Il primo sciopero dell’intera filiera italiana di Amazon – che ha visto fermarsi il 75% dei driver – ha colpito nel segno, e la dimostrazione è tutta nella mossa con cui il colosso dell’e-commerce ha aperto la giornata di ieri. La country manager italiana, Mariangela Marseglia, si è rivolta non ai lavoratori bensì ai clienti, come a volersi scusare perché per questa volta il servizio potrebbe non essere rapido ed efficiente come sempre. Una lettera che inizia con un ringraziamento personale “ai colleghi e ai dipendenti dei fornitori dei servizi di consegna che ogni giorno lavorano per assicurare che possiate ricevere i vostri ordini”. Amazon, insomma, ha provato a spostare l’attenzione sul diritto dei consumatori a ricevere i loro acquisti in tempi molto brevi, dicendo a loro di essere impegnata nel rispettare i diritti dei suoi lavoratori. Una scelta che sembra confermare proprio la principale delle ragioni che hanno spinto la protesta dei sindacati, i quali parlano di un’azienda preoccupata più della soddisfazione di chi fa acquisti che delle condizioni dei suoi addetti. Le sigle dei trasporti di Cgil, Cisl e Uil speravano di poter essere loro i destinatari di una lettera da parte dell’impresa di Jeff Bezos, magari per riaprire le trattative nelle quali discutere i carichi di lavoro. Lo sciopero, infatti, è partito dopo il nulla di fatto degli ultimi incontri sia con Amazon sia con le associazioni che rappresentano la galassia degli appalti.
Oggi i ritmi imposti costringono i corrieri a portare a volte oltre 200 pacchi al giorno, con 150 fermate dettate da un algoritmo che disegna l’itinerario e, benché utilizzato dalle aziende della filiera, è stabilito a livello centrale da Amazon. I sindacati vogliono che il sistema venga negoziato e non calato dall’alto. Il colosso ha già nei giorni scorsi spiegato, da parte sua, come funziona: “Vengono utilizzate tecnologie con diversi fattori per determinare quante consegne un autista possa effettuare in sicurezza”. Aggiungendo poi che “il numero di pacchi è assegnato in maniera appropriata e si basa sulla densità delle aree di consegna, sulle ore di lavoro, sulla distanza da percorrere”. Una narrazione aziendale che stride con la realtà, fa notare un driver lombardo: “Quella programmazione funziona se va tutto liscio, se non trovi semafori rossi o il furgoncino della spazzatura davanti – dice Donato Pignatello –. Non posso prevedere in quanto tempo scenderà il cliente, un conto è quello al primo piano, un altro è al dodicesimo”. Prima della pandemia, si viaggiava su medie di 130 stop al giorno, ora sono aumentate. “Avete presente che significa fare 130 parcheggi in un giorno in una città? – aggiunge Pignatello, che è anche delegato Filt Cgil – Se perdo un solo minuto per ogni fermata, accumulo oltre due ore di ritardo rispetto alla tabella di marcia”. I driver raccontano la propria come un’esistenza dipendente da un sistema informatico, quasi un videogioco comandato a distanza, in cui se ci si blocca per oltre cinque minuti il monitor segna una spia rossa. Una pressione “da caserma” che fa tornare a casa la sera ancora accelerati dall’adrenalina.
Le donne, poi, dicono che hanno difficoltà durante la giornata a ricavare il tempo per trovare un posto decente in cui andare al bagno. Nonostante lo sciopero fosse proclamato per l’intero pianeta di Amazon, quindi comprendendo anche gli hub sparsi in tutta Italia, è riuscito soprattutto tra quelli che lavorano in strada, i cosiddetti addetti “dell’ultimo miglio”. L’adesione dei magazzini è stata più contenuta. Come da tradizione, i dati forniti dall’azienda sono molto distanti da quelli sindacali: Amazon parla del 20% nelle aziende fornitrici e addirittura del 10% tra i suoi dipendenti diretti.
Jeff Bezos è l’uomo più ricco del mondo con un patrimonio da 191 miliardi di dollari. Secondo i dati di MedioBanca pubblicati lo scorso ottobre, in Italia Amazon ha fatturato 1 miliardo di euro ma ha versato solo 10,9 milioni. “Vogliamo che questa ricchezza sia in qualche modo ridistribuita tra i lavoratori”, ha detto il segretario generale Filt Stefano Malorgio. In Italia, la famiglia “allargata” di Amazon offre 40 mila posti di lavoro, ma andrebbe valutato il saldo considerando i possibili effetti negativi sui piccoli negozi di paese. Comunque, un quarto degli addetti è precario, e con un turn over molto frequente. Quelle lotte sindacali, che una volta avevano le fabbriche come luogo privilegiato, oggi si sono spostate nel settore della logistica, con Amazon che si candida a essere quello che è stata la Fiat sul finire degli anni 70 e, forse, sotto sotto spera che la “marcia dei 40 mila” contro gli scioperi la facciano i consumatori.