Sulla riforma del Csm dell’ex ministro Alfonso Bonafede, bollata dalla Sesta commissione come un tentativo anticostituzionale di imbrigliare il Consiglio, c’è una retromarcia dei “togati”, inizialmente d’accordo con questa accusa contenuta in premessa e nella prima parte del parere. La reazione di dissenso dei laici, ieri in plenum, a inizio dibattito sul parere, ha provocato il ripensamento: non vogliono passare per coloro che fanno finta che non sia esistito lo scandalo nomine. Lo scontro sotterraneo tra laici da una parte e togati dall’altra (non tutti come vedremo) ieri è emerso durante il plenum con parole forti. È uno dei professori, Alberto Maria Benedetti, consigliere laico M5S, a bocciare per primo il capitolo numero 1, sui paletti che il Consiglio deve seguire sulle nomine: relatrice Elisabetta Chinaglia, togata di Area, in Commissione quella parte è stata votata all’unanimità, pure cioè dai laici che ieri ne hanno preso nettamente le distanze, Fulvio Gigliotti, M5s e Alessio Lanzi, FI.
Benedetti, in risposta alla introduzione del parere, che parla di “ridimensionamento delle attribuzioni al Consiglio” derivanti dalla Costituzione – ma anche da pronunce del Consiglio di Stato – ribatte che ci si trova di fronte a errori “tecnico-giuridici”, “metodologici” e di “opportunità politica” nel senso che “non c’è un legislatore capriccioso e arbitrario che decide di incidere sulle nomine, ma interviene in un contesto ben preciso (lo scandalo nomine, ndr). Si rischia di fare un autogol, sembra che si voglia dire ‘non disturbateci, vogliamo continuare come abbiamo sempre fatto’”. Per non parlare degli errori tecnici, prosegue, visto che si chiamano in causa, a torto, la Costituzione, la Consulta e in modo “patetico” anche la giustizia amministrativa. Concordano “pienamente” non solo gli altri laici M5S, Filippo Donati e Gigliotti, che danno anche loro una lezione di diritto costituzionale ai togati sulle prerogative del legislatore, ma pure Stefano Cavanna ed Emanuele Basile della Lega, Alessio Lanzi di FI, che però si “allarga” e ribadisce il suo cavallo di battaglia sulla magistratura che scavalca la politica invece di limitarsi ad applicare la legge. I togati Giuseppe Cascini e Nino Di Matteo prendono le distanze da Lanzi a difesa della magistratura.
Ma tornando alla riforma, sulla questione delle nomine Di Matteo sta con i laici, uniti al di là dei partiti che in Parlamento li hanno indicati: “Non c’è l’intenzione di ridurre l’autonomia del Consiglio. I magistrati hanno un diffuso interesse a che vengano poste regole certe sui criteri per le nomine, sono le prime vittime di un sistema che alcuni hanno alimentato”. Anche Giuseppe Marra, altro togato, di Autonomia e Indipendenza, dissente dal parere: “Non credo che il legislatore riduca la discrezionalità del Consiglio. Il ritorno alle fasce di anzianità, per esempio, è una garanzia contro il carrierismo, l’altra faccia del correntismo, una scelta saggia e opportuna”. E Cavanna: “Deve essere chiaro che noi laici siamo a tutela della magistratura, ma quale organo dello Stato ha avuto i nostri problemi? Nessuno”. I togati di Magistratura Indipendente cercano una mediazione: Loredana Miccichè, che da componente della Sesta quel parere l’ha votato, riconosce che “effettivamente la premessa è troppo forte”, vanno messe “in rilievo le criticità, ma nelle conclusioni”. La relatrice Chinaglia formalizza il passo indietro dopo la sfilza di critiche e prende atto che “a fronte di un parere votato all’unanimità in Commissione si sono registrati tanti interventi soppressivi”, ammette che “c’è stata fretta, che è bene riflettere” ed è convinta, come Cascini, che si potrà trovare “un punto comune perché – sostiene – non c’è chi vuole portare la moralizzazione e chi no”. Togati preoccupati, compreso il relatore Ciccio Zaccaro, sul punto della riforma che riduce da 4 a 2 i passaggi di funzione dei magistrati da pm a giudice e viceversa: “È un passo verso la separazione delle carriere”. Il dibattito prosegue oggi.