Il divino Amore dei sindacati

Nella zona suddi Roma, nei pressi del Santuario della Madonna del Divino Amore, già se ne parla come dell’ennesimo miracolo della Vergine. Ed effettivamente chi può escluderlo? Certo, la conversione di cui si parla – quella di Maurizio Landini, Luigi Sbarra, Pierpaolo Bombardieri e delle relative organizzazioni, Cgil, Cisl e Uil – non riguarda l’anima, ma solo l’aumento di stipendio degli statali, ma il sacro si nasconde dove può nella società secolarizzata: e infatti, come spiegare che i confederali abbiano scioperato il 9 dicembre contro l’aumento medio di 107 euro lordi, giudicato un’elemosina, e oggi lo accettino felici firmando pure col governo un “Patto per l’innovazione e la coesione sociale” nella Pubblica amministrazione? Sarà anche un fatto inspiegabile – ribatterà il lettore – ma che c’entra la Madonna? C’entra, eccome. La leggenda vuole che quello che chiameremo “il miracolo dei 107 euro” sia avvenuto durante una cena, cui il trio sindacale ha avuto il bene di essere invitato nella casa del ministro della Funzione pubblica, Renato Brunetta (“abbiamo cucinato io e mia moglie”). E dove si trova la dimora? Nei pressi del Santuario della Madonna del Divino Amore. E fosse solo la vicinanza geografica: il ministro in questi anni s’è fatto vignaiolo, avendo rilevato l’azienda dell’antica famiglia Capizucchi, e a tavola ha deliziato Landini & C. con le sue bottiglie a marchio “Mater Divini Amoris”. Il vino, si sa, è parte fondamentale del rito cristiano, se poi si ritrova quel po’ po’ di nome può far miracoli: al commissario Ingravallo di Gadda, per dire, bastò un cavalier Gabbioni Empedocle & Figlio di Albano Laziale per disvelare il mistero delle nipoti dei Balducci, figuratevi il Mater eccetera. “In certi momenti serve anche il contatto umano”. Così Brunetta ha spiegato l’invito: e come non dargli ragione? Certo, ci sarebbe quella cosetta che in zona gialla, com’era il Lazio, nelle “abitazioni private è fortemente raccomandato di non ricevere persone diverse dai conviventi” o almeno così dice una norma in vigore col governo di Brunetta che, ne dobbiamo dedurre, non si applica a ministri e sindacalisti: sennò, ad esempio, almeno uno degli agenti delle scorte lo avrebbe fatto notare. O no?

Noi poveri umani, esseri sperduti nella pandemia dell’era di Debord

In genere le tragedie hanno un luogo. Nel caso dei terremoti si parla di epicentro, ma c’è un centro pure per un’alluvione, un incidente stradale, un femminicidio. Il terribile, quando arriva, arriva sempre da qualche parte. Nel caso della pandemia il punto centrale salta, è come un’immensa fotografia che immortala tutto il pianeta. All’inizio il fuoco è stata una sconosciuta città cinese, poi in Italia Bergamo. Ora la pandemia c’è ancora, ma è come se non fosse da nessuna parte. La tragedia senza perimetro è come se facesse saltare il nostro rapporto col dolore, come se si fosse rattrappito a furia di dilatarsi. Ora il compito delle intelligenze più vive non è di aizzare dispute pro o contro i vaccini o le mascherine. Siamo in una condizione inedita. Avevamo avuto altre pandemie, ma è la prima volta che una malattia planetaria avviene nella società dello spettacolo o della comunicazione perenne. Quando c’è stata la Spagnola c’erano i governi, i medici, ma non c’era la Rete, non si era prodotta questa malattia che chiamiamo infodemia. Il paradosso è che quello che sappiamo su quanto accade è pochissimo, facciamo fatica perfino a mettere a fuoco il nostro stato d’animo. Da qui dobbiamo partire, da questa clamorosa inesperienza. Siamo giocatori che stanno giocando una partita senza sapere in che stadio stanno giocando e a quale sport. I governanti di tutto il mondo e i produttori di informazione sono impegnati in una gigantesca coazione a ripetere che fa sfuggire la questione invece di darle intensità. Portiamo le mascherine, non ci stringiamo le mani, le aziende falliscono, tutte cose enormi che però contrastano con la noia e l’accidia che sembrano aver preso il centro delle nostre anime. Tutto ciò non accade durante i terremoti e le altre tragedie di cui parlo all’inizio. Forse oltre al vaccino andrebbe inoculata una sostanza che non c’è, una vitamina comunitaria, un riattivatore dello spirito. Al traguardo dell’immunità di gregge rischiamo di portare un plotone di ombre, miliardi di esseri umani che pedalano a vuoto su una strada che non c’è.

Il caso vaccini mette a nudo un paese senza guida

“Ècome se l’Italia si trovasse priva, non dico di una guida, ma di un presidente del Consiglio in questo preciso momento. Basta leggere il giornale capofila di coloro che con ogni mezzo hanno voluto la sostituzione di Giuseppe Conte con Mario Draghi per rendersene conto. Un editoriale di Repubblica svolge una peraltro convincente requisitoria sulla gestione governativa della crisi AstraZeneca e come essa abbia contribuito a un generale disorientamento sulla strada, giustamente indicata come la più vitale per uscire dalla pandemia. Claudio Tito mette a confronto l’oscillazione tra la conferma della validità del vaccino imputato – “l’altro ieri l’Aifa, la nostra agenzia del farmaco, aveva ufficialmente dichiarato che l’allarme era ‘ingiustificato’” – per poi tardivamente aderirire alla sospensione europea, imposta dalla Germania. È vero che viene enfatizzata la responsabilità europea di questo evento, ma uno dei pregi di Mario Draghi non era quello del suo “peso” a Bruxelles? Come se ciò non bastasse, titolo e sottotitoli dello stesso giornale in altra pagina (cfr. Repubblica, 16 marzo, pp. 29 e 6) recitano: Ristori, fisco e cashback lo scontro che blocca il decreto Sostegni. Il governo vuole approvarlo venerdì ma la maggioranza è ancora divisa sulle misure. L’ipotesi di far decidere al Parlamento. Gentiloni: i Paesi usino i prestiti del Recovery”. Sembra essere tornati a Repubblica del governo Conte. Ora, sarebbe irresponsabile auspicare un’altra crisi di governo. Per questo mi permetto di suggerire che il governo di un Paese, specie in un momento come quello che stiamo vivendo, è cosa diversa da quello di una banca. Sarebbe rassicurante un presidente del consiglio, giustamente tormentato da problemi di ogni tipo, ma non privo di soluzioni inevitabilmente oscillanti, che ne rendesse partecipi i cittadini, trattandoli da adulti. I quali comprenderanno che Mario Draghi, diversamente dal suo predecessore, ha subito un vero e proprio sopruso, essendo stato presentato con fanfare che hanno generato aspettative fuori dalla portata di chiunque.

Panzieri: il marxista eretico, padre della “nuova sinistra”

Ci sono centenari e centenari. C’è quello per esempio di Giovanni Agnelli, detto “l’Avvocato”, già padrone della Fiat, che sta occupando militarmente le pagine dei grandi giornali e le televisioni. E c’è la ricorrenza ignorata della nascita di Raniero Panzieri (Roma, 14 febbraio 1921 – Torino, 9 ottobre 1964). Era un intellettuale marxista eretico e militante, per un socialismo saldato nella democrazia diretta, propugnatore di una sociologia sul campo per “sfuggire a ogni forma di visione mistica del movimento operaio”. Viene considerato a ragione il padre o l’iniziatore della nuova sinistra del 1968-69.

Fondò nel giugno del 1961 la rivista Quaderni Rossi, che vide la luce con il contributo di un gruppo di giovani che annoverava tra gli altri Alberto Asor Rosa, Mario Tronti, Sergio Bologna, Liliana e Dario Lanzardo, Giovanni Mottura, Vittorio Rieser, Emilio Soave. E fu licenziato dalla Einaudi nell’ottobre del 1963 con l’accusa di avere considerato la casa editrice “prevalentemente come strumento per una battaglia politico-ideologica”, ma in verità perché si era battuto, assieme a Renato Solmi, per fare pubblicare l’inchiesta di Goffredo Fofi sull’immigrazione meridionale a Torino, che, rammenterà il poeta Franco Fortini, era stata cassata “anche su pressioni della Fiat”. Panzieri, morto giovane, come Fortini scriveva nel 1983, “è stato anzitutto il diverso dagli altri, il diverso da quelli. Chi cerca le proprie amicizie tra gli invisibili diviene presto invisibile. Questo ha saputo Panzieri attuare inflessibilmente”.

I cento anni dalla sua nascita sarebbero caduti nel dimenticatoio se Paolo Ferrero, ex segretario di Rifondazione comunista, non avesse curato il libro Raniero Panzieri. L’iniziatore dell’altra sinistra (Shake Edizioni, pagg. 316, euro 17). Un volume che, oltre a una postfazione di Marco Revelli, raccoglie testimonianze di Gianni Alasia, Luca Baranelli, Sergio Bologna, Giorgio Bouchard, Ester Fano, Pino Ferraris, Goffredo Fofi, Franco Fortini, Nando Giambra, Pinzi Giampiccoli, Giovanni Jervis, Dario e Liliana Lanzardo, Luca Lenzini, Edoarda Masi, Mario Miegge, Giovanni Mottura, Cesare Pianciola, Vittorio Rieser, Pucci Saija Panzieri, Renato Solmi, Mario Tronti.

Che cosa resta oggi di lui? Sembrano essere passati anni luce da quei tempi di antagonismo operaio e sociale, di “rivoluzione”. Sergio Bologna osserva: “Quando si pensa quale tensione intellettuale richiedeva allora ‘fare politica’ e quando si pensa che miserabile cosa è diventata oggi, non si può fare a meno di riconoscere nell’azione delle organizzazioni del movimento operaio, nei loro comportamenti, nelle loro scelte politiche e culturali il perseguimento di un progetto disposto a sacrificare qualunque cosa pur di salvaguardare l’accesso al potere di un ristretto gruppo di persone, i cui connotati vengono sempre più definiti dai cosiddetti ‘poteri forti’. Se mi si chiede un giudizio, dico che Panzieri non fa parte di questa ‘loro’ storia”.

Sono quelle amare considerazioni, sostiene Paolo Ferrero, a dirci che “Panzieri merita di essere scoperto per il suo contributo teorico e politico”. Il suo pensiero molto “ha da dirci oggi”, in “un tornante storico simile a quello scandagliato” da lui.

Perché, come aggiunge Marco Revelli, “diceva cose ‘folli’ e razionalissime insieme, tratte dall’osservazione empirica dei processi e della materialità sociale quotidiana”, e “tuttavia suscettibili di scardinare ogni ordine del discorso corrente. Ogni luogo comune stabilito”.

 

I quattro nodi del Pd: identità, consenso, alleanze e governo

Penso sia giusto fare un’apertura di credito a Enrico Letta. Ma non gli sono di aiuto i corali peana che si sono levati dentro e fuori del Pd. Al modo di Draghi, Enrico “salvatore” del Pd. Troppo grande lo scarto tra la portata del trauma rappresentato dalle dimissioni di Zingaretti (e dalle parole con le quali egli le ha motivate) e il modo unanimistico della soluzione confezionata in una settimana. Letta se ne è mostrato consapevole all’atto stesso della sua accettazione, quando ha invocato verità e non unitarismo. Lo si aiuta di più se non si esorcizzano i problemi che egli è chiamato ad affrontare, le contraddizioni che deve sciogliere.

Merita menzionarne quattro. La prima sta appunto nel tenore plebiscitario della sua investitura. Egli è stato chiamato in servizio esattamente da quel caminetto dei capi corrente cui sono ascrivibili le dimissioni di Zingaretti. Se una lezione si può e si deve ricavare dalla sua avventura interrotta alla guida del Pd, essa sta proprio nella omissione di un chiarimento politico identitario che si sarebbe dovuto operare all’atto del suo insediamento dopo il deragliamento del renzismo. A seguire, dalla sua cura per l’unità del partito e dei suoi organigrammi cui facevano invece riscontro ambiguità e oscillazioni nella linea politica. Specie dei gruppi parlamentari. Sbandamenti visibilissimi nello svolgimento della crisi dell’esecutivo Conte. Lo statuto (datato) del Pd non contempla un congresso classico. Esso risolve la scelta del leader nelle cosiddette (impropriamente) primarie. Ma è chiaro che, quale che sia la forma, conta la sostanza: per un partito democratico è ineludibile un aperto confronto tra piattaforme politiche associate a candidati tra loro in competizione. Pena reiterare sia un falso unanimismo, sia un correntismo artificiale, che agisce soprattutto dietro le quinte.

Secondo nodo: il profilo identitario del Pd. In vario modo, Letta ha trasmesso l’idea di voler declinare il volto del partito “al futuro”. Il partito dei giovani, sino alla proposta (assai discutibile nei suoi effetti sistemici) del voto ai sedicenni. Ma egli non potrà omettere di declinarne il posizionamento lungo l’asse destra-centro-sinistra. Un nodo che non si risolve con gli et-et del tipo radicale e riformista, anima e cacciavite. A meglio chiarire l’identità e il posizionamento del Pd al riguardo dovrebbero essere da un lato le issues, dall’altro le culture politiche. A Letta che, a differenza di altri, ha fatto buoni studi, dovrebbe riuscire chiaro che le culture si rielaborano aggiornandole ma non si rottamano. L’impressione è che egli abbia disegnato il profilo di una sinistra moderna e di governo. Una chiara scelta di campo, che non indulge a logiche centriste.

È così? Lo si evincerebbe anche – terzo e decisivo problema – dalla preferenza da lui espressa un po’ estemporaneamente in tv (in contrasto con la posizione recente del Pd attestato sul proporzionale) per una legge elettorale d’ispirazione maggioritaria. Dubito ci riesca, ma il senso politico è chiaro: essa incentiva e quasi prescrive le coalizioni pre-elettorali, sulle quali Letta ha detto di scommettere, nel solco dell’Ulivo prodiano e nel quadro di un nuovo bipolarismo. Curioso: chi, nel Pd, contestava a Zingaretti l’alleanza con il M5S oggi vota Letta che la stabilizzerebbe con una regola elettorale maggioritaria. Dentro un campo democratico largo, plurale, inclusivo, alternativo alle destre.

Quarto nodo: il rapporto con il governo Draghi. Letta conferma un sostegno leale e convinto, ma contestualmente avanza proposte – vedi lo ius soli – che rimarcano come esso sia un governo di tregua per definizione soggetto a limiti, nel quale non può esprimersi adeguatamente l’orizzonte ideale e programmatico del Pd. Qui forse si gioca una sfida anche personale per Letta. Lo abbiamo conosciuto come un politico moderato, liberal-democratico, europeista, con una vena tecnocratica. Naturaliter “draghiano”. Oggi non basta più. Lui dice di essere cambiato grazie alle esperienze maturate più di recente all’estero e con i giovani. Di sicuro, la nuova fase della globalizzazione, i suoi costi acuiti dalla pandemia e la conseguente domanda di protezione sociale e di lotta alle disuguaglianze, nonché il ruolo di leader di un partito che aspira a guidare un nuovo centrosinistra, gli chiedono uno scatto. Ci si attende un Letta meno moderato e mediatore, più assertivo e su posizioni socialmente più avanzate. Ce la farà?

 

AstraZeneca, quei dubbi da seri studi scientifici

Per la prima volta da quando viviamo in pandemia, non pochi scienziati sembrano temere la contraddizione. La loro fiducia nel vaccino AstraZeneca è semireligiosa, e ogni dubbio o diffidenza è bollato come una reazione emotiva, irrazionale, perfino antiscientifica. Non mancano le eccezioni – l’immunologa Antonella Viola ha accolto con favore la sospensione del farmaco, che permette più indagini sui decessi e più trasparenza nella campagna vaccinale – ma un gran numero di esperti scientifici nega la sia pur minima esistenza di controindicazioni. Intervengono nei talk show, sui giornali, esprimendo fastidio per la pausa di riflessione annunciata prima da quattro Paesi nordeuropei, poi da Germania, Italia e Francia.

Quel che molti esperti italiani omettono di dire è che tra gli scienziati non c’è affatto unanimità sui possibili effetti negativi di AstraZeneca. In Germania, la sospensione del vaccino non è stata solo politica (il prof. Luciano Gattinoni insinua addirittura che Angela Merkel abbia deciso la sospensione subito dopo la sconfitta del proprio partito in due elezioni regionali) ma si è basata su un rapporto scientifico del prestigioso Istituto Paul Ehrlich, specializzato in vaccini e farmaci biomedici. Il rapporto è uscito il 16 marzo e chiedeva – con un’argomentazione molto stringente – di sospendere subito AstraZeneca in attesa di un parere dell’Agenzia Europea del Medicinali (Ema).

In primo luogo, l’Istituto smonta la vulgata secondo cui i deceduti (per trombosi del seno venoso cerebrale nel caso tedesco) sarebbero morti anche qualora non si fossero vaccinati. Il numero esiguo di questa patologia letale rientrerebbe in una curva “normale”, sempre secondo la vulgata. L’istituto tedesco sostiene invece che il numero di casi letali di cui si sta occupando è “statisticamente superiore, in maniera significativa, al numero di trombosi cerebrali che si manifestano abitualmente nella popolazione in assenza di vaccino”. Lo ha appurato attraverso un’analisi che mette a confronto le osservazioni sul campo e le aspettative (la cosiddetta “Observed-versus-Expected Analysis”).

Ancora venerdì scorso, il 12 marzo, i morti cui era stato somministrato poco prima il vaccino non destavano un allarme speciale, visto che gli eventi letali erano apparsi con una frequenza che “ci si aspetta” in tempi ordinari. Era dunque giusto parlare di nesso non causale, ma solo temporale tra vaccinazioni e decessi.

La svolta avviene lunedì 15, quando vengono segnalati in Germania due ulteriori decessi di trombosi del seno venoso cerebrale dopo vaccinazioni con AstraZeneca. È a questo punto – spiega l’Istituto Ehrlich – che il numero di decessi ha cominciato a “superare in maniera netta la cifra normalmente prevista (expected)”. Allarmato da questa constatazione, l’Istituto è uscito allo scoperto e ha consigliato la provvisoria sospensione del vaccino.

Altro punto importante del rapporto: la questione, sollevata da molti commentatori, concernente la pillola anticoncezionale. Anche in questo caso la trombosi è in effetti un potenziale effetto secondario. Ma “i medici che prescrivono la pillola sono tenuti a illustrare alla paziente i possibili rischi che corre”. E i rischi sono indicati nei bugiardini del farmaco. Questo non accade per le eventuali trombosi che potrebbero manifestarsi in coincidenza con la vaccinazione AstraZeneca. Anche questo punto andrebbe chiarito oggi dall’Ema. Il consenso al vaccino dovrebbe essere pienamente informato.

Come sappiamo, la scienza è fatta di un succedersi infinito di esperimenti, errori e nuovi esperimenti. Sarebbe un peccato se divenisse d’improvviso un’ortodossia, e confondesse l’allarme con l’allarmismo. È in gioco non solo la credibilità degli scienziati, ma anche e soprattutto la fiducia degli italiani nei vaccini.

 

Dem “Io, iscritta, delusa da Letta: il partito è fermo a tredici anni fa”

Gentile redazione, sono iscritta al Pd fin dalla sua fondazione e sono anche consigliere comunale in una città in provincia di Venezia. Ho ascoltato il discorso di Letta e mi sono ritrovata a distanza di 13 anni alla prima assemblea costituente del Pd del 2008: avevo 24 anni. Il discorso di Letta è poco diverso da quello che avrebbe potuto fare 13 anni fa; 13 anni e ancora un discorso dal quale non si capisce da che parte va e andrà questo partito, un discorso che non solo non dice chi vuole rappresentare questo partito, ma nemmeno come e perché.

E questo è l’aspetto più deludente e preoccupante: un ragazzo di 13 anni decide se andare al liceo oppure in un istituto tecnico: decide cosa farà “da grande”. Un ragazzo di 13 anni non discute se è meglio mamma o papà, se il parto è stato difficile oppure no. Invece questo ragazzo di 13 anni, il Pd, non ha nemmeno ancora capito che è un partito e in quanto partito rappresenta una parte: non può rappresentare tutti. La domanda che mi pongo, e come me molti altri, è: chi rappresenta il Pd? Nessuno lo sa. Rappresenta l’élite di potere, oppure le banche, oppure la Pa, oppure i dipendenti privati, le piccole partite Iva, Confindustria? Chi? Nessuno lo sa… e questo lo rende poco credibile e ondivago e quindi perdente. È un partito che difende l’Europa, ma non ha il coraggio di dire che l’Europa esiste solo come unione monetaria e come area di scambio, ma non chiede e lotta per l’unione fiscale o i vaccini per tutti. È un partito che non sceglie da che parte stare, che ha perso la caratteristica fondamentale di partito “di sinistra”, ossia quello di affermare la necessità di una vera e concreta mobilità sociale. In questo nostro Paese devi avere la fortuna di nascere nella “famiglia giusta”, perché altrimenti ti sarà sempre precluso accedere a determinati posti e ruoli. Un partito di sinistra questo non lo può e non lo deve accettare. Ma nessuno ne parla. È un partito che non ha più consapevolezza di sé, risulta subalterno all’ideologia dominante, una sorta di “liberismo di sinistra”… È come se la sinistra si vergognasse di essere di sinistra, non capendo che invece, mai come in questo momento, ci sarebbe bisogno di rispondere alle domande e ai timori dei più indigenti e di quel ceto medio che è sempre più povero, solo e disorientato… Di tutto questo non c’è nulla nel discorso di Letta. E d’altro canto è difficile cambiare se si pensa di sostituire solo il conducente quando il carburante è lo stesso e la direzione ignota. Il Pd deve avere coraggio perché i vuoti in politica non esistono.

 

Mail box

Cronache di Draghi dall’Istituto Luce

“Dodici marzo. L’Italia saluta Mario Draghi che si reca a Fiumicino per assicurarsi che le vaccinazioni procedano spedite. Il ministro Franco, che indossa la divisa di maggiore di Bankitalia, passa rapidamente in rassegna le formazioni di direttori generali e funzionari armati schierati per rendere gli onori. Il saluto della folla è appassionato. Fiumicino. Sono le 15 precise ed ecco il generale Figliuolo che rivolge il primo cordiale saluto al condottiero al quale guarda il mondo intero. Tutta la città è nelle vie: le accoglienze sono deliranti, la folla sa di essere testimone di uno dei più grandi eventi della storia. Alla fine della storica ispezione, durata tre ore, infermieri e dottori rinnovano la più schietta fraternità d’armi marciando al passo dell’oca lungo le piste, mentre i due condottieri preparano i nuovi e migliori destini della giovane Europa. Nell’Italia redenta dalla pandemia, Mario Draghi termina la giornata di indimenticabile entusiasmo trebbiando il primo grano di Ostia. La folla lo acclama”.

Giovanni Contreras

 

La vaccinazione creativa del generale Figliuolo

Attendevo con ansia la prima uscita mediatica del Gen. Figliuolo. Eccola: “Basta sprecare dosi, vaccinare chi passa”. Non mi sento tanto bene.

Pietro Clemente

 

Le primule di Arcuri non andavano bene: avevano ragione. Perché mettere in piedi centri vaccinali nel cuore delle città, quando con i “drive through” ti possono vaccinare in mezzo al nulla lasciandoti comodamente in auto ad attendere eventuali reazioni avverse?

Valerio Avanzi

 

L’Italia è blindata: ora ci si scusi con Conte

Quasi tutta l’Italia è blindata da lunedì. Penso che qualcuno che massacrava ogni giorno Conte dovrebbe chiedere scusa. Intanto la Sardegna in cui vivo è “bianca”: cerchiamo di mantenerla tale.

Luigi Roselli

 

Lettera all’ex premier da un’infermiera

Caro Conte, sono molto addolorata per ciò che è successo: sei stato buttato fuori a calci come fossi un delinquente. Invece per me sei stato il miglior presidente del Consiglio. Ho lavorato come infermiera per 42 anni e ora sono pensionata e vicepresidente di una casa di riposo. Ex consigliera comunale a Padova, ho fatto tanto per la sinistra con mio marito, e so che il tradimento è una cosa difficile da digerire. Negli ultimi anni siamo approdati ai 5Stelle e per noi sei stato un faro. Mi auguro che tu possa avere ancora un ruolo: abbiamo bisogno di persone come te, leali e oneste.

Lucia Pescarolo

 

La morte di Aldo Moro è una ferita aperta

Non posso negare che provo grande emozione quando qualcuno, in tv o sui giornali, parla di Aldo Moro. Tanti italiani ricordano il suo stile di fare politica, il grande senso civico, l’educazione e il suo spessore di uomo libero. Un uomo attaccato alle istituzioni e anche ai suoi concittadini. Il suo assassinio. Una ferita sempre aperta.

Massimo Aurioso

 

Le ragioni della Regina contro Harry e Meghan

Seguo con interesse le vicende della Casa reale britannica. Ammiro la perseveranza degli inglesi nel conservare la memoria del Paese attraverso l’istituzione monarchica: è una tradizione che merita rispetto. Nel caso dell’intervista di Oprah Winfrey a Harry e Meghan, ho provato tristezza e disgusto nel vedere un così nobile organismo doversi confrontare con un sensazionalismo finalizzato all’esclusiva ricerca di denaro.

Giampiero Bonazzi

 

I pregiudizi sul “Fatto” nelle rassegne stampa

Ho appena ascoltato la rassegna stampa su Sky Tg24 e il giornalista sul nostro giornale ha detto “Il Fatto come sempre polemico con il governo”. Perché questo commento non richiesto?

Gianpiero Tonni

 

Caro Gianpiero, è più forte di loro: non si danno pace per l’esistenza di un giornale che canta fuori dal coro.

M. Trav.

 

Le parole lucide e scomode di De Masi

Sottoscrivo in pieno l’articolo di De Masi sulla sinistra. La sua lucidità di analisi è pregnante e precisa. Orgoglioso di essere stato suo allievo, ormai 48 anni fa.

Mario Rosario Celotto

 

De Masi ha esposto in modo brutale e autentico tutti i problemi che la sinistra non ha voluto affrontare. Lo sconforto è grande; Letta ne prenderà atto? O un giorno “si vergognerà” anche lui?

Attanasio Mefalopulos

 

L’interessante analisi di De Masi mostra una verità che tutti conoscono, ma fanno finta di ignorare. Il Pd è ridotto al lumicino per questa verità dimenticata.

Omero Muzzu

 

Che bella sorpresa Lerner a “Prima Pagina”

Una bella sorpresa questa settimana la voce di Gad Lerner alla conduzione della trasmissione di Radio3, Prima Pagina. Complimenti per il tono pacato ed equilibrato, per la scelta oculata degli articoli e l’intelligente resa agli ascoltatori.

Franca Giordano

Enrico, il processo a Socrate e il celebre esperimento di Asch

Vorrei tanto conoscere quello 0,8% di elettori che il giorno prima (dimissioni di Nicola Zingaretti) avevano tolto il voto al Pd e il giorno dopo (elezione di Enrico Letta) glielo hanno restituito. Nutro grande rispetto per sondaggi e sondaggisti e non mi permetterei di mettere in discussione i fondamenti di una scienza (quasi) esatta. Trovo lo stesso affascinanti delle variazioni così subitanee da una settimana all’altra. (A. Padellaro, Fq, 17 marzo)

Come raccontano le antiche scritture, nel processo a Socrate furono posti due quesiti. Al primo (“È colpevole?”), 236 giudici risposero sì, 233 no. Al secondo quesito (“Dev’essere condannato a morte?”), si ebbero 276 sì e 193 no: 40 di quelli che lo avevano giudicato innocente avevano cambiato idea nel giro di pochi minuti. Il fenomeno, detto “pressione del gruppo”, fu dimostrato scientificamente nel 1951 dal celebre esperimento di Asch. A otto soggetti seduti in un laboratorio vennero mostrate due schede: su una c’era disegnato un segmento A, sull’altra tre segmenti di lunghezze varie, fra cui uno visibilmente identico a quello A. Alla domanda “Quale segmento è identico al segmento A?”, in sette indicarono il segmento sbagliato. L’ottavo soggetto non sapeva che i sette erano complici dello sperimentatore: indicò anche lui il segmento sbagliato, conformandosi alla maggioranza. Negli anni, molti esperimenti di psicologia sociale hanno dimostrato che i giudizi vengono cambiati se in tanti, prima di te, danno in modo concorde la risposta sbagliata. Su questa debolezza psicologica puntano sia le pubblicità del tipo “nove mamme su dieci preferiscono X”, sia i tentativi dei media di guidare in questo o in quel senso l’opinione pubblica. Arrivato Letta, che è omogeneo a Draghi, i peana rassicuranti su Draghi sono stati estesi a Letta dai media del Blocco, per creare la pressione che poi i sondaggi hanno registrato. Non è difficile indirizzare le opinioni, specie in tempi di crisi. Un tizio, seduto su una panchina ai giardinetti, si era conquistato la confidenza dei piccioni. Aveva cominciato col buttare delle briciole di pane davanti a sé. Un piccione d’avanguardia s’avvicinò per studiarlo: quella faccia forse gli ispirò fiducia, e così beccò le molliche. Arrivò un suo compagno. Ne sopraggiunsero altri. Il tizio buttò nuove briciole, stavolta vicino alle sue scarpe minacciose. Dopo lunghe considerazioni, un piccione osò. Gli altri lo seguirono. Il tizio tese la mano aperta all’intraprendente, e quello, che ormai aveva su di lui un’opinione formata, beccò una mollica nella sua mano. Un altro, per imitarlo, gli si posò sul polso. I piccioni con la polenta sono squisiti.

Da chi è formato, del resto, un gruppo? Adultere in giro per le alcove, papà che si scopano le figlie, seduttori di cameriere, iniziatori di seminaristi, salariate dell’amore abbonate agli aborti, ipocrite che servono la virtù frodando la fisiologia, direttori di giornali che banalizzano spudorati le nefandezze di Gelli, buttandola in caciara: tutti costoro formano un gruppo. Per convincerlo basta poco. Anni fa, tre ristoranti, in concorrenza nella medesima strada di Trastevere, per superarsi a vicenda avevano scritto dei cartelli: “Qui si mangia meglio che in tutta Roma”. “Qui si mangia meglio che in tutta Italia”. “Qui si mangia meglio che in tutto il mondo”. Quando nella stessa strada aprì un quarto ristorante, nel suo cartello scrisse: “Qui si mangia meglio che in tutta la strada”. Trucchetti che ogni cameriere esperto conosce. Quando un piatto è trascurato dalla clientela, prende rispettosamente dalle mani del cliente il menu e lo cancella a lapis. “Perché?” domanda invariabilmente il cliente. E lui: “Ne rimane solo una porzione per lei”. E il cliente ci casca.

 

E Super Guido cambiò l’ordine dei mesi

Scusi l’ardire, gentile Dottor Guido Bertolaso, ma ci tocca fare una puntualizzazione: nel calendario gregoriano, luglio arriva dopo giugno. Immancabilmente. Comprendiamo che l’affermazione possa essere scioccante. Va così ogni anno, fin dal 1582, pensi. Capirà quindi la nostra difficoltà quando ci dice: “Ho deciso di metterci la faccia e tutto quello che posso lo sto facendo: al massimo entro metà luglio tutti i bresciani saranno vaccinati”. Non che dubitiamo, si figuri, è che il 2 febbraio sempre lei aveva detto: “Sarà una campagna 24 ore al giorno per 7 giorni alla settimana. Il traguardo di vaccinare tutta la Regione Lombardia prima della fine di giugno, se avremo vaccini, è assolutamente possibile e ce la faremo, ve lo garantisco”. Ora, le cose sono due: o il calendario è uno sconosciuto (e allora veda sopra), oppure considera i bresciani non lombardi (e anche su questo punto possiamo assicurarle che lo sono, ci siamo informati). Naturalmente, la terza opzione, cioè che lanci dei numeri a casaccio perché la campagna vaccinale lombarda è allo sbando e tutti i vertici del Pirellone fanno a gara a chi la spara più grossa, non la prendiamo neanche in considerazione.