Il leader di Iv in Senegal: fa i selfie con le suore e vola con gli industriali

L’ennesima trasferta esotica di Matteo Renzi è finita ieri sera. Meno di 48 ore a Dakar per incontrare il presidente senegalese Macky Sall, “vecchio amico” dell’ex premier dai tempi del vertice europeo sui migranti di La Valletta (correva l’anno 2015, pare una vita fa).

Niente conferenze, cachet e gaffe internazionali stavolta – a differenza dell’incontro di Riyad con Bin Salman dello scorso gennaio –, ma un altro viaggio in cui la dimensione pubblica del senatore si intreccia ad amicizie e interessi privati. Come ha scoperto La Verità, Renzi è stato portato in Senegal lunedì dal volo di una compagnia privata – l’Italfly aviation di Trento – organizzato da un gruppo di industriali bresciani. Renzi è stato prelevato dalla Spagna (l’attività turistica dell’ex premier è frenetica) e ha fatto una parte del viaggio di andata in compagnia degli imprenditori lombardi (asserendo di aver pagato personalmente il biglietto). Il punto rilevante però è un altro: la spedizione bresciana ha seguito Renzi anche nella cerimonia in ambasciata di lunedì sera. L’ex premier aveva informalmente smentito al Fatto l’ipotesi di essere ricevuto dalle autorità locali insieme a imprenditori che potessero avere interessi commerciali in Senegal. Invece, all’aperitivo, il senatore Renzi è andato insieme ai privati.

Lo stesso ex presidente del Consiglio ha raccontato il viaggio sui suoi profili social lunedì sera, pubblicando solo una foto in compagnia di alcune suore impegnate nella cooperazione (fatalità, anche loro bresciane): forse gli industriali non entravano nell’inquadratura. All’aperitivo hanno partecipato una cinquantina di persone di mondi diversi: diplomazia, cooperazione, cultura e appunto impresa privata. Prima della cerimonia Renzi ha incontrato l’ex premier laburista Tony Blair, suo punto di riferimento non solo ideale, ma pure manageriale: il senatore toscano sta ripetendo la parabola blairiana prima in politica, nel bene e nel male, poi nel ricco mondo delle consulenze internazionali.

Non in Senegal: non c’erano soldi in ballo stavolta, ma una relazione da coltivare. L’incontro di ieri con Renzi è stato un balsamo anche per Sall, sotto pressione in patria per una serie di manifestazioni che contestano la sua gestione autoritaria del potere e l’arresto – con l’accusa di stupro – di uno dei suoi principali oppositori, Ousmane Sonko. Un altro amico dall’immagine non proprio specchiata per Renzi, ma siamo distanti dai livelli sauditi.

Oggi il leader di Italia Viva sarà regolarmente in Senato e interverrà dopo il premier Mario Draghi. Ci ha tenuto a farlo sapere lui stesso sui social, come a sottolineare che per questo viaggio non ha saltato nessuna seduta (le sue percentuali di presenze sono già zoppicanti, molto inferiori al 50%). Può lasciare forse perplessi che subito dopo un viaggio all’estero riprenda il suo posto senza osservare nessuna forma di isolamento o di altra precauzione. Le norme parlamentari lo consentono, l’opportunità forse no, ma non è contemplata.

“Renzi non è riuscito a spaccare l’asse tra i 5Stelle e i dem”

In un pomeriggio di sole e zona rossa, la vicepresidente del Senato, Paola Taverna, cerca le parole: “Questo è un momento faticoso, per tutti, ma ciò che mi rincuora è che il Movimento è l’unica forza politica con una visione: la transizione ecologica e la difesa di chi è in difficoltà”.

Lei ha presentato un disegno di legge per tutelare gli anziani, e ha promosso anche un intergruppo parlamentare sul tema.

Il 90 per cento delle vittime di questa pandemia è rappresentato da persone sopra i 65 anni. In Italia gli anziani, o meglio i longevi, sono 14 milioni. Tengono in piedi il Paese, anche perché spesso sostengono economicamente i più giovani e le famiglie. E allora è tempo di ripensare tutto il sistema, costruendone uno più a loro misura con forme di assistenza, incentivi e un’edilizia apposita. E serve anche una nuova sanità, con lo sviluppo dell’assistenza domiciliare e della telemedicina. E poi le Rsa si sono dimostrate uno scandalo su cui bisogna intervenire.

Per farlo servono tanti soldi.

Abbiamo già chiesto più fondi nel Pnrr (Piano di ripresa e resilienza, ndr). Dobbiamo muoverci ora, o al termine della fase più grave della pandemia rischiamo di trovarci di fronte a una società massacrata.

Dovrete incidere in un governo dove siete stipati con tutti gli altri partiti. Faticoso, no?

Governare è faticoso. Lo è stato con la Lega, in parte anche con il Pd. Siamo entrati in questo esecutivo per difendere battaglie come il reddito di cittadinanza e la riforma della prescrizione. E poi abbiamo imposto un nostro tema come la transizione ecologica.

Ma avete contribuito a un condono, come lo ha definito Draghi. Brutto, non crede?

Da quando è iniziata questa tremenda crisi diverse sono state le misure per aiutare le famiglie che si sono trovate in maggiore difficoltà. Si trattava di vecchie cartelle, in larga parte inesigibili e di persone entro una certa fascia di reddito.

La Lega vuole già cambiare la norma in Parlamento, alzando le soglie.

Questo no. Abbiamo tenuto il tetto di 5mila euro di pendenze fiscali proprio per aiutare le persone in difficoltà e non gli evasori.

Come ha iniziato il governo Draghi?

Sulle vaccinazioni finora non ha ottenuto risultati migliori del governo Conte. Ma quella è la sua principale missione, assieme al Recovery Plan.

Matteo Renzi ha voluto Draghi anche per far saltare l’alleanza giallorosa. Ci è riuscito, tenuto conto anche che il Pd ha un nuovo segretario?

Con l’arrivo di Enrico Letta non ci sono stati sconvolgimenti in questo senso. E apprezzo molto che il segretario del Pd voglia due capigruppo donne, mostrando un’importante attenzione. Dopodiché se l’obiettivo di Renzi era far saltare l’asse tra Pd e M5S, io constato che Conte sta lavorando per presentare un progetto in cui lui sia parte integrante del Movimento, mentre il nuovo segretario dem è forse il principale avversario di Renzi. Questo racconta la sua statura come politico.

Anche nel probabile futuro organo collegiale del M5S serve spazio per le donne?

Sono certa che Conte sia attento alla parità di genere. Ma va detto che il Movimento è sempre stato il partito che ha eletto più donne in Parlamento, senza bisogno di quote.

Lei è interessata a entrare?

La sfida, per come si prefigura il nuovo percorso del M5S, è sicuramente allettante.

Serve una struttura per i 5Stelle?

È indispensabile. Lo avevano già evidenziato gli Stati generali, e sono convinta che l’ex premier ne terrà conto.

Quando e come finirà la guerra con Rousseau?

Io non voglio abbandonare la democrazia diretta, che è un pilastro del M5S e un modo sano di coinvolgere i cittadini. Ma è sotto gli occhi di tutti che il mezzo per portarla avanti è inadeguato rispetto alle nostre esigenze. Spero in una soluzione pacifica, ma deve essere aderente agli interessi del M5S.

Pd, Marcucci rimane solo: via alle nuove capogruppo

“Caro Enrico, ti scrivo”. A vedere Andrea Marcucci farsi fotografare con carta e penna, mentre verga una missiva per il segretario del Pd, per assonanza viene in mente il “così mi distraggo un po’” di Lucio Dalla. Più che una strenua resistenza per evitare di dimettersi e lasciare il posto a una donna, come gli ha chiesto Enrico Letta, la sua sembra una sceneggiata finale. L’ultima occasione per tenere il partito in ostaggio, mettere in difficoltà il segretario, far sentire il peso dell’ombra di Renzi (un ossimoro pertinente). E alzare il prezzo. Insieme al sincero rammarico di dover lasciare un posto a cui tiene. Perché in realtà Base Riformista non lo segue nel tentativo di rimanere alla guida del gruppo di Palazzo Madama. Tra Letta e Marcucci, Lorenzo Guerini ha scelto Letta. E a parte pochi fedelissimi (Salvatore Margiotta, Alan Ferrari, Stefano Collina) la corrente è pronta a recepire l’invito del segretario.

I due, Marcucci e Letta, si incontrano in Senato. Da parte di entrambi c’è la consapevolezza che non si può arrivare a uno strappo. Letta, che in mattinata ha visto pure Luca Lotti, sa che i parlamentari di Br sono necessari per la buona riuscita della su nuova avventura politica. Ma rappresentano comunque una delle anime del Pd che vuole unito. Mentre Marcucci ci tiene a ricordare che lui Renzi non l’ha seguito. Fatto sta che alla fine dell’incontro Marcucci annuncia per domani l’assemblea che deve eleggere il suo successore. Non va alla prova di forza, convocandola immediatamente. I due si avviano insieme verso piazza della Minerva, dove sta per svolgersi l’assemblea dei senatori. Il copione si arricchisce di un particolare quando le telecamere li assediano. Cade un cronista. Attimo di indecisione. Marcucci si china e gli tende una mano. Letta lo aiuta. Saranno ancora nemici, ma intanto gli tocca essere uniti, di fronte a cause di forza maggiore. Durante l’assemblea, uno dopo l’altro, intervengono gli uomini di Br. Filo conduttore: rivendicare il lavoro fatto, per chiarire che il cambio al vertice non è una punizione.

La linea la dà il coordinatore, Alessandro Alfieri: “Facciamoci tutti carico della responsabilità del rilancio del Pd, siamo tutti accomunati dallo stesso destino”, dice, spiegando che “serve un cambio di passo”. Il segretario da parte sua ci tiene a dare atto agli ex renziani della loro “resistenza” alla scissione che ha dato vita a Iv con la scelta di rimanere nel Pd. Notazione a margine: silenti sono quelle stesse donne della corrente che portarono uno degli assalti finali a Nicola Zingaretti, dopo la nomina di tre ministri uomini. Tra le dem interviene solo Monica Cirinnà.

In mattinata a Montecitorio era andata in modo molto diverso. Graziano Delrio – accogliendo la motivazione dell’alternanza di genere – aveva fatto un passo indietro. Ora l’ex capogruppo sta istruendo la pratica per la sua successione. D’altronde, i voti per essere rieletto ce li avrebbe avuti. Sono solo due i nomi davvero in ballo: Debora Serracchiani, che però presiede una commissione (Lavoro) che non è il caso di lasciare (andrebbe alla Lega o a Forza Italia) e Marianna Madia.

Entrambe vanno bene a Delrio, la seconda sarebbe molto gradita a Letta. Ma senza essere targata come Paola De Micheli. Se la Madia diventerà capogruppo a Montecitorio, a Palazzo Madama comunque toccherà a una di Br. Sono due le contendenti: Caterina Bini, vicina a Lotti e Simona Malpezzi, ora sottosegretaria per i Rapporti con il Parlamento, vicina a Guerini. In pole c’è quest’ultima. Sempre che Marcucci davvero alla fine non vada alla spaccatura. In queste ore, la trattativa va avanti. Si pensa pure a uno scambio al governo con la Malpezzi, ma per il Pd mettere un uomo al governo in questo momento è complesso. Stasera farà sapere cosa ha deciso. Letta vuole i nuovi capigruppo per domani: il Pd, perno del governo Draghi, non può attendere.

Altra grana in Lombardia: l’ex dirigente delle Olimpiadi 2026 a rischio processo

Dopo l’inchiesta sui camici e sul presidente Attilio Fontana, un altro cognato diventa la pietra dell’ennesimo scandalo giudiziario che scuote la Regione Lombardia e coinvolge Giovanni Bocchieri già apprezzato direttore generale dell’assessorato Istruzione, Formazione e Lavoro, spostato, a partire dal 2019 e almeno fino al gennaio scorso, all’Unità per l’attuazione del programma che si occupa anche delle prossime Olimpiadi invernali 2026 Milano-Cortina. L’inchiesta coordinata dalla Procura di Milano e dalla Guardia di finanza lo vede indagato per false dichiarazioni (art 496). Nel 2018 Bocchieri, secondo l’accusa in seguito anche a una segnalazione dell’Anac, avrebbe omesso di dichiarare “un conflitto d’interessi” che riguardava aziende già impiegate presso l’assessorato nella programmazione di corsi di formazione. Aziende, si legge, collegate a suo cognato o a persone “a lui vicine”. Per questo già dal 2019 Bocchieri ha chiesto di essere spostato. L’inchiesta ora è stata chiusa. Dall’avviso di conclusione indagini emergono altri indagati tra i familiari di Bocchieri: la moglie Barbara Boschiero e il cognato Bruno Boschiero. Nel documento, inoltre, è contestata ad altri indagati la truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (640 bis) rappresentate da fondi europei. Contestata poi la frode fiscale con emissione di fatture false anche alla moglie del dirigente regionale. Secondo la Procura, nel 2018, rispetto a tre società, tra cui la Jobbing Center, Bocchieri dichiara di non avere conflitto d’interesse attestando “condizioni e qualità contrarie al vero”. E questo, si legge nell’atto, “pur essendo il cognato Bruno Boschiero amministratore unico della Jobbing Center, che aveva ottenuto dalla Direzione regionale contributi per 17 progetti di formazione e 72 corsi svolti e le cui utenze telefoniche hanno registrato in due anni oltre 2.800 contatti con il dirigente pubblico”. Boschiero “è risultato consigliere di amministrazione della Ikrisalide soc coop società che aveva ottenuto dalla Direzione regionale contributi per 4 progetti e 14 corsi”. Ai rappresentanti della Jobbing, Giovanni Allù e Giuseppe Salvo Rossi, è contestata la truffa aggravata perché “traevano in inganno la Regione sull’effettivo e regolare svolgimento dei corsi” documentando “fittiziamente con la falsificazione di registri didattici lo svolgimento dell’attività di formazione” e “procurandosi l’ingiusto profitto di euro 46.567”. Denaro stanziato dal Fondo sociale europeo ed erogato dalla Regione. C’è poi la frode fiscale, reato per il quale sono indagati anche il cognato e la moglie di Bocchieri. Obiettivo, è ricostruito, evadere il fisco con l’emissione di fatture false da parte della Argos srl riferibile alla moglie del dirigente regionale.

Salvini assolto per stavolta: se lo rifà rischia

Fresco di assoluzione a Torino per gli insulti alla magistratura ritenuta “un cancro, una schifezza”, Matteo Salvini ora invoca una “profonda riforma della giustizia”, mettendo in mezzo ‘il sistema Palamara’ che nel suo caso c’entra come il parmigiano sugli spaghetti con le vongole. Il leader della Lega forse non si rende conto che quella che potrebbe essere riformata è la sentenza che lo ritiene “non punibile per particolare tenuità del fatto”. Formula che, come spiegano alcuni giudici contattati dal Fatto, presume “l’accertamento della commissione del fatto e della sussistenza dell’elemento soggettivo”. Che si traduce, nel caso di presenza di parti offese, che con la stessa sentenza che ti assolve in sede penale potresti essere condannato al risarcimento dei danni in sede civile. Oppure, in caso di ricorso in appello del pm, che altri giudici te la smontino e te la rimontino in una condanna. Perché, come spiega bene il codice e la giurisprudenza sulla “tenuità del fatto” introdotta da una modifica legislativa del 2015, la punibilità è esclusa quando l’offesa “è di particolare tenuità” e il comportamento “non risulta abituale”. Su quest’ultimo punto la posizione di Salvini potrebbe scricchiolare: basta googlare e di insulti di Salvini, ora a questo ora a quello, ora a Carola Rackete ora al povero Stefano Cucchi, se ne trovano a bizzeffe. E la “tenuità” è un jolly che puoi giocarti una volta sola. Eppoi la valutazione sulla tenuità è rimessa alla discrezionalità del giudice. In un eventuale appello espressioni come “lazzaroni” e “stronzi che male amministrano la giustizia” fino a bollare la magistratura come “un cancro da estirpare” potrebbero non essere valutate come “tenui”. Secondo il pm Emilio Gatti erano “frasi di evidente natura oltraggiosa”. Aveva chiesto la condanna a tremila euro di multa (il massimo della pena prevista per questo reato è cinquemila euro). Sarà interessante leggere le motivazioni dell’assoluzione.

Disastro ambientale ai Faraglioni di Capri, scogli devastati per pescare datteri di mare

Gratta gratta – con le bombe e i martelli pneumatici – i datterari hanno distrutto quasi il 50% della parete rocciosa subacquea dei Faraglioni di Capri. Un danno incalcolabile all’ecosistema marino che si è tradotto in guadagni altrettanto incalcolabili: dai 100 ai 200 euro al chilo, per imbandire le tavole di una clientela d’élite.

Ci vorranno almeno trent’anni per recuperare il danno prodotto dall’avidità di datterari, che nelle intercettazioni si vantavano di guadagnare 20.000 euro in pochi mesi. Sono contenute nell’inchiesta coordinata dalla Procura di Napoli – procuratore capo Giovanni Melillo, pm Giulio Vanacore – e condotta dal Roan della Finanza, culminata ieri in 19 misure cautelari eseguite tra Napoli e l’area stabiese-caprese. La punta dell’iceberg di un’economia criminale sommersa, che dava ‘lavoro’ a più di un centinaio di persone. Operavano in un ‘mercato nero’ con parole in codice che nascondevano il riferimento esplicito ai datteri, una specie protetta.

Dopo il Covid si rischia la sindrome degli intubati

Si manifesta con sintomi che spesso assomigliano a quelli di malattie respiratorie come l’asma. Poco conosciuta e rarissima fino a un anno fa (nella letteratura scientifica è descritta con una prevalenza di un paziente ogni mille ricoverati nelle terapie intensive) sta sensibilmente aumentando mano a mano che crescono i casi di Covid-19 gravi che richiedono l’intubazione o la tracheostomia, oppure entrambe.

“È la stenosi tracheale, un effetto collaterale indiretto della malattia provocato da un restringimento della trachea dovuto alla formazione di una fibrosi”, spiega Umberto Cariboni, medico chirurgo e capo sezione di Chirurgia toracica avanzata all’Istituto Humanitas di Rozzano (Milano), policlinico ad alta specializzazione. Una conseguenza preoccupante che, prosegue Cariboni, “riscontriamo nei pazienti che in seguito a una insufficienza respiratoria vengono ricoverati nelle terapie intensive”.

In pratica, dopo l’intubazione o la tracheostomia, si sviluppano cicatrici che riducono la funzionalità della trachea e che rendono difficile la respirazione anche dopo la guarigione dal contagio. Una complicanza che può essere rilevata, a volte, quando la patologia è già in fase avanzata. Ma che è possibile risolvere grazie a una disostruzione della trachea con il laser (in broncospia) oppure, nei casi più gravi, con un intervento chirurgico, efficace al 95%. Proprio Cariboni, che ha già operato oltre una ventina di persone reduci dal ricovero in terapia intensiva a causa del Covid, è il coordinatore di uno studio che coinvolge in Lombardia sette ospedali. Oltre a Humanitas, si va dal Sacco di Milano al Giovanni XXIII di Bergamo.

Lo studio, unico al mondo, ha lo scopo di verificare quali sono le principali cause di insorgenza della complicanza e se ci sono categorie di persone maggiormente esposte al rischio. Partito due mesi fa si compone di due fasi. La prima è retrospettiva e prende in esame i pazienti dimessi fino a dicembre dello scorso anno dalle terapie intensive, dopo essere stati tracheostomizzati o intubati per oltre una settimana. In caso di presenza della patologia i pazienti vengono richiamati dall’ospedale di provenienza per ulteriori controlli e qualora la stenosi sia giudicata critica vengono indirizzati al Tracheal Team di Humanitas per la terapia. Nella fase prospettica invece, i pazienti che vengono dimessi dalle terapie intensive (sempre con le stesse caratteristiche) mano a mano vengono arruolati per partecipare allo studio, previa la firma del consenso informato. “Lo studio ha prima di tutto una finalità sociale, per fornire a tutti i pazienti che presentano questo problema un percorso diagnostico che possa permettere di scoprirlo in fase precoce – spiega Cariboni –. C’è poi una finalità scientifica, con l’analisi di una popolazione così estesa di pazienti intubati o tracheostomizzati possiamo conoscere le caratteristiche e le variabili soggettive o procedurali che hanno potuto far nascere questa temuta complicanza”.

“Bertolaso scelse Aria senza consultarci, non siamo attrezzati”

Cancellata Aria e con l’arrivo di Poste, la Lombardia è pronta a infrangere ogni record vaccinale. È il racconto che da ieri si ripete nella Regione sommersa dagli errori dei suoi vertici. Una favola alimentata da Guido Bertolaso che ieri è tornato col solito cliché di annunci e responsabilità scaricate su altri. Il fuoco di fila è partito con l’intervista al Corriere: “Mi ero accorto che qualcosa in Aria non funzionava il giorno che abbandonarono 300 anziani convocati per errore. Era un sistema che funzionava male e andava cambiato”. E ancora: “Qui non sono nessuno: non posso firmare un pezzo di carta, non posso stanziare un euro. Dovrei stare all’ultimo piano di Palazzo Lombardia a dire cosa mi sembra giusto o sbagliato. Invece sono qui a incastrare numeri”. Ed è continuato in tv (Mattino Cinque): “Quando questa parte informatica lavorerà perfettamente, qui vaccineremo più velocemente che nel resto d’Europa”.

Ieri si è rifatto vivo persino l’ex assessore Giulio Gallera: “Io non ho nulla da rimproverarmi. Alla fine l’unico problema oggettivo che ho avuto io è stato quello dei vaccini antinfluenzali, come sempre decisi dalla società Aria che aveva sbagliato completamente il percorso di acquisizione”. Niente errori, colpa di Aria e della Lega: “C’è questa società, Aria, fortemente voluta dall’assessore Caparini e dalla Lega che si è dimostrata una realtà non efficiente e al di sotto delle aspettative. Il management non è all’altezza. Io me ne sono accorto subito, Aria ha sbagliato tutto fin dal primo momento”, ha aggiunto compiaciuto. Quindi, eliminata Aria, eliminati i problemi. Ma c’è chi racconta un’altra verità. È Mario Mazzoleni, professore di Economia Aziendale alla Bocconi di Brescia e membro dimissionario del cda di Aria: “Si è scelto di nascondere gli errori sotto il tappeto, trovando un capro espiatorio. Aria è il paravento dietro il quale si rifugia chi ha preso le decisioni politiche”. Quella che racconta Mazzoleni è una storia che parla di inefficienze: “Aria ha problemi di organizzazione, perché è nata male, è stata realizzata con superficialità”. E svela come il Pirellone stesse trattando con Poste già da gennaio per usare la sua piattaforma, “ritenendo inadeguata quella di Aria”.

Una trattativa interrottasi il 7 febbraio, quando Poste aveva comunicato l’impossibilità di governare il modello di campagna vaccinale ideato dal Pirellone, ingestibile perché differente da quello delle altre Regioni. “Qualcuno a gennaio ha pensato a un sistema molto accentrato e di realizzarlo attraverso Poste. Facendo due errori: 1) accentrare tutto in una Regione dove c’è un caos organizzativo di deleghe tra Ats, Asst; 2) legare tale accentramento a un portale che è venuto meno. Così si è perso un mese intero”. Per capirci, se la Lombardia avesse fatto gestire gli appuntamenti alle singole Asst con l’appoggio di Poste, sarebbe forse andato tutto liscio. Invece ha deciso di controllare ogni passaggio. Opzione alla quale Poste ha detto “no grazie”. Ma la cosa grave è che l’8 febbraio, svanite Poste, “Bertolaso indica in Aria la soluzione, in un portale che non era nato per gestire questa complessità! Vorrei che qualcuno lo chiedesse a Bertolaso se ha valutato solo per un minuto che il portale era nato con altri scopi. Ha deciso da solo, senza aspettare i tempi tecnici per adeguare la piattaforma. Dopo 10 giorni è partito con gli over 80. Un portale dove c’è tanta parte manuale per l’inserimento dati è sottoposto a ovvii rischi di errore. Vedi cap errati, agende vuote ecc…”, dice Mazzoleni. Perché il cda ha taciuto? “Sentivamo il fiato sul collo di Bertolaso e Caparini. Una pressione diventata molto più pesante dopo la vicenda dei camici (quelli venduti al Pirellone dalla società della famiglia Fontana, ndr)! Il nostro errore è stato di non aver parlato prima”.

E oggi aprirà l’hub vaccinale nel Palasport di Codogno, la cittadina del Lodigiano dove è stato identificato il primo caso di coronavirus, ma a un centinaio di over 80 è arrivato un messaggio che li invitava ad andare ieri a vaccinarsi: hanno trovato chiuso. C’è stato un errore dell’Asst di Codogno che aveva indicato ad Aria l’apertura da ieri e invece che da oggi.

L’Ue: “AstraZeneca vergogna, lavora uno stabilimento su 5”

In Italia aumentano i morti, ieri sono stati 551 ed è il dato più alto dal 19 gennaio scorso (603). In Gran Bretagna invece hanno fatto il terzo record di vaccinazioni giornaliere: oltre 800 mila in 24 ore, lo stesso numero fatto nella Regione Lazio, una delle più efficienti, dall’inizio della campagna vaccinale (27 dicembre). Al di là dei problemi organizzativi, pure notevoli in alcune Regioni, mancano i vaccini. Mancano soprattutto quelli di AstraZeneca, che nel primo trimestre ha consegnato ai Paesi dell’Ue 30 milioni di dosi, un terzo di quelle pattuite. La commissione Ue è pronta a intervenire di nuovo contro le esportazioni. E tratta con Londra per ripartire in modo più equo i vaccini.

“È una vergogna, AstraZeneca produce in uno stabilimento sui cinque previsti nel contratto”, ha detto ieri la direttrice generale Salute della commissione Ue, l’italiana Sandra Gallina, già a capo dei negoziatori europei che hanno fatto quei contratti privi di penali efficaci. Si attendono nuove norme Ue sulle esportazioni: saranno permesse se c’è reciprocità, ma la tensione con Londra sale: è la linea Draghi-Macron-Merkel, non diversa dalla linea Conte-Arcuri, ma ora l’Ue sembra più coesa. Gallina ha parlato anche di “mercato parallelo dei vaccini”: in Italia abbiamo già visto misteriosi intermediari.

Il vaccino anglo-svedese è al centro di interrogativi anche negli Usa, che non l’hanno ancora autorizzato. Gli esperti dell’Istituto nazionale per le malattie infettive e le allergie hanno stroncato la trionfante nota dell’azienda, che lunedì parlava di un’efficacia del 79%, al 100% nel prevenire la malattia grave. Sospettano “dati obsoleti”, se ne riparlerà. Intanto uno studio pubblicato negli Usa avanza dubbi sull’efficacia del vaccino Pfizer-Biontech contro la variante sudafricana. È stato invece escluso dall’autopsia, a Bologna, che il vaccino AstraZeneca abbia determinato la morte di un insegnante, uno dei casi oggetto di approfondimenti della magistratura.

Ritardi la prima dose a meno di metà degli over 80

I ritardi di AstraZeneca hanno il loro peso anche in Italia. Non è colpa di AstraZeneca, però, se poco meno di metà delle dosi sono rimaste nei frigoriferi. Né se diverse Regioni (su tutte Sardegna, Calabria, Toscana, Puglia, Lombardia) sono in ritardo sugli over 80 (meno di metà ha avuto almeno una dose, il 17,8% due) – che però si fanno con Pfizer Biontech e Moderna – e pochissime hanno cominciato a vaccinare i soggetti più fragili. Per non dire dei 70/79enni, ai quali solo dopo circa un mese è stato esteso il vaccino AstraZeneca, prima limitato agli under 55. Maggiore sollecitudine verso gli anziani avrebbe forse contenuto l’aumento dei decessi, purtroppo previsto dopo un mese di aumento dei pazienti in terapia intensiva. Ieri erano 3.546 (36 in più di lunedì, con 317 nuovi ingressi), non lontani dai picchi del 25 novembre (3.848) e del 4 aprile (4.068). Più di metà delle Regioni superano la soglia del 30% oltre la quale gli ospedali non funzionano correttamente, la media nazionale è al 39%. Se i nuovi casi diminuiscono, quelli gravi ancora no. E ieri Mario Draghi, il ministro Roberto Speranza e i vertici del Comitato tecnico scientifico hanno iniziato a discutere il decreto per il dopo Pasqua: il sistema dei colori continuerà.

Vaccini Regioni alla prova con l’aumento delle fiale

Sono arrivate alle Regioni quasi tutte le dosi Pfizer Biontech (un milione) annunciate lunedì dal commissario e Francesco Paolo Figliuolo. Mai così tante tutte insieme, ne arriveranno altre e richiedono uno sforzo supplementare per superare le 150/200 mila iniezioni giornaliere. Chi non ce la farà sarà aiutato da Protezione civile e militari. C’è il problema delle prenotazioni online: altre Regioni, non tutte, utilizzeranno il sistema di Poste italiane. C’è quello dei vaccinatori: ora però si può “pescare” tra decine di migliaia di medici di famiglia, specializzandi, infermieri del Servizio sanitario nazionale sciolti dal vincolo di esclusiva e presto anche i farmacisti chiuderanno l’accordo con il ministero della Salute. Certo, la capacità vaccinale dovrà aumentare: si conferma per la metà di aprile l’arrivo del vaccino monodose di Johnson & Johnson. Potrebbe aggiungersi anche il russo Sputnik: l’agenzia europea Ema andrà a Mosca il 10 aprile per studiarlo.

Vuoto d’Aria

Per un attimo, quando ci venne sottratta anche l’ultima fonte di buonumore, cioè Gallera, tememmo il peggio. Uno così non lo troviamo più, pensavamo. Non avevamo previsto il Governo dei Migliori, che ci ha regalato il generale Figliuolo, prova vivente che i generali vengono scelti tra i colonnelli: infatti pare la reincarnazione del colonnello Buttiglione poi promosso a generale Damigiani (Mario Marenco in Alto Gradimento). E avevamo sottovalutato la Lombardia, nota fucina di comici naturali. Ieri, per esempio, Mestizia Moratti ha scritto al Corriere che c’è “una svolta in Lombardia”. Quale? La “vaccinazione reattiva”. Non inerte, passiva, mogia come nelle Regioni che riescono persino a farla: reattiva. Purtroppo non se ne accorge nessuno. E neppure della “riduzione di 30 volte del tasso di incidenza dei casi a Viggiù”, per la gioia dei pompieri, nonché “a Mede, Castrezzato, Bollate” ecc. Insomma “ci stiamo adoperando”. E non è una promessa: è una minaccia.

Due mesi fa il suo problema era avere più vaccini, “in base al Pil” . Ora non si riesce proprio a prenotarli, grazie all’agenzia regionale Aria, orgoglio e vanto della Lega, figlia di tre società che sembrano la matrigna e le sorellastre di Biancaneve (Arca, Lispa e Ilspa). Dunque invisa a Disguido Bertolaso, altro fuoriclasse dell’avanspettacolo, che si sfoga col Corriere: “Sono esausto per questo sforzo”. Sì, ma quale sforzo? L’intervistatore lo sorprende “circondato da mappe: ogni centimetro di territorio lombardo colorato a seconda dell’incidenza del contagio”. Praticamente gioca a Risiko, anche perché “qui non sono nessuno, senza poteri, non posso firmare un pezzo di carta né stanziare un euro”. Però “il piede è sull’acceleratore” e l’occhio è vigile: il supercoordinatore della campagna vaccinale, s’era subito “accorto che qualcosa non funzionava quando abbandonarono 300 anziani convocati per errore. Ma le pare possibile che qualcuno non venga chiamato e altri mandati a vaccinarsi a 60 km da casa?”. E lo domanda lui a noi. Via, “siamo atterrati su Marte, non possiamo non gestire delle prenotazioni via sms”, dice sempre lui a noi, che lo vorremmo tanto su Marte ma si teme che non ci arrivi, malgrado il piede sull’acceleratore. Insidiato nel suo ruolo di capocomico, Artiglio Fontana va di repertorio: “Le criticità di queste ore offrono un’immagine distorta dei nostri risultati”. E tutti lì ad attendere l’immagine raddrizzata. Incluso Gallera, che si prende la sua bella rivincita: “Il tempo è galantuomo e mi ha restituito un po’ di giustizia. Aria si è rivelata inefficiente” e lui, da ex assessore alla Sanità, se ne vanta. Appena riaprono i cabaret, se qualcuno sopravvive al Covid, sarà sold out assicurato.