Un Festival così per la Rai non è un buon affare

“Quanto al denaro pubblico, la Rai con il Festival ci guadagna, come testimoniano le continue interruzioni pubblicitarie”

(Aldo Cazzullo – Corriere della Sera, 5 marzo 2021 – pag. 33)

Bisogna riconoscere che la Rai ha fatto un grande sforzo, organizzativo e mediatico, per proporre ai telespettatori questo 71° Festival di Sanremo, offrendo agli italiani una parentesi di leggerezza e allegria in un periodo così cupo per tutti noi. E va dato atto ad Amadeus e a Fiorello, ai cantanti, agli orchestrali e ai tecnici, di essere riusciti a svolgere un compito particolarmente impegnativo in un teatro deserto con le poltrone vuote. Ma, al di là dello spettacolo e dell’audience, la questione è un’altra: una kermesse di questo genere, cinque serate per circa 25 ore di trasmissione, è un prodotto da servizio pubblico? È ancora il caso, cioè, di allestire un maxi-festival di tali dimensioni? Non potrebbero bastare magari tre serate con meno spese, meno compensi e meno spot pubblicitari?

Non c’era bisogno di scomodare l’acume e la penna di Aldo Cazzullo, citato nel distico qui sopra, per sapere che “la Rai con il Festival ci guadagna”. Ospite abituale di Amadeus nei Soliti ignoti per presentare i propri libri, il nostro collega non sembra preoccuparsi più di tanto di quelle che lui stesso chiama le “continue interruzioni pubblicitarie”. Ma il problema invece sta proprio qui. Vale a dire nel profluvio di spot che infarciscono le serate del Festival, a scapito dei telespettatori, dei giornali e di tutti gli altri media, per allestire un mega-show che ha sempre meno a che fare con una gara di musica e canzoni.

Coperti dal business secret (segreto aziendale) i compensi per il mattatore Fiorello, per il direttore artistico Amadeus e la sua gentile consorte Giovanna Civitillo ingaggiata per le anteprime, neppure i consiglieri di amministrazione sanno esattamente quanto spende e quanto incassa la Rai con le “continue interruzioni pubblicitarie”, le varie sponsorizzazioni, promozioni e telepromozioni. A quanto pare, rispetto all’edizione precedente, quest’anno il bilancio si chiude con un milione di euro in più per le casse dell’azienda, nonostante che nelle prime tre serate – secondo Il Sole 24 Ore – avesse registrato un -18% dei contatti pubblicitari. Trasmesso in eurovisione e seguito anche all’estero, il Festival rende però un’immagine distorta di un Paese che, oltre alle vittime dell’epidemia, piange miseria da Nord a Sud; invoca i vaccini che non arrivano; accusa un aumento drammatico della disoccupazione; accumula un debito pubblico spaventoso e aspetta i finanziamenti dell’Ue – in parte a fondo perduto e in parte a prestito – come la manna dal cielo.

Non è il caso di fare qui discorsi moralistici. Né tantomeno di disquisire sulle capacità dei conduttori, sulle performance canore, sulle scenografie o sulle coreografie, sugli ospiti o sui loro soliloqui. Si tratta piuttosto di rispondere a qualche domanda non retorica: vale proprio la pena fare il Festival in questo modo? Impegnare cinque lunghe serate sulla “rete ammiraglia” della televisione pubblica e su Radio2? E tutto ciò per imbottire le trasmissioni di spot, a favore di un’azienda che incassa già quasi 2 miliardi dal canone d’abbonamento, imposto per legge e addebitato direttamente nella bolletta elettrica?

Chi ha sostenuto da sempre la necessità che il canone fosse effettivamente obbligatorio, proprio per affrancare il servizio pubblico dalla sudditanza all’audience e alla pubblicità, non può che rammaricarsi. Sì, “Sanremo è Sanremo”. Ma così il Festival non è più il Festival.

 

Biden e quei 1.900 miliardi di $: qui si bara sapendo di barare

Joe Biden ha promesso, e ottenuto dal Congresso, di immettere sul mercato americano, devastato anch’esso dalla pandemia, 1.900 miliardi di dollari. Dove li ha trovati? In nessun posto. Sono crediti. Perché il denaro, nella sua estrema essenza, è un credito verso il futuro. Quando il barista (all’epoca in cui si poteva ancora andare al bar) segna sulla sua lavagnetta che gli devo dieci caffè crea in realtà denaro, conta cioè sul fatto che quel debito io lo onorerò. Quando ho 100 euro in tasca, io ho un credito erga omnes, so che qualcuno, quando glielo presenterò, mi darà in cambio un bene o un servizio. Singolarmente prese queste transazioni, questo scambio fra un credito e un debito, non creano problemi. Il problema nasce quando il volume di questi crediti diventa enorme, perché come scrive il filosofo ed economista Vittorio Mathieu “alla lunga i debiti non vengono pagati”. E allora si ha il crac. È la storia di Lehman Brothers e dei mutui, i famigerati subprime.

Biden in realtà non fa che aumentare una bolla speculativa, un gigantesco credito verso il futuro che prima o poi, non potendo essere esaudito, ci ricadrà addosso (l’indebitamento totale del mondo ha raggiunto il 355% del “Prodotto Interno Lordo” annuo dell’intero globo). È proprio per questo che, conoscendo il pericolo, Angela Merkel aveva imposto in Europa il criticatissimo regime di austerità. Però in un mondo divenuto globale questa saggia prudenza non paga quando in giro c’è gente che bara sapendo di barare.

Nel mio libro Il denaro. “Sterco del demonio”, la definizione è di Martin Lutero, che è del 1998, prevedevo una probabile e imminente catastrofe globale, anche se poi dieci anni dopo, nel 2008, si realizzerà in forma più limitata, coinvolgendo comunque una buona parte del mondo, in particolare l’Europa come abbiamo sperimentato sulla nostra pelle. Anche il prossimo crac, che avverrà, presumo, entro una decina d’anni, non sarà risolutivo, verrà tamponato immettendo altro credito nel sistema, come sta facendo adesso Biden, ma in quantità molto più ingente. Il crac globale, e senza possibilità di ritorno, avverrà più avanti. Questo è certo. Per dirla in parole semplici siamo, globalmente, nella posizione di un debitore che per coprire il suo debito ne fa un altro più grosso e poi un altro più grosso ancora fin quando viene il momento in cui gli strozzini non gli credono più. Solo che in questo caso noi siamo gli strozzini di noi stessi.

Scrivevo nell’ultima pagina del Denaro. “Sterco del demonio”: “Il giorno del Big Bang non è così lontano. Il denaro, nella sua estrema essenza, è futuro, è rappresentazione del futuro, scommessa sul futuro, simulazione del futuro a uso del presente. Se il futuro non è eterno ma ha una sua finitudine noi, alla velocità cui stiamo andando, proprio grazie al denaro lo stiamo vertiginosamente accorciando. Stiamo correndo a rotta di collo verso la nostra morte… Se il futuro è infinito e illimitato lo abbiamo ipotecato fino a regioni temporali così sideralmente lontane da renderlo di fatto inesistente. L’impressione infatti è che, per quanto veloci si vada, anzi proprio in ragione di ciò, questo futuro orgiastico arretri costantemente davanti a noi. O, forse, in un moto circolare, nietzschiano, einsteniano, proprio del denaro, ci sta arrivando alle spalle gravido dell’immenso debito di cui l’abbiamo caricato. Se infine, come noi pensiamo, il futuro è un tempo inesistente, un parto della nostra mente, come lo è il denaro, allora abbiamo puntato la nostra esistenza su qualcosa che non c’è, sul niente, sul Nulla. In qualunque caso questo futuro, reale o immaginario che sia, dilatato a dimensioni mostruose dalla nostra fantasia e dalla nostra follia, un giorno ci ricadrà addosso come drammatico presente”.

 

“Caro Marco, è la nostra umanità a naufragare”

Caro Marco, quelli che “attirano e incoraggiano il traffico di esseri umani” nel Mediterraneo non sono certo “gli angeli delle Ong”, come li hai apostrofati con sarcasmo degno di miglior causa nell’editoriale di ieri. Aggiungi, bontà tua, che saresti disposto a concedere loro la grazia, purché la smettiamo di fare finta che i soccorritori del mare non commettano reati.

Strano, di solito sai riconoscere i potenti che commettono gravi reati dai pesci piccoli che restano impigliati nella rete della giustizia. L’omesso soccorso, in violazione del Diritto internazionale del Mare, è un crimine di cui si macchiano il governo italiano e la Ue almeno dal 2014, cioè da quando il governo Renzi stoppò l’operazione Mare Nostrum della nostra Marina militare. Semplicemente, hanno deciso di lasciar crepare i naufraghi, o di farli catturare dai libici. Infischiandosene che le Nazioni Unite definiscano “non sicuro” quell’approdo, cui segue la deportazione in campi di prigionia infami.

Le navi delle Ong sono entrate in azione solo dopo che chi di dovere è venuto meno ai suoi doveri di salvataggio. Cercano di limitare i danni perpetrati da quelli che per davvero hanno “attirato e incoraggiato il traffico di esseri umani”: cioè i leader italiani ed europei che – interrompendo ogni canale di immigrazione legale (e controllata) – hanno regalato agli scafisti il monopolio sulle rotte mediterranee. Non si può invertire il carico delle responsabilità in questa che verrà ricordata come una colpa storica, una tragedia che segna anche l’abbassamento della nostra soglia morale. Suppongo che tu abbia letto I sommersi e i salvati di Primo Levi e non ti sia ignota la sua scoperta della “zona grigia” dove, per esperienza vissuta, è stato costretto ad addentrarsi. Tra vittime e carnefici s’instaurano relazioni in cui diviene complicato perfino separare il bene dal male. Non escludo affatto che ciò, in taluni casi, possa essere avvenuto nei “rapporti fra volontari e scafisti”. Anzi, mi stupirei del contrario. Può darsi anche che gli armatori di Mediterranea abbiano impropriamente accettato denaro da una compagnia danese. Ma ciò non cambia di una virgola l’attribuzione delle colpe fra chi, pur dotato di flotta militare, si macchia di omesso soccorso, e chi si mobilita per salvare il maggior numero possibile di migranti. Insinuare che vi siano Ong scese in mare a scopo di lucro è una bassezza che può compiacere solo i cercatori di un’impossibile giustificazione morale alla propria inadempienza.

Vi sono frangenti in cui tocca sporcarsi le mani ed entrare in contatto col nemico. Forse conosci la tragica vicenda del leader sionista ungherese Rudolf Kastner che trattò direttamente con Eichmann la salvezza di 1.684 ebrei destinati ad Auschwitz in cambio di pietre preziose e di una forte somma di denaro. Per non parlare dei reati commessi da Oskar Schindler e da Giorgio Perlasca. A quale salvagente di legalità vorresti aggrapparti, quando a naufragare nel Mediterraneo è la nostra umanità?

Gad Lerner

 

Caro Gad, se gli intellettuali veri e presunti che hanno insultato, oltre a me, chiunque in questi anni abbia tentato un approccio laico e non fideistico-fanatico sull’immigrazione avessero usato i tuoi argomenti e toni, l’articolo dell’altroieri non l’avrei scritto. Perché sarebbe stato inutile. Invece era utile perché in questi anni si sono fronteggiati sull’argomento due opposti estremismi: Ong tutte criminali e Ong tutte sante, immigrati a casa loro e immigrati a casa nostra. Io le ho sempre rifuggite entrambe, cercando di distinguere alla luce della realtà e del realismo, e mi sono beccato del buonista dai fanatici del primo tipo e del razzista da quelli del secondo. Sull’arretramento da Mare Nostrum a Frontex siamo d’accordo: il Fatto

lo scrive dal 2014. Ma i termini che usi denotano una visione troppo parziale e ingenua del fenomeno. So bene che sulle Ong non ci sono “potenti che commettono gravi reati”. Però esistono alcuni operatori di alcune Ong che non “restano impigliati nella rete della giustizia”: commettono reati magari minori, che però vanno perseguiti secondo le leggi dei loro Paesi, certo con pene meno severe di chi commette reati più gravi (infatti non ne risulta neppure uno in carcere). I “canali di immigrazione controllata” riguardano chi ha diritto di stabilirsi in Europa (per lavoro, per studio, perché rifugiato politico o di guerra), quindi escludono i 9/10 dei migranti sui barconi, irregolari da rimpatriare in base alle leggi Ue. “Salvare migranti” è una nobile missione, ma non c’entra nulla col mettersi d’accordo con gli scafisti per rilevare i loro carichi umani in un certo punto del Mediterraneo, far loro risparmiare natanti e carburante, metterli al riparo da indagini e arresti, caricarli a bordo per portarli in Italia travestiti da poveri migranti, non intervenire quando picchiano i passeggeri dopo averli depredati, non denunciarli dopo e restituire loro i gommoni. Che ciò avvenisse, da parte di alcune Ong, lo disse il pm Zuccaro in Parlamento e fu linciato. Così come Minniti e chiunque osasse dire quelle fastidiose verità: un muro di gomma di negazionismi e scomuniche, a dispetto di foto, filmati, intercettazioni, satelliti, testimonianze. Ora tu “non escludi affatto” i “rapporti tra volontari e scafisti” (ti prego di informarne i vari Manconi&C. che li negano pervicacemente da anni). Ma li nobiliti equiparandoli ai reati commessi nella Germania nazista e nell’Italia fascista da chi salvava gli ebrei dai lager. Argomento suggestivo, ma fallace. Mussolini e Hitler sono fortunatamente morti e con loro le leggi razziali. Non solo: per salvare migranti dal naufragio si possono, anzi si devono infrangere tutte le leggi del mondo; ma rilevare carichi di esseri umani da barca a barca non è salvare i migranti. È salvare gli scafisti, aiutarli e incoraggiarli nei loro sporchi traffici. Ed è peggio di un reato: è una vergogna.

Marco Travaglio

Un Caschetto non si nega a nessuno, e la “La Santa messa” è un talent misero

E per la serie “Chiudi gli occhi e apri la bocca”, eccovi i migliori programmi tv della settimana:

Fox Crime, 21.05: The Blacklist, telefilm. La squadra deve correre contro il tempo per scongiurare il pericolo rappresentato dall’Auditel.

Rai 1, 10.15: La Santa Messa, talent. L’Ultima Cena riproposta attraverso il prodigio della presenza reale di Gesù nell’Eucaristia. Ma non è MasterChef.

Rai 2, 14.00: Quelli che il calcio, varietà. Per la nuova policy Rai (settembre 2020), “un singolo agente non potrà rappresentare più del 30% degli artisti di una stessa produzione”. Il programma è presentato da Luca & Paolo (agenzia Caschetto) e Mia Ceran (agenzia Caschetto). Nel cast fisso figurano Enrico Lucci (agenzia Caschetto), Federico Russo (agenzia Caschetto), Ubaldo Pantani (agenzia Caschetto), Melissa Greta Marchetto (agenzia Caschetto) e Brenda Lodigiani (agenzia Caschetto). La vendetta migliore.

Rai 3, 20.00: Che tempo che fa, talk show. Condotto da Luciana Littizzetto, il programma ha guadagnato oltre un punto di share e 300-400 mila spettatrici rispetto alla sua media. In un Paese normale, Luciana avrebbe un proprio talk show da anni: negli Usa, che inventarono quel tipo di programma, conduttori e conduttrici di talk show “alla Letterman” sono sempre comedians, perché hanno le marce in più dimostrate da Luciana: brio e irriverenza. Del resto, il suo monologo finale è di regola acclamato come la parte più seguita del programma. In Rai dormono, come al solito. E la concorrenza gode: “Complimenti per la trasmissione. Le auguro di stare in video per qualche decennio ancora”, disse Berlusconi a Fabiofazio al termine della propria comparsata incontrastata, l’8 novembre scorso. È anche vero che non ci vuole molto, a essere più briosi e irriverenti di Fabiofazio, se pure Bono Vox arrivò a definirlo “Mr. Valium”. E lo conosceva da 10 minuti appena! D’accordo, Fabiofazio è monotono, uggioso, uniforme, ma è proprio questo il segreto del suo successo: fa in tv quello che tutti vorremmo fare se fossimo noiosi. Per cui, in un silenzio da museo, e portando le mani alla giacca con l’antico gesto del giudice che si compone la toga, dico: si cominci subito con l’adeguare la paga di Luciana agli ascolti che fa, usando lo stesso rapporto compenso/spettatori di cui gode Fabiofazio. Sennò è discriminazione di genere. Mi rendo perfettamente conto che questo slancio idealista rischia di infrangersi contro gli scogli della realtà, ma saprà pensarci il manager di entrambi, Beppe Caschetto. Nell’attesa, consoliamoci con gli ospiti del tavolo: Ale & Franz (agenzia Caschetto), Enrico Brignano (agenzia Caschetto) e Roberto Saviano (agenzia Caschetto).

La7, 20.35: Otto e mezzo, attualità. Programma condotto da Lilli Gruber (agenzia Caschetto).

La7, 21.15: Di Martedì, attualità. Programma condotto da Giovanni Floris (agenzia Caschetto).

La7, 21.15: Piazzapulita, attualità. Programma condotto da Corrado Formigli (agenzia Caschetto).

Rai 3, 14.30: Mezz’ora in più, attualità. Programma condotto da Lucia Annunziata (agenzia Caschetto).

Nove, 22.45: Fratelli di Crozza, varietà. Programma condotto da Maurizio Crozza (agenzia Caschetto).

Rai 3, 20.20: Le parole della settimana, attualità. Programma condotto da Massimo Gramellini (agenzia Caschetto).

Rai 3, 20.20: Che succ3de?, talk. Programma condotto da Geppi Cucciari (agenzia Caschetto).

Rai 3, 21.45: Un posto al sole, soap. Giulia cade in una depressione profonda quando scopre di non far parte dell’agenzia Caschetto.

 

Un po’ meccanico e un po’ sarto

• “Il premier (…) non inseguirà all’infinito la mediazione con i partiti. Il suo ruolo è un altro: una specie di “meccanico” che non può andare tanto per il sottile. (…) Ecco, il ‘metodo Draghi’.
Ascolto nei confronti di tutti, ma poi responsabilità della decisione: perché ‘anche non decidere è una scelta’. Che però l’Italia non si può più permettere”.
Repubblica

 

• “I successi del governo Draghi arriveranno certamente presto. Saranno legati alla capacità del nostro Paese
di governare bene la terza ondata (…), di farsi trovare pronto quando i vaccini saranno copiosamente disponibili (…) e di scrivere bene il Recovery Plan (…): non solo offrire una prospettiva da sogno all’Italia (…) ma saper maneggiare l’arte del possibile, evitando di illudere il Paese con una seduttiva, ma pericolosa agenda dell’impossibile”.
Il Foglio

 

• “Il tappezziere di Mario Draghi: ‘Il premier da 30 anni compra tessuti di lino e cotone. Ogni tanto ho dovuto rifargli i cuscini perché il cane li mordeva. Le tende sono color écru, molto eleganti”
Un giorno da Pecora

Conte dimettiti! Conte vergogna! Ah no, c’è Mario

Basta con la vergognosa dittatura sanitaria. Basta con la galera del lockdown che ha trasformato la democrazia in un gulag. Basta con i Dpcm illegali, anticostituzionali, e forse anche fascisti. Basta con la buffonata delle regioni rosse, arancioni e gialle. Basta con lo stato di polizia. Basta con la didattica a distanza che sottrae l’avvenire ai nostri giovani. Basta con le lezioni online quando gran parte delle famiglie italiane non possiede un computer. Basta con le umilianti autocertificazioni da esibire anche per andare a prendere il latte. Basta con i bar e i ristoranti chiusi. Basta con l’asporto. Basta con i giri del palazzo con la scusa che il cane deve pisciare. Basta con le palestre chiuse e i parrucchieri pure. Basta con il grido di dolore degli albergatori con gli hotel sprangati. Basta con i ristori che ritardano sempre e che non bastano neppure per un caffè, anche perché i bar sono chiusi. Basta con i vaccini insufficienti. Basta con gli Arcuri, vogliamo i colonnelli. Basta con il governo degli incompetenti e degli incapaci. Basta con il governo Conte. Basta con Giuseppi. Basta con il favore delle tenebre. (Come il signor Antonio, il compagno del Pci di Avanzi che nel 1993 si risvegliava dopo vent’anni dal coma, pensando che tutto fosse come prima, il nostro signor Antonio, più fortunato, ha ripreso conoscenza dopo averla persa esattamente un mese fa. Ha pure ripreso la contestazione dove l’aveva lasciata. Si cerca quindi di aggiornarlo sugli ultimi accadimenti).

Guardi che il governo Conte non c’è più. Come da lei auspicato Giuseppi è stato mandato a casa. Lo ha sostituito il governo dei migliori guidato da Mario Draghi. Come mai l’opposizione non scende in piazza a protestare? Perché Salvini e Berlusconi sono al governo. Sì, con il Pd e i 5Stelle. Oddio, il signor Antonio ha un altro mancamento, proviamo a rianimarlo con qualche bella notizia. Alla logistica c’è un generale. La campagna di vaccinazione procede come prima ma con grande entusiasmo, e il problemino con AstraZeneca è roba da nulla. La Juve è stata di nuovo eliminata dalla Champions. A Sanremo hanno vinto i Maneskin con Zitti e buoni. No, non è il nuovo inno nazionale. E poi ci sono ancora i Pooh. I Puuuh.

Il lato alimentare della pandemia

L’uomo è un animale che si adatta ai mutamenti. Per questo la specie è longeva. Solo chi si adegua al mutamento delle condizioni di vita può sopravvivere. Si chiama selezione naturale. L’uomo si è adattato con molta flessibilità alle possibilità alimentari. La ricerca scientifica negli ultimi decenni si è molto interessata all’alimentazione. E anche in questo settore dovremo fare i conti con il Covid. Tutti abbiamo, poco o molto, modificato le nostre abitudini alimentari per le mutate condizioni di vita. Ristoranti chiusi, smart working, meno socialità. Gli studi su come sia cambiata la “tavola” in tempo di pandemia danno risultati interessanti. Secondo una ricerca dell’Accademia Alimentare (Bioimis) sono radicalmente cambiate le nostre abitudini, il nostro ritmo di consumo e di tipologia del cibo. Lo smart working ci ha riportati alle abitudini degli Anni 60, quando si tornava a casa per il pranzo. Non più panini, non più colazioni di lavoro (purtroppo, dicono i ristoratori) ma un piatto fatto a casa. Lo studio è andato più a fondo, mostrando due facce della medaglia. Per molti (donne ma anche uomini) l’attività culinaria è diventata una “valvola di sfogo”, spesso si cucina proprio per rilassarsi. Il tempo dedicato è aumentato del 46% ed ha spesso avuto un impatto psicologico positivo, stimato tale nel 12% della popolazione. Il 22% degli italiani ha imparato a consumare la colazione a casa invece che rinunciarvi o farla al bar, spesso con cibi più salutari della brioche, ma certamente eliminando alcuni rapporti sociali. Meno panini con salse e più salubri primi piatti, secondo quanto prevede la dieta mediterranea. Quindi il Covid, almeno per la nostra alimentazione, sta avendo un impatto positivo? Non sempre. Si mangia di più, più cibo potenzialmente ingrassante che si aggiunge alla sedentarietà. Ma purtroppo stanno incrementando esponenzialmente le vendite di snack e merendine che, spesso soddisfano la necessità di scaricare la tensione. Da un lato dobbiamo imparare a stare a casa in modo salubre, dall’altra, per i nostri ristoratori, cui va tutta la solidarietà, prendere atto che aperture o no, difficilmente torneremo presto al tipo di business di prima. Adeguarsi o soccombere. Ce lo insegna la Natura.

 

Gallera sogna il Comune: sondata pure una sua lista

Ètutta questione di statistica. Quanti elettori contagiati ci vogliono per convincere un elettore sano a votare Giulio Gallera sindaco di Milano? Due? Contemporaneamente? Comunque sia, bisogna dire che l’ex assessore al Welfare della Regione Lombardia non si lascia scoraggiare. Né dalla sua gestione della sanità nella prima fase della pandemia, né dalla cacciata senza risarcimenti dall’assessorato. Non ha proprio abbandonato del tutto il suo sogno, fiorito nei pomeriggi tesi della prima ondata pandemica, quando compariva pimpante nelle quotidiane conferenze stampa in cui fiero come un generale leggeva il bollettino di guerra, dava i numeri del Covid e intanto pensava alla sua possibile candidatura a Palazzo Marino, per sfidare quel comunista di Giuseppe Sala. Per qualche tempo è stato l’uomo più mediatico della Regione più disastrata d’Italia. Ci sperava davvero. Poi, come Napoleone, dagli altari alla polvere. Eppure… C’è un sondaggio che in questi giorni viene somministrato ai milanesi, che cerca di misurare il gradimento, alle prossime elezioni comunali (quando si faranno) per una lista civica con Gallera candidato sindaco. Non solo: al campione di cittadini viene chiesto anche quali sono le qualità apprezzabili del personaggio, da scegliere in una lista di aggettivi: moderno? simpatico? dinamico? antipatico? efficiente? Incolpevole somministratrice del questionario è la società Swg, che non rivela chi sia il committente del sondaggio. Sarà Gallera in persona, oppure il centrodestra che a Milano non riesce a individuare il candidato da contrapporre a Sala e ha finora sgranato un improbabile rosario di nomi (Alberto Zangrillo, Gabriele Albertini, Letizia Moratti, Franco Baresi, Paolo Veronesi, Sergio Dompè, Flavio Cattaneo, Ferruccio Resta, Alessandro Galimberti, Gianmarco Senna, Silvio Berlusconi, Maurizio Lupi, Luigi Santa Maria, Simone Crolla, Roberto Rasia dal Polo. E perfino Morgan)?

“Il mio Comune”, questo il titolo del sondaggio, chiede anche un giudizio su Sala. Ma per poi tornare a Gallera. Chissà che spasso i risultati.

Ora Attila-Sala, sindaco “edilizio”, si veste di Verde

In una campagna elettorale in cui è candidato unico (il centrodestra non riesce a scegliere lo sfidante), Giuseppe Sala può permettersi colpi di teatro come quello di uscire da un partito in cui non è mai entrato e aderire ai Verdi europei. “Ho deciso, divento verde”, ha dichiarato al suo giornale di casa. “Da Mister Wolf a Hulk”, commenta uno che è cresciuto a pane e politica, Marco Dragone, già portavoce di Giuliano Pisapia, predecessore e apripista. Sala si presentava come colui che risolve problemi: prima all’Expo che rischiava di non aprire in tempo e che ha avuto meno visitatori di sempre (eppure raccontato come un grande successo internazionale), poi a Palazzo Marino dove è approdato come sindaco-manager, non senza difficoltà a trasformarsi in politico (ma tanto nessuno gli rimprovera errori e gaffe).

Ora gioca il jolly: “Aderisco ai Verdi europei”. Il verde sta su tutto, è chic e non impegna. “Non c’è più tempo da perdere. La questione ambientale riguarda il nostro presente e il futuro dei nostri figli. Come cittadino e come sindaco sono sempre più convinto che il miglioramento delle politiche pubbliche parta dalle strategie di sviluppo delle città. E miglioramento per me significa puntare con coraggio e decisione su sviluppo sostenibile e avanguardia ambientale. Lo penso da sempre”.

Come Pippo Baudo: “La Transizione ecologica l’ho inventata io”, spiega, “a Milano ho creato, e gestito in prima persona, l’assessorato alla Transizione ecologica”. Deleghe tenute nel cassetto e mai usate, se non per realizzare un paio di spot (“Milano Mix”) da Mulino Bianco. Anzi Verde. A chi gli rimprovera di fare un’operazione di greenwashing (come Lucia Tozzi sul sito Alfaville), di ambientalismo di facciata, tutto marketing e niente ciccia, non risponde. Tanto il suo marketing è più forte: Milano è la città dei boschi verticali, delle torri botaniche, dei fiumi verdi, delle biblioteche degli alberi. Una patina green che ricopre operazioni immobiliari previste nei prossimi anni per oltre 3 milioni di metri quadrati di uffici, spazi commerciali, residenze. Nella città già a più alto consumo di suolo e inquinamento atmosferico d’Italia. Una delle poche personalità milanesi che continua a ragionare e a guardare i fatti e non lo storytelling, Luca Beltrami Gadola, direttore di Arcipelago Milano, è secco: “Il sindaco Sala diventa verde: di paura”, scrive. E spiega: “Si sgancia dal Pd per paura di essere travolto dalla caduta verticale di quel partito. Strategia elettorale. Quanto ai suoi cinque anni passati e la politica verde, vedi la politica urbanistica e il taglio degli ultimi alberi, spero che i cittadini se ne ricordino”.

Una volta i Verdi s’incatenavano agli alberi per impedire che fossero tagliati. Oggi lasciano lavorare le ruspe e pigolano grati al sindaco che li mette in lista e annuncia addirittura la sua conversione green. “Con loro mi sento a casa”. Casa, ma anche ufficio, centro commerciale, albergo, torre, grattacielo. Al di là dello storytelling, restano i fatti. Sarà cancellato il parco di piazza Baiamonti per far posto al vetro e al cemento della seconda “piramide” di Herzog e De Meuron che Sala (per farla digerire ai cittadini) ha proposto diventi sede del museo della Resistenza (dopo il greenwashing, anche il partisanwashing). A San Siro sarà abbattuto il glorioso Meazza, per permettere agli anonimi investitori di fondi esteri di edificare, con la scusa dello stadio nuovo, un paio di grattacieli a uffici, hotel e via costruendo.

Indice d’edificabilità 0,51, invece che lo 0,35 che sarebbe imposto dal Piano di governo del territorio. Stessa eccezione per gli scali ferroviari (1 milione e 250 mila metri quadrati, la più grande riconversione urbana d’Europa che potrebbe fare di Milano la città più verde del continente) che saranno trasformati in quartieri residenziali, specie lo scalo Farini e lo scalo Romana (dove sorgerà il villaggio olimpico per Cortina 2026). Niente grande parco sull’area Expo, che ora chiamano Mind: invece di lasciare verde metà dell’area, come promesso e santificato da un referendum popolare, saranno costruite case, alberghi, uffici, oltre alle nuove facoltà universitarie della Statale, con qualche giardinetto condominiale diffuso.

Ignota per ora la sorte di Città Studi, abbandonata dalle facoltà scientifiche, del parco Bassini, della Piazza d’Armi di Baggio, del bosco urbano La Goccia alla Bovisa. Se Sala vorrà diventare il segretario del nuovo partito Verde, presidente e finanziatore potrebbe diventare il vero progettista della Milano di domani: Manfredi Catella, lo “sviluppatore” immobiliare del fondo Coima.

Comunali: il “Fattore Zeta” sul campidoglio

Il rinvio delle Amministrative in autunno, causa emergenza pandemica, potrebbe essere un assist per le coalizioni. Da un lato c’è una destra ancora senza grandi nomi nelle principali città, dall’altra Pd e M5S che potranno approfittare di qualche mese in più per costruire un’alleanza, dove possibile, e farla accettare ai propri attivisti locali. Qualcosa si muove, insomma: basti pensare che nel Lazio i 5 Stelle sono entrati nella giunta Zingaretti, un segnale niente male in vista delle comunali a Roma.

Roma Zinga sveglia il Pd, Raggi ha l’ok di Grillo

Le manovre di Nicola Zingaretti hanno scompaginato il quadro delle candidature a sindaco di Roma. L’ingresso in giunta regionale delle due assessore pentastellate, Roberta Lombardi e Valentina Corrado, sembra sancire due cose. La prima è che il segretario uscente del Pd quasi certamente non scenderà in campo in prima persona. Il nome ufficioso, per ora, resta quello di Roberto Gualtieri. La seconda è che si punta a riunire la coalizione giallorosa per il Campidoglio. “Con o senza Virginia Raggi”, continuano a dire i dem, mentre ieri Lombardi si è augurata addirittura che un giorno a Roma ci siano “primarie aperte” tra Pd e M5S.

La sindaca, che ha chiesto invano il voto su Rousseau, nei giorni scorsi ha ricevuto un solo endorsement, ma forse il più pesante: quello di Beppe Grillo. E qui casca l’asino. L’ “Aridaje” del fondatore ha allarmato il Nazareno, che teme il derby al ballottaggio. L’ex dirigente Figc, Andrea Abodi, nome caro a Fratelli d’Italia e in pole per il centrodestra, sembra stentare nei sondaggi e in alcuni è addirittura terzo. I meloniani smentiscono e, anzi, dicono che “ci risulta un testa a testa con Gualtieri”. I dati però hanno infastidito Matteo Salvini, che è tornato a rilanciareGuido Bertolaso, che aveva già declinato. Ci spera l’ex ministro Maurizio Gasparri, coordinatore romano di Forza Italia, nonostante gli azzurri ormai stiano perdendo pezzi anche nei municipi. In generale, l’idea è quella di capire come evolverà la situazione fra Pd e M5S. “Vediamo cosa fanno loro e poi decidiamo”, dicono nel centrodestra.

Napoli Dema apre a Fico, Maresca divide la destra

L’ultima tentazione è tra le pieghe di una frase del sindaco di Napoli Luigi de Magistris a Radio Crc: “Se è vera la proposta della candidatura di Roberto Fico, l’avanzassero e dicessero ‘cosa ne pensate?’. E se ne parla”. Pare un’apertura.

Se tale fosse, l’ultima tentazione è quella di costruire intorno a Fico un campo largo del centrosinistra che metta dentro di tutto e di più: gli arancioni di De Magistris, il M5S a cui appartiene la terza carica dello Stato, il Pd che da mesi lavora a un accordo giallorosa simile a quello del governo Conte, la sinistra che con Fico ha condiviso le battaglie per l’ambiente e l’acqua comune quando i 5 Stelle erano meetup attivi sul territorio.

Una tentazione dalle fondamenta fragili, però. Sia perché nel frattempo De Magistris un candidato già ce l’ha in campo, da cinque mesi, ed è il suo assessore Alessandra Clemente, e come ne spieghi il ritiro? Sia perché quando si parla di Pd a Napoli, non si è sicuri di cosa si sta parlando: del Pd di Marco Sarracino e Paolo Mancuso, traghettatori di un’intesa Pd-M5S, o del Pd di Vincenzo De Luca, che guarda invece nella direzione della replica della coalizione vincente in Regione Campania, dove i grillini stanno all’opposizione, e che di De Magistris non vuole nemmeno sentire parlare? Il sindaco intanto si divide tra Napoli e la Calabria dove si è candidato a governatore. Circostanza che non aiuta ad allargare il tavolo di un centrosinistra dove, al momento, l’unica cosa certa è la candidatura a sindaco di Antonio Bassolino.

In casa del centrodestra tutto ruota intorno agli incontri informali del pm anticamorra Catello Maresca, candidato sindaco in pectore della Lega, di FI e di un pezzo di società civile napoletana. Si ragiona sulla possibilità di rinunciare ai simboli di partito. FdI invece potrebbe candidare Sergio Rastrelli.

Torino Salizzoni lascia, guerra interna a sinistra

Dopo l’uscita di scena di Mauro Salizzoni, il “mago dei trapianti” che ha lasciato la corsa a candidato sindaco Pd perché non ha riscontrato, sul suo nome, “l’unità del partito”, la gara, tra i dem, per contendersi il ruolo, si fa sempre più ristretta. Sembra concretizzarsi la sfida tra due consiglieri comunali: Stefano Lo Russo, docente del Politecnico di Torino, che nel Pd ha il sostegno di Sergio Chiamparino e Piero Fassino, e Enzo Lavolta, 42 anni, zingarettiano del Pd che, dopo avere incassato l’appoggio dei Verdi, non nasconde la volontà di dialogare con Leu e M5S: “Il mio obiettivo è costruire un asse progressista, ambientalista e femminista”, dichiara definendosi aperto al “Movimento di Conte”.

Il motivo dell’ipotetica alleanza con i 5S sta anche nella forza del candidato del centro destra, Paolo Damilano, messo in campo dalla Lega ma considerato in grado di attrarre voti da altri partiti. Il fatto che sia un imprenditore, titolare di locali in centro e presidente della Film Commission, fa pensare che possa attingere a bacini nuovi. Fatto sta che Damilano è l’unico nome sceso in campo ufficialmente. E se sul Pd pesa l’incognita delle primarie, il M5S resta in subbuglio, tra sostenitori di Conte e puristi della prima ora, alla ricerca di un candidato.

Bologna Lepore per i dem, il Movimento ci pensa

Matteo Lepore ce l’ha fatta. O quasi. L’assessore alla Cultura bolognese, da tempo in modalità “campagna elettorale”, ha ricevuto l’endorsement del deputato dem Andrea De Maria: “Ci sono le condizioni per individuare unitariamente una proposta di candidatura a sindaco per la coalizione, sarebbe un bel messaggio di unità di grande valore anche per il Pd a livello nazionale”. Unico a invocare le primarie nel partito è Alberto Aitini, l’assessore alla Sicurezza sponsorizzato dal deputato Francesco Critelli, ex renziano della corrente Base riformista.

Non è da escludere che il M5S alla fine accetti Lepore. La capogruppo in Regione, Silvia Piccinini, ha indicato “la linea del dialogo con le forze progressiste come la strada giusta da percorrere”. Poi ci sono i civici (più di centrodestra che di sinistra), guidati dal direttore dell’Associazione dei commercianti Giancarlo Tonelli, che stanno pensando invece all’ex ministro Gian Luca Galletti: “Una persona con grande qualità, esperienza, professionalità”. La speranza è di ripetere il “miracolo” di Giorgio Guazzaloca, unico sindaco di centrodestra mai eletto a Bologna.