lo informava dei risultati preliminari di un secondo troncone della sua inchiesta, condotta stavolta anche con David Kaye, Relatore speciale per la libertà di espressione. Dalle loro ricerche risultava un possibile coinvolgimento di Bin Salman nell’invio di spyware al cellulare di Jeff Bezos, proprietario del Washington Post per cui lavorava Khashoggi.

Non è provato che durante l’incontro a Ginevra, tre giorni dopo, al-Awwad fosse al corrente di quella lettera, ma nel comunicato stampa dell’agenzia saudita su quella riunione c’è un richiamo ad evitare la “politicizzazione dei diritti umani”. Un quadro che rende ancora più inopportuno il rapporto di Matteo Renzi con bin al Salman. Renzi è anche membro del board del Future Investment Initiative (FII), gioiello della famiglia reale saudita. A gennaio, durante la conferenza annuale di FII davanti a MbS aveva detto: “Il Rinascimento italiano divenne grande dopo la peste, dopo una pandemia. Credo che l’Arabia Saudita potrebbe essere il luogo di un nuovo Rinascimento per il futuro”.

Ieri anzi ha ribadito il suo sostegno al principe, dichiarando che per l’omicidio Khashoggi “l’Amministrazione Biden non ha sanzionato il principe Bin Salman, che io chiamo my friend visto che lo conosco da anni e che è mio amico”.

La Camera aiuta Giggino ’a Purpetta: sbianchettate 15 intercettazioni su 21

Fosse stato per il renzianissimo Francesco Bonifazi, la Giunta per le autorizzazioni a procedere del Senato avrebbe dovuto soprassedere ancora un po’ prima di decidere che fare delle intercettazioni di Luigi Cesaro. Nonostante tutto il tempo già trascorso e i magistrati di Napoli, che accusano il ras di Forza Italia di essere stato a lungo l’interfaccia del clan Puca della natia Sant’Antimo (gli viene contestato il reato di associazione di tipo mafioso e lo scambio elettorale politico-mafioso continuato), in attesa da luglio scorso di sapere se potranno mai utilizzarle. Invece no. A sentir Bonifazi sarebbe servita una bella e approfondita discussione preliminare sulle guarentigie di cui godono i parlamentari ora che la nuova sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea fa ben sperare, in nome della privacy, chi è allergico alle inchieste, alle intercettazioni e più ancora al trojan risultato sì indigesto ai commensali dell’hotel Champagne come il suo collega di Italia Viva, Cosimo Ferri.

Stessa musica dalle parti di Forza Italia dove si giura che Giggino ’a Purpetta è un martire. E dunque altro che autorizzare le intercettazioni: andrebbero invece distrutte seguendo, a detta dell’azzurro Adriano Paroli, “il principio di civiltà giuridica con cui la Corte costituzionale nel 2013, in relazione alla trattativa Stato-mafia, ha ordinato la distruzione di tutte le intercettazioni di conversazioni tra il presidente Giorgio Napolitano e l’ex parlamentare Nicola Mancino”.

Alla fine, però, il rischio di un nuovo rinvio è scongiurato e pure il progetto di fare coriandoli delle richieste dei magistrati. Ma Cesaro può brindare lo stesso: nonostante sia accusato di aver turbato lo svolgimento delle competizioni elettorali del Comune di Sant’Antimo dal 2007 in avanti, con l’intervento sulla formazione delle liste, sulla compravendita di voti con la corresponsione di somme di denaro, sull’attribuzione di incarichi di governo o dirigenziali nell’ambito del Comune a persone indicate dal clan, in Giunta al Senato vengono autorizzate solo sei intercettazioni, le uniche a essere ritenute casuali. Per le altre (in tutto erano 21) niente da fare. Non proprio il risultato atteso da Cesaro, ma poco ci manca. Tramite i suoi legali aveva sostenuto la sussistenza del fumus persecutionis da parte degli inquirenti, che pur di incastrarlo avrebbero addirittura ignorato che nelle intercettazioni emergerebbe la sua estraneità al clan. Anzi di più, “la sua condanna della vicinanza tra alcuni esponenti locali di Forza Italia e alcuni esponenti della criminalità organizzata”. Tesi che ha convinto i suoi colleghi azzurri. Molto meno altri senatori. Fatto sta che anche chi resta convinto che dovessero essere autorizzate tutte le 21 intercettazioni richieste è stato costretto a scegliere il male minore. Perché la proposta messa ai voti dal relatore Giuseppe Cucca di Italia Viva era secca: autorizzare solo le sei intercettazioni o bocciarla del tutto con il rischio di non autorizzarne nessuna. Cosa che ha fatto inviperire l’ex pentastellato Mattia Crucioli che aveva chiesto di poter votare la proposta per parti separate consentendo di dire sì alle sei intercettazioni e no al diniego per tutte le altre.