Mettere il Consiglio europeo e la Commissione sotto pressione. Per capire se c’è modo di proseguire uniti in Europa. Ma anche per creare le premesse per agire “da soli”. Con lo Sputnik o quel che sarà. Colmare i ritardi, però, sembra più una speranza che una possibilità. Nel suo intervento al Consiglio europeo, il premier Mario Draghi sostiene la necessità di non restare inermi di fronte agli impegni non onorati da alcune case farmaceutiche. Dice che i cittadini europei hanno la sensazione di essere stati ingannati da alcune di loro. Dunque, restare fermi e non prendere provvedimenti sarebbe difficile da spiegare. Vuole garanzie il premier. E insiste sulle mancanze di Astrazeneca, a partire dal mistero dei 29 milioni di dosi trovate ad Anagni. Vuole una risposta chiara da Ursula von der Leyen: le chiede se ritiene giusto che le dosi presenti nello stabilimento e localizzate in Belgio e in Olanda restino in Europa. Ottiene un sì.
Le falle della campagna vaccinale in tutta Europa si riflettono in un Consiglio (in videoconferenza) estremamente faticoso, segnato dalle divergenze. Tanto è vero che dura una sola giornata. L’intervento del presidente degli Usa, Biden, che arriva al vertice alle 20.45, è visto come un segnale positivo. Ma al netto di questo è ai risvolti pratici del cambio di passo americano, che si guarda a Palazzo Chigi, come nelle altre cancellerie europee. Due i piani possibili di trattativa, quello della concessione dei brevetti per la produzione in Europa e quello di un aumento dell’export da parte delle aziende di Big Pharma, in particolare di Johnson & Johnson.
Che il clima non sia dei migliori si capisce già dall’intervento del presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, in apertura: “Sarebbe irresponsabile nascondersi dietro gli altri per coprire le proprie mancanze”. Ieri la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen interviene per fornire dei dati: nel secondo trimestre del 2021 l’Unione europea attende la consegna di 360 mln di dosi di vaccini. E dal primo dicembre 2020 ha esportato circa 77 milioni di dosi verso 33 Paesi.
Ma è sull’anticipo di 10 milioni di dosi da Pfizer per il secondo trimestre per i Paesi più bisognosi che va in scena la prima divisione. Senza che si trovi una soluzione operativa. Vienna non sembra essere nella lista. Anzi, le proteste orchestrate dal Cancelliere austriaco Sebastian Kurz nei giorni scorsi sui criteri adottati per la ripartizione dei vaccini crea irritazione. In prima linea per ottenere gli immunizzanti di Pfizer con Kurz ci sono Bulgaria, Croazia e Lettonia, Repubblica ceca, Slovacchia.
Anche sull’export le divisioni non mancano. Belgio, Olanda, Svezia, Danimarca e Irlanda esprimono preoccupazione e chiedono di valutare l’utilizzo del meccanismo dell’Ue per l’autorizzazione all’export dei vaccini con estrema prudenza, e di non azionare mai l’“opzione nucleare” per quelle case farmaceutiche che, come Pfizer, rispettano il contratto. E chiedono cautela e verifiche preliminare nell’applicazione del nuovo regolamento approvato dalla Commissione, con l’inasprimento del meccanismo di autorizzazione delle esportazioni dei vaccini anti-Covid dall’Ue, applicando i principi di reciprocità e di proporzionalità. Proposta di regolamento alla quale Draghi invece dà pieno sostegno. Nel frattempo, la Germania invita a verificare la possibilità di includere il vaccino russo, Sputnik nella strategia europea.
A ogni modo, nella dichiarazione finale viene ribadita l’importanza che le “aziende garantiscano la prevedibilità della loro produzione e rispettino le scadenze contrattuali di consegna”. Sullo sfondo, il ricorso alle vie legali. Sul banco degli imputati resta Astrazeneca. Ma ieri il segretario alla Salute britannico, Matt Hancock, al Financial Times ha chiarito un punto dirimente: “Il contratto di Astrazeneca per l’Unione europea prevede il ‘massimo sforzo’, noi abbiamo un accordo di esclusiva. Il nostro contratto prevale sul loro”.