Prescrizione, riforma del Csm, processo penale e civile: si cambia ma non troppo, almeno così dice la ministra della Giustizia, Marta Cartabia, senza buttare via quanto fatto da Alfonso Bonafede.
La prima volta della ministra in Commissione Giustizia della Camera è improntata all’ecumenico spirito di unità nazionale: “Il lavoro svolto non va vanificato ma arricchito alla luce del carattere ampio di questo governo”, cioè l’ingresso di Lega e Forza Italia. Dunque, non bisogna puntare “a illusorie riforme di sistema non praticabili” ma “a interventi mirati.” Mirati sì, come la riforma civile, gli investimenti del Recovery plan, ma anche divisivi come la prescrizione, che adesso si blocca, per effetto della Bonafede, dopo la sentenza di primo grado. Cartabia sa bene che il tema è critico e quindi fa una premessa che la dice lunga sulla voglia di evitare il conflitto: “A fronte della encomiabile disponibilità di alcuni gruppi ad accantonare gli emendamenti, per non esacerbare il dibattito… va onorato” l’ordine del giorno approvato dalla Camera che “impegna il governo ad adottare le necessarie iniziative” per un processo penale con tempi accettabili. Proprio “un processo dalla durata ragionevole di per sé risolverebbe il ‘nodo’ della prescrizione relegandola a evento eccezionale”.
Al ministero un gruppo di studio valuterà diverse proposte come quella sui “rimedi di tipo compensativo” o quelle “dirette a distinguere” in due fasi “il tempo necessario a prescrivere”. Sono alternative alla proposta in Parlamento che non fu votata in Cdm, un anno fa, dai renziani al governo ed è irricevibile pure per FI e Lega: bloccherebbe la prescrizione dopo il primo grado solo in caso di condanna. Cartabia tocca anche la riforma del Csm, già alla Camera. La ministra apprezza il lavoro di Bonafede: “Accolgo in particolare l’esigenza di disciplinare la procedura di conferimento degli incarichi direttivi e semi-direttivi secondo criteri di trasparenza ed efficienza”, quanto al punto sulla legge elettorale, lancia una sua idea: il rinnovo di metà dei consiglieri, togati e laici, ogni due anni. Da ex presidente della Corte costituzionale, papabile presidente della Repubblica dopo Mattarella, chiude con una citazione: “L’augurio e l’impegno da parte mia è che al termine di questa fatica possiamo anche noi pronunciare le parole che furono di De Gasperi, Adenauer e Schuman: ‘Ciò che ci unisce è più forte di ciò che ci divide’”.
Una frase che si può rovesciare parlando del clima al Csm dove sulla riforma del Consiglio c’è una divisione tra laici e togati. I laici pensano che i togati stiano tenendo un atteggiamento “corporativo” . Proprio domani è previsto il plenum sul parere alla riforma Bonafede: 190 pagine firmate da diversi relatori con critiche su ogni punto . Non è detto, però, che si arrivi al voto già domani perché si prevedono tanti emendamenti. Il malumore dei laici è in particolare sulla prima parte del parere firmata dalla consigliera di Area, Elisabetta Chinaglia, e votata dalla Sesta commissione all’unanimità. In sostanza, accusa la riforma di voler rendere il Consiglio un mero esecutore, in violazione della Costituzione, prevedendo dei paletti invalicabili sulle procedure per le nomine. Ci dice un laico: “Non si può ignorare lo scandalo Palamara. Il legislatore indica criteri trasparenti da seguire e noi diciamo che non lo può fare, ma non è vero! E poi sono gli stessi magistrati che ci chiedono più paletti”. Concorda un altro laico che lamenta la fretta di questo plenum: “Abbiamo avuto solo il weekend per studiare”. La riforma è in Parlamento da 7 mesi ma adesso il parere “è urgente”, aggiungono, perché serve alla ministra in vista delle sue proposte di modifica.