Un centinaio di mail, tradotte e depositate nel processo che coinvolge Matteo Salvini, accusato dalla Procura di Palermo di sequestro di persona e abuso d’ufficio per aver impedito per sette giorni lo sbarco dei migranti soccorsi dalla ong. In quelle comunicazioni, secondo i pm, c’è la ricostruzione più fedele di quanto accaduto a bordo della nave Open Arms. E rischia di essere una verità indigesta per l’ex ministro dell’Interno, perché smentisce in parte la versione fornita finora, nonostante sia stato proprio il suo difensore, Giulia Bongiorno, a chiederne la traduzione. I carteggi, oggetto nella prossima udienza del 20 marzo, sono una cronaca dei 19 giorni d’attesa della ong spagnola, al quale è stato negato il Place of safety (Pos) da Malta e Italia.
Un passo indietro. Il leader del Carroccio finora ha sostenuto che Open Arms avrebbe “rifiutato uno sbarco a Malta, un porto in Spagna, e di essere scortata da una nave italiana in Spagna”. Ma la sequenza delle comunicazioni tra l’equipaggio e varie autorità sembra raccontare un’altra storia. L’equipaggio chiede aiuto più volte, senza successo. Tutto comincia fra l’1 e il 2 agosto, quando la nave spagnola effettua due salvataggi. Il primo vicino alla Tunisia. Il secondo in acque maltesi. In tutto vengono recuperati 123 migranti. Open Arms lo comunica al Centro nazionale di coordinamento di salvataggio iberico (Cncs). Madrid indirizza l’ong a La Valletta. Da quel momento inizia un lungo braccio di ferro.
Per giorni Open Arms aspetta invano istruzioni. Da una parte Malta nega il Pos perché, dichiara, non è “l’autorità competente, né l’autorità di coordinamento”. Dall’altra, l’entrata in vigore del decreto Sicurezza bis, voluto da Salvini, impedisce alla nave l’ingresso nelle acque italiane. Le condizioni a bordo dei naufraghi intanto peggiorano. Il comandante riesce a fare evacuare “due donne incinte”. Poi chiede a Roma di sbarcare a Lampedusa, il “porto più vicino”. Da Roma arriva una risposta telegrafica: “La informiamo che la sua richiesta è stata inoltrata alle competenti autorità nazionali italiane”.
Tra il 4 e l’8 agosto la ong invia l’elenco in Excel con tutti i nomi e i dati dei minori a bordo, e informa l’Italia che 89 persone chiedono l’asilo politico. Per Malta la “posizione rimane invariata”, mentre da Roma arriva una risposta copia e incolla. Vi faremo sapere. A questo punto Open Arms presenta ricorso al tribunale dei Minori di Palermo per far sbarcare almeno i minorenni. Nel frattempo, il 9 agosto, raccoglie altre 39 persone alla deriva. La Valletta è pronta a farsi carico “solo dei migranti salvati” in quella circostanza. Lo specifica in neretto. Ma gli spagnoli non accettano. Temono una rivolta a bordo. L’11 agosto vengono evacuati due malati. Il 12 la giustizia minorile dà ragione a Open Arms, il respingimento è illegale. Il giorno dopo il Tar del Lazio sospende il decreto Sicurezza bis e consente alla nave di dirigersi verso l’Italia. La ong chiede lo sbarco urgente. Il 17 agosto il capo missione Anabel Montes scrive al pm di Agrigento Salvatore Vella, a bordo la “situazione è difficile”. Lo stesso giorno sbarcano in 27, tra loro minori non accompagnati. Il 18 agosto Roma si offre di accompagnare Open Arms ad Algeciras, fornendo “cibo, acqua e carburante” per il viaggio. “Impossibile”, è la replica di Open Arms. Sulla nave c’è “gente pronta a “gettarsi in acqua per cercare di raggiungere la riva”. Il 20 agosto la Spagna invia una nave di supporto. Ma quello stesso giorno è la Procura di Agrigento a sbloccare la situazione: i pm sequestrano l’imbarcazione e consentono lo sbarco.