La Camera: “Immunizziamo subito i sindaci” (che rifiutano)

“Il vaccino? No, grazie”. Così i sindaci rigettano la gentile concessione della Camera, che ieri aveva approvato un ordine del giorno per riservare ai primi cittadini una corsia preferenziale per ottenere l’immunizzazione. Un regalo a cui si è subito opposto Antonio Decaro, sindaco di Bari e presidente dell’Anci, l’associazione dei Comuni: “Ringraziamo i parlamentari, ma ci sono tante categorie di lavoratori esposte e persone fragili che dovrebbero essere vaccinati prima di noi. Noi sindaci aspetteremo il nostro turno”.

Una posizione di buon senso che, viste le continue pressioni delle diverse categorie professionali per saltare la fila, era tutt’altro che scontata. Anche perché il segnale dalla Camera dei deputati era già arrivato forte e chiaro in mattinata, quando l’aula aveva approvato l’ordine del giorno presentato dai deputati del Pd Carmelo Miceli, Andrea Rossi, Francesco Critelli e Gian Mario Fragomeli, chiedendo così al governo di “valutare l’opportunità di inserire i sindaci, in qualità di autorità sanitarie locali, tra le categorie ammesse prioritariamente alla vaccinazione anti Covid nel nuovo piano vaccinale”.

Secondo Miceli, che ha spiegato il senso dell’odg in Aula, “non è comprensibile il perché la massima autorità sanitaria di un Comune non debba ricevere la vaccinazione” prima degli altri. A togliere qualche dubbio a Miceli e ai colleghi ci hanno pensato direttamente i sindaci, che in coro hanno rinunciato alla possibilità di scavalcare categorie e fasce di età ben più a rischio. Alla presa di posizione di Decaro ha fatto ecco, tra le altre, quella della sindaca M5S di Torino, Chiara Appendino: “Condivido le parole del presidente Decaro. Ci sono tante categorie fragili che hanno bisogno del vaccino. Si parta da loro e si faccia in fretta”. A dare l’esempio ci aveva pensato nei giorni scorsi Michelangelo Betti, sindaco dem di Cascina (Pisa), che in quanto insegnante avrebbe potuto vaccinarsi ma ha preferito rinunciare.

Dosi ai “furbetti”. I Nas indagano già su 12mila casi

Dilaga da Nord a Sud il fenomeno dei cosiddetti “furbastri” dei vaccini, persone che hanno già ricevuto il siero anti Covid pur non avendo diritto alla priorità. Fin qui, sul territorio nazionale, i carabinieri del Nas hanno accertato quasi 600 casi. Ma da una riunione svolta due giorni fa presso la sede di Roma, è emerso che i militari hanno acquisito nelle ultime settimane un elenco con ben 12 mila nomi, legati a decine di segnalazioni provenienti da tutta Italia.

Spesso, il fenomeno è dovuto all’assenza delle cosiddette “aliquote di riserva”. In molti casi, le Regioni e le Asl hanno introdotto con ritardo, nei loro piani vaccinali, la possibilità di reimpiegare le dosi avanzate al termine della giornata, facendo scorrere la lista delle prenotazioni. Così, in assenza di un protocollo specifico, in diversi casi gli operatori sanitari hanno finito per “piazzare” le dosi in eccesso, altamente deperibili, convocando parenti e amici. Quella dei carabinieri dei Nas sui 12 mila nomi è dunque una verifica: sono state acquisite le liste dei vaccinati nelle diverse Asl e da qui si farà una scrematura per capire se ci sono casi di criticità.

Il fenomeno in ogni modo è cresciuto con l’allargamento delle maglie delle categorie “prioritarie”. Fra i casi finora emersi, quello di Nicolò Nicolosi, sindaco di Corleone (Palermo), dimessosi pochi giorni fa, dopo che i Nas avevano accertato come tutta la Giunta comunale – di cui fa parte il figlio del direttore dell’ospedale locale – avesse ricevuto avuto il vaccino Pfizer, richiamo compreso. “Una dose residuale per preservare il mio stato di salute e corrispondere ai tanti bisogni della comunità”, si è giustificato Nicolosi.

A Biella, alcuni amministratori di case di riposo sono accusati di essersi “imbucati” fra gli aventi diritti al vaccino, mentre erano in corso le somministrazioni a ospiti e personale sanitario delle Rsa. C’è poi il caos dei dipendenti amministrativi delle Asl – segretari, contabili, ecc… – che in molte Regioni sono stati esclusi dagli elenchi delle priorità. Il 2 febbraio, i Nas di Ascoli Piceno hanno sequestrato la documentazione dell’Area Vasta 5, dopo alcune segnalazioni. “Abbiamo fatto vaccinare anche personale di ditte esterne che presta servizio nelle strutture sanitarie” ha detto il direttore dell’Area Vasta 5 Cesare Milani. “Noi non dovevamo farlo?”.

Indagini dei Nas sono in corso anche a Roma. I carabinieri lavorano sul caso dell’ospedale Vannini. Qui, secondo Claudia Menchicchi, rappresentante sindacale Nursind, ci sono ancora circa 100 infermieri senza vaccino. Quelle dosi sono finite a personale non dipendente che collabora con la struttura, fra cui i dipendenti di un’agenzia funebre. La Asl Roma 2 nei giorni scorsi ha sospeso le forniture al nosocomio e avocato la competenza sulle somministrazioni. “La revisione degli elenchi è stata determinata sia dalla crescente adesione, sia dalle nuove indicazioni secondo cui chi aveva contratto il Covid doveva aspettare 90 giorni dall’ultimo tampone negativo”, spiega la direzione generale. Ma ora agli infermieri in attesa, invece dello Pfizer (riservato agli operatori a rischio) sarà inoculato l’Astrazeneca.

Proprio sul tema dei cosiddetti “furbetti” dei vaccini, le procure stanno procedendo in ordine sparso. A Biella il reato ipotizzato è la truffa, ma in altri casi si contesta il peculato. O l’abuso d’ufficio, come a Modena, dove si indagava sulle dosi somministrate ai parenti degli infermieri dell’ospedale di Baggiovara. Ma per i tre indagati, però, i magistrati hanno chiesto l’archiviazione, in quanto si è trattato di una “gestione improvvisata, ma non preordinata”: non avevano cioè gestito le dosi per farle avanzare e darle ai parenti. Proprio il caso di Modena ha allertato le Regioni, che hanno introdotto le “aliquote di riserva”. La prima è stata il Lazio, con il sistema della “panchina” sul modello israeliano. A seguire sono arrivate Bolzano e Trento, Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Campania e Toscana. In Puglia per ora si è mosso in autonomia solo il policlinico di Bari, proprio dopo l’intervento dei Nas e l’acquisizione di mille nomi di presunti “furbetti”.

La carica degli ordini : così ti salto la fila

Oltre 900 anziani ammassati davanti al centro vaccinale dell’ospedale Niguarda di Milano. Tutti, ieri, con la prenotazione in mano. Peccato che le dosi disponibili fossero 600. È l’ennesimo errore commesso da Aria, la SpA di Regione Lombardia che gestisce il disastroso sistema di prenotazione dei vaccini. Persino il commissario Bertolaso è stato costretto a scusarsi. Anche perché mentre gli over 80 continuano ad aspettare il vaccino (sono in attesa in oltre 550mila), la Lombardia ha già vaccinato psicologi, veterinari (pure in pensione), biologi. Anche avvocati, seppure solo quelli che collaborano con i centri anti-violenza, e che di conseguenza entrano spesso in contatto con i pronto soccorso. Altre Regioni hanno imboccato strade diverse, nel decidere quali siano le categorie professionali che devono essere vaccinate perché svolgono servizi essenziali.

Anzi: ognuna ha fatto a modo proprio. C’è chi ha detto sì ai magistrati, e chi li ha esclusi. Chi ha aperto agli avvocati, e chi no. Chi ha vaccinato i veterinari liberi professionisti.

Un caos originato dalla circolare del ministero della Salute dell’8 febbraio scorso. Circolare che tra le categorie prioritarie ha indicato anche un generico “altri servizi essenziali”. Una voce depennata nella nuova circolare, due giorni fa, che ridefinisce le regole, sulla base delle classi di età, con la precedenza alle persone “estremamente fragili”. Nel frattempo, però, ogni Regione, si era già mossa con un buon margine di discrezionalità. Mentre praticamente tutti gli Ordini professionali davano l’assalto alla diligenza per accedere alle vaccinazioni.

In Campania sia gli avvocati sia i giornalisti hanno chiesto al governatore Vincenzo De Luca l’accesso prioritario. Non l’hanno ottenuto. Le due categorie ce l’hanno fatta invece a convincere il governatore della Sicilia Nello Musumeci: e tra loro ci sono, oltre al vicepresidente della Regione Gaetano Armao e all’assessore alla Salute Ruggero Razza, numerosi politici tra deputati e parlamentari, da Renato Schifani a Valeria Sudano. In Calabria gli avvocati sono rimasti fuori dalla partita. In compenso qui sono rientrati tra le categorie prioritarie i dipendenti delle prefetture, insieme ai magistrati. Anche la Regione Piemonte, tra il personale dei servizi essenziali, ha indicato gli avvocati insieme ai giudici. Idem la Puglia, ma solo per le toghe e gli amministrativi dei distretti di Corte d’appello di Bari e di Lecce: da metà marzo, con il vaccino AstraZeneca. Il Lazio, invece, per ora ha detto no anche ai magistrati, mentre ha aperto a psicologi, farmacisti, biologi che esercitano la libera professione. Il caso più eclatante resta quello della Toscana, dove tra giudici, avvocati, impiegati degli uffici giudiziari, già in oltre 8mila sono stati “coperti”. Sui cinque parlamentari residenti in questa regione che sono anche avvocati uno solo si è però vaccinato: il senatore di Italia Viva Francesco Bonifaz. Altri invece hanno deciso di rinunciare per una questione di “opportunità”. Non si è vaccinato l’ex ministro della Giustizia del M5S Alfonso Bonafede, né la deputata renziana Maria Elena Boschi. Ma neanche il leghista Manfredi Potenti. Stessa scelta del deputato di Forza Italia Maurizio D’Ettore. “Non chiediamo un trattamento preferenziale” dice Antonino Galletti, presidente degli avvocati di Roma. “Ma la giustizia, così come la scuola, la sanità e la sicurezza, sono servizi che devono essere assicurati. Non siamo una lobby”.

Quanto agli psicologi, è il loro presidente nazionale, David Lazzari, a ricordare che fu nel 2018 l’allora ministro della Salute Beatrice Lorenzin “a riconoscerci come professionisti sanitari a tutti gli effetti: quindi da inserire tra le categorie prioritarie”.

Linea rigorista per la Liguria: ha “tirato” dentro i magistrati ma non gli avvocati, nonostante le pressioni di questi ultimi. L’Emilia-Romagna nel suo piano vaccinale, per la fase 1, ha inserito anche tra i liberi professionisti, oltre agli psicologi, i veterinari, i fisici e i chimici, gli assistenti sociali, salvo poi rimandare a successivi approfondimenti con il ministero della Salute la “categorizzazione dei servizi essenziali”. Mentre sempre avvocati e magistrati hanno, fino ad ora inutilmente, chiesto tempi certi in Umbria per la vaccinazione. Un bailamme nel quale si è inserito di tutto.

In Piemonte Lega e Fratelli di Italia hanno chiesto via prioritaria anche per gli autotrasportatori, i tassisti e gli ambulanti dei mercati. In Liguria un consigliere regionale della lista Toti, Stefano Anzalone, ha scritto al direttore generale dell’ospedale San Martino chiedendogli di vaccinare il titolare e i dipendenti di un bar perché si trova nelle vicinanze della struttura sanitaria, dove fa spesso anche consegne. C’è poi il caso del Molise. Qui sono state fatte 31.924 somministrazioni, delle quali 12.579 a personale sanitario e sociosanitario. Peccato che gli operatori della sanità, pubblica e privata, siano non più di 6mila. Chi sono dunque gli altri 6mila vaccinati? Vale la pena ricordare che qui sono stati vaccinati tutti dipendenti delle aziende, compresi quelle della tv di Isernia, che fanno capo all’imprenditore della sanità Aldo Patriciello, eurodeputato di Forza Italia. Mentre i caregiver che si occupano dei ragazzi Down, a Campobasso, sono ancora in attesa di essere vaccinati, come denuncia Giovanna Grignoli, responsabile cittadina dell’associazione persone Down.

A proposito di privilegi, dopo la richiesta di essere vaccinati da parte di 36 senatori guidati da Paola Binetti, anche i deputati iniziano a farsi avanti. Ieri mattina alla Camera Maria Teresa Baldini (Forza Italia) ha chiesto alla Presidenza di avviare le pratiche per la vaccinazione. “I parlamentari vengono da tutta Italia, il distanziamento non si verifica mai e molti colleghi si sono ammalati” ha spiegato Baldini. “Per questo vaccinare i parlamentari è una questione di sicurezza”. Una richiesta accolta da Enrico Borghi (Pd): “Il Parlamento è o non è un servizio pubblico essenziale? Si abbia il coraggio di affrontare questo aspetto perché non riguarda un malinteso senso di privilegio, ma riguarda il senso stesso della rappresentanza parlamentare”. La parola passa ora al Presidente della Camera Roberto Fico.

“Stefano è morto nel letto la notte stessa della dose”

Tre inchieste per tre morti sospette che potrebbero essere collegate al lotto ABV2856 del vaccino AstraZeneca in Sicilia, sulle oltre 18 mila dosi somministrate nell’isola.

Un arresto cardiaco ha stroncato martedì il sottufficiale della Marina militare, Stefano Paternò, 43 anni. Lunedì mattina era andato all’ospedale militare di Augusta per la prima dose del vaccino dell’azienda anglo-svedese, ma quando torna a casa inizia sentirsi male. “Nel pomeriggio avvertiva tremori, freddo e la febbre a 39. Ha preso una tachipirina e la febbre è scesa – spiega la moglie Caterina Arena – si è sentito meglio e verso le 23 siamo andati a dormire. In nottata però sono stata svegliata dai suoi lamenti: tremava, traballava nel letto e aveva un respiro pesante”.

La moglie ha chiamato subito il 118, ma l’intervento dei medici non è riuscito a salvarlo. I familiari denunciano che il decesso sarebbe collegato a uno “stock di fiale difettose” o alle “improvvise manovre per inesperienza del sanitario che ha somministrato il vaccino”. Per questo motivo la Procura di Siracusa indaga per omicidio colposo e ha programmato l’autopsia sulla salma. Nel frattempo saranno monitorate tutte le persone che hanno ricevuto la stessa dose di vaccino. Un secondo caso sospetto potrebbe essere a Catania, dove il 6 marzo è deceduto il poliziotto Davide Villa. La cartella clinica parla di emorragia cerebrale, che sarebbe stata provocata da una trombosi venosa profonda. Anche in questo caso, l’uomo aveva ricevuto il vaccino “incriminato” di AstraZeneca appena 12 giorni prima, e per questo motivo la Procura di Catania ha aperto un fascicolo per omicidio colposo, al momento senza indagati. Si attende l’autopsia, che potrebbe dare un quadro clinico più preciso.

Altri dubbi aleggiano sul decesso del 54enne sottufficiale dei carabinieri Giuseppe Maniscalco, spentosi per un arresto cardiaco lo scorso 20 febbraio a Trapani. Dalla prima fase d’indagine, gli inquirenti non avrebbero ancora elementi che possano collegare la morte del militare con la somministrazione del vaccino. È stata già effettuata l’autopsia, ma serviranno 60 giorni per avere il responso medico legale, e solo con l’esame autoptico e tossicologico si potrebbero avere delle risposte. In parallelo, l’Asp di Trapani sta verificando se la dose del vaccino utilizzato appartiene allo stesso lotto finito sotto sequestro.

“Sulle 20.500 dosi del lotto ABV2856 di AstraZeneca, bloccato da Aifa, ne sono state somministrate 18.194, le altre 2.306 le abbiamo sospese – ha spiegato l’assessore regionale alla Salute Ruggero Razza –. Ho sentito il ministro Speranza che ci ha confermato la sospensione solo per questo lotto, e la richiesta del governo italiano ad Aifa ed Ema di fare controlli a tutto campo”.

Infine, in Campania, si segnala anche un altro caso anomalo. Ad Acerra, un operatore scolastico di 58 anni, Vincenzo Russo, si è spento in ospedale mercoledì. L’uomo era stato ricoverato per un improvviso malore, e secondo la denuncia dei familiari si era vaccinato lunedì con AstraZeneca, ma non con il lotto incriminato. La Procura di Nola ha sequestrato la salma e le cartelle cliniche per ulteriori accertamenti.

Psicosi AstraZeneca: 30 morti (su 5 mln) Ok al vaccino J&J

Un altro fulmine nel cielo per nulla sereno della pandemia ieri mattina ha scosso l’Europa: prima la Danimarca sospende del tutto la somministrazione del vaccino Astrazeneca per casi letali di trombosi e poi anche l’Italia deve frenare ulteriormente la campagna bloccando due lotti dell’azienda anglo-svedese. In Sicilia spaventano tre casi di morti con tanto di inchieste delle procure di Trapani, Siracusa e Catania. L’effetto psicologico può essere devastante e per questo motivo il presidente del Consiglio Mario Draghi parlerà alla nazione oggi alle 15 dal Centro vaccini di Fiumicino.

Ieri, intanto, il premier ha sentito al telefono la presidente della commissione europea Ursula von der Leyen, che ha assicurato: “Non c’è alcuna evidenza di un nesso tra i casi di trombosi registrati in Europa e la somministrazione del vaccino Astrazeneca”, ma l’Ema ha già avviato un’ulteriore review accelerata. Sarebbero in tutto una trentina i casi di morti da tromboembolia polmonare in Europa di cittadini che avevano ricevuto la prima dose di vaccino Astrazenca. Dei quali due in Sicilia (un terzo caso, sarebbe poi stato escluso dall’autopsia), appunto.

Si tratta di tre persone (l’approfondimento a fianco nell’articolo di Saul Caia) ritenute “sane”, cioè senza fragilità, come ha spiegato al Fatto Armando Genazzani, membro del comitato di Ema che ha approvato i vaccini anti-Covid, incluso Astrazeneca: “Mi sento di escludere che tali eventi siano collegati al vaccino, ma stiamo lavorando giorno e notte per verificare ogni possibile scenario: che le tromboembolie non siano collegate al vaccino come pensiamo, o che siano collegati a specifici lotti, o che siano collegati al vaccino stesso, indipendentemente dai singoli lotti,” spiega Genazzani.

L’Ema, infatti, è ancora al lavoro per valutare ogni singolo caso ed eventuali nessi causali con il vaccino, ma ufficialmente gli esperti dell’agenzia escluderebbero tale scenario. Al punto che la stessa Ema raccomanda gli Stati membri di non sospendere le vaccinazioni con Astrazeneca mentre è in corso la valutazione del Prac, il comitato per la valutazione del rischio in farmacovigilanza. “Non c’è al momento alcuna indicazione che il vaccino abbia causato tali condizioni, le quali non sono presenti nella lista dei possibili effetti collaterali – è la posizione ufficiale di Ema –. I benefici continuano a essere superiori ai rischi”. Ema ritiene che trenta casi occorsi in 5 milioni di persone vaccinate finora con Astrazeneca in Europa non eccedano il numero di eventi tromboembolici normalmente registrato. I lotti “incriminati” sarebbero a ogni modo due: il lotto ABV5300 spedito a 17 nazioni europee (ma non all’Italia) e che conta un milione di dosi. L’altro è l’ABV2856, arrivato anche in Italia e per il quale l’agenzia del farmaco italiana Aifa ha sospeso la somministrazione sul territorio nazionale, da Nord a Sud, mentre ha avviato un’indagine sui due decessi insieme ai Nas. Il presidente di Aifa Giorgio Palù si è limitato a un “no commet”. Anche Austria, Lussemburgo, Estonia, Lituania e Lettonia hanno sospeso la somministrazioni delle dosi provenienti dal lotto ABV5300 che hanno ricevuto, mentre Danimarca, Norvegia e Islanda hanno interrotto per ora l’intero programma vaccinale Astrazeneca.

Il problema è che “rispetto alle segnalazioni di sospette reazioni avverse ai vaccini, c’è un’enorme difficoltà nel distinguere un effetto causale (cioè dovuto al vaccino, ndr) da una coincidenza”, ha dichiarato Stephen Evans, professore di farmaco-epidemiologia alla London School of Hygiene and Tropical Medicine di Londra, Uk. Ha aggiunto che a complicare le cose, il Covid-19 stesso è già di per sé fortemente associato alla coagulazione del sangue, cioè eventi tromboembolici come quelli che hanno portato alla morte trenta cittadini europei dopo la vaccinazione con Astrazeneca. Oltre all’Italia, per ora sono noti casi avvenuti anche in Austria e Danimarca. La Spagna ha dichiarato che non ha registrato alcun evento avverso grave o decesso in persone a cui è stato somministrato il vaccino Astrazeneca.

Il professor Silvio Garattini, uno dei luminari più prestigiosi d’Italia, raggiunto al telefono, se la prende con “l’infodemia che fa danni” e aggiunge: “Ci mettessero ora la faccia per spiegare che con il vaccino non spariscono le patologie e che i benefici sono enormi rispetto a quello di cui stiamo parlando. È giusto esaminare i casi, giusto sospendere i lotti, ma pensiamo che quando avremo 40 milioni di vaccinati non avremo magari tra questi qualcuno che muore poco dopo aver fatto il vaccino senza che il vaccino ne sia motivo? Bisogna spiegarlo bene alle persone”.

La buona notizia è l’approvazione di Ema del vaccino monodose di Johnson&Johnson.

“Situazione grave”. Trenta milioni di italiani da lunedì in zona rossa

Lo schiaffo della terza ondata è partito. Come un anno fa, come a novembre, tutti gli indici del contagio sono in inequivocabile e rapida crescita. Oggi, come ogni venerdì, sarà ufficializzato il monitoraggio settimanale dell’Iss, ma molti presidenti di regione hanno già diffuso ieri i dati relativi al proprio territori. Oggi alle 9.30 il tavolo decisivo tra i ministri Speranza e Gelmini con i vertici delle Regioni: tutto lascia presagire che da lunedì 15 marzo gran parte d’Italia si colorerà di rosso. Alle 11.30 si terrà invece il Consiglio dei ministri per tradurre in un decreto legge le misure per Pasqua e per i weekend delle (poche) regioni rimaste gialle.

Pressoché scontato il passaggio in zona critica del Piemonte, dove l’Rt comunicato dal presidente Alberto Cirio è all’1,41, ben al di sopra della soglia “rosso automatico” dell’1,25, così come l’incidenza sulla popolazione, a quota 279 casi ogni 100 mila abitanti (quota limite 250/100 mila).

Discorso analogo per la Lombardia, che registra un Rt più basso (circa 1,3) ma un’incidenza maggiore (312/100 mila): “Lo dico chiaramente – ha annunciato ieri il presidente Fontana – stiamo soffrendo e c’è una tensione ospedaliera importante”.

Vede rosso anche l’Emilia-Romagna: “Coi dati che stanno emergendo – dichiara l’assessore alla Salute Donini – il cambio di colore sta nelle cose”. Rischia il doppio balzo da giallo a rosso senza passare per l’arancione anche il Lazio. Secondo l’Unità di crisi regionale, “i dati del contagio sono in aumento e raggiungono i livelli di due mesi fa, lo scenario previsto è in netto peggioramento”. In bilico anche il Veneto (“Siamo sul filo del rasoio tra arancione e rosso”, ammette il presidente Luca Zaia), Friuli-Venezia Giulia (Rt a 1,3), Toscana (1,22), Marche e Provincia autonoma di Trento. Puglia e Liguria, invece, potrebbero passare “solo” in arancione. A conti fatti – contando le regioni già in rosso dalla scorsa settimana – le uniche zone gialle da lunedì saranno Valle d’Aosta, Calabria e Sicilia; ancora bianca la Sardegna.

In attesa delle ordinanze del ministro della Salute che dovrebbero certificare i cambi di colore, ieri i ministri Gelmini, Speranza e Stefani, il commissario straordinario all’emergenza Covid Figliuolo e il capo della Protezione civile Curcio hanno illustrato alle regioni il piano vaccinale di massa del governo Draghi. Come già anticipato, si passa da un criterio per categorie a un criterio sostanzialmente anagrafico. Completata la prima fase di vaccinazione degli operatori sanitari, sociosanitari e degli ospiti delle Rsa, in via di attuazione la fase 2 degli ultraottantenni, del personale scolastico, delle carceri, dei luoghi di comunità e delle forze dell’ordine, è ora di pianificare la fase tre. I primi a ricevere le dosi (“categoria 1”) saranno i cittadini con “elevata fragilità e disabilità grave” suddivisi in 16 categorie di rischio; quindi le persone in età compresa tra i 70 e i 79 anni, quelle tra 60 e 69, i minori di 60 anni con comorbilità fuori dai casi contemplati nella “categoria 1”. Infine toccherà al resto della popolazione sotto i 60 anni.

Una discussione, quella sulle “categorie” da vaccinare, che ha raccolto la soddisfazione dei governatori che temono di avventurarsi sul terreno “scivolosissimo” delle appartenenze a non meglio identificati “servizi essenziali” (vedi alle pagine 4 e 5) che “rischiano di creare ferite e incomprensioni”. Altrettanto combattuta la proposta di vaccinare “sui luoghi di lavoro”, sponsorizzata in particolare dalla Lombardia. Per il presidente dell’Anci, Antonio Decaro, andrebbe estesa anche alle pubbliche amministrazioni, altri presidenti temono la nascita di “canali vaccinali paralleli” difficilmente gestibili.

Il bollettino di ieri, intanto, conferma il trend in crescita: 25.673 nuovi contagi e 373 morti, tasso di positività al 6,9% (20% se calcolato sul totale dei casi testati e non dei tamponi effettuati). Aumentano ancora le degenze: +365 posti letto occupati nei reparti Covid ordinari (totale 23.247), + 32 terapia intensiva (2.859).

Fine della favola

Da qualche giorno leggiamo con raccapriccio le cronache delle indagini di varie Procure siciliane su alcune Ong specializzate nei “soccorsi” di migranti nel Mediterraneo. E notiamo con stupore il silenzio dei politici e dei commentatori di solito così prodighi di commenti, esternazioni, interviste, petizioni, appelli e contrappelli. Parlano solo Salvini e i giornali di destra, facendo di tutta l’erba un fascio fra le Ong che davvero salvano vite dal naufragio e quelle che fanno altro. Tacciono invece quelli che da anni fanno di tutta l’erba un fascio in senso opposto: difendendo a prescindere tutte le Ong, attaccando a scatola, occhi e orecchi chiusi qualunque pm si azzardi a indagare, qualunque osservatore si permetta di sollevare dubbi, qualunque politico non certo razzista e fascista (come Minniti, Di Maio e Lamorgese) osi chiedere qualche regola nel Mar West, fino a negare financo filmati, foto, satelliti e intercettazioni che provano i rapporti fra volontari e scafisti.

Quando il procuratore di Catania Carmelo Zuccaro, chiamato nel 2017 in Parlamento a riferire, spiegò che l’Italia era disarmata contro i trafficanti di esseri umani perché le navi di alcune Ong prelevavano i migranti in acque libiche o limitrofe dai barconi degli scafisti con consegne concordate, transponder spenti e nessun controllo dello Stato, azzerando il rischio giudiziario e “imprenditoriale” di quei criminali, fu accusato di sporcare la favola bella degli angeli del mare. Idem per Minniti, che quell’estate propose un codice di autodisciplina per le Ong (transponder accesi, bilanci trasparenti, agenti a bordo). E riuscì ad abbattere il traffico e il numero dei morti, cosa di cui si prese il merito Salvini senza far nulla in più di utile, ma molto in più di inutile, xenofobo e propagandistico. Intanto le anime belle ripetevano il mantra “nessuna prova, solo calunnie, è crimine umanitario”. Negazionismo puro, anche dopo che l’inchiesta di Trapani sulla nave Iuventa dell’Ong Jugend Rettet, mostrò foto e filmati delle consegne concordate dagli scafisti ai volontari, che poi non li denunciavano e non ne affondavano i loro barchini, ma li restituivano. Noi tentammo di sollecitare un dibattito serio, che distinguesse tra chi salva vite e chi fa da nastro trasportatore o da tassista agli scafisti: distinzione che gioverebbe alla verità, alla giustizia, ma soprattutto alle Ong pulite. Non ci fu verso: fummo insultati dai Manconi, Zoro, Mannocchi & C. Ora si attendono i loro commenti sull’inchiesta chiusa a Trapani su 21 membri degli equipaggi di Iuventa, Vost Hestia, Vost Prudence, navi legate alle Ong Jugend Rettet, Save The Children e Medici senza Frontiere.

Vengono fuori le foto – scattate nel 2016 da un agente Sco sotto copertura – di uno scafista che picchia i migranti con una cintura e un tubo di ferro sotto gli occhi dei volontari. Poi sale a bordo della nave Vos Hestia noleggiata da Save The Children che, pur sapendo chi è e cosa ha fatto, lo traghetta al porto di Reggio Calabria senza denunciarlo. Si vede la Vos Hestia che, informata in tempo reale delle partenze degli scafisti dalle coste libiche, li raggiunge “in un preciso tratto di mare senza dare alcuna comunicazione alle autorità”. L’indomani rileva 548 migranti e nei giorni successivi altri 1300. I volontari di STC fanno levare ai poveretti i giubbotti di salvataggio e indossare quelli col logo della Ong, restituendo i vecchi agli scafisti. Tre di questi vengono fotografati mentre si avvicinano alla nave, smontano il motore dal gommone e ripartono. Altri vengono fatti salire a bordo, mescolati tra i profughi, e condotti in Italia come naufraghi appena salvati. Il comandante si vanta di non denunciare gli scafisti: “Ho altri ruoli e non quello di fare la spia o l’investigatore”. E prepara rappresaglie per un volontario che li ha segnalati alla polizia: “Appena torna lo scemo vedo cosa vuole fare, altrimenti lo mando a fare in culo dicendogli: ‘Vedi dove te ne devi andare, ti vuoi stare zitto o te ne vai’…”. Una settimana dopo tre scafisti abbordano la Vos Hestia e annunciano un altro carico: uno è Suleiman Dabbashi, di una famiglia che gestisce centri di prigionia a Sabrata. Nessuna denuncia neppure per lui.
Altra indagine, altro scandalo: a Ragusa c’è un bonifico di 125mila euro versati dal cargo commerciale danese Maersk all’Ong Mediterranea Saving che aveva rilevato 27 naufraghi salvati un mese prima. Qui, oltre alle solite accuse di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e falso, c’è pure il commercio di migranti. Infine c’è la testimonianza della ministra Lamorgese al processo Gregoretti contro Salvini: “Le navi che vanno a fare soccorso in acque Sar libiche, ogni volta che fanno un soccorso, non tornano subito indietro. Tante volte, a soccorsi effettuati, si fermano nelle aree libiche anche 3-4 giorni, in attesa di recuperare più gente possibile”. Quindi “sono navi che hanno la possibilità di star ferme con persone appena recuperate in acqua anche 4-5 giorni”. E, stazionando a lungo dinanzi alla Libia, attirano e incoraggiano il traffico di esseri umani. Ora facciamo pure finta che non ci siano reati. Anzi, tagliamo corto e diamo la grazia a tutti gli angeli delle Ong. Ma poi finiamola con le bugie e le ipocrisie, smettiamo di prenderci in giro e stabiliamo che d’ora in poi queste schifezze non accadano più. Sempreché, s’intende, la lotta al traffico di esseri umani interessi qualcuno.

“Com’era bello quando parlava Gaber”: Scanzi fa teatro-canzone

Avrebbe avuto appena 82 anni Giorgio Gaber, se la malattia non l’avesse portato via nell’ormai lontano Capodanno del 2003. E c’è da scommettere che avrebbe trovato una sua originale chiave interpretativa per leggere i mesi surreali e terribili che stiamo vivendo.

Le sue parole e la sua musica sono ormai un patrimonio prezioso affidato alla memoria collettiva di un Paese che troppo spesso soffre di amnesie. Lo sa bene Andrea Scanzi, che non ha bisogno di presentazioni su queste colonne e che da oggi è in streaming in esclusiva su
TvLoft con il suo Com’era bello quando parlava Gaber (regia teatrale di Simone Rota, patrocinio della Fondazione Giorgio Gaber): “Sono terrorizzato dall’idea che la sua memoria si perda”. Sarà anche per questo che è da anni che gira i teatri instancabilmente per raccontare quello che l’artista è stato. Lui, gaberiano doc, che sui cantautori di quella irripetibile generazione si è laureato ad Arezzo nel 2000, con l’artista milanese aveva un rapporto particolare. “Ma perché questo ventenne sa tutto di me?” si chiedeva il Signor G, che, non fosse stato malato, di quella tesi sarebbe stato correlatore.

Quella passione non si è mai esaurita: “Ho visto per la prima volta Giorgio Gaber nel ’91 a Fiesole e da allora gli voglio bene”. Ma attenzione a non dare la sua figura per scontata: “Il nome Gaber lo conoscono tutti, ma se vai a scavare ti accorgi che Giorgio è conosciuto solo in modo superficiale”. È per questo che al centro del nuovo episodio di Tutta scena – Il teatro in camera – l’iniziativa di TvLoft che dal 4 febbraio porta il palcoscenico nelle case degli italiani – non c’è il Gaber delle canzoni e delle apparizioni televisive degli anni 60, ma quello rivoluzionario che, nell’indimenticabile sodalizio con Sandro Luporini, dà vita a un vero e proprio nuovo genere: il teatro-canzone, espressione visionaria che per trent’anni, dal 1970, avrebbe dato forma all’opera e alla riflessione dei due.

Prosa e poesia: è così che scavarono a fondo il loro tempo, alle prese con la storia e la politica, la filosofia e la vita privata degli italiani, ma indagando sempre e anzitutto l’umanità che in quelle pieghe si svelava. Ne deriva una lucidità scomoda, fatta di dubbi e problematizzazioni, indipendenza e provocazione. Che generavano polemiche e periodiche accuse di disfattismo e qualunquismo. Ma quella capacità di interpretare la realtà fuori da ogni schema e da ogni ideologia non si è mai tradotta in disimpegno: c’è uno slancio utopico che anima ogni lavoro del Gaber teatrale, una speranza che accompagna il coraggio della critica e lo sguardo corrosivo. È questo il Gaber che Scanzi racconta. Difficile non comprendere quanto ne avremmo avuto bisogno anche oggi.

C’è un nuovo #MeToo in serbo: le attrici accusano il maestro

Faccia perlacea, occhi da cerbiatto, sinuosità elegante: con la bellezza ci nasci, col coraggio no. Milena Radulovic, meno di trent’anni e ultimo volto noto del cinema serbo, è stata la prima attrice a denunciare Miroslav Aleksic, pigmalione di numerose generazioni di artisti slavi che, sin dall’infanzia, frequentavano la sua scuola di recitazione, severo istituto dove agli atti dei drammi si univano ore di preghiere ortodosse, punizioni fisiche e psicologiche. L’uomo capace di decretare l’inizio o la fine della carriera amava saltare dal palco degli spettacoli a quello dei comizi politici: ex nazionalista, Aleksic è stato anche il “regista” delle imprese del comandante Arkan durante la guerra jugoslava e del suo matrimonio con la cantate folk Ceca.

Nella stessa aula in cui imparava a recitare, Milena, alunna di Aleksic dall’età di sei anni, a 17 è stata violentata molteplici volte dall’insegnante, che all’epoca ne aveva 61. Dopo aver partecipato a un paio di colossal come Kola Superdeed e Balkan line, dopo anni di depressione e terapia psicoanalitica, Milena ha deciso di dire a voce alta cosa le era stato fatto, diventando la prima solista di un coro numeroso di 16 donne che ha allungato l’indice contro il vecchio maestro. Finita sulle copertine dei patinati magazine serbi, ha invitato l’abusatore alla battaglia nel luogo in cui pensava di non dover finire mai: in campo aperto. Grazie alla pazienza certosina di un detective della polizia serba, che ha ricostruito il caso, Aleksic è finito prima sotto inchiesta della Corte di Belgrado e poi in custodia, accusato di aver abusato, molestato e violentato decine di studentesse tra il 2008 e il 2020, alcune delle quali ancora oggi minorenni. Prima è uscita dalla scuola, poi dall’Accademia d’arte drammatica di Belgrado, infine dal guscio di silenzio: la sua audacia è stata omaggiata dal ministero della Cultura di Belgrado, mentre il ministro dell’Interno ha chiesto a tutte le altre vittime di farsi avanti. “I manipolatori come Aleksic amano essere acclamati dalla società che finisce per amarli, bisognava rompere un doppio muro”, dice Milena, ma lo stupore è arrivato quando la società serba si è dimostrata abbastanza matura da supportare le alunne abusate e non il professore adorato dall’élite. C’è un solo modo giusto per raccontare la storia di una vittima di violenza sessuale ed è lasciare spazio alle parole che lei stessa sceglie: “Le persone non capiscono perché chi ha subito abusi rimane in silenzio per tanto tempo, pensano che sta nascondendo qualcosa o che si ottiene qualcosa nel denunciare” ribadisce l’attrice. Il parallelo con il caso Epstein (ma anche quello di Weinstein) l’hanno tracciato in molti “per il narcisismo e l’ossessione dell’abusatore verso le teenager, ma le vittime del tycoon americano non lo conoscevano, per noi invece è stato come essere violentati da un membro di famiglia, era amato da studenti e genitori. Il nostro caso è comparabile anche a quello di Larry Nassar”, medico della Nazionale Usa di ginnastica, denunciato di stupro da 500 atlete.

A parlare oggi è una donna di successo, non la ragazzina spezzata da minorenne. “Mi fidavo, conoscevo il mio violentatore. Ero in una trappola di manipolazione dove non c’è via di fuga, ma incolpi te stessa per essere finita lì. Le vittime, di solito, quando cominciano a capire cosa è successo, sono molto più mature rispetto all’età in cui lo stupro è avvenuto”.

“Pensava che nessuna di noi avrebbe mai parlato”. Il perno della violenza sistematica del maestro era il silenzio, la più grande prova del suo potere intrusivo: anche decenni dopo, le studentesse continuavano a rimanere zitte. La violenza subita non la dimentichi mai, ma trovi un altro modo per ricordarla: l’onda di denunce a catena sono oggi per Milena motivo d’orgoglio. “Non mi aspettavo una reazione così rapida delle vittime, sapevo che parlando avrei fatto la cosa giusta, ma questo lo ha confermato. Non è così importante che venga chiamato il ‘#MeToo dell’est’, le donne serbe sono state più forti dello stigma”, racconta l’attrice, e del tradizionale maschilismo nei Balcani questa volta sono state più forti Milena e “la rivolta delle allieve”.

“Non temo di essere Madame”. La rivelazione di Sanremo

“La scorsa notte ho fatto un sogno”. Racconti. “Ero incinta. Dall’ombelico usciva un feto di plastica. Mi rivolgevo allarmata a mia madre e lei diceva: stai tranquilla, ora ti rientra nella pancia. Un sogno ricorrente, sin da quando ero piccola”.

Anche a Sanremo le ‘storie’ illustrate dai suoi abiti erano narrazioni oniriche, cara Francesca Calearo, anzi Madame.

La prima sera ero me stessa ragazzina, vestita di specchi. La seconda una madre fecondata dal mondo, l’ultima l’unione di due sposi in un solo corpo. Un viaggio per superare i limiti della mia identità.

Roba da psicanalisi.

Una volta fui ingannata da una fake news. Qualcuno mi disse che se fissavo i miei occhi allo specchio il volto avrebbe cambiato forma. Esperienza spaventosa. Se hai sette anni rischi di crederci.

A quell’età ci sentiamo smarriti.

Mai come quando fui scartata allo Zecchino d’Oro. Non mi richiamarono dopo l’audizione. Pare per una questione regolamentare. Bocciata e abbandonata lì. Voglio rifarmi: scriverò un pezzo per lo Zecchino.

Dopo Sanremo la sua ”Voce” ha conquistato tutte le classifiche.

A ogni votazione avevo le balle girate. ‘Sono tra gli ultimi!’. Cercavano di consolarmi, rivendicavo la mia tristezza.

Prima del debutto…

Ero nervosa, ma lassù nell’angolo vedevo scherzare Fiorello e Amadeus. Sentivo Achille Lauro declamare il suo manifesto artistico: ‘Non abbiate paura di essere voi stessi’. Parole miracolose. Così scesi la scala, i miei piedi nudi mi sussurravano: ‘Stai tranquilla, ti teniamo a contatto con la terra, se ti agiti puoi sederti’.

Ha proposto una canzone dall’ambiguità quasi mitologica. Parla alla propria voce, ma potrebbe rivolgersi a un’altra ragazza.

Il mio io non è così solido quanto la mia vocazione a sentirmi parte di ogni altro. Voglio comprendere e accogliere tutti. Sperimentarne le vite, vedere con i loro occhi, libera da pregiudizio. Non è solo la mia ‘voce’, ma di molti. Di sicuro quella della mia amica Matilde.

La sua è anche libertà di esplorare la sessualità. Le comunità LGBT non hanno apprezzato che lei non voglia farsi etichettare.

Le community sono importanti, per molte persone sono un rifugio necessario. Ma nella mia crescita voglio avere il diritto di provare e scegliere. Ho detto di essere bisessuale, sto accettando fino in fondo ciò che sono. Fluida. Se mi passa la battuta, si scopa di più! Come farei a descrivere l’amore per una donna senza averlo mai provato? E devo innamorarmi di un uomo, per poterlo cantare. Non seguirò percorsi prestabiliti. Il mio corpo è un mezzo. Sono una locomotiva che fa girare le ruote sopra binari che costruisco man mano.

Quando ha scoperto la ricchezza interiore?

Sono sempre stata così. In campeggio, da piccola, mi incuriosivano i discorsi di certi amici dei miei. Intellettuali con chitarre. Chiedevo a mamma e papà: è questo il senso della vita? Ero una di quelle bambine che lasciava il nido per scoprire cosa c’è nel cielo. Arrivata alla pubertà, mi sono sentita destabilizzata: ‘Ok, vediamo chi sono’.

Mesi fa pubblicò un brano dal testo esplicito. Già nel titolo, “Clito”. Come reagì sua madre?

In famiglia mi comprendono. Mamma obiettò: ‘perché questa cosa?’. E io: ‘tutti i giorni sentiamo maschi che parlano e cantano di cazzo e figa, solo loro possono?’. E lei: ‘In effetti’. Nell’album Madame, che esce il 19 marzo, dirò molte altre cose. C’è un pezzo, Vergogna: ‘La vergogna non la provo/la mia faccia non colora/sono così sincera da farmi schifo da sola’. Provo pudore solo quando affronto i miei errori.

Chi è Madame?

Un’entità che mi studia, valuta, guida. La lascio parlare. È il mio canale di comunicazione. Io, Francesca, sono solo un’adolescente incasinata.

A scuola la bullizzavano?

Alle medie mi vedevano strana. Al liceo ero felice, eravamo sole ragazze: fui bocciata perché concentrata sulla musica. Alle elementari le maestre mi fecero cominciare dalla seconda: sapevo già leggere e scrivere. L’insegnante di canto mi proponeva Neffa e la Pausini.

Incontrati a Sanremo.

Amo Laura, ho scritto un pezzo per lei, gliel’ho consegnato. Mi ha promesso che lo ascolterà. Il titolo? Pausini mp3, ah ah.

Ronaldo le mise un like per ‘Sciccherie’. Da chi ne vorrebbe un altro?

Bieber. Sogno un remix di Voce in duetto con Justin.

Come affronta i limiti della pandemia?

Striscio a pancia in su per vedere la casa da una prospettiva diversa. Nella vasca aspiro l’acqua col naso finché sento dolore agli occhi. Passeggio con il cane, a piedi nudi, calpestando erbacce. Inseguo esperienze.