Di cosa parlò Luca Palamara, il 3 ottobre 2017, a Roma, nei pressi del Csm, con il procuratore di Milano Francesco Greco? È soltanto una delle domande rivolte ieri a Palamara dalla Prima commissione del Csm. Ma Palamara ha allargato l’orizzonte. Da Greco e la procura di Milano è passato a Giuseppe Pignatone e quella di Roma. Anche perché – questa in sintesi la sua tesi – procure così importanti, in merito alle nomine e al ruolo delle correnti, erano segmenti di un’unica grande partita. “Ho parlato di fatti specifici e in particolare degli uffici giudiziari di Roma e Milano – dichiara Palamara poco dopo l’audizione – ma il discorso si è allargato al trojan che mi ha intercettato”. Il punto è che nei dialoghi intercettati dalla procura di Perugia, nell’inchiesta in cui Palamara è imputato per corruzione, sosteneva che il suo telefono – circostanza vera – fosse stato intercettato attraverso un trojan. Di fatto le sue dichiarazioni di ieri hanno lambito anche il Quirinale quando ha citato Stefano Erbani, consigliere giuridico di Mattarella. Dalle intercettazioni di Perugia s’intuisce che Palamara sospettava che l’entourage del Presidente della Repubblica – Erbani ha sempre categoricamente smentito, sia per se stesso, sia per il Quirinale – fosse al corrente dell’inchiesta perugina ben prima che gli atti fossero inviati al Csm. Ieri Palamara ha spiegato perché. Ma come si è giunti al trojan?
L’ex presidente dell’Anm – convocato appena 24 ore – è stato sentito nell’ambito delle pratiche per incompatibilità ambientale, nate dalle chat del suo telefono sequestrate a Perugia e depositate al Csm, nei confronti dei magistrati milanesi Greco e Nicola Clivio e del loro collega romano Angelantonio Racanelli. Peraltro, proprio a quest’ultimo, il 21 maggio 2019, Palamara disse: “… si sa comunque che ci sono delle cene alle quali partecipano estranei…”. Il riferimento è interessante se si pone attenzione alla parola “estranei”: la notte tra l’8 e il 9 maggio Palamara era stato intercettato dal trojan mentre discuteva con Luca Lotti e Cosimo Ferri, all’epoca entrambi parlamentari del Pd (e quindi “estranei” al Csm) della nomina del futuro procuratore di Roma. Due sere dopo Palamara viene intercettato mentre parla con l’ex vicepresidente del Csm Giovanni Legnini e gli dice che l’ex consigliere Antonio Lepre “ha chiamato Cosimo (Ferri, ndr) e l’ha fatto tornare … gli ha fatto prendere un treno per tornare a Roma… dicendogli ‘guarda c’hanno messo il trojan non parliamo più….’”. Informazioni che giungeranno al Csm, dalla procura di Perugia, soltanto due settimane dopo e che, in quel momento, erano ancora soggette al segreto istruttorio. Spiegando alcune intercettazioni con Racanelli, Palamara ha così messo sul tavolo due tra gli argomenti più controversi della vicenda che lo riguarda: dopo le sue dichiarazioni sul trojan, infatti, quando gli è stato chiesto di quale “esposto” discutesse con Racanelli, Palamara ha spiegato che si trattava dell’esposto presentato il 27 marzo 2019, proprio al Csm, dal pm Stefano Fava sul suo ex capo Pignatone.
Di certo, a distanza di quasi due anni dal 29 maggio 2019, giorno in cui Repubblica e Corriere della Sera rivelano l’esistenza dell’indagine, bisogna dare atto che il Csm per la prima volta affronta argomenti simili. E infatti l’audizione di Palamara – che già in passato aveva inutilmente chiesto di essere ascoltato dal Consiglio su questi e altri temi – è stata segnata dalle frizioni tra chi chiedeva domande e risposte secche, sui soli argomenti in scaletta, e chi invece ha cercato di comprendere meglio le argomentazioni ulteriori emerse dai botta e risposta con l’ex segretario dell’Anm. Il cuore dell’audizione ha però riguardato le nomine ai vertici degli uffici giudiziari. Per la precisione quelle dei procuratori aggiunti di Milano nominati nel 2017 (Fabio De Pasquale, Alessandra Dolci, Tiziana Siciliano, Eugenio Fusco, Laura Pedio e Letizia Mannella). La Prima commissione ha chiesto conto a Palamara dell’incontro tenutosi, il 3 ottobre 2017 con il procuratore di Milano Francesco Greco: l’ex pm ha spiegato che ci fu un “confronto” su nomi e professionalità – la procura milanese era in quel momento fortemente scoperta – ma nessuna richiesta. Una dichiarazione che quindi alleggerisce notevolmente la posizione del procuratore capo di Milano. Palamara però ha voluto allargare lo scenario alla procura di Roma sostenendo che, a differenza di Greco, Pignatone avanzò una richiesta esplicita per la nomina degli aggiunti Rodolfo Sabelli e Paolo Ielo (che ha già querelato Palamara per alcuni passaggi contenuti nel suo libro “Il Sistema”, ndr). Interpellato dal Fatto, Pignatone ha preferito non commentare. Palamara ieri si è anche soffermato sulle modalità con le quali, nel 2019, si stava formando la maggioranza per la nomina di Marcello Viola (poi sfumata proprio a causa dell’indagine) a capo della procura romana.