Raggi più forte: la trattativa con i dem solo al ballottaggio

Sulla strada per rimettere assieme l’ex coalizione giallorosa per le Comunali ci sono trattative, calcoli e cattivi pensieri. Ma nella fiera del condizionale comunque c’è una certezza: Virginia Raggi si ricandiderà a sindaca di Roma. Una iattura più o meno per tutto il Pd, un peso ormai inconfessabile per una robusta porzione del M5S.

Eppure da lì si ripartirà, dalla sindaca blindata tre volte in un pugno di giorni dal Garante Beppe Grillo (per molti) incredibilmente tonica nei sondaggi. Ieri Repubblica ha pubblicato una rilevazione Izi secondo cui a oggi Raggi al primo turno arriverebbe sopra a tutti i possibili avversari. Mentre al ballottaggio il possibile candidato dem Roberto Gualtieri vincerebbe contro tutti. È comunque un buon segnale per il Campidoglio, dove da giorni parlano di sondaggi positivi. Uniti all’appoggio convinto di Grillo e a quello più o meno obbligato di molti big, e mescolati alla consueta guerra di correnti nel Pd, spiegano perché la sindaca uscente si senta forte come non le capitava da tempo. Anche se Giuseppe Conte continua a tacere sul dossier Capitale, e anche questo dalle parti del Comune lo hanno notato, con qualche mal di pancia. Ma certi numeri e la disorganizzazione nei campi avversari fanno comunque il gioco di Raggi. Convinta di essere la lepre che gli altri dovranno inseguire, e nel caso dei dem perfino cercare per discutere. Perché è vero, il neo segretario Enrico Letta vuole aspettare aprile e soprattutto un colloquio con Conte per entrare nel vivo del caso Roma. Ma nel Pd i timori ufficiosi sono già palpabili. Un veterano dem ragiona così fuori taccuino: “I numeri e l’aria che tira dicono che Raggi ha un suo zoccolo duro, che non molla. Non la sposti. E allora prima o poi bisognerebbe cominciare a discutere almeno di secondo turno, chiunque ci arrivi…”. Ossia a immaginare un’intesa per il ballottaggio. Necessaria quanto difficile, perché la sindaca è quanto mai bellicosa nei confronti del Pd. In un post di fuoco di due giorni fa, scritto dopo l’arresto della direttrice del Dipartimento rifiuti della Regione Lazio, la grillina ha seminato una condizione quasi impossibile per i dem: “A breve si vota. Chi si candida a Roma abbia il coraggio di disconoscere l’operato del governatore Nicola Zingaretti e dica che non vuole una discarica in città”. C’è un modo per tradurre queste righe in trattativa politica?

Una fonte del Movimento ci prova: “Per trattare dal Campidoglio pretendono che si rinunci al piano regionale dei rifiuti, quello che prevede le discariche, e altre assicurazioni sui temi”. Non solo. Raggi vuole che un molto eventuale tavolo sia con lei, senza essere sovraordinato dall’alto. Una selva di se, mentre la 5Stelle immagina i passi futuri. A partire da una campagna elettorale in cui si presenterà come garante della legalità, (presunta) corsara contro il ritorno di vecchie dinamiche. E a darle più di una mano provvederà Alessandro Di Battista, l’ex ma non troppo. Un’altra carta da giocare, per la sindaca. L’ostacolo per tutti gli altri.

Letta ricicla i trombati di governo

Nei primi quattro giorni del suo mandato, Enrico Letta ha fatto la segreteria, ha convinto Roberto Gualtieri a congelare (se non ad annullare) la sua corsa per Roma e ha cominciato a lavorare per la coalizione e le Amministrative. Non solo: ieri Brando Benifei si è dimesso da capo delegazione del Parlamento europeo: una scelta che crea un precedente rispetto ai capigruppo, Andrea Marcucci e Graziano Delrio. Che non vogliono lasciare, ma che il segretario vorrebbe sostituire.

La cosa più nuova del Letta “reloaded” è lo stile: il segretario del Pd ha un piglio decisionista inedito, anche rispetto ai tempi di Palazzo Chigi. E una velocità che – per i paradossi della politica (e della vita) – ricorda i primi tempi di Matteo Renzi. La segreteria in realtà è un accorto mix tra attenzione alle correnti e volti scelti per competenza, insieme a qualche profilo accattivante. C’è infatti anche Mauro Berruto, ex Ct della nazionale maschile di pallavolo. Letta non ha chiesto nomi e liste ai capi corrente del Pd, ma nello stesso tempo ha rappresentato tutte le anime dem. A modo suo. Ci sono gli ex membri del governo: Francesco Boccia, Sandra Zampa e Antonio Misiani. Un modo non solo per accelerare il lavoro sui dossier insieme all’esecutivo, ma anche per far rientrare qualche malumore. All’Organizzazione, ruolo chiave nel partito, conferma Stefano Vaccari, vicinissimo a Nicola Zingaretti, pur senza essere un ultrà.

E poi, ci sono alcune giovani parlamentari, che si sono distinte per un profilo semi-tecnico, come Lia Quartapelle, Chiara Braga, precedentemente già nella segreteria di Renzi e in quella di Zingaretti, Chiara Gribaudo, vicina a Matteo Orfini. Tra gli zingarettiani doc, Cecilia D’Elia. E poi Anna Rossomando, vicina ad Andrea Orlando, Enrico Borghi, ex lettiano, oggi in Base Riformista, Susanna Cenni, vicina a Gianni Cuperlo. Alla voce “esperti” sono ascrivibili Antonio Nicita, docente universitario, Filippo Del Corno, assessore alla Cultura del Comune di Milano, Cesare Fumagalli, segretario nazionale di Confartigianato Imprese dal 2005 al 2020, Manuela Ghizzoni, ex parlamentare. Tra i meno considerati, Dario Franceschini, che si vede improvvisamente relegato a un ruolo di marginalità. Finché dura.

Letta ha una finestra prima che inizi il logoramento e vuole usarla tutta. Ieri ha visto il presidente della Camera Roberto Fico e Carlo Calenda. Con il primo ha parlato dei prossimi appuntamenti parlamentari e della situazione nei 5S. Sullo sfondo la candidatura a Napoli, alla quale il segretario per ora non può certo dire sì. E poi Calenda: per entrambi l’incontro è andato bene. I rapporti non sono formali. E se Calenda non ha fatto un passo indietro a Roma, Letta punta sulla sua proposta politica a tutto tondo. Ma si ricomincia a fare il nome di David Sassoli come sindaco della Capitale: raccontano che Franceschini spinga e che Calenda allora potrebbe farsi da parte.

5S: ipotesi Pec per votare il piano di Conte ad aprile

Il rifondatore ha tanto da fare e soprattutto da decidere, ma non ha particolare fretta. Giuseppe Conte vuole chiudere il suo piano per cambiare faccia e struttura al Movimento dopo Pasqua: forse anche un po’ più tardi, nella speranza che nel frattempo la rogna Rousseau venga risolta in qualche modo, possibilmente dagli altri. Ma i Cinque Stelle di fretta ne hanno. Sono preoccupati, perché vedono l’Enrico Letta “che in pochi giorni da segretario del Pd ha già fatto le nomine nel partito e lanciato temi”, dallo ius soli al voto ai 16enni. Soprattutto, non riescono a venire a capo della trattativa con Davide Casaleggio, che morde, pretende soldi, rilancia, mentre loro vorrebbero liquidare lui e la sua piattaforma con una buona cifra, e poi salutoni.

Ma quella con il patron di Rousseau è una battaglia che si è fatta guerra di posizione, per giunta disseminata di botole legali. Così ecco l’idea del Movimento per tenersi in equilibrio: da un lato insistere con Conte perché chiuda almeno subito dopo Pasqua, dall’altro lavorare a un’alternativa a Rousseau per votare (ratificare) altrove il piano di rifondazione dell’ex premier e annessi e connessi, come l’organo collegiale che dovrà affiancare Conte.

Altrove, prima di definire il progetto di una nuova piattaforma (avviato ma ancora da limare) a oggi potrebbe significare anche cambiare proprio mezzo. Ossia ricorrere alla Pec, la posta elettronica certificata, come strumento per far affluire i voti degli eletti e dei “semplici” iscritti. Certo, c’è il nodo per nulla irrilevante che l’elenco degli iscritti lo ha in pancia Rousseau, e non ha mai voluto condividerlo con il M5S. Ma si sta studiando come ovviare. Di certo se ne discute, ai piani alti del Movimento. Ma si ragiona anche di molto altro.

Per esempio di terzo mandato, nodo che è stato nuovamente riproposto a Conte, e che potrebbe essere risolto sottoponendo gli eletti con due legislature in Parlamento a un recall, cioè a una verifica da parte degli iscritti, anche in base a criteri meritocratici più o meno oggettivi. Poi c’è l’argomento segreteria. Conte vorrebbe un organo non affollato dai soliti big, anche per favorire un ricambio e costruire una classe dirigente. E intanto deve tenere conto della spinta delle donne 5Stelle, che come accaduto nel Pd (per ora, senza quel clamore) reclamano più spazio e più ruoli. Così ad aspettare una chiamata ci sono l’ex ministra all’Istruzione Lucia Azzolina, attivissima su agenzie e social, e la viceministra al Mise Alessandra Todde, manager sarda stimatissima dal contiano doc Stefano Patuanelli (ex ministro al Mise, che le aveva affidato la delicata delega alle crisi aziendali). E proprio Todde ieri è uscita allo scoperto: “Le donne nel Movimento hanno dimostrato la loro capacità, credo sia importante sostenere nomi come quello di Chiara Appendino e tante altre, e ripartire da questi per costruire una segreteria di donne”. Conte sa e riflette, mentre lavora al nuovo Statuto e a un M5S con coordinatori regionali, aperto il più possibile ad associazioni e società civile. Un Movimento che in queste settimane ha perso decine di parlamentari tra espulsioni e addii, tutti fuori per aver detto no al governo Draghi.

Un danno anche economico, per i gruppi parlamentari. Per questo sono ripresi i segnali verso alcuni fuoriusciti. E la richiesta ufficiosa è sempre quella: impegnatevi a dare fiducia a questo esecutivo, e vi riaccoglieremo. Un’altra pratica sul tavolo di Conte, perché tra i cacciati c’è più di un contiano. E può sembrare paradossale, ma in fondo non lo è.

Firenze, riciclaggio dei soldi per l’Africa. A processo Conticini, il cognato di Renzi

La decisione è arrivata ieri e solo dopo un supplemento d’indagine ordinato a ottobre dallo stesso Gup che ha decretato il rinvio a giudizio. Inizierà l’8 giugno a Firenze il processo a carico dei i fratelli Alessandro, Luca e Andrea Conticini, i primi due accusati di appropriazione indebita e autoriciclaggio, il terzo di riciclaggio, al termine di un’inchiesta che ipotizza la sottrazione di 6,6 milioni di dollari destinati all’assistenza all’infanzia in Africa. Le donazioni oggetto dell’indagine, coordinata dal procuratore aggiunto di Firenze Luca Turco e dal pm Giuseppina Mione, provenivano da Fondazione Pulitzer tramite Operation Usa, Unicef e altri enti umanitari internazionali.

Secondo la prospettazione accusatoria, Alessandro e Luca Conticini devono rispondere di appropriazione indebita di 6,6 milioni di euro, parte dei 10 milioni donati da Fondazione Pulitzer alle organizzazioni no profit Play Therapy Africa Limited, International development association limited e International development association Sa, di cui era titolare effettivo lo stesso Alessandro Conticini.

Il denaro sarebbe transitato, senza alcuna giustificazione, sui conti correnti personali di Alessandro Conticini, accesi presso la Cassa di Risparmio di Rimini, agenzia di Castenaso (Bologna). La procura accusa inoltre Alessandro e Luca Conticini di autoriciclaggio per aver impiegato parte dei 6,6 milioni per sottoscrivere nel settembre 2015 un prestito obbligazionario per 798.000 euro emesso dalla società Red Friar Private Equity Limited Guernsey, e per aver fatto un investimento immobiliare in Portogallo di 1.965.455 euro tra il 2015 e il 2017. Andrea Conticini invece va alla sbarra per reimpiego di denaro di presunta provenienza illecita perché, in qualità di procuratore speciale del fratello Alessandro, munito di una procura speciale datata 30 dicembre 2010, nel 2011 avrebbe utilizzato parte del denaro destinato all’Africa per l’acquisto di partecipazioni societarie della Eventi 6 srl di Rignano sull’Arno – società riconducibile a familiari dell’ex premier Matteo Renzi (di cui è cognato) –, per un totale di 187.900 euro, della Quality Press Italia srl per 158.000 euro, e di Dot Media srl per 4.000 euro. Si chiude così un’udienza preliminare che nell’ottobre scorso aveva riservato un punto a favore della difesa. Il Gup infatti aveva disposto un supplemento di indagini di 5 mesi dopo aver analizzato la documentazione degli avvocati dei Conticini, Federico Bagattini e Lorenzo Pellegrini, dichiarando le indagini “incomplete” in particolare per la posizione di Andrea Conticini. Il giudice ordinò ai pm di procedere nell’acquisizione di alcune email relative alle operazioni finanziarie al centro delle indagini.

Depistò indagini, arrestato carabiniere

“Dopo aver riferito un fatto circostanziato e grave” ha cercato “in tutti i modi di sfuggire dalle sue responsabilità, creando un groviglio sempre più intricato di bugie, calunnie, omissioni e falsità per coprire ‘il peccato originale’ rimanendone in definitiva intrappolato”. Così il procuratore di Potenza Francesco Curcio e il sostituto Anna Gloria Piccininni hanno descritto le condotte del tenente colonnello Angelo Colacicco, finito agli arresti domiciliari con l’accusa di aver depistato le indagini sul Sistema Trani. Per i magistrati lucani, infatti, pur essendo a conoscenza di una serie di vicende sull’operato illecito dell’ex pm Antonio Savasta, l’ufficiale dei carabinieri avrebbe non solo omesso di fornire una relazione esaustiva ai magistrati di Lecce che stavano indagando sulla vicenda, ma avrebbe anche accusato il pm salentino Roberta Licci di aver avuto nei suoi confronti “metodi inquisitori” che avrebbero “offeso la sua dignità ed integrità di uomo e ufficiale”. Accuse che però gli sono costate una nuova imputazione per calunnia dinanzi alla procura di Potenza. In sostanza Colacicco svelò che al pm tranese Lucio Vaira che Savasta in alcune occasioni, dopo il deposito dell’informativa finale di un’indagine, interrogava le persone coinvolte senza interpellare i militari facendo intendere che in quel modo raggiungeva degli accordi corruttivi con gli indagati al punto che quei fascicoli poi finivano con archiviazioni o in generale in un nulla di fatto. Alla richiesta di Vaira di scrivere tutto in una relazione da inviare ai magistrati leccesi che indagavano su Savasta e gli altri magistrati del “Sistema Trani”, Colacicco avrebbe prima rifiutato e poi redatto una nota in cui ridimensionava la vicenda. Interrogato dalla Procura salentina è finito nel registro degli indagati. A quel punto, per l’accusa, ha contattato due carabinieri per chiedergli di confermare la sua versione ai pm, ma i militari hanno rifiutato e raccontato tutto ai superiori.

Affaire Congo, Eni chiede il patteggiamento: maxi-multa da 11 milioni e accuse alleggerite

Eni potrebbe uscire dall’indagine della Procura di Milano sui suoi affari in Congo con un patteggiamento. Lo hanno proposto il 15 marzo gli avvocati Nadia Alecci e Nerio Diodá al pm Paolo Storari, che ha dato il suo consenso. Ora a decidere sarà il gip Sofia Fioretta. Se dirà sì, Eni uscirà dall’inchiesta. L’accusa di corruzione internazionale è stata derubricata in quella di induzione indebita (la vecchia concussione) e sarebbe sanata con il pagamento da parte di Eni di 11 milioni di risarcimento e 830 mila euro di sanzione pecuniaria.

Per la compagnia sarebbe un’ammissione di aver ottenuto il rinnovo delle concessioni petrolifere accettando le pressioni dei pubblici ufficiali congolesi e cedendo loro quote delle società che controllano i pozzi. Resteranno sotto indagine i manager Eni accusati anch’essi di aver accettato quote dei pozzi. Fuori patteggiamento, il conflitto d’interessi di Marie Magdalena Ingoba, ex moglie di Claudio Descalzi, la cui società Petroservice avrebbe ricevuto 300 milioni per servizi prestati a Eni in Africa.

Un Foucault d’amore meglio i ventenni!

Pubblichiamo alcuni stralci di “Vent’anni e poi”, conversazione tra Thierry Voeltzel con Michel Foucault su amore e rivoluzione (Meltemi edizioni). Nel 1978 Voeltzel era un giovane e sconosciuto attivista, mentre nel dialogo il suo prestigioso interlocutore aveva preferito mantenere l’anonimato

Quello che mi ha colpito, in tutto ciò che mi hai detto oggi e nell’ultimo anno, è che non hai mai pronunciato la parola “amore”.

Non hai mai detto: “Oh cielo, mi sto innamorando di un ragazzo, credo di amare questo ragazzo…”. Non l’hai mai detto, vero?

– No, non credo di averlo fatto.

– Be’, è davvero straordinario…

– Non ho mai saputo cosa significasse innamorarsi, essere innamorati, dire “ti amo”.

– Non hai mai detto “ti amo” a qualcuno?

– Non credo proprio, o… (ride)

– Questa cosa è molto importante…

– È molto divertente che tu mi faccia esattamente le stesse domande di quel prete, quattro anni fa… che mi disse: “Ma in Reich non c’è neanche una volta la parola ‘amore’?”. Gli risposi: “Questi lo fanno” (ride).

– Sì, sì, vai pure avanti, continua con la tua indignazione, col tuo stupore…

– Perciò direi così: parlarne il meno possibile e farlo il più possibile. Quelli che parlano d’amore in continuazione, non li si vede mai farlo; parlano d’amore con la maiuscola, con la minuscola, con tutte le grafie possibili, e poi non lo fanno mai. Mentre tutti coloro che ho incontrato che ne parlavano meno o che non ne parlavano affatto, lo facevano, e andava alla grande.

– Spesso mi hai parlato di una serie di sentimenti per un ragazzo: ti piaceva, gli volevi bene, ma ciò che mi ha colpito, è che la parola “amore”, questa categoria dell’amore, non entrava in gioco, ma la ricchezza e la varietà dei sentimenti cui facevi riferimento, che sentivi, erano grandi. Ciò significa che non si tratta propriamente della contrapposizione tra: o ci si fa una scopata, oppure si vanno a dispiegare i nobili sentimenti. Non è questo, io ti ho sempre visto investire nei tuoi rapporti sessuali una sorta di affetto, di tenerezza, di impegno, di non so cosa… non solo sei tutt’altro che anaffettivo, ma al contrario, sei incredibilmente coinvolto in ciò che provi per qualcuno, e poi, naturalmente, non c’è posto per la contrapposizione tra provare o fare l’amore; ma c’è tutta una panoplia, tutta una gamma di sentimenti intensi, ricchi, colorati, e nient’affatto quella cosa monotona e nera che sarebbe l’amore e nella quale solitamente facciamo sprofondare il rifiuto di fare l’amore e quello di qualsiasi altra forma di sentimento. E tutto ciò, dopotutto, mi sembra una novità; un tempo c’era questa figura nella quale era come se venissimo inghiottiti: non appena si provava qualcosa per qualcuno, c’era questa sorta di pendio grandioso che faceva sì che a un certo punto, dopo tutta una serie di decantazioni e di eliminazioni, si diceva o “in fin dei conti, non provo niente per lui” oppure “lo amo”. Enunciato famigerato, che attirava come una calamita, che costituiva una specie di vincolo rigoroso; gravava su tutte le forme di relazione ed era, a mio avviso, ancora più sterilizzante per tutte le relazioni affettive possibili di quanto non lo fosse per l’atto sessuale in sé, no?

– Probabilmente, ma non lo so, non l’ho mai provato (ride).

– Già, credo che tu non l’abbia provato perché non ti era possibile, ma non a causa di una qualche tua carenza, al contrario, perché hai riempito con un sacco di cose positive e di percorsi differenti quel vuoto in cui tutti precipitavamo. Penso che tutto ciò sia molto potente, e in fondo mi domando se non sia stato questo il fatto maggiormente liberatorio – attenzione, non amo molto questa parola, “liberatorio” –, il fatto che non ci sia più questo segno unico dell’amore da apporre su tutte le sensazioni e su tutti i sentimenti.

– Non lo so.

– Sì… eh, ma… parlo di qualcosa che, per definizione, non puoi conoscere e, ancora una volta, non per una tua carenza, anzi. Ma penso che sia splendido che tu sia andato a letto con un gran numero di persone e che tu non abbia mai detto a nessuno “ti amo”, non ricordi neanche se l’hai mai detto… e ricordi, è mai successo che qualcuno lo dicesse a te?

– Non mi ricordo… o forse me l’hanno anche detto… ma all’epoca sarà stata una scocciatura tale che l’avrò ignorato (ride). No, preferivano dirmi piuttosto che erano contenti, come facevo anch’io, che andava bene, che stavamo bene insieme, che funzionava o che stava andando male, che bisognava andarsene… ci si rivestiva e ognuno tornava a casa sua.

– Ma al di là della dichiarazione, dell’enunciazione vera e propria, ti è mai capitato di avere comunque a che fare con persone, ragazzi o ragazze, che si comportavano con te come degli innamorati, che ti perseguitavano, che erano un po’ insistenti?

– Sì, una volta.

– Una volta su così tante, non è molto…

– Una volta o due, ma non appena me ne son reso conto sono scappato il più lontano possibile, ho smesso di rispondere alle telefonate, alle lettere, e così finiva, diventava impossibile.

[La registrazione si ferma] – È buffo che non appena si ferma il nastro, dici che in fondo è molto più complicato, che ci sono delle difficoltà, che è abbastanza eccezionale che le cose siano semplici, e poi, non appena il registratore si rimette in funzione, in quel momento, tutto diventa… (ride). Deve esserci qualcosa! Il che dimostra che non è scontato che sia io l’interlocutore più adeguato, no?

– No, ma con certe persone, non è assolutamente com’è con te. Ci sono molti altri problemi. Ci sono tantissimi tizi che cercano di dominare, riproducendo le relazioni eterosessuali. C’è quello con il cazzo e quello senza il cazzo, l’altro è privato di una parte del suo corpo. Conoscevo un tale, dovevo andare a letto con lui quando ne aveva voglia, dovevo essere sempre disponibile. Ma quando ero io ad avere un desiderio, o era stanco o non era il momento giusto, e questo perché ero il più giovane, perché pensava di avere le idee più chiare, perché era il più virile, perché si prendeva sul serio mentre io non lo facevo. Non ho avuto nessun problema del genere solo con quel ragazzo di cui ti ho parlato, quello che ho rincontrato dopo tre anni, e con uno dei suoi amici, lo sai, L.

– Ah, certo.

– Con i ventenni funziona bene. Con i trentenni, per esempio con J., che ho conosciuto qui, è precisamente il tipo di relazione che non sopporto e che gli uomini hanno con le donne. È un “ti prendo come se fossi un oggetto”. Una sera ero a casa sua e non potevo tornare indietro, non potevo…

– Ah certo, sì sì, capisco cosa intendi, deve esser stato estremamente difficile, ma qui ne hai conosciuti altri che non erano così. – E con i quali è andata molto bene.

– Penso comunque che il fatto di aver mandato all’aria il significato monotono dell’amore sia stato molto importante. Le cose non sono più binarie; o faccio l’amore senza amarlo, cioè scopiamo, oppure lo amerò, lo amo, quindi è un’altra cosa. Non appena si introducono queste strutture binarie, le cose si complicano, perché anche quando si fa l’amore solo per scopare, lo si fa escludendo tutto ciò che potrebbe avere una qualsivoglia intensità: deve essere pulito, asettico, quindi una ginnastica, e diventa di nuovo complicato…

Caro Bersani, lasci perdere la cosa nuova

Come si fa a non voler bene a Pier Luigi Bersani quando (intervista a Repubblica) propone a Enrico Letta di fare una “Cosa nuova”, una “Costituente”, un’“Agorà”, un “percorso di partecipazione”? Con lo stesso generoso slancio che ci ricorda il facciamo una partitella di quando eravamo ragazzini, e poi al momento di fare le squadre c’era sempre chi voleva fare il capitano, quello che non voleva stare in porta, finché qualcuno (Matteo Renzi) non si portava via il pallone. Infatti, Bersani non dimentica i torti subiti e dice che nei dem “non torna”, e fa bene per non rischiare altri affronti, come l’imboscata dei 101 contro Romano Prodi al tempo in cui era il segretario. “Quando ti dicono ‘sono d’accordo’ e poi, per darti uno schiaffo mettono a rischio la presidenza della Repubblica”. Resta il mistero del perché il ragazzo rosso di Bettola immagini questa Cosa nuova e dica “apriamoci” con lo sguardo un po’ rapito (possiamo testimoniare). Al che verrebbe voglia di chiedergli: aprirsi a chi, a quelle carogne che ti hanno costretto a lasciare il Nazareno per Articolo Uno, gli stessi da cui Nicola Zingaretti è scappato via gridando vergogna, molti dei quali avevano già stalkerato Veltroni e il manipolo di successori, tutti rosolati a fuoco lento e poi regolarmente cannibalizzati e digeriti?

A questo punto l’uomo che possiede il conio geniale delle mucche nel corridoio, dei giaguari smacchiati, dei tacchini sul tetto, ci illustra quali sarebbero le energie della nuova Cosa: “Mondo del lavoro, mondo della cultura, associazioni giovanili…”. Suggestioni che tuttavia già vedemmo sfilare in tutte le altre Cose precedenti (copyright, Massimo D’Alema) per poi svanire nel nulla. Vero che adesso Enrico Letta vuole imprimere un forte ricambio, anche generazionale, nella segreteria del Pd, ma restiamo in attesa di capire quale reale potere potranno esercitare i Provenzano, Del Corno, Berruto, Gribaudo e soprattutto quanto spazio gli lascerà la vecchia guardia dei Franceschini, Guerini, Marcucci e compagnia cantante. Nel frattempo, e per il rispetto che Bersani merita, ci asterremo dal giudicare la “Costituente” una cagata pazzesca. Come la corazzata del film di Fantozzi, purtroppo l’ultima Cosa di sinistra che ricordiamo.

Az…, il caos vaccino acchiappa-audience

C’è uno solo vaccino al comando, dalla A alla Zeta. Attenzionato nell’efficacia contro il virus, ma in compenso il più efficace nella grancassa mediatica, in un momento che poteva essere di stanchezza per i virologi, come spesso accade nel girone di ritorno, è caduto come il cacio sui talk show, e l’exploit è solo l’ultimo di una lunga serie. AstraZeneca ha esordito da subito alla grande, con la conservazione fantozziana a 300 mila gradi sottozero, poi l’asta sui limiti di età, over 55, over 65, over 90 (tombola!).

Intanto, in pieno allarme per la penuria di dosi, mentre la Commissione Ue medita di fare causa – colpo di scena! –, scatta l’allarme per sospette reazioni avverse, così le dosi sono diventate troppe. Numeri da Silvan.

Siccome siamo un popolo di commissari tecnici, luminari e opinionisti fanno a gara per dare la propria formazione, con annesso modulo tattico. Quelli che c’è un complotto di Big Pharma… quelli che siamo tutti schiavi di Angela Merkel… quelli che l’Europa ha fallito… quelli che è la fine dell’Occidente… quelli che gli inglesi sono pazzi, quelli che gli inglesi sono avanti, oh yeah… Manca solo l’ombra del Grande Vecchio (che naturalmente si è vaccinato con Pfizer).

Per fortuna c’è anche chi ha fatto notare come il danno della sospensione, ennesima manna dal cielo per il bla bla, sia stato ben superiore al danno delle ipotetiche reazioni avverse. Affinché una paura non diventi psicosi è fondamentale dare informazioni certe e limitate, ma per raccattare audience bisogna darne tante, fantasiose e contraddittorie. Poi ci si straccia le vesti sui No-vax.

Piuttosto, sarebbe il caso di riflettere sulla responsabilità sociale dei media, sul cinismo travestito da retorica, sui fatti travolti dalle opinioni contro i quali non solo non c’è vaccino, ma nessuno sembra volerlo davvero (e ora scusate, ma devo andare. Stanno per chiudere i centri vaccinali e voglio passare di lì. Hai visto mai?).

La mazzetta è un’opera d’arte

Settimanada ricordare a Criminopoli: superati i 200 nuovi indagati per corruzione! E siamo soltanto al 77esimo giorno dell’anno. Con i 20 nuovi indagati dall’11 marzo a oggi, il totale raggiunge quota 207 ovvero 2,6 corrotti ogni 24 ore. Basta con la falsa modestia: ma se ne scoprono 2,6 al giorno, quanti saranno quelli che la fanno franca? E poi: vogliamo mettere la varietà delle mazzette? Qui a Criminopoli ne siamo certi: la mazzetta è un’opera d’arte. E siamo quindi orgogliosi di assegnare il premio Mazzetta della Settimana al catanese Orazio Buda, che ha inanellato nella stessa inchiesta (gli porgiamo i nostri sentiti complimenti) un’accusa di mafia e una di corruzione. Ma soprattutto: secondo l’accusa, estorceva al pittore Vittorio Ribaudo un quadro – tra i tanti – per donarlo a Calogero Punturo, direttore dell’Istituto autonomo case popolari di Catania, mirando in cambio all’assegnazione di un appartamento per suo nipote. Buda non offre soldi, ma arte! E lo fa con cura, interpretando i gusti di Punturo: “No…”, dice intercettato, “a lui piace il legno… Antonio come ti sembra questo per il direttore?”. E quando porta l’omaggio a Punturo – dopo aver premesso: “…ho scherzato che gli ho detto che gli bucavo la ruota… lei per questo non mi vuole far vedere l’auto…” – spiega: ”…questi vanno accompagnati (certificati) così non pensano che sono rubati…”. E al ringraziamento del direttore, ribatte: “No, lei non mi deve dire niente, lei mi ha già pagato…”. Resta inteso che se Buda e Punturo dovessero essere archiviati o assolti, il premio, seppur simbolico, sarà revocato. Fronte mafia: questa settimana 19 nuovi indagati per un totale di 555 da inizio anno (7,2 al giorno). Confische e sequestri per 69,7 milioni che portano il totale 2021 a 1,1 miliardi. Ah, dimenticavamo: lo Stato non cattura Matteo Messina Denaro da 10.151 giorni.