“Servono 90 mld, ma non c’è cultura della prevenzione”

“Nonostante 663 morti e quattro violenti terremoti dal 2002 ad oggi, in Italia una strategia per la prevenzione del rischio sismico ancora non esiste. E anche se ci fossero i soldi del Recovery plan, ci sarebbe comunque un problema: come spenderli. La realtà è che non esiste una cultura diffusa rispetto a questa tematica”. Carlo Meletti è il direttore dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia di Pisa, da oltre trent’anni si occupa di sismologia storica, valutazione della pericolosità sismica e di educazione al terremoto. Fa conferenze, tiene dibattiti, va nelle scuole a spiegare che questa disattenzione rispetto ai rischi sismici, così come verso i cambiamento climatici, è tra le cause della mancanza di prevenzione: “Manca la consapevolezza che viviamo in un territorio che bisogna conoscere per potersi difendere”.

Allora come si fa?

In Italia abbiamo 26 milioni di edifici costruiti prima del 1980, l’anno del terremoto in Irpinia. Solo da quel tragico evento sono state aggiornate le normative antisismiche. Ma da allora poco è cambiato: per il 75% di edifici non sappiamo esattamente la capacità di resistere a forti terremoti. Sono pochissimi gli italiani che hanno utilizzato il sisma bonus che da anni prevede una serie di incentivi per la riqualificazione strutturale degli edifici esistenti e del patrimonio immobiliare.

Qual è il limite di questo incentivo?

Sulla carta nessuno. Negli ultimi anni i finanziamenti per prorogarlo sono stati sempre reperiti, le percentuali di sconto sono altissime, ora anche il 110% con lo sconto in fattura. È anche un volano per l’economia con la crescita dell’edilizia. Ma è un problema culturale come spendere questi soldi. Si preferisce rifarsi bagni e cucine alla moda, piuttosto che intervenire sulla sicurezza. Se non si spingono gli italiani ad agire su questo fronte, si potranno continuare a stanziare anche milioni di euro, ma nessuno li userà bene. Oltre a reperire finanziamenti si deve pensare a una nuova formula per far partire i lavori nelle case degli italiani, altrimenti gli unici soldi che continueremo a spendere sono quelli per la ricostruzione.

Di quanto parliamo?

Lo Stato investe per la prevenzione attiva meno di 20 milioni di euro l’anno. Ma dal 1968, l’anno del terremoto del Belice, l’Italia sta pagando complessivamente 150 miliardi di euro per la ricostruzione. Solo per citare le ultime tragedie, per L’Aquila sono stati stanziati 17,5 miliardi, 13 per l’Emilia e 23 miliardi per il Centro Italia. Eppure con 93 miliardi si metterebbero in sicurezza tutti gli edifici. Per ogni euro investito in prevenzione, si risparmiamo 5 euro nella ricostruzione. Ma devi sempre convincere il privato dell’utilità del sisma bonus. Per ridurre il rischio sismico ben vengano i finanziamenti, ma serve anche un’iniziativa nazionale di sensibilizzazione per evitare che se ne parli solo dopo un terremoto.

“Il Recovery Plan s’è scordato la prevenzione anti-terremoti”

Pubblichiamo la lettera al premier di un gruppo di scienziati ed esperti che chiedono di inserire un piano di prevenzione antisismica nel Recovery Plan italiano

Illustrissimo presidente del Consiglio Mario Draghi, nel Recovery Plan sono state prefigurate numerose priorità, tutte cruciali per il futuro del Paese, ma nel dibattito e nella stesura, finora nota, manca un esplicito e chiaro riferimento alla mitigazione del rischio sismico, che per l’Italia è un’emergenza non risolta. In Italia non esiste un Piano di prevenzione sismica nazionale che delinei una strategia a breve, medio e lungo termine: una situazione inaccettabile per un paese civile e industrializzato, benché da tempo in possesso delle necessarie conoscenze teoriche e applicative. Il decreto n.39/2009 aveva previsto un esiguo stanziamento di € 965 milioni fino al 2016, con cui sono stati realizzati 1.034 interventi su edifici. Allo stato attuale non è in atto alcuna iniziativa in grado di modificare le prospettive di impatto di futuri terremoti.

A fronte di tale vuoto di visione e di mezzi, i dati scientifici ci dicono che in Italia accade un terremoto distruttivo in media ogni quattro anni e mezzo. Solo nei due decenni di questo secolo ci sono già state 650 vittime e 70 miliardi di danni, pur causati da terremoti che non rappresentano i massimi storici attesi per le aree colpite. Mentre si avvicendano e si sovrappongono costose, lente e problematiche ricostruzioni, sappiamo già che il prossimo terremoto sarà un altro disastro e non sarà casuale l’area che colpirà: infatti le zone a maggiore pericolosità sismica sono da anni ben identificate e delimitate da una competente e vasta comunità scientifica. Nel 2017 il governo in carica ha varato il Sisma Bonus, uno strumento fiscale che consente al singolo cittadino una detrazione delle spese sostenute per gli interventi antisismici alla propria abitazione. Uno strumento tuttavia inadeguato e dagli esiti casuali, perché avviato senza una strategia complessiva, senza una struttura centralizzata di indirizzo strategico e di coordinamento, e soprattutto senza una chiara identificazione delle priorità di intervento.

Nel 2018 al Sisma Bonus si è aggiunto l’omologo Eco Bonus, finalizzato all’efficientamento energetico. Nel 2020, sulla spinta dell’emergenza economica causata dalla pandemia, il governo ha unito Sisma ed Eco Bonus in un singolo strumento, il SuperBonus 110%, attraverso il quale le spese di riqualificazione sismica ed energetica sono poste interamente a carico dello Stato. Questo provvedimento, ben lontano dal costituire un piano di prevenzione sismica nazionale – come si è perfino lasciato supporre – ha peggiorato la situazione, ampliando a dismisura la platea degli aventi diritto, profilando un notevole dispendio di risorse pubbliche, impegnando lo Stato nella mobilitazione di enormi risorse a debito, con margini assai ridotti di crescita, e lasciando in balia dei singoli proprietari le aree a maggiore pericolosità sismica, come il Centro e il Sud del Paese, in cui è quasi del tutto assente la domanda di sicurezza abitativa. Noi riteniamo che la prevenzione non sia solo una soluzione tecnica-costruttiva e che non possa prescindere da una complessa visione culturale, sociale e storica, come base di una cultura del rischio, ancora ben lontana dall’essere recepita nel nostro Paese.

Nel 2019, per segnalare l’inaccettabile deficit di capacità di trasferimento di conoscenza scientifica, tecnologica e culturale sul piano concreto della riduzione del rischio sismico e la necessità di riconsiderare gli assetti organizzativi e istituzionali, abbiamo inviato al governo Conte e al presidente della Repubblica l’appello “La prevenzione sismica: una sconfitta culturale, un impegno inderogabile”, sottoscritto da oltre 200 esperti, studiosi e professionisti del settore. Solo la Segreteria del Quirinale ci ha dato risposta e incoraggiamento. Nel 2020 abbiamo divulgato il manifesto “Prevenzione sismica: cento anni di fallimenti”, denunciando la situazione e chiedendo con convinzione un intervento adeguato per mettere a punto una strategia di prevenzione sismica nazionale. Anche su questo non c’è stata alcuna risposta da parte dei precedenti Ministeri competenti.

A nostro parere non fare nulla per modificare lo stato attuale significa lasciare ai nostri giovani non solo una pesantissima condizione debitoria, ma anche una irrisolta condizione di fragilità e di vulnerabilità dei territori, che porterà a nuove povertà. Chiediamo che il Recovery Plan recepisca questa cruciale emergenza del Paese e apra una prospettiva di lungo periodo per la mitigazione del rischio sismico.

L’ottimo Novembre, braccio destro dell’eroe Ambrosoli

Aveva sfoderato uno dei suoi sorrisi, quando aveva visto sullo schermo se stesso interpretato da Michele Placido: “Ma io non sono così bello”, mi aveva sussurrato dopo la prima. Era Silvio Novembre, maresciallo della Guardia di finanza diventato il collaboratore fedele dell’avvocato Giorgio Ambrosoli. Il film era Un eroe borghese, tratto dal libro di Corrado Stajano che racconta la storia dell’uomo che non si è lasciato intimorire né dalle minacce di Michele Sindona, né dalle pressioni di Giulio Andreotti. “Più è difficile fare il proprio dovere, più bisogna farlo”, diceva il maresciallo che per quattro anni è stato l’ombra di Ambrosoli. Ora un libro affettuoso è dedicato tutto a lui: Silvio Novembre. Il coraggio oltre il dovere, scritto da Giandomenico Belliotti ed edito da Gangemi. È illuminante scorrerne le pagine, quarant’anni dopo la scoperta delle liste P2, a cui Sindona era iscritto e dal cui sistema di potere fu sostenuto fino all’ultimo caffè.

Silvio era nato nel 1934 in un paese della provincia di Piacenza, padre muratore e poi ferroviere, madre casalinga. Poco più che ragazzo, si arruola nella Guardia di finanza, gira le caserme di Roma, Macugnaga, Domodossola, Genova, Ostia, Anterselva, Bibione, Brescia, Milano. Nel 1974 la sua vita cambia per sempre: riceve l’incarico di ricostruire, come ufficiale di polizia giudiziaria, la ragnatela di Sindona, fuggito negli Stati Uniti dopo la bancarotta della sua Banca Privata Italiana. Si trova così a fianco di Ambrosoli, commissario liquidatore dell’istituto in bancarotta.

I primi momenti sono difficili: Silvio è un ragazzone silenzioso e spigoloso, Giorgio un professionista scrupoloso che capisce subito di essere finito in mezzo a una storia pericolosa, in cui non può fidarsi di nessuno. Quando il ghiaccio tra loro si scioglie, nasce un’alleanza forte, un’amicizia vera, la complicità di chi è finito per caso in una vicenda che incrocia finanza e politica, potere e criminalità, massoneria e mafia, e sceglie di fare il suo dovere fino in fondo, senza dubbi e senza cedere a blandizie, pressioni, minacce, ricatti.

È l’Italia della P2, quella che Ambrosoli e Novembre imparano a conoscere, ricostruendo passo dopo passo la rete delle trecento società sindoniane (“follow the money”) e la ragnatela dei suoi rapporti finanziari, politici, massonici, mafiosi. Le liste della loggia segreta saranno scoperte soltanto anni dopo, nel 1981, ma il “sistema P2” è nel pieno del suo vigore tra il 1974 e il 1979, gli anni dell’attività dell’avvocato Ambrosoli e del maresciallo Novembre. Le indagini sulla ragnatela Sindona crescono in mezzo alle lusinghe, alle pressioni, alle minacce. Telefonate notturne, pedinamenti, insulti. Per l’eroe borghese, ma anche per il suo maresciallo. Una sera, uscendo dal Tribunale, Silvio è avvicinato da un ex collega che gli propone di lasciare l’indagine, congedarsi dalla Guardia di finanza e accettare un lavoro meglio pagato, perché “hai due bambine da crescere” e “tua moglie malata sarebbe curata meglio negli Stati Uniti”: un episodio, racconterà poi Novembre, “che ricordo come la cosa peggiore che mi sia capitata nella vita”.

Ambrosoli viene ucciso l’11 luglio 1979 dal killer mafioso mandato da Sindona. Silvio Novembre resta vivo e continua negli anni a testimoniare l’eroismo antieroico che aveva condiviso con Ambrosoli. Sei anni dopo, è tra i fondatori del circolo Società civile, promosso da Nando dalla Chiesa, che si impegna a diffondere i temi della legalità, negli anni della “Milano da bere” e del negazionismo criminale (“A Milano la mafia non esiste”). Per Silvio è una nuova giovinezza, s’impegna nelle attività del circolo, gira per le scuole a raccontare ai ragazzi la storia che ha vissuto. Ora questo libro ci aiuta a non dimenticare.

 

Non esiste diritto alla felicità, altro che giornata dell’Onu

Il 20 marzo invece della Milano-Sanremo, storica gara di apertura della stagione ciclistica, vinta da un belga, Jasper Stuyven, si è celebrata la Giornata internazionale della felicità, istituita dall’Onu nel giugno del 2012. Infinite sono le celebrazione delle giornate internazionali o mondiali nel corso dell’anno, non si salva un sol dì che il Signore manda in terra. C’è la Giornata internazionale della pace, il Giorno della memoria, la Giornata del velo islamico, la Giornata dell’alfabeto braille, la Giornata della vita, la Giornata del malato, la Giornata del sonno, la Giornata della voce, la Giornata della neve, la Giornata della guida turistica, la Giornata dell’orso polare, la Giornata del gatto, la Giornata della pizza italiana, la Giornata delle torte, la Giornata della Nutella e qui ci fermiamo per pietas nei confronti del lettore.

A parte quella della memoria, sono celebrazioni pleonastiche, superflue quando non addirittura grottesche. Ma la più stolida è proprio la Giornata internazionale della felicità. È vero che l’Onu fa riferimento al “diritto alla ricerca della felicità” inserito nella Dichiarazione d’indipendenza americana del 1776, però l’edonismo straccione contemporaneo l’ha introiettato come un vero e proprio diritto alla felicità. Sono i diritti impossibili creati dalle suggestioni dell’Illuminismo, come il diritto alla salute (esiste semmai un diritto alla sanità, cioè a essere curati sempre che lo si voglia: proprio nei giorni scorsi la Spagna, Paese cattolico, ha legalizzato l’eutanasia). Esiste la salute, quando c’è, non il suo diritto. Esiste, in rari momenti della vita di un uomo, un rapido lampo, un attimo fuggente e sempre rimpianto, che chiamiamo felicità, non il suo diritto. Pensare che l’uomo abbia un diritto alla felicità significa renderlo ipso facto e per ciò stesso infelice. La sapienza antica era invece consapevole che la vita è innanzitutto fatica e dolore, per cui tutto ciò che viene in più è un frutto insperato e ce lo si può godere.

“La vita oscilla fra noia e dolore” può affermarlo solo Schopenhauer, rentier già corrotto dal benessere. L’uomo occidentale, che ha creato un modello di sviluppo imperniato sull’inseguimento spasmodico del bene, anzi del meglio, invece che sulla ricerca dell’armonia e dell’equilibrio in ciò che già c’è, si è costruito, con le sue stesse mani, il meccanismo perfetto e infallibile dell’infelicità.

Non è il sonno, ma il Sogno della Ragione che ha partorito mostri.

 

Bertolaso, l’ambulanza umana delle emergenze

Ci sono cose tra cielo e terra che nessuno si è mai preso la briga di spiegare e che assumono cristalizzandosi il carattere dell’indiscutibilità. Una di queste è Guido Bertolaso e il ruolo ch’egli ricopre per la Nazione.

“Entro giugno tutti i lombardi avranno la prima dose di vaccino. Ci metto la faccia”, ha detto ieri. Giorni fa, con la stessa faccia, aveva detto: “Entro giugno tutti i lombardi saranno vaccinati”, che, come tutti capiscono, è cosa ben diversa; in mezzo, aveva messo i bresciani: “Tutti vaccinati, entro luglio”, dal che – Aristotele alla mano – si evince che i bresciani non sono lombardi.

Se c’è un’emergenza, Bertolaso accorre. Coi suoi motti motivazionali da coach d’Italia (“Più siamo, prima vinciamo”), Bertolaso è una presenza fissa, fa parte dello sfondo di tutte le inquadrature di disastri registrati in Italia negli ultimi vent’anni. Commissario straordinario per terremoti, epidemia di Sars, emergenza rifiuti, vulcani delle Eolie, archeologia romana, G8, rischio bionucleare, frane, incendi boschivi, nel 2010 addirittura (autonominatosi) commissario-passante per il terremoto di Haiti (criticò Obama per la gestione dell’emergenza, la Clinton definì le sue uscite “osservazioni da dopo partita”), indi candidato sindaco di Roma del centrodestra per lo spazio di un mattino, dopodiché gli fu preferito Alfio Marchini (per dire), Bertolaso è un’ambulanza umana. Chissà che aspetta a farsi montare una sirena sulla testa. Oggi Bertolaso è consulente per la campagna vaccinale in Lombardia, come si desume del resto dalla campagna vaccinale stessa; ruolo che gli fa dire: “Qui non sono nessuno, senza poteri, non posso firmare un pezzo di carta né stanziare un euro”. Menomale che l’ha detto lui. Bei tempi, quando “il modello Bertolaso” erano le Ordinanze di Protezione civile, con cui distribuiva soldi pubblici e poteri straordinari per i “grandi eventi” berlusconici.

Particolarità di Bertolaso è l’estrema suscettibilità unita a un atteggiamento passivo-aggressivo da genio incompreso, del genere “se non mi volete me ne vado, poi vedete come fate senza di me”. Un tempo minacciava di tornarsene in Africa, dove stava prima della Covid; ora di tornare a fare il nonno, cioè il commissario straordinario ai nipotini, e ogni volta che prende cappello può contare su legioni di politici che lo difendono, lo endorsano, lo propongono quale salvatore della Patria, s’adontano con l’Italia tutta incapace di apprezzare i pregi di un ingegno militare e manageriale simile. (Chi è e a cosa serva Bertolaso chiedetelo al Comitato 3 e 32, sorto all’Aquila dopo il terremoto del 6 aprile 2009, a cui naturalmente egli, voluto da Berlusconi, è stato commissario).

Ieri ha chiuso il collegamento con SkyTg24 perché alla conduttrice è venuto in mente di chiedergli conto della vaccinazione dei poveri anziani lombardi con patologie (non convocati, sconvocati, convocati due volte o a centinaia di chilometri di distanza). Bertolaso s’è offeso, ha messo su il broncio che l’ha reso famoso fino a Haiti: “Tanto criticare Bertolaso (Bertolaso parla di sé in terza persona, come i papi e i calciatori, ndr) è uno sport abbastanza normale”.

Ma chi lo vuole, Bertolaso? Chi lo trattiene? Un anno fa Renzi (e chi, se no) lo voleva commissario di Conte, nel senso proprio che voleva commissariare Conte per via bertolasica: “Ci vuole uno come Guido Bertolaso a dare una mano a Palazzo Chigi. Forse ci vuole proprio Guido Bertolaso” (venti giorni dopo strillava di riaprire tutto perché così avrebbero voluto i deceduti di Covid – negozi, scuole, chiese – con 900 morti al giorno; oggi no: strano).

Lo vuole Fontana, l’aquila di Varese, che l’aveva già imbarcato come suo consulente personale per la costruzione dell’ospedale in Fiera di Milano, l’“astronave” i cui fasti sono noti ai nostri lettori (secondo i medici intensivisti, una sbruffonata, staccata da tutti gli ospedali); poi l’hanno voluto il presidente delle Marche (del Pd) per replicare l’astronave a Civitanova Marche (18 milioni di euro, dentro: pazienti umbri), e a novembre, ingolosita, la presidente leghista dell’Umbria, a capo della “task force antipandemica”, ruolo che lui accettò schernendosi: “Ringrazio chi ha immaginato che un mio ruolo potesse essere utile per affrontare in Umbria un momento difficile anche se non drammatico”, infatti oggi l’Umbria ha le terapie intensive piene e il record nazionale di mortalità. Ah: lo volle pure il presidente siciliano di destra Musumeci, come commissario per il “turismo sicuro” e per la sua (di Bertolaso) barca ormeggiata a largo di Trapani. Tutto gratuito, ci mancherebbe, quando la Patria chiama. Oggi lo vuole Salvini, che addirittura intima a Draghi di adottare il “modello Bertolaso” che tante gioie sta dando ai lombardi. Cioè, per usare le parole dell’interessato, di far gestire la campagna vaccinale d’Italia a uno che non è nessuno.

 

Dl “Il condono è incostituzionale: pronti a ricorrere alla Consulta”

Gentile redazione, quanto scritto nel decreto Sostegni è molto peggio di un “condono” e chiaramente incostituzionale. Insieme ai colleghi con cui facemmo annullare la legge elettorale di Calderoli dalla Consulta, mi riservo di agire in giudizio per farne caducare gli effetti se non corretti dal Parlamento. Infatti il condono ha sempre riguardato le sole sanzioni e non anche i tributi, dei quali anzi presupponevano il pagamento, mentre qui vi è una vera e propria “remissione” dei debiti in corso di riscossione, compresi quindi quelli riferiti al tributo e non solo alle sanzioni.

Non ha senso oltretutto legiferare con riferimento alle “cartelle esattoriali” dietro alle quali possono nascondersi vicende estremamente diverse: un credito può avere le origini più disparate, potrebbe persino essere coperto da un giudicato della magistratura, il che significherebbe che non si sta “rottamando” solo un documento e un credito, ma anche il lavoro di molti magistrati, funzionari e avvocati dello Stato. Inoltre va considerato che molti contribuenti dichiarano i loro redditi in misura corretta e fedele, per evitare le sanzioni, ma – non disponendo di liquidità – non pagano i relativi tributi aspettando che il fisco iscriva a ruolo il relativo debito, confidando di aver ottenuto nel frattempo la liquidità necessaria per il pagamento, così che la rottamazione della cartella esattoriale equivale alla remissione di un debito del tutto pacifico anche per lo stesso debitore, che ne ha spontaneamente ammesso la sussistenza. L’aspetto sommamente delittuoso della norma risiede nella sfacciata disparità di trattamento riservata ai cittadini che hanno invece sempre fedelmente adempiuto ai propri doveri. Se lo Stato ritiene di poter rinunciare a un suo credito tributario vantato verso i cittadini infedeli, fino a 5.000 euro, dovrebbe essere tenuto ad assicurare anche ai cittadini fedeli, che non hanno alcun debito, la possibilità di avvalersi, fino allo stesso importo, di un “bonus” sulle future imposte, senza il quale si sta compiendo una delle più turpi disparità di trattamento, proprio perché perpetrata ai danni dei cittadini fedeli e a vantaggio di quelli infedeli. Quello che Salvini ha preteso – e Draghi a malincuore concesso – sarà pertanto sicuramente ribaltato dalla Consulta se non corretto dal Parlamento, perché non è affatto un condono, ma qualcosa di assai peggiore e di totalmente iniquo.

Emilio Zecca

Mail Box

Vaccini, c’è disparità nelle forze dell’ordine

Le forze dell’ordine sarebbero una categoria da vaccinare subito dopo quella degli operatori sanitari e degli insegnanti, ma non sempre è così. Infatti a Roma, presso la Direzione centrale anticrimine della Polizia di Stato, la campagna vaccinale va molto a rilento e senza alcun criterio chiaro di chiamata. Per esempio, e chissà perché, buona parte dei capi e dei dirigenti si sono già vaccinati; così anche funzionari poco più che trentenni, ma non operatori con oltre 20/25 anni di più, che ancora aspettano con ben poca fiducia. Quale mero operatore di base mi pare giusto rendere pubblica tale situazione, anche perché per ora i sindacati hanno fatto ben poco per protestare o anche solo per sollecitare un cambio di passo.

Lettera firmata

 

Sul disastro lombardo intervenga il governo

Ma cosa aspetta il governo a commissariare la sanità della Lombardia? Cos’altro devono fare questi politici e manager incompetenti per farsi defenestrare a furor di popolo? Possibile che un partito, la Lega, riesca a coprire tutto questo sfacelo agli occhi della gente? Possibile che tutti i giornali non chiedano le dimissioni di Fontana e Moratti? Il problema, purtroppo, ricade sulla gente e, visto che è la regione più popolosa, sulla nazione.

Gianfranco Taranto

 

Di fronte alla palese insipienza (per non dire altro) dei governanti della Lombardia, riguardo alle mancate vaccinazioni, non dovrebbe intervenire il governo centrale per correre ai ripari prima che la situazione tracolli? È vero che la Lega ha sempre accarezzato l’idea di un’Italia a due velocità, solo che non prevedeva che il Nord potesse rimanere al palo!

Michele Spirito

 

Basta con le distinzioni tra Draghi e l’esecutivo

Il nuovo governo sta deludendo perfino quelli che avversavano Conte, figuriamoci chi in Conte aveva fermamente creduto. È stato incaricato Draghi con quello che è un golpe soft. Eppure, anche sul mio Fq, che pure stigmatizza tutti gli errori dell’attuale gestione, leggo sempre quel sottile distinguo che indica Draghi come persona capace e onesta. Ma chi ha chiamato a sé i Brunetta, le Gelmini-Carfagna-Bellanova-Bonetti e rimesso in sella Salvini, Berlusconi e Renzi? Draghi, sempre lui. Per cui evitiamo di alludere a Draghi in modo positivo, contribuendo a dargli la garanzia di diventare il prossimo presidente della Repubblica.

Tiziana Gubbiotti

 

Centrosinistra unito? Pesa la legge elettorale

Per i partiti riconducibili all’area di sinistra con il M5S, molto difficilmente sarà possibile raggiungere il centrodestra unito. A questo punto, non sarebbe preferibile che il M5S con a capo Conte, diventando più forte, andasse a costituire un terzo polo per fare da ago della bilancia?

Pasquale Mirante

 

Caro Pasquale, dipenderà dalla legge elettorale. Col maggioritario conviene fare le coalizioni prima del voto, col proporzionale dopo.

M. Trav.

 

Colao chiarisca sul 60% degli italiani senza Rete

Il ministro Colao ha dichiarato che il 60% degli italiani non ha né rete veloce né Internet. Secondo me è una gran bugia, ma sono pronto a ricredermi qualora divulghi dati più seri. Da dove arriva quel 60% senza rete?

Ernani Colombo

 

La fantasia dei giornali a proposito di Mario

Draghi è un gran pastore! Dopo la sua prima conferenza stampa, un gregge di giornalisti, conduttori, ospiti tv… hanno cominciato a usare la parola “pragmatico”, in disuso fino a 10 giorni fa.

Francesco Facciolo

 

I cosiddetti giornaloni mi hanno un po’ deluso al riguardo di Mario Draghi. Si sono dimenticati di dire che il vestito grigio-scuro che indossa gli sta a pennello.

Martino

 

Il “Fatto” migliora l’immagine della stampa

“Ma sì, proviamo a scrivere. Ci impiego un mare di tempo, tra una cosa e l’altra che si mette di traverso, tutto il resto del giorno a scrivere un poco di scrivibile col minimo di autocensura preventiva per evitare guai, a me e al giornale, secondo l’aurea norma di capire bene i fatti per poterli distorcere a piacere, cioè adattarli alla linea del giornale” (Afa, Giulio Angioni). La fotografia del giornalismo italiano. Per fortuna ci siete voi.

Luciano Murgia

 

Cartelle, perché Letta se la prende con Salvini?

Dopo il decreto che approva l’ennesimo condono fiscale, Letta se la prende con Salvini. Dal mio album fotografico ho visto che Letta e Draghi si conoscono. Perché non se l’è presa con Draghi?

Ennio Lombardi

 

DIRITTO DI REPLICA

Ieri nell’editoriale di Travaglio si parlava di Biancaneve anzichè di Cenerentola. Nella scheda di pag. 18, a corredo del pezzo “Guerra mondiale dell’arte”, abbiamo annoverato Paolo Matthiae tra gli “archeologi rapaci”, quando è esattamente il contrario, essendosi lui speso sempre per la conservazione di opere e siti. Ce ne scusiamo con l’interessato e i lettori.

Fq

Quel sorite di Ferrara: cita Talleyrand a caso, proprio come Mussolini

Quando Giuliano Ferrara prova a difendere l’indifendibile (l’altro giorno, l’endorsement di Renzi a Bin Salman nel quadro di un rapporto remunerato di consulenza: Renzi è nel board del think tank che organizzò la conferenza, il Future Investment Iniziative Institute presieduto da Yasir al Rumayyan, capo del fondo sovrano saudita), usa sempre un trucchetto retorico detto sorite (usò questo ragionamento erroneo anche per difendere Farina, l’agente Betulla, che infatti fu condannato, cfr. Ncdc 8 dicembre). Il sorite è una generalizzazione indebita che sfrutta la vaghezza di un’espressione. Su Renzi, Ferrara ha scritto: “Un ex presidente del Consiglio gira il mondo, viaggia, fa cose, per dirla con Moretti. Dovunque vada incontra il male, di male in peggio, salvo che in Europa e in America, e non dappertutto. Ma deve andare, deve fare conferenze e interviste, deve farsi regolarmente pagare, deve risultare importante, deve esporsi, ci mancherebbe. Lo ha fatto Sarkozy, lo ha fatto Schröder, lo fanno tutti, anche a Riyad, non solo a Mosca e a Pechino”. Renzi gira il mondo, cercate di capire; e deve farsi regolarmente pagare: il suo endorsement a Bin Salman non è strano, l’ha fatto anche Sarkozy! Poiché, però, è esecrabile ogni endorsement a Bin Salman e al suo regime sanguinario, il sorite di Ferrara è spudorato, come al solito. Ferrara sa benissimo che quell’endorsement è immorale, tanto che deve rafforzare il sorite banalizzando: “Renzi con Bin Salman ha fatto qualcosa di più e di peggio di una gaffe, un errore politico”. Innanzitutto, quella di Renzi non è affatto “una gaffe”, poiché non si tratta di una questione di galateo. L’indecenza della mossa retorica si comprende meglio correggendo la frase secondo i criteri di un umanesimo razionale (ma basterebbe, come parametro, il giuramento dei boy scout): “Renzi con Bin Salman ha fatto qualcosa di più e di peggio di un errore politico: ha commesso un atto immorale”. Ferrara evita con pervicacia di essere limpido in proposito: scrive che quello di Renzi è stato “un gesto troppo disinvolto e immoralistico”, dove “immoralistico” non significa affatto “immorale”. Gli immoralisti sono coloro che criticano la morale tradizionale (Nietzsche si definiva un immoralista), quindi definire “immoralistico” l’endorsement immorale di Renzi a Bin Salman è una dabbenaggine capziosa, che Ferrara sostiene citando Talleyrand: “Talleyrand lo aveva detto da esperto, ci sono atti che sono peggio di un delitto, anche se non fanno di alcuno un criminale: sono appunto gli errori politici”. Solo che Talleyrand non lo ha mai detto. La sua spregiudicatezza (era un profittatore che tradì sempre chi lo aveva sostenuto: appoggiò i monarchici e insieme i rivoluzionari, poi Napoleone, poi i Borbone) faceva il paio con quella di Fouché, altro avventuriero della politica francese: Chateaubriand, dopo averli visti giurare fedeltà a Luigi XVIII, scrisse che i due erano, nell’ordine, “il vizio appoggiato al braccio del crimine”. Quando, con un complotto in favore di Napoleone, Talleyrand accusa di congiura il Duca d’Enghien, che viene fucilato, è Fouché a dire: “È stato peggio di un crimine, è stato un errore”. Potrebbe dirlo Bin Salman per banalizzare l’omicidio Khashoggi, di cui secondo la Cia è il mandante. Ci fu un altro che, il 24 giugno 1924, attribuì per errore quella frase a Talleyrand. Disse: “Non ho bisogno di ripetervi tutta la mia deplorazione e tutto il mio orrore per il delitto commesso contro l’onorevole Matteotti. Ritengo che nessuno potrà dubitare della sincerità dei miei sentimenti al riguardo. Potrei aggiungere la frase di Talleyrand a proposito del ratto e dell’uccisione del Duca di Enghien: ‘Non è soltanto un delitto ma è un errore’”. Era Benito Mussolini.

 

Toti & bassetti: Il duo che sfida il virus a parole

Per un infettivologo esiste un tempo peggiore della pandemia? C’è però chi ha il talento, e di questo vogliamo scrivere, nella capacità di fregare il virus, toglierselo di torno anche quando tutto farebbe supporre che è tra i suoi piedi, nel reparto che dirige all’ospedale San Martino di Genova.

Matteo Bassetti, medico e professore all’università ligure, espande la sua presenza in televisione proprio in coincidenza dei picchi e delle ondate. Più contagi in corsia più Bassetti in piazza. Mattino, mezzodì, mezza sera, notte fonda. Lui è in tv a combattere il virus con le parole. Parla e parla e scrive anche molto, infatti di queste settimane il suo ultimo libro: breve vademecum su come si debba affrontare il Covid “senza panico” sebbene la Liguria, che ha un gran numero di anziani, sia purtroppo ai vertici della classifica della letalità (la percentuale degli ammalati che trovano la morte).

Bassetti fa coppia con Giovanni Toti, suo amico e governatore. Matteo&Giovanni producono più di un intero palinsesto per Mediaset, dove Berlusconi pescò quest’ultimo per farlo suo consigliere speciale prima di vederselo comparire nell’altrove arancione, il colore del suo piccolo ma profittevole partitino che ha per sigla un sentimento: “Cambiamo con Toti”.

È il duo delle meraviglie. Sembra a noi che Bassetti stia divenendo bravissimo. Entra nella polemica, prendiamo ad esempio quella di due sere fa con l’ex ammalata Simona Ventura, con una professionalità e anche con quell’irruenza approssimata alla scortesia che nei talk show fanno sempre tanto share. È poi il medico che piace ai ristoratori perché tifa per le aperture. E piace al centrodestra: finalmente uno che ha a cuore il fatturato.

E che dire di Toti? Un gattone della politica, pacione e sempre di buonumore. I suoi colleghi – appena reimmesso in circuito il vaccino di Astrazeneca – hanno fatto a gara ad annunciare la ripresa delle punture. Era giovedì scorso. All’indomani quasi tutti di nuovo ai nastri di partenza. Tranne la Liguria. Soave Toti: “Ripartiremo lunedì”.

Lui miete successi grazie ai suoi insuccessi. La Liguria è piazzata al terzultimo posto della classifica dei vaccinati: nove punti in meno della media nazionale. È una regione di anziani, ma ha quasi venti punti in meno di inoculazioni effettuate agli over 80 rispetto al Lazio, e quasi 14 punti di distacco dalla performance complessiva di una sua omologa, quanto a popolazione, come le Marche. La Liguria nei mesi scorsi ha fatto meno tamponi e ora sta facendo meno vaccini.

Con questi dati e con questo passo lento, penserete voi, un governatore dovrebbe fuggire dai riflettori. Lui, invece, è questa la meraviglia, batte e ribatte senza che nessuno gli chieda conto di quel che afferma. Tanto a cosa servirebbe? Proprio come l’amico Bassetti. “Chi dice che ci sarà una seconda ondata fa terrorismo”, avvertiva il professore a settembre. Siamo alla terza e lui – invece che rinchiudersi in ospedale e non rispondere nemmeno ai familiari – fa il fantuttone in tv.

Matteo&Giovanni, c’è da giurarlo, prossimamente deputati. What else?

Quel “morto che parla”

Quando parliamo di virus descriviamo un’entità non vivente, perché non ha la capacità di moltiplicarsi autonomamente, ma “vivente” perché capace di attivare importanti processi che si configurano in quel bagaglio detto virulenza. Se non fosse materia molto seria potremmo definirlo un “morto che parla”. Molte volte, però, si dimentica che, a parte alcune caratteristiche costanti, i virus hanno una grande capacità di cambiare. Non mi riferisco esclusivamente alle mutazioni, oggi molto discusse, per quanto riguarda SarsCoV2, ma come conseguenza di una serie di fenomeni genici propri di questo mondo biologico. Sono questi processi che trasformano geneticamente i virus e li rendono adatti a infettare nuove specie batteriche o a cambiare in maniera significativa parti del virione (corpo del virus), tanto da non essere riconosciuti dal sistema immune, acquisire cambiamenti nelle proteine di superficie che permettono loro di aggirare la barriera costituita dalla immunità presente nella popolazione che in passato ha subito l’infezione o una vaccinazione. Questo è quello che accade periodicamente nei virus influenzali che, attraverso la deriva antigenica modificano la sequenza degli aminoacidi che compongono le proteine in grado di stimolare una risposta immune. O ancora attraverso lo spostamento antigenico, che consiste nella comparsa nell’uomo di un nuovo ceppo virale con una proteina di superficie appartenente a un sottotipo diverso da quelli comunemente circolanti. Oltre a questi fenomeni esiste anche la “ricombinazione virale”, quando due virus si trovano a infettare la stessa cellula e si scambiano del materiale genico. Il risultato può essere un virus completamente diverso da quello inizialmente infettante, che ha acquisito ulteriori caratteristiche come, per esempio, la capacità di infettare nuove cellule o nuove specie. La probabilità che possa avverarsi uno di questi fenomeni è tanto più elevata quanto più è persistente un’epidemia che circola in una popolazione. È anche per questo motivo che una campagna vaccinale deve essere svolta nel più breve tempo possibile.

Direttore microbiologia clinica e virologia del “Sacco” di Milano