Pubblichiamo alcuni stralci di “Vent’anni e poi”, conversazione tra Thierry Voeltzel con Michel Foucault su amore e rivoluzione (Meltemi edizioni). Nel 1978 Voeltzel era un giovane e sconosciuto attivista, mentre nel dialogo il suo prestigioso interlocutore aveva preferito mantenere l’anonimato
Quello che mi ha colpito, in tutto ciò che mi hai detto oggi e nell’ultimo anno, è che non hai mai pronunciato la parola “amore”.
Non hai mai detto: “Oh cielo, mi sto innamorando di un ragazzo, credo di amare questo ragazzo…”. Non l’hai mai detto, vero?
– No, non credo di averlo fatto.
– Be’, è davvero straordinario…
– Non ho mai saputo cosa significasse innamorarsi, essere innamorati, dire “ti amo”.
– Non hai mai detto “ti amo” a qualcuno?
– Non credo proprio, o… (ride)
– Questa cosa è molto importante…
– È molto divertente che tu mi faccia esattamente le stesse domande di quel prete, quattro anni fa… che mi disse: “Ma in Reich non c’è neanche una volta la parola ‘amore’?”. Gli risposi: “Questi lo fanno” (ride).
– Sì, sì, vai pure avanti, continua con la tua indignazione, col tuo stupore…
– Perciò direi così: parlarne il meno possibile e farlo il più possibile. Quelli che parlano d’amore in continuazione, non li si vede mai farlo; parlano d’amore con la maiuscola, con la minuscola, con tutte le grafie possibili, e poi non lo fanno mai. Mentre tutti coloro che ho incontrato che ne parlavano meno o che non ne parlavano affatto, lo facevano, e andava alla grande.
– Spesso mi hai parlato di una serie di sentimenti per un ragazzo: ti piaceva, gli volevi bene, ma ciò che mi ha colpito, è che la parola “amore”, questa categoria dell’amore, non entrava in gioco, ma la ricchezza e la varietà dei sentimenti cui facevi riferimento, che sentivi, erano grandi. Ciò significa che non si tratta propriamente della contrapposizione tra: o ci si fa una scopata, oppure si vanno a dispiegare i nobili sentimenti. Non è questo, io ti ho sempre visto investire nei tuoi rapporti sessuali una sorta di affetto, di tenerezza, di impegno, di non so cosa… non solo sei tutt’altro che anaffettivo, ma al contrario, sei incredibilmente coinvolto in ciò che provi per qualcuno, e poi, naturalmente, non c’è posto per la contrapposizione tra provare o fare l’amore; ma c’è tutta una panoplia, tutta una gamma di sentimenti intensi, ricchi, colorati, e nient’affatto quella cosa monotona e nera che sarebbe l’amore e nella quale solitamente facciamo sprofondare il rifiuto di fare l’amore e quello di qualsiasi altra forma di sentimento. E tutto ciò, dopotutto, mi sembra una novità; un tempo c’era questa figura nella quale era come se venissimo inghiottiti: non appena si provava qualcosa per qualcuno, c’era questa sorta di pendio grandioso che faceva sì che a un certo punto, dopo tutta una serie di decantazioni e di eliminazioni, si diceva o “in fin dei conti, non provo niente per lui” oppure “lo amo”. Enunciato famigerato, che attirava come una calamita, che costituiva una specie di vincolo rigoroso; gravava su tutte le forme di relazione ed era, a mio avviso, ancora più sterilizzante per tutte le relazioni affettive possibili di quanto non lo fosse per l’atto sessuale in sé, no?
– Probabilmente, ma non lo so, non l’ho mai provato (ride).
– Già, credo che tu non l’abbia provato perché non ti era possibile, ma non a causa di una qualche tua carenza, al contrario, perché hai riempito con un sacco di cose positive e di percorsi differenti quel vuoto in cui tutti precipitavamo. Penso che tutto ciò sia molto potente, e in fondo mi domando se non sia stato questo il fatto maggiormente liberatorio – attenzione, non amo molto questa parola, “liberatorio” –, il fatto che non ci sia più questo segno unico dell’amore da apporre su tutte le sensazioni e su tutti i sentimenti.
– Non lo so.
– Sì… eh, ma… parlo di qualcosa che, per definizione, non puoi conoscere e, ancora una volta, non per una tua carenza, anzi. Ma penso che sia splendido che tu sia andato a letto con un gran numero di persone e che tu non abbia mai detto a nessuno “ti amo”, non ricordi neanche se l’hai mai detto… e ricordi, è mai successo che qualcuno lo dicesse a te?
– Non mi ricordo… o forse me l’hanno anche detto… ma all’epoca sarà stata una scocciatura tale che l’avrò ignorato (ride). No, preferivano dirmi piuttosto che erano contenti, come facevo anch’io, che andava bene, che stavamo bene insieme, che funzionava o che stava andando male, che bisognava andarsene… ci si rivestiva e ognuno tornava a casa sua.
– Ma al di là della dichiarazione, dell’enunciazione vera e propria, ti è mai capitato di avere comunque a che fare con persone, ragazzi o ragazze, che si comportavano con te come degli innamorati, che ti perseguitavano, che erano un po’ insistenti?
– Sì, una volta.
– Una volta su così tante, non è molto…
– Una volta o due, ma non appena me ne son reso conto sono scappato il più lontano possibile, ho smesso di rispondere alle telefonate, alle lettere, e così finiva, diventava impossibile.
[La registrazione si ferma] – È buffo che non appena si ferma il nastro, dici che in fondo è molto più complicato, che ci sono delle difficoltà, che è abbastanza eccezionale che le cose siano semplici, e poi, non appena il registratore si rimette in funzione, in quel momento, tutto diventa… (ride). Deve esserci qualcosa! Il che dimostra che non è scontato che sia io l’interlocutore più adeguato, no?
– No, ma con certe persone, non è assolutamente com’è con te. Ci sono molti altri problemi. Ci sono tantissimi tizi che cercano di dominare, riproducendo le relazioni eterosessuali. C’è quello con il cazzo e quello senza il cazzo, l’altro è privato di una parte del suo corpo. Conoscevo un tale, dovevo andare a letto con lui quando ne aveva voglia, dovevo essere sempre disponibile. Ma quando ero io ad avere un desiderio, o era stanco o non era il momento giusto, e questo perché ero il più giovane, perché pensava di avere le idee più chiare, perché era il più virile, perché si prendeva sul serio mentre io non lo facevo. Non ho avuto nessun problema del genere solo con quel ragazzo di cui ti ho parlato, quello che ho rincontrato dopo tre anni, e con uno dei suoi amici, lo sai, L.
– Ah, certo.
– Con i ventenni funziona bene. Con i trentenni, per esempio con J., che ho conosciuto qui, è precisamente il tipo di relazione che non sopporto e che gli uomini hanno con le donne. È un “ti prendo come se fossi un oggetto”. Una sera ero a casa sua e non potevo tornare indietro, non potevo…
– Ah certo, sì sì, capisco cosa intendi, deve esser stato estremamente difficile, ma qui ne hai conosciuti altri che non erano così. – E con i quali è andata molto bene.
– Penso comunque che il fatto di aver mandato all’aria il significato monotono dell’amore sia stato molto importante. Le cose non sono più binarie; o faccio l’amore senza amarlo, cioè scopiamo, oppure lo amerò, lo amo, quindi è un’altra cosa. Non appena si introducono queste strutture binarie, le cose si complicano, perché anche quando si fa l’amore solo per scopare, lo si fa escludendo tutto ciò che potrebbe avere una qualsivoglia intensità: deve essere pulito, asettico, quindi una ginnastica, e diventa di nuovo complicato…