Juventus. Il Maestro come il Vate sul biplano. Storia di Pirlo e di un “mayday!” annunciato

Era il 10 settembre, il campionato non era ancora cominciato, tutto era ancora di là da venire e sulla Gazzetta apparve un roboante articolo intitolato: “Riuscirà il folle volo di Pirlo? Insegue il tricolore di D’Annunzio”, che oggi, a sei mesi di distanza, vale la pena andare a rileggere.

“Tra dieci giorni – ci raccontavano – inizia il ‘folle volo’ di Andrea Pirlo (…) ‘Folle volo’ in senso dantesco: navigherà un mare mai battuto, oltre le Colonne d’Ercole. Ma ancor più in senso dannunziano. Il 9 agosto 1918 Gabriele D’Annunzio volò su Vienna e fece piovere centinaia di migliaia di volantini tricolori che inneggiavano alla vittoria dell’Italia nella Grande Guerra e alla resa dell’Impero Austro-Ungarico. Dal campo volo di San Pelagio (Padova) decollarono 11 biplani (numero da formazione di calcio). Solo 7 conclusero la missione. L’aereo di D’Annunzio era l’unico biposto. L’Ansaldo S.V.A. 10 era stato modificato in modo che il vero pilota, il capitano Natale Palli, azionasse i comandi dal sedile posteriore e davanti stesse il Vate, artefice dell’impresa e ispiratore dell’ideologia. In fondo, la prossima Juve sarà un po’ così: davanti Pirlo, col vento in faccia, a dettare la rotta tattica e i princìpi di gioco. Alle sue spalle, un team di tecnici che aziona i comandi (…). Nell’hangar, prima del decollo, D’Annunzio annunciò: ‘Se non arrivo a Vienna, torno indietro’. Riuscirà il ‘folle volo’ del Maestro nato a 40 km dal Vittoriale?”.

Chissà, magari nell’hangar juventino, prima del via, Pirlo aveva annunciato: “Se non arrivo a Istanbul (sede della finale Champions 2021, n.d.r.), o almeno allo scudetto, torno indietro”, intendendo la Juve Under 23 e il campionato di serie C cui pareva destinato prima della precettazione dell’amico presidente Agnelli, ansioso di chiudere l’era-Sarri conclusasi con l’umiliante eliminazione in Champions contro il modesto Lione, e a gettarsi nella nuova era: l’era-Pirlo, che per ordini di scuderia fu subito ribattezzato “il Maestro”, “il Predestinato”. Sei mesi sono passati dall’articolessa e dai mille editoriali inneggianti al nuovo Vate bianconero; che tuttavia, martedì 9 marzo, se n’è uscito dalla Champions agli ottavi (e ingloriosamente) come Sarri, contro il modesto Porto e con l’aggravante (terribile agli occhi dei tifosi) di aver già perso quasi ogni chance di conquista del decimo scudetto consecutivo che avrebbe dovuto chiudere l’età dell’oro firmata Conte, Allegri e Sarri.

Macchè. Il nuovo Boeing made in Juve disegnato da Agnelli, con Pirlo davanti a tutti “col vento in faccia” e un team di tecnici alle spalle “ad azionare i comandi” si è avvitato dopo il decollo e sta precipitando. Forse la voce del Maestro, compassato come nessuno, stenta a giungere allo staff. E infatti è Baronio, collaboratore tecnico, che in panchina si espone e sbraita a costo di farsi espellere (vedi Juve-Roma); e sono Pinsoglio (che almeno si rende utile) e Buffon (purché a favore di telecamera) a sbracciarsi e a dare indicazioni ai “ragazzi”; ed è il lungodegente Chiellini quello pronto a schizzare in piedi nel momento del bisogno. Mentre in tribuna a smoccolare contro gli arbitri ci sono loro, Paratici e Nedved, quest’ultimo con licenza di catapultarsi in campo per sfasciare a colpi di pedate cartelloni e quant’altro gli capiti a tiro ogni volta che le cose si mettono male. Spesso, quindi.

E insomma: c’era una volta il Nuovo Vate che tentò di volare. “Mayday! Mayday!”, si udì subito distintamente.

 

Italia divisa. Quelli che “la mascherina no” e i “fessi” che rispettano sempre le regole

Leggete ed esercitate la memoria, per favore: “Dichiara e diffinisce tutti coloro essere compresi in questo bando, e doversi ritenere bravi e vagabondi… i quali, essendo forestieri o del paese, non hanno esercizio alcuno, od avendolo, non lo fanno… […] A tutti costoro ordina che, nel termine di giorni sei, abbiano a sgomberare il paese, intima la galera a’renitenti, e dà a tutti gli ufiziali della giustizia le più stranamente ampie e indefinite facoltà, per l’esecuzione del- l’ordine”. Ricordate? Sono le celeberrime grida manzoniane. Così inizia infatti il bando dell’otto aprile dell’anno 1583, firmato dall’“Illustrissimo ed Eccellentissimo signor don Carlo d’Aragon, Principe di Castelvetrano, Duca di Terranuova, Marchese d’Avola, ecc. ecc.”. Così inutile nella sua terribilità da dovere essere nuovamente (e altrettanto inutilmente) emesso quattro giorni dopo.

Ecco, mi sono venute in mente codeste grida osservando quel che succede nel quartiere milanese in cui mi è concesso dalle grida contemporanee di camminare e sfiorare con lo sguardo miei simili dalle mascherine alzate fino alle pupille. Già, perché questo lockdown lungo un anno mi sta rendendo un po’ strano. Mi trovo spesso a riflettere sulle disuguaglianze delle famose “opportunità di vita” con cui dobbiamo fare i conti. Che non dipendono più dai nostri talenti e dai nostri meriti (o dai nostri privilegi per nascita) ma dalla nostra braveria Ti farebbe piacere partecipare a un piccolo assembramento, vedere cinque minuti in faccia i tuoi amici, colleghi e allievi? Ti piacerebbe camminare senza museruola, respirando ossigeno nel parco? Ti farebbe piacere una sera al ristorante o prendere un aperitivo stando in piedi fuori dal bar o dall’ostello preferito, o guardando l’amatissimo cortile dell’università in cui insegni? Oh sì, e quanto! Ma ci sono le grida. E io non ho dentro di me la braveria necessaria per fottermene.

Così la mia vita è diversa, ha meno opportunità di altre. Ed è così da un anno perché da un anno ci sono i contagi. E i contagi ci sono, pare, perché si sta senza mascherina, perché ci si accalca, perché si ride e si grida stando a mezzo metro di distanza. Per carità, se non è vero mi rimangio tutto. Ma se è vero, se quelli che ci hanno martellato dalle tivù non sono dei cialtroni, vuol dire che coloro che si assembrano e ridono e brindano tutti i giorni, tutti i tardi pomeriggi, producono contagio. E contagiando – loro che stanno lì fuori – costringeranno me a stare in casa ancora a lungo. Perché arriverà la quarta ondata e poi le mutazioni di questa peste che sempre più (l’ho detto che mi sto facendo strano…) io penso sia nata – come era stato annunciato prima che ci piombasse addosso – in qualche stramaledetto laboratorio orientale.

Ormai vedo i nuovi bravi milanesi come gli evasori che non pagando le tasse mi costringono a pagare di più. La signora che si fa tutto parco Ravizza senza mascherina, non con la mascherina abbassata, dico, ma proprio arrivando e andandosene tracotante a faccia tutta nuda. Le coppie che camminano senza dare mostra di avere una mascherina in tasca. La ragazza che sta al telefono e urla senza museruola né per sé né per il suo cane. I gruppi di cinquanta, sessanta, sbevazzanti davanti ai bar, da via Ripamonti alla Bocconi, senza che nessuno intervenga, per carità, nemmeno a chiamata, le chiamate vere o finte per cui si interviene sono altre.

Poi scopri che la zona in cui vivi è una delle tre a più alto indice di contagio a Milano. E allora te la prendi anche con le grida, con gli araldi e con la gendarmeria. Con chi protegge la braveria e farà recitare nuove grida. Mentre i timorati di Dio e delle leggi attendono i vaccini. Intanto la cerimonia di 40 persone con mascherine per ricordare le vittime innocenti di mafia non si può fare. Logico, siamo al rosso. Ma che senso ha?

 

Terapie in sosta “Il cancro non va in lockdown.Ho un tumore, il Covid, e non posso curarmi”

 

“Fino al il tampone negativo, reparto oncologico sbarrato”

Ciao Selvaggia, ho pensato a te per raccontare quel che succede in uno dei più rinomati ospedali dell’Emilia Romagna e anche d’Italia: l’Ospedale Sant’Orsola. Dal 2019 frequento (ahimè) assiduamente il reparto di oncologia per cronicizzare un tumore metastatico. Ogni 3 settimane ho il mio appuntamento fisso con le 3-4 ore di terapia in compagnia di un personale sanitario splendido. Purtroppo 3 settimane fa sono risultata positiva al Covid, con febbre a 37,8 e tosse, sintomi scomparsi nel giro di 10 giorni. Ho eseguito il primo tampone di guarigione al 14º giorno di isolamento, come da procedura, ma risulto ancora positiva. Ho contattato subito il reparto di oncologia: mi è stato detto che, finché non avrò un tampone negativo e la lettera della Asl che sancisca la fine dell’isolamento, non potrò entrare in ospedale per la mia terapia.

La triste riflessione che faccio è: durante un anno di pandemia, è stato chiesto a noi malati oncologici di non aver paura e di continuare le terapie, i controlli, le analisi strumentali e quindi di continuare a recarci in ospedale per trascorrerci intere giornate; ma ora che il coraggio devono mettercelo i sanitari “vaccinati” non possiamo neanche avvicinarci. A un anno dall’inizio della pandemia non è stato creato un percorso e una sezione dedicata ai malati oncologici positivi (o debolmente positivi) perché possano usufruire delle cure salvavita! Come a dire che se mi rompo una gamba posso andare a farmi curare al pronto soccorso ortopedico ma se necessito di una cura per non morire di cancro non posso presentarmi.

Non possiamo usufruire delle cure se positivi ma al contempo noi “fragili” non siamo stati ancora vaccinati a 3 mesi dall’inizio delle vaccinazioni. Oltre alle cure oncologiche abbiamo anche necessità di assumere farmaci ospedalieri (somministrabili solo da personale specializzato), pulizia degli accessi venosi, cose che da soli non si possono gestire. E anche per queste necessità bisogna rivolgersi ad infermieri privati, sperando di trovare, come è accaduto a me, un infermiere vaccinato “coraggioso” che ha posto davanti alla probabilità di contagiarsi la necessità della mia cura. Nessun medico ad oggi mi ha detto che ci sono controindicazioni ad eseguire le terapie oncologiche in concomitanza con positività al Covid in persone asintomatiche e debolmente positive; mi è solo stato detto di non presentarmi. E se la mia positività durasse 40 giorni o più, come se ne sentono tutti i giorni? Salterei 2 cicli di terapia? Perché non si è deciso di vaccinare subito anche i malati oncologici senza una soluzione per garantire le terapie salvavita?

Francesca

È davvero triste realizzare quanto il Covid abbia fatto ammalare e quanto abbia reso difficile curare anche le altre malattie. Dovevamo muoverci d’anticipo almeno in questa seconda fase e invece ci siamo fatti cogliere imperdonabilmente impreparati. Un’altra volta. E no, a un tumore non puoi chiede un lockdown di due mesi. “Il tumore non si ferma”, questo sì che sarebbe uno slogan azzeccato per sensibilizzare sul tema. Un abbraccio.

 

Confessioni di una cosplayer (su twitch): molestie, un’agonia

Cara Lucarelli, sono un grande appassionato del Giappone fin da bambino, e in particolare di manga e anime. Fra tutte le fissazioni che otaku come noi hanno, quella che senza dubbio è più facilmente comprensibile anche da chi questo mondo non frequenta è il cosplay (a cui il Fatto.it di tanto in tanto dedica alcuni articoli), l’uso a vestirsi come gli eroi dei fumetti, videogiochi e film, durante le fiere del fumetto; e la ragione – almeno per i maschi – è anche perché, di recente, c’è una fiorente profusione di modelle cosplayer, bellissime ragazze che si vestono come le protagoniste delle nostre passioni, facendo viaggiare parecchio la nostra fantasia di eterni adolescenti. Da parte mia, di queste ragazze, non ne seguo molte su internet (non amo i social). Ma di recente, durante il lockdown, ho preso a seguirne più spesso una in particolare: A.. Vorrei essere chiaro: non è solo una bella ragazza che ama vestirsi strano, è anche laureata. Se vedessi i suoi live su Twitch, scopriresti che è una persona simpatica e semplice (lontana dagli stereotipi) autoironica e divertente, imbranata alle volte, capace di alternare momenti vestita da sexy-pokemon a ore di divulgazione. Non è solo appassionata di cosplay, manga e videogiochi, ma anche di scienza e cucina. Per uno come me, praticamente da sposare, se non fosse già occupata.

Purtroppo, ragazze come lei sono spesso vittime di stalking, e non mi stupii quando venni a sapere dei maniaci che la perseguitavano. Sul momento non mi preoccupai granché: aveva denunciato e fatto il possibile per farla pagare a quegli imbecilli. Tuttavia, appena ieri, in una sua story su Instagram ha raccontato in dettaglio la vicenda, molto più complessa e disgustosa di quanto apparisse, fino addirittura alle minacce. Conosce la vicenda?

Andrea

Ciao Andrea, no, ma me ne interesserò. Posso però dirti che le cosplayer sono da tempo oggetto di bullismo, ricordo bene che su gruppi di bulli come “Pastorizia never dies” e “Welcome to favelas” apparivano spesso foto di ragazze vestite ispirandosi a personaggi dei Manga, talvolta fotografate di nascosto. Evidentemente, per una donna, anche sognare di essere un cartone animato è una pena da espiare.

Povertà. A sinistra il più concreto resta Francesco, tra retorica di “Mario” e promesse del “nuovo” Letta

Volendo provocare, ma non più di tanto, a sinistra il più lucido e concreto resta sempre papa Francesco. Basta leggere l’anticipazione sulla Stampa di ieri di un brano del libro-intervista con il vaticanista Domenico Agasso, Dio e il mondo che verrà, in uscita domani.

Ancora una volta, il pontefice insiste su ambiente e poveri e indica una strada pragmatica per arginare il capitalismo famelico. Cioè, quattro criteri “per scegliere quali imprese sostenere: inclusione degli esclusi, promozione degli ultimi, bene comune e cura del Creato”. Ché ormai “è tempo di rimuovere le ingiustizie sociali e le emarginazioni”. Le parole di Francesco – che sabato ha festeggiato i suoi otto anni di pontificato – sovente si scontrano con la mera retorica di governi e politica. Per restringere il discorso all’Italia, l’ultimo a fare un esercizio di stile su povertà e ambiente è stato il premier Mario Draghi.

Meno di un mese fa, in occasione del voto di fiducia alle Camere, l’ex capo del Bce ha citato proprio Francesco sulla necessità di proteggere l’ambiente e poi ha menzionato la Caritas per quanto riguarda l’impoverimento degli italiani in questa guerra pandemica. Ma da allora il nuovo Mite, il ministero per la Transizione ecologica, ha pensato soprattuttto a distribuire incarichi e consulenze, mentre i richiami all’emergenza sociale sono stati controbilanciati dalla pletora di turbo-liberisti sbarcati a Palazzo Chigi. Certo, un mese è poco per giudicare, ma il draghismo non sembra avere tanta voglia di disturbare i padroni del vapore di quel capitalismo che rende sempre attuale Karl Marx: “L’accumulazione di ricchezza all’uno dei poli è dunque al tempo stesso accumulazione di miseria, tormento di lavoro, schiavitù, ignoranza, brutalizzazione e degradazione mentale al polo opposto”. Appunto.

Ovviamente, una citazione di papa Bergoglio l’ha fatta ieri anche il “nuovo” Enrico Letta, neosegretario del Pd dopo le dimissioni di Nicola Zingaretti. Pure l’ex premier tornato dopo sette anni di esilio francese si è interrogato sulla povertà: “Penso al mezzo milione di italiani che hanno perso il lavoro, a loro noi guardiamo cercando le migliori soluzioni per il loro futuro. Mi viene in mente la frase di Papa Francesco che dice che vorrebbe un mondo che sia un abbraccio fra giovani e anziani”. Indi ha promesso “misure per la povertà”. Troppo generico per essere efficace e dare la sensazione di far uscire il Pd dalle comode e benestanti Ztl dei centri urbani. Al contrario di quello che ha detto l’ex tesoriere ds Ugo Sposetti, fortemente critico con Draghi e Letta, in una conversazione con l’Espresso: “Il popolo, qui a Roma, è per esempio Torpignattara, Cinecittà, è tutto il lungo nastro della Tuscolana. Se tu percorri quella strada e ti fermi a ognuno dei semafori, guardi a destra e a sinistra, tutti quei palazzi. Chi ci parla, con quelli che stanno lì dentro, con tutte quelle persone?”.

Post scriptum. L’unico leader politico che in questi anni ha detto di aver seguito le indicazioni di Francesco è stato Beppe Grillo. Indovinate con che cosa? Con il turpe e odiato reddito di cittadinanza, ça va sans dire.

 

La lezione di Pirandello e la trappola del plebiscito

Enrico Letta è un politico di lungo corso talmente bene inserito nell’establishment italiano ed europeo da potersi intestare un programma “di sinistra” senza che gli piovano addosso accuse di estremismo o di post-comunismo. Discepolo di Nino Andreatta, gli viene naturale mostrare un profilo rassicurante al mondo imprenditoriale quand’anche propone l’“economia della condivisione”. Il conflitto sociale, con lui, resta fuori dall’uscio. Ha usato parole chiare, d’ispirazione prodiana, per ricordare che il Pd vince solo quando fa coalizioni. Conferma perciò sintonia con Conte e il “suo” nuovo M5S. Ma si ferma un attimo prima dal trarne l’ovvia conseguenza: cioè l’auspicio che il prossimo parlamento venga eletto con un sistema maggioritario e senza più l’odiosa imposizione dall’alto delle candidature, in barba all’articolo 49 della Costituzione.

Letta conosce bene la trappola nascosta nella stupefacente votazione plebiscitaria che lo ha consacrato segretario. Espressa da un organismo dirigente pachidermico, chiamato solo a ratificare in fretta e furia l’accordo fra i capicorrente. Prima si decide e solo poi, eventualmente, si discute. Così funziona nel Pd. E difatti Letta, pur con le sue indubbie qualità, è stato scelto in quanto “usato sicuro” da chi preferirebbe rimpicciolire tutti insieme piuttosto che rinunciare alla sua quota di potere. Rivolgendosi ai congiurati che hanno indotto alle dimissioni il suo predecessore Zingaretti, e che non esitarono a tradirlo per Renzi sette anni fa, è ricorso a Pirandello: “Nella vita incontrerai molte maschere e pochi volti”. Per poi annunciare una “verifica chiara e netta sul rispetto della parola” nei gruppi parlamentari. Gli suggerirei di approfittare del voto di ieri per non ripetere l’errore di Zingaretti e designare subito capigruppo di sua fiducia, onde evitare brutti scherzi.

“Nicola Russo chi?”. Quando l’omonimia diventa un incubo

Il giudice della Corte di Appello di Napoli Nicola Russo è afflitto da una omonimia che è diventata una persecuzione. Stesso nome e professione analoga a quella del giudice del Consiglio di Stato, Nicola Russo, condannato a settembre 2020, in primo grado, a 11 anni per aver venduto sentenze e, nel passato, per prostituzione minorile. “Per almeno otto volte tra siti, tv e giornali cartacei nazionali, la mia foto è stata associata alle vicende giudiziarie del mio omonimo. E non voglio contare le volte in cui la mia foto è apparsa in piccoli blog o testate che non conosco”, afferma sconfortato l’intervistato.

Noi del Fatto quotidiano negli anni scorsi abbiamo commesso due volte quest’errore. La foto utilizzata erroneamente dalle testate giornalistiche per rappresentare il Nicola Russo, consigliere di stato condannato, ritrae, invece, il Nicola Russo, giudice penale a Napoli, mentre era in udienza durante il processo che portò alla condanna, in primo grado, di Silvio Berlusconi per la compravendita dei senatori (poi prescritta).

Giudice Russo, dopo aver visto otto volte la sua foto a corredo di notizie su indagini e condanne, si sarà convinto anche lei di essere un corrotto.

(Ride). Per fortuna no, decisamente no. Sono ancora certo di essere un giudice e una persona per bene. Il problema è che possa essersene convinto qualcun altro.

Scherzi a parte, secondo lei come è stato possibile che un errore simile si sia ripetuto tante volte, negli anni, anche in testate autorevoli, nonostante le sue numerose precisazioni, diffide, azioni legali?

Pensi che il direttore di una testata web, dopo aver ripetuto per la seconda volta questo errore, mi ha chiesto addirittura una pec per rimuovere la foto. Una pec. A settembre 2020, al momento della condanna dell’altro Nicola Russo, ben cinque quotidiani hanno sbagliato contemporaneamente utilizzando la foto che mi ritraeva nel citato processo. Evidentemente la fretta di dare la notizia eclatante, “di non bucarla”, porta le redazioni giornalistiche a non controllare fino in fondo le vere fonti.

Nel suo caso, poi, c’è qualcosa di diabolico: se uno cerca “giudice Nicola Russo” negli archivi fotografici delle agenzie esce il suo volto, e solo il suo, perché in passato lei si è occupato di processi e ha ricoperto ruoli di notevole interesse pubblico, tra cui quello di componente del direttivo della Scuola Superiore di Magistratura.

Ma in ogni caso la delicata attività della scelta di una foto dovrebbe essere soggetta a una particolare vigilanza, tipicamente giornalistica, per verificarne la corrispondenza alla persona oggetto dell’articolo. Altrimenti i danni possono essere notevoli. Come quelli che ho subito io e che presumo abbiano subito altri “omonimi” in storie meno famose della mia.

Lei si è rivolto al Garante della Privacy e all’Autorità di vigilanza sulle Comunicazioni.

Non vedevo una fine a questa deriva di errori.

Le hanno risposto?

Fino ad oggi non mi hanno minimamente preso in considerazione.

Perché ritiene debba intervenire il garante della Privacy?

Dovrebbe attivarsi sui gestori dei motori di ricerca, per evitare che si replichi all’infinito lo sbaglio originario. Se googlando “giudice Nicola Russo” esce la mia foto affianco alla storia di un condannato in primo grado per corruzione in atti giudiziari, la peggiore accusa possibile per un magistrato, il Garante per la Privacy non può far finta di nulla e neanche degnarsi di dare una risposta.

E torniamo alla deriva di errori. È colpa solo di una cattiva organizzazione interna dei media?

No, andrebbe fatta una riflessione anche su altro.

Facciamola.

L’informazione non dovrebbe rincorrere l’immediatezza, lo scoop ad ogni costo, ma trovare il tempo di fare i giusti e dovuti approfondimenti. Dovrebbe rallentare. Ragionare. Valutare. Tornare all’origine del suo scopo. Oggi più che mai le persone hanno bisogno di essere guidate nella riflessione, nel discernimento visto l’enorme ed ingestibile quantità di notizie da cui vengono raggiunte.

Che problemi ha dovuto affrontare nella vita di tutti i giorni?

L’errore reiterato ha generato nei lettori, ad eccezione di quelli che sono frequentemente in contatto con me, il convincimento che la notizia fosse vera. Ho svolto e svolgo attività di cooperazione internazionale ed ho dovuto avvertire ambasciate e colleghi di altri paesi che quella persona non ero io; il direttore dell’accademia giudiziaria della Repubblica Ceca mi scrisse, per fare un esempio, in una lettera garbata, che non avrebbe potuto confermare la mia presenza come relatore ad un convegno sulla corruzione qualora fossi stato io il giudice condannato per prostituzione minorile. Questo non è un problema solo per me, ma anche per il Paese che rappresento. Da quel momento mi preoccupo, sempre, quando sono invitato ad eventi pubblici, di compiere questa precisazione, e ciò mi costa davvero tanto dal punto di vista psicologico ed anche per l’amore che ho per la magistratura, dovendo dare ulteriore eco a fatti che offendono e feriscono la funzione giudiziaria.

Lei ha mai conosciuto il suo omonimo?

Non so chi sia.

Di lui non si riesce a trovare una foto. È normale che il mondo dell’informazione non riesca a disporre della foto di un giudice indagato per reati gravissimi, e invece riesca a reperire quella di un giudice di processi importanti? Forse dovrebbe essere normale il contrario.

Se è così, bisogna riconoscere che il mio omonimo è stato attento a non far circolare foto in internet. In ogni caso è doveroso non pubblicare alcuna foto se non si è sicuri dell’identità della persona ritratta.

Lei sa che non finisce qui: tra qualche anno ci sarà un appello, o altre vicende sul suo omonimo. Come vivrà quelle giornate?

Come quelle vissute finora. Consultando i siti, comprando i giornali, rispondendo al telefono a chi mi chiede se sono io. Nel compimento di questa defatigante attività chiarificatoria provo fastidio, profondo disappunto e sconforto. In ogni caso non lascerò che tutto scorra come se niente fosse e mi batterò sempre per la tutela della mia dignità professionale, sociale e personale. Lo devo alla mia funzione, alla mia storia e alle persone che mi sono care.

La sai l’ultima?

Cagliari Negazionista va a fare la spesa travestito da pecora, multato per 400 euro

Nella variopinta galassia del negazionismo italiano mancava fino all’altroieri la figura carismatica del 35enne cagliaritano che si traveste da pecora per andare a fare la spesa. Con gli occhiali da sole, la mascherina bucata all’altezza della bocca e un rotolo di carta igienica appeso al collo come un campanaccio, questo gigante del pensiero contemporaneo si aggirava tra gli scaffali di un market di Sarroch (hinterland cagliaritano) fingendo starnuti e colpi di tosse e riprendendo la prode impresa con il cellulare. “L’avete mai vista una pecora che fa la spesa? È pieno”, dice nel video, compiaciuto della sottile provocazione. “Stando a quanto riferito da alcuni testimoni – scrive l’Agi – l’uomo sarebbe anche entrato in alcuni negozi all’urlo di ‘sono positivo’”. È sempre salato il conto che paga chi lotta per scuotere le coscienze collettive: il genio di Sarroch è stato individuato e omaggiato con una multa da 400 euro.

 

Usa Uomo paralizzato da un infarto viene salvato dal cane, che lo trascina fino al telefono per chiamare i soccorsi
Un 59enne americano ha raccontato al Washington Post la storia incredibile di come il suo cane gli ha salvato la vita. Brian Myers è stato colpito da un infarto che l’ha lasciato semi paralizzato ai piedi del suo letto, con il cellulare appoggiato su un comodino a qualche metro di distanza. Non riusciva a muoversi per chiamare i soccorsi, era solo in casa. A quel punto è entrata in camera Sadie, il pastore tedesco che aveva adottato da un canile quattro mesi prima. “Ha cominciato a leccarmi la faccia e a piangere – racconta Myers – così ho allungato la mano per accarezzarla e mi sono aggrappato al suo collare”. Il cane l’ha trascinato verso il comodino, centimetro dopo centimetro. “Non è mai stata addestrata per questo ma aveva capito che c’era qualcosa che non andava e che ero nei guai”. In pochi minuti Sadie ha spinto il padrone fino a sotto il mobile, dove ha potuto raggiungere il telefono e chiamare l’ambulanza. Se l’è cavata con un mese di ricovero e di fisioterapia.

 

Svizzera Alle urne in pandemia per far scoprire il viso: il referendum anti-burqa passa con il 51,2% dei voti
Ironia: di questi tempi c’è chi si preoccupa di far scoprire il volto alle persone, piuttosto che il contrario. In Svizzera è passato il referendum per “il divieto di dissimulare il viso in luoghi pubblici”. Più banalmente, una legge anti-burqa. Come scrive il Sole 24 Ore, “il testo di modifica costituzionale promosso dalla destra conservatrice e combattuto dal governo ha ottenuto il 51,2% dei consensi degli elettori e l’adesione di 20 dei 26 cantoni”. Inutili i tentativi di mediazione: “Governo e Parlamento hanno sostenuto un controprogetto, che prevedeva l’obbligo di mostrare il viso alle autorità solo nei casi necessari ad accertare l’identità”, ma la destra è andata dritta sul referendum. In Svizzera vivono 8 milioni e mezzo di persone, i musulmani sono circa il 5%. Quante saranno le donne che indossano burqa o niqab? Non ci sono statistiche, ma crediamo davvero poche. Eppure, in tempi di pandemia e mascherine, il popolo è stato chiamato a pronunciarsi sul divieto e ha detto sì.

 

Monza Piccione appeso a testa in giù su un albero soccorso e liberato da una pattuglia di vigili del fuoco
Cosa ci fa un piccione appeso a testa in giù su un albero a Monza? Non lo sappiamo. Ma è una favola a lieto fine: il volatile in posa mussoliniana, diciamo, è stato salvato dalla Protezione Animali e dai vigili del fuoco. Il comunicato dell’associazione racconta splendidamente i dettagli: “I fili che aveva attorcigliati alle zampe si erano impigliati al ramo su cui si era posato e cercando di riprendere il volo era finito appeso a testa in giù. Se ne è accorto un operatore scolastico che ha subito fatto la segnalazione a Enpa di Monza e Brianza. L’operatrice Federica si è recata sul posto: il piccione si divincolava e sbatteva le ali, ma senza riuscire a liberarsi. Un recupero complicato. Purtroppo il ramo a cui era legato si trovava a un’altezza considerevole e sporgeva su un terreno in discesa. L’impossibilità di arrivare al ramo con una scala ha indotto Federica ad allertare i vigili del fuoco, che sono tempestivamente usciti con una pattuglia”. Urrà per gli eroi in divisa: il piccione è salvo.

 

Cesena Ritorna un grande classico della pandemia: scrive sull’autocertificazione che deve andare a prostitute
Sia detto col dovuto rispetto, ma nemmeno col governo Draghi si può andare a puttane. Con l’ultimo Dpcm torna un grande classico della pandemia: le autocertificazioni surreali. Anche sotto il nuovo esecutivo c’è chi giustifica alla polizia i suoi spostamenti rivendicando di avere un appuntamento con le prostitute. Succede a Cesena, come riporta il Corriere Romagna: “Nelle ultime giornate le multe nel cesenate sono state meno di una decina. Quando i criteri di ‘urgenza’ denunciati per trovarsi fuori di casa non potevano in nessuna maniera passare inosservati. Decisamente fuori dal comune quanto dichiarato da un cesenate di mezza età che, all’alt che gli è stato imposto, ha giustificato la propria presenza fuori casa per un appuntamento fissato con una prostituta. Appuntamento che a lui pareva certo indifferibile ma che non rientra tra le possibilità di uscita dettate da alcun Dpcm e nemmeno nell’elenco delle attività merceologiche possono restare aperte in pandemia”.

 

Bari Arrestato spacciatore 35enne: vendeva droga su Telegram con il nickname “Mister Pablo Escobar”
Vendeva droga su Telegram facendosi chiamare “Mister Pablo Escobar”. Chissà come hanno fatto a beccarlo, con questo pseudonimo criptico, allusivo, tra il dico e il non dico. La raffinata mente criminale è quella di un 35enne di Bari con precedenti per spaccio, arrestato dai carabinieri pochi giorni fa. “I militari – scrive la Gazzetta del Mezzogiorno – hanno analizzato il contenuto del cellulare dell’uomo, scoprendo un vero e proprio bazar della droga online. Tramite il proprio profilo Telegram, nel quale si identificava col nickname @Mister_Pablo Escobar, proponeva, sul canale Top Drugs Italia la vendita di sostanze stupefacenti di vario tipo (hashish e marijuana) per le quali riceveva denaro virtuale (bitcoin) o contante.I militari hanno intercettato una spedizione da poco effettuata in favore di un utente, con nome di fantasia, di Augusta (Siracusa): nel pacco c’era 1 kg di hashish suddiviso in panetti da 100 grammi l’uno, immediatamente sequestrati”.

 

Prato Il pusher dell’eroina si lamenta con i carabinieri che lo stanno arrestando: “Ora basta, non ci fate lavorare”
C’è grossa crisi. Le piazze ribollono. Anche gli spacciatori si lamentano, non gli arrivano nemmeno i ristori. A Prato un pusher arrestato dai carabinieri ha sfogato la sua frustrazione per le difficili condizioni in cui è costretto a esercitare la sua professione: “Ora basta! Non ci fate lavorare!”. Non c’è rispetto, non si può vendere nemmeno più la droga in pace. “Quel giovane – racconta il Tirreno – lo conoscevano perché non era la prima volta che lo fermavano, e sapevano che probabilmente aveva con sé un po’ di eroina”. Trattasi dunque di accanimento. “Sospetto confermato dalla perquisizione, durante la quale sono saltate fuori 18 dosi di eroina per un totale di 14 grammi, oltre a un paio di grammi di marijuana. Ma è stata la reazione verbale del giovane a sorprendere i carabinieri, come se invece di trovarsi davanti uno spacciatore fossero andati a controllare un bar o un ristorante per far rispettare i divieti anti Covid”.

Sarah Everard, proteste contro sessismo e abusi della polizia

La folla si ammassa sotto la sede di New Scotland Yard, a poche decine di metri da Westminster: i due grandi centri di potere dello Stato britannico. È una manifestazione convocata in poche ore da una rete di associazioni per i diritti delle donne. La reazione alla repressione violenta, da parte del Met (la polizia metropolitana), alla veglia di sabato per Sarah Everdale, l’ultima di una eterna sequenza di vittime di femminicidi e stavolta, secondo gli investigatori, per mano di un poliziotto. Scene condannate in modo bipartisan, che hanno devastato la credibilità del Met.

Ci sono alcune migliaia di persone, quasi tutti ventenni, ragazzi e ragazze, mobilitati sui social. “Shame on you” gridano. Vergogna, ai poliziotti schierati a distanza. Cartelli su pezzi di cartone. “Sono nel fottuto 97%”, quel 97% di donne fra i 18 e i 24 anni che, dice un sondaggio recentissimo, ha subito molestie in pubblico. Verso le 4.30 si muovono verso i giardini di Parliament Square, sotto la statua di Churchill. “Ci hanno insegnato a temere le streghe, non gli uomini che le bruciavano” ha scritto Rachel, 23 anni, qui con l’amica Clare. “Siamo irlandesi, non abbiamo nessuno qui. Londra fa paura di notte, ci scortiamo l’un l’altra”. Benji, 20 anni, ragazzo di colore, altissimo: “Sono socialista, attivo politicamente. Combatto la violenza della polizia e il sessismo”.

L’altro slogan è Kill the Bill, ferma la legge. Domani in Parlamento si vota per estendere il potere della polizia di impedire qualsiasi protesta, anche di una sola persona, anche per “eccessivo rumore o cattivo odore”.

“Salvini sciacallo” non è reato

Opposizione respinta, l’accusa è archiviata. Ilaria Cucchi non ha diffamato Matteo Salvini quando ha detto che è “uno sciacallo di basso livello sulla morte di mio fratello”, che è “completamente fuori dal mondo” e “probabilmente ancora sotto l’effetto del mojito”. Quelle frasi, scrive la giudice di Milano Lidia Castellucci nell’ordinanza depositata il 12 marzo, “non appaiono esternate per apportare un vulnus alla considerazione dell’offeso quanto piuttosto passibili di un uso funzionale, nel noto contesto della vicenda, ad argomentare un giudizio sulla persona che, per quanto forte e ‘violento’, rientra tuttavia nel perimetro della critica”.

Era il novembre 2019. L’ormai ex ministro dell’Interno, commentando la condanna a 12 anni dei due carabinieri accusati di omicidio preterintenzionale per la morte di Stefano Cucchi nel 2009, ha dichiarato: “Se qualcuno ha sbagliato paga; in divisa e non in divisa”. Poi però il leader leghista ha aggiunto: “Questo testimonia che la droga fa male sempre e comunque”. E Ilaria Cucchi ha risposto su Radio Rai, a “Lavori in corso”: “Matteo Salvini fa speculazione su mio fratello, sono stata accusata io di fare questo ma lui è uno sciacallo di basso livello sulla morte di mio fratello e sulla nostra storia. Arriva al punto di parlare ancora di droga nel momento in cui sono state emesse sentenze di condanna per omicidio… Ma che ci vuole dire che i drogati devono essere uccisi? Secondo me lui è completamente fuori dal mondo… Mio fratello non è morto perché drogato, è chiaro a tutti fuorché a Salvini che ripete sempre le stesse cose… Probabilmente sarà ancora sotto l’effetto del mojito”. Il capo della Lega ha sporto querela, la Procura di Milano ha chiesto l’archiviazione perché le dichiarazioni di Ilaria Cucchi erano da intendersi nell’accezione reale in cui “sciacallo” è chi “approfitta cinicamente delle disgrazie altrui” e comunque era “ravvisabile l’esimente della provocazione”. Ma Salvini, assistitito dall’avvocato Claudia Eccher, si è opposto. Di qui l’udienza, come prevede la legge, e ora l’ordinanza di archiviazione. “Le esternazioni di Ilaria Cucchi – scrive la giudice – si inseriscono in una travagliata e oltremodo dolorosa vicenda giudiziaria… Appaiono sì forti e offensive ma funzionali, nell’acceso dibattito, a reagire a quella che è stata percepita come una indebita e inconferente associazione del ‘caso Cucchi’ alla problematica, generale, della droga… Ha utilizzato l’espressione ‘sciacallo’ per rimarcare semanticamente l’indebito accostamento che era stato fatto”.

A Roma c’è una querela di Ilaria Cucchi, assistita come sempre dall’avvocato Fabio Anselmo, contro le dichiarazioni di Salvini sulla “droga” che “fa male”. La Procura ha chiesto l’archiviazione e ora, probabilmente, l’opposizione di Cucchi sarà ritirata. Ha già vinto a Milano.

AstraZeneca, dubbi e tagli. L’Ue: “Ci salverà la Pfizer”

“Non c’è nessuna relazione diretta e nessun rischio” sul vaccino AstraZeneca, dice il professor Giorgio Palù, virologo di fama internazionale e ora presidente dell’Aifa, l’agenzia del farmaco. “C’è molta emotività e lo ricordo già ai tempi dell’influenza” quando si sospese la vaccinazione “e poi si dimostrò che quelle morti non erano correlate”, ricorda il professore. Rassicura anche Pierpaolo Sileri, medico e sottosegretario alla Salute: “Lo farei subito”. “I vaccini sono sicuri”, ha detto il ministro Roberto Speranza. Ma ormai la psicosi c’è, diverse Procure dalla Sicilia a Napoli e Bologna indagano sugli eventi tromboembolici e altri decessi di persone appena sottoposte alla vaccinazione anti-Covid 19 con il siero dell’azienda anglo-svedese. Ne hanno sospeso l’uso a scopo precauzionale Danimarca, Norvegia, Islanda, Estonia, Lituania, Lettonia e Lussemburgo. In Irlanda le autorità sanitarie chiedono di fare lo stesso.

L’Aifa assicura che “le attività di farmacovigilanza proseguono sia a livello nazionale che europeo” ma “l’allarme non è giustificato”. AstraZeneca ha reso noto che all’8 marzo, su 17 milioni di persone vaccinate in Europa e nel Regno Unito, “ci sono stati 15 eventi di trombosi venosa profonda e 22 eventi di embolia polmonare segnalati tra coloro a cui è stato somministrato il vaccino” ed è un numero “molto più basso di quanto ci si aspetterebbe che si verifichi naturalmente in una popolazione generale di queste dimensioni”.

Da noi c’era solo un lotto sospeso, da ieri due. In Piemonte hanno bloccato quello da cui proveniva la dose iniettata al professor Sandro Tognatti, 57 anni di Cossato (Biella), insegnante di clarinetto al conservatorio di Novara e musicista dell’orchestra Rai. A qualche ora dalla somministrazione si è sentito male ed è morto prima che arrivassero i soccorritori. La prima reazione di Antonio Rinaudo, dell’Unità di crisi del Piemonte, è stata sospendere le vaccinazioni con AstraZeneca. Dopo frenetiche chiamate tra Torino e Roma hanno corretto il tiro: sospeso solo il lotto ABV5811, che peraltro sarebbe stato utilizzato anche altrove senza problemi. Ora, si dice, Rinaudo rischia il posto, ma la giunta “per ora” lo esclude. Il sindacato dei dirigenti medici Anaoo Assomed denuncia l’allarmismo. L’Ordine dei medici chiede uno scudo penale per i vaccinatori, che si ritrovano indagati per omicidio colposo quando qualcuno muore. E intanto migliaia di persone in tutto il Paese disdicono le prenotazioni con AstraZeneca, le cui somministrazioni peraltro ammontano a un po’ meno della metà dei quantitativi consegnati alle Regioni. La quota è ben più alta per Pfizer/Biontech e Moderna. Ieri 180 mila somministrazioni, siamo quasi a due milioni di vaccinati.

A Bruxelles invece il problema principale è un altro: quello dei ritardi di AstraZeneca nelle consegne, destinate a proseguire nel secondo trimestre. La scelta è puntare di più su Pfizer/Biontech: ritardi “inaccettabili”, ha detto ieri il commissario europeo al Mercato interno Thierry Breton, ma “non saremo in ritardo con il nostro programma nel primo trimestre” perché “Pfizer sta producendo di più, molto di più del previsto, e ci darà di più”. …

È stata, come previsto, una domenica di assembramenti, feste interrotte dalla polizia a Milano, multe e locali sanzionati e strade chiuse a Roma per eccesso di folla. Il Viminale aveva ordinato di intensificare i controlli. Oggi più di mezza Italia entra in zona rossa: sono arancioni solo Val d’Aosta, Alto Adige, Toscana, Umbria, Abruzzo, Basilicata, Calabria e Sicilia; bianca la Sardegna. Per tutti gli altri non è il lockdown deciso l’11 marzo di un anno fa, ma si torna ai posti di blocco e all’autocertificazione.