Delega allo Sport, il primo inciampo per Mario Draghi

Dicono che Mario Draghi ami lo sport. Certo non immaginava che tanti problemi gli avrebbe causato al governo. La delega è praticamente l’unica ancora non assegnata: è riuscito a mettere d’accordo i partiti sui massimi sistemi ma non su questo. E sullo sport l’esecutivo è stato costretto a porre anche la sua prima fiducia: incassata ieri al Senato (214 sì, 32 no), dopo l’ennesima battaglia sul testo che ha restituito al Coni di Giovanni Malagò la sua preziosa autonomia.

Il Comitato e i suoi sostenitori sono un po’ come Penelope, che fa e disfa la sua tela. Prima hanno strepitato per ottenere il famoso “decreto Salva-Coni” senza cui – secondo la versione propagandata dalla stampa amica – l’Italia sarebbe stata sospesa dal Cio; poi hanno provato a sabotarlo. È successo nelle ultime riunioni, con l’assalto dei parlamentari di Italia Viva, una parte del Pd, l’ala di Forza Italia che risponde a Gianni Letta: dopo il caso della “manina” in Consiglio dei ministri che aveva provato ad assegnare al Coni il prezioso Istituto di Medicina dello Sport, sono tornati alla carica per avere più dipendenti, non solo i 165 assegnati dal testo (Malagò infatti ne vorrebbe 240). In mancanza di un accordo (impossibile vista la contrarietà del M5S e della Lega di Giorgetti), hanno chiesto di rinviare la discussione alla settimana prossima, che così però si sarebbe avvicinata pericolosamente alla scadenza del decreto a fine mese.

Una tattica neanche troppo sottile per ripartire da zero, ricominciare col teatrino delle sanzioni del Cio e alzare la posta, pretendere ancora di più per il Coni, che ha già ottenuto tanto ma non si accontenta.

Ma il governo ha deciso di tagliare la testa al toro con la fiducia. Il testo, approvato senza modifiche, passa ora alla Camera. A quel punto potrebbe sbloccarsi anche la delega, che fin qui Draghi ha mantenuto forse anche per liberare il nuovo sottosegretario da questa prima rogna. E siamo solo all’inizio.

Polvere di azzurri: Forza Italia si spacca sulla sua vicepresidenza alla Camera

Non è servito nemmeno l’arrivo nottetempo di Silvio Berlusconi a Roma per placare le truppe di Forza Italia: il gruppo ieri pomeriggio si è spaccato in tre sull’elezione del vicepresidente della Camera che doveva sostituire Mara Carfagna, diventata ministro del Sud. Dopo un’infuocata riunione di martedì sera in cui Roberto Occhiuto e Valerio Valentini sono stati nominati capogruppo e vice a Montecitorio, ieri mattina via whatsapp è arrivato l’ordine di scuderia: “Votare Mandelli”. Fedelissimo di Berlusconi (è lui che organizzava gli incontri con gli imprenditori a Villa Gerneto) e presidente dell’Ordine dei farmacisti, Andrea Mandelli è stato eletto a scrutinio segreto con 248 voti in gran parte provenienti dagli altri partiti di maggioranza. FI si è spaccata in quattro: alcuni hanno votato Mandelli, altri Annagrazia Calabria (120 voti), Simone Baldelli (13) e Stefania Prestigiacomo (8). La decisione di puntare su Mandelli ha provocato l’ira di Prestigiacomo e Calabria – mal viste da Ronzulli e Tajani – che ora minacciano di lasciare il partito.

Varianti e vaccini, il problema esiste

La pandemia ha raggiunto tutti i continenti, provocando 98 milioni di casi e oltre 2 milioni di decessi. Altrettanto rapidi, come mai nella Storia della Medicina, sono stati i progressi nello sviluppo del vaccino. A oggi ne sono stati prodotti decine in fase ultima di sperimentazione, alcuni già autorizzati in regime di emergenza. La maggior parte usa una glicoproteina spike ricombinante, fondandosi su un mRNA (Moderna e Pfizer–Biontech), un vettore di adenovirus (AstraZeneca, Johnson & Johnson) o tramite iniezione di proteina stessa (Novavax). Nel frattempo è continuato il lavoro di sequenziamento per controllare le eventuali mutazioni. Alcune hanno dato origine a varianti che sembrano essere più contagiose ma non più gravi. Il vero problema è l’efficacia dei vaccini. Più il vaccino è specifico e mirato, più alta è la probabilità che, creandosi mutazioni, nel tempo sia reso inefficace. L’evoluzione in SARS-CoV-2 potrebbe alla fine portare a un vaccino meno efficace, anche se il tasso di mutazione di SARS-CoV-2 relativamente basso è un fattore protettivo. Bisogna però stare attenti al fatto che l’infezione prolungata negli immunocompromessi, nelle fasce fragili potrebbero accelerarla. Dagli studi sull’immunità naturale al virus, sappiamo che questa è concentrata in sole due sezioni della proteina. Ciò aumenta le probabilità che, presentando mutazioni proprio nei luoghi di attacco anticorpale, il virus diventi non sensibile ai vaccini. Più precisamente, sarà necessario riformulare periodicamente i vaccini cosicché si adattino meglio ai ceppi circolanti e vaccinare periodicamente anche perché l’immunità ha una durata limitata. Ci stiamo preparando? È necessaria una programmazione mondiale con una produzione continua, una logistica appropriata e sforzi economici ingenti. Ritardi non sono più accettabili.

Direttore microbiologia clinica e virologia del “Sacco” di Milano

“Cancellate tutto”: così sono sparite le carte sui viadotti

Sono trascorsi appena due mesi dalla strage del Ponte Morandi. Siamo nell’ottobre del 2018. E non sono passati inosservati i movimenti di Michele Donferri Mitelli, ex capo delle manutenzioni di Autostrade per l’Italia, uomo fidato dell’ex ad Giovanni Castellucci. Ha chiesto ad alcuni collaboratori di raccogliere un dossier sugli interventi effettuati nel tempo sul viadotto. Ma, secondo la Guardia di Finanza, non ha nessuna intenzione di consegnarlo agli inquirenti. “Ti ricordi le slide che ti ho mandato ieri? – domanda a un sottoposto – allora le stampi e le cancelli immediatamente. Le prendi, te le metti in una chiavetta, e le togli da là”. “Quelle di Camomilla?”, chiede l’interlocutore. Al solo accenno Donferri bestemmia. “Non devi pronunciare questo nome”.

Il riferimento, secondo la Procura di Genova, è all’ingegnere Gabriele Camomilla. L’uomo che per conto della società Autostrade, durante la gestione pubblica, eseguì un importante intervento di ristrutturazione del viadotto. Erano i primissimi anni Novanta. Una delle tre pile fu ricostruita completamente, perché i cavi davano evidenti segni di corrosione. Una seconda fu oggetto di un importante rinforzo. La terza, la numero 9, è quella da cui si è staccato il tirante, il punto di origine del disastro che il 14 agosto del 2018 ha causato la morte di 43 persone. Una struttura identica alle altre due su cui però, nei successivi trent’anni, dopo la privatizzazione, non è stato più effettuato alcun intervento. Ed è ormai noto che il progetto di retrofitting, pianificato da Autostrade per l’Italia, dopo tre anni di discussioni non è mai stato avviato.

La principale strategia delle difese di Autostrade punta oggi sull’esistenza di un vizio occulto del viadotto, un errore di realizzazione della pila crollata, ignoto alla società. Ma secondo i magistrati questa versione viene smentita da molti elementi. Uno lo fornisce un’intercettazione di Gianni Mion, manager della famiglia Benetton. Durante una riunione il dirigente chiama in causa tutti i più alti livelli del gruppo Atlantia: “Mion – si legge in un’annotazione della Finanza – dice che nel caso del ponte Morandi si sapeva da sempre che il ponte aveva un problema di progettazione e quando hanno comprato Aspi loro hanno detto che gli stava bene così come stava e la loro prima responsabilità era quella di dire che si doveva rifarlo. Mion dice che fu fatta una riunione con tutti i consiglieri di Atlantia, gli amministratori delegati, il direttore generale, il management e tutti sapevano della problematica nella progettazione. E quando chiese a Castellucci e ai suoi dirigenti, tra cui il dg Mollo, chi certificasse la stabilità e l’agibilità del ponte Morandi, gli è stato risposto: ‘Ce lo autocertifichiamo’”. Per Salvatore Esposito, tecnico intercettato mentre parla a un collega, la corrosione dei cavi del Ponte Morandi “è un problema più vecchio di me e di te”, “tutti sapevano e nessuno ha fatto niente praticamente”, “e quando si sono decisi era troppo tardi”. Il 31 gennaio del 2019 il crollo del tetto della galleria Bertè (A26 Genova-Gravellona) rischia di provocare nuove vittime. Un fatto per Mion molto grave: “In Liguria hanno messo degli scellerati a monitorare ed è un macello – confida al consulente Aldo Laghi – non c’è un cazzo da fare, difendono l’indifendibile”. Un rapporto di Spea, lamenta, “diceva che quella galleria non aveva bisogno di lavori per altri cinque anni, ed è crollata”: “Sono un’associazione a delinquere, una banda di cialtroni”. Per Mion, “ se si vuole sopravvivere bisogna cacciare via tutti”, “Di Maio vuole dare tutta la colpa ai Benetton, prima cosa è dire che è tutta colpa di Spea, liquidarla”. In un’altra intercettazione, riportata dal Secolo XIX, Mion scherza sull’evento in una conversazione a tre con il presidente di Atlantia Fabio Cerchiai e l’ad Carlo Bertazzo. Mentre parlano di sci, windsurf e vacanze, Mion dice a Cerchiai: “È meglio se prendi l’aereo”. “Sì – risponde Cerchiai – meglio se prendo l’aereo”. I ponti non sono sicuri. E loro lo sanno.

Benetton, la strategia per fregare il governo

All’inizio del 2020 Autostrade per l’Italia sta vivendo la sua crisi più nera: sulla società incombono l’inchiesta sulla strage del Ponte Morandi, lo scandalo dei falsi report sui viadotti, i crolli nelle gallerie. Gianni Mion, storico manager della famiglia Benetton, è stato richiamato al timone per evitare la perdita della concessione: “Non si andrà alla revoca. L’obiettivo seguito ma non dichiarato del governo è l’esproprio proletario, perché vogliono fare fuori i Benetton”. Mion, ammettendo “errori passati”, vorrebbe cingere l’esecutivo in un abbraccio mortale, chiamarlo a una sorta di corresponsabilità. È in via di ultimazione una nota per l’ex premier Conte: “Sto preparando un documento in cui diciamo che siamo pronti a cedere Asp. Non è ben chiaro come il ministero abbia approvato le tariffe senza controllare. (…) Diciamo, dobbiamo avere una responsabilizzazione di chi controlla. Perché se succede qualcosa e quello che deve controllare non lo ha fatto, tu hai meno responsabilità, no?”.

 

Il nuovo ad “Tomasi è un pupazzo della Ministra”

Questa posizione, che prelude a una trattativa dura, si scontra però con il nuovo ad di Autostrade, Roberto Tomasi. Il volto nuovo, chiamato a sostituire Giovanni Castellucci, coinvolto in tutte le inchieste della Procura di Genova: “Il nostro punto debole in questa battaglia è il povero Tomasi”, dice Mion a Fabio Cerchiai, presidente di Atlantia. È il 2 febbraio 2020. “All’avvocato ha detto: ‘Ragazzi, c’è poco da fare, le manutenzioni sono andate in calando’. Come se lui fosse arrivato dopo. Dice: ‘Metto in sicurezza tutto’. Ormai è proprio un pupazzo in mano ai giudici e alla Ministra”. Il riferimento è a Paola De Micheli, definita “una poveretta”. E l’attivismo di Tomasi non piace nemmeno ad Alessandro Benetton, figlio di Gilberto, che teme si trasformi in un boomerang: “Oggi tu dici: va bene, faremo 7 miliardi di investimento nel prossimo anno a tutti – commenta con un amico – La gente dice, allora qualcuno ve le ha fatte fare ’ste robe ma siamo matti che voi in un anno fate un investimento che non avete fatto in vent’anni?”.

Lontano dai riflettori va in scena una faida familiare. In modo forse sorprendente Mion sembra caldeggiare l’esclusione dei Benetton, soluzione su cui spinge in quel momento il governo, e in particolare il M5S: “Non si può nemmeno dargli torto – dice all’amico Giorgio Brunetti – perché francamente non c’è stata la minima consapevolezza da parte loro. In Autostrade e Spea non si salva nessuno, sono tutti acquiescenti o complici”. E ancora: “Impreparazione assoluta, nella prima e nella seconda generazione. Sono entrati in un comparto in cui non avevano il minimo fisico per fare le cose. Castellucci allora diceva: ‘Facciamo noi!’. Allora tu eri consapevole fin dall’inizio. Gilberto eccitato perché guadagnava e suo fratello di più. Era una roba che non solo non potevano gestire, non potevano nemmeno governare”.

 

La foto con le Sardine “hanno sete di pubblicità”

Mion sembra insomma essersi convinto che il vero problema sia proprio ciò che rimane della dinastia di Treviso, che per salvare Atlantia occorra mollare Aspi, che Spea “vada liquidata” e che l’operazione vada chiusa anche la holding di famiglia, Edizioni: “Oltre che fare foto non sanno più che fare. Hanno dato la sensazione di essere senza anima e senza sentimenti. C’è poco da fare. La sondaggista mi ha detto che come immagine la famiglia è morta, è morta proprio. Dice che l’hanno ammazzata le due feste di Cortina (celebrate appena dopo il crollo del Morandi, ndr), senza aver dato nessuna scusa, nessuna solidarietà. Venerdì la Franca (Benetton, figlia di Giuliana, ndr) mi ha chiesto: ‘Ma perché ce l’hanno con noi? Mica abbiamo fatto niente…’. No, vi siete solo arricchiti”. Mion affida questo sfogo ancora una volta a Brunetti. È il 2 febbraio 2020. I due commentano la foto fatta da Luciano Benetton con Oliviero Toscani e alcuni esponenti del movimento delle Sardine. Ennesima dimostrazione, secondo Mion, che “i Benetton non sono consapevoli” della situazione: “Eri là con le Sardine, e che cazzo… Ma prima la lettera in cui dice che lui non sa niente, lui e suo figlio (Alessandro, ndr) non sanno un cazzo… che è colpa del morto (Gilberto, scomparso nel 2018, ndr). Poi questa cazzata delle Sardine per far vedere che proprio loro fanno parte di un altro mondo. E lui, come suo figlio, è vittima della sete di pubblicità”. “Che débâcle questa famiglia”, replica Brunetti. “Una desolazione. Ma proprio non c’è verso, Alessandro adesso vuole i soldi. Vuole i soldi perché voleva i dividendi, perché lui ha un progetto, è un imprenditore, perché gli altri non capiscono un cazzo. Capisci, mamma mia, pensano solo ai cazzi loro”.

 

Il manager “Non si va avanti con i figli dei ricchi”

In questo clima da tutti contro tutti la Finanza intercetta anche membri della famiglia di Treviso, conversazioni messe agli atti perché ritenute esemplificative della “politica dei dividendi dei Benetton”. Ermanno Boffa, marito di Sabrina Benetton, commenta con Mion che “sarebbe devastante se venisse fuori che i Benetton si sono distribuiti 200 milioni di euro nel loro momento peggiore”, “io sulla Franca (Benetton, figlia di Giuliana) batterò su questo”. “A lei piacciono i dividendi – dice ancora Mion – ha realizzato una plusvalenza, ha venduto del capitale. Se la distribuisce il mercato capisce che non ha nessun obiettivo di rilancio”.

Chi ambisce a un ruolo di guida, in grado di interagire ad alto livello con le forze politiche sembra essere Alessandro Benetton: “È un miracolo che la mia famiglia sia in questo ciclone e di reputazione io sono il settimo manager in Italia per credibilità”. Atlantia, commenta, “è tutto un merdaio”, e “Castellucci era un bello stronzo”. Dall’altro capo del telefono c’è il manager Fabio Corsico: “Lasciamelo dire, l’ho detto anche a Mion. Il problema vero è che la famiglia Benetton era una famiglia di imprenditori vent’anni fa… Gilberto un imprenditore, Luciano… non quello di oggi… scusami se parlo così di tuo padre, e Alessandro. Punto. Tre. Tolti questi il resto sono dei figli di ricchi. (…) La realtà vera è che un gruppo non va avanti coi figli dei ricchi, va avanti con gli imprenditori”.

Wto, Europa unita: a favore però delle case farmaceutiche

L’Italia e gli altri governi Ue si allineano contro la sospensione dei brevetti sui farmaci Covid discussa oggi al Wto. Documenti confidenziali ottenuti dal Fatto, dimostrano che il governo italiano sostiene l’opposizione della Commissione alle deroghe richieste da India e Sudafrica al Trattato internazionale che tutela la proprietà intellettuale (TRIPs). L’iniziativa, sostenuta dai Paesi poveri e accettata da quelli ricchi, mira a spezzare il monopolio di Big Pharma e allargare la disponibilità di vaccini e altri medicinali, consentendo a terzi di produrli per tutta la durata della pandemia.

Nel Comitato Ue per la politica commerciale, la Commissione ha discusso con gli Stati membri la posizione negoziale che dovrà tenere al Wto. Dai verbali di alcune riunioni tra gennaio e febbraio risulta che i 27 delegati governativi si sono detti concordi con l’esecutivo di Bruxelles. Gli accordi volontari e le licenze obbligatorie per l’import di medicinali in casi d’emergenza, previsti dal TRIPs, sarebbero sufficienti per garantire un equo accesso ai vaccini. La condivisione forzata dei brevetti rischia inoltre di disincentivare l’innovazione da parte delle case farmaceutiche. L’Italia, insieme a Olanda e Danimarca, si è limitata a chiedere alla Commissione di comunicare tali argomentazioni in modo più costruttivo all’Europarlamento e alle ong che insistono invece sull’introduzione delle deroghe, ritenendo le flessibilità del TRIPs troppo onerose.

Nuove chiusure e zone rosse, Draghi prende ancora tempo

Di qua Roberto Speranza con Dario Franceschini e Stefano Patuanelli, di là Mariastella Gelmini, Giancarlo Giorgetti ed Elena Bonetti di Iv. I primi vorrebbero la stretta il prima possibile, anche con la modifica del primo Dpcm di Mario Draghi che è entrato in vigore appena lunedì scorso. I ministri del centrodestra e di Italia Viva invece frenano, vogliono solo “misure puntuali” nelle aree più colpite, mentre Matteo Salvini sbraita contro quelle che chiama “misure punitive”. Lo schema è sempre quello, la vecchia maggioranza contro i nuovi “alleati” e Italia Viva. E il presidente del Consiglio si prende una giornata, per vedere meglio i dati settimanali che oggi saranno analizzati dai tecnici del ministero della Salute e dell’Istituto superiore di sanità. Domani si riunirà il Consiglio dei ministri che, se interverrà, farà un decreto legge per marcare una discontinuità almeno formale con i Dpcm.

Sembra molto probabile il passaggio automatico in zona rossa al di sopra dei 250 contagi a settimana ogni centomila abitanti, soglia già superata da un buon numero di Regioni e ormai prossima a livello nazionale. È una delle misure raccomandate espressamente ieri l’altro (e in realtà fin da gennaio) dal Comitato tecnico scientifico, che ieri alla riunione dei ministri era rappresentato dal presidente dell’Iss Silvio Brusaferro e dal presidente del Consiglio superiore di sanità Franco Locatelli. Sono stati loro a illustrare il rapido peggioramento della situazione. Si cerca però un correttivo per non penalizzare chi, come il Veneto, fa più tamponi di altri e avrà sempre valori assoluti più alti di chi ne fa di meno. Non c’è invece accordo sulla chiusura per tutta la giornata di bar e ristoranti nelle zone gialle (salvo asporto), che potrebbe passare per i weekend, come pure è stato raccomandato dal Cts con riferimento al sistema usato a Natale. Alle preoccupazioni del centrodestra per gli esercenti già provati dalle restrizioni, Franceschini ha risposto che lasciar correre i contagi può portare a misure ancora più drastiche nelle prossime settimane. Anche la Pasqua in rosso è altamente probabile. Oggi è convocata anche la Conferenza Stato-Regioni: all’ordine del giorno c’è il nuovo piano vaccini con le priorità attribuite ad alcune categorie di disabili fin qui rimaste fuori, compresi i caregiver, ma si discuterà anche della stretta e non sarà una discussione agevole.

Certo non cambierà nulla prima di lunedì prossimo, se non che l’analisi dei dati dirà che Rt sale ancora dopo aver superato 1 nell’ultimo monitoraggio settimanale e diverse Regioni, in base al Dpcm attuale, andranno dall’arancione al rosso, compresi Lombardia e Piemonte; altre dal giallo all’arancione e potrebbe toccare anche al Lazio. L’arancione rafforzato disposto da Attilio Fontana in Lombardia non basta: come ha detto il sindaco di Brescia Del Bono, dal capoluogo di un territorio oggi di nuovo pesantemente colpito a un anno dalla drammatica prima ondata, solo la zona rossa con il divieto di circolazione durante il giorno (salvo urgenze) consente alle forze di polizia di controllare realmente il territorio. In Piemonte sono i medici a chiedere la zona rossa. In Puglia, Michele Emiliano ha varato nuove restrizioni.

Ieri oltre 22 mila e 400 nuovi casi notificati dalle Regioni contro i 19 mila 700 di martedì, il tasso di positività sui tamponi (antigenici compresi) sale dal 5,7% al 6,2%; al 18% se calcolato sulle persone testate per la prima volta. I contagi aumentano sempre più rapidamente, gli esperti si attendono che di qui a poco raddoppino in sei-sette giorni come nei momenti peggiori del marzo e del novembre 2020, trainate soprattutto dall’avanzare dell’epidemia in Lombardia, Emilia-Romagna e Piemonte. Al di là dei dati giornalieri l’incidenza media nazionale, che fino al 22 febbraio era attorno ai 140 nuovi casi a settimana ogni 100 mila abitanti, cresce da tre settimane e ieri era a 244. Questo succede mentre le terapie intensive sono già al limite: da due giorni hanno superato la soglia d’allerta del 30% e sono al 31% a livello nazionale, sopra il 40% in Lombardia e nelle Marche, sopra il 50% in Umbria, Trentino e Molise.

L’austria ritira lotto Astrazeneca

L’austria ha sospeso l’uso di un lotto di vaccino Covid-19 AstraZeneca dopo che a una persona è stata diagnosticata una trombosi multipla (formazione di coaguli di sangue all’interno dei vasi sanguigni) ed è morta 10 giorni dopo la vaccinazione,
e un’altra è stata ricoverata in ospedale con embolia polmonare (blocco nelle arterie dei polmoni) dopo essere stato vaccinato. Quest’ultimo ora si sta riprendendo. A partire dal 9 marzo,
per questo lotto erano state ricevute altre due segnalazioni di eventi critici

“Ora serve un appello alle coscienze di tutti: Big Pharma e furbetti”

Gino Strada, fondatore di Emergency, è tra i promotori della petizione “Diritto alla Cura, nessun profitto sulla pandemia”, una richiesta al governo italiano per sostenere la proposta in discussione all’Organizzazione Mondiale del Commercio: liberalizzare i brevetti dei vaccini anti-Covid fino a fine pandemia. Lo chiedono India e Sudafrica, che hanno ottenuto l’appoggio di altri 100 Paesi.

In Italia continuiamo a vedere persone che cercano di farsi vaccinare saltando la fila. Questione culturale o dipende dalla disorganizzazione delle regioni?

Entrambe le cose. Certamente la disorganizzazione di alcune regioni – la Lombardia è un caso clamoroso anche a livello internazionale – favorisce la ricerca di strade alternative.

In questo momento la sanità andrebbe gestita a livello centrale e non più dalle Regioni?

Assolutamente sì. In una pandemia i localismi andrebbero messi da parte. Non ha senso che ogni regione prenda le sue decisioni in autonomia.

Perché crede sia necessario sospendere i brevetti sui vaccini?

Di fronte a un fenomeno globale come questo, è meschino portare avanti la discriminazione tra Paesi ricchi e Paesi poveri. Ci sono Stati africani che hanno ricevuto solo 50 fiale, mentre alcune nazioni ricche hanno comprato una quantità di dosi sufficiente a vaccinare la propria popolazione cinque volte.

I brevetti cosa c’entrano?

Bloccano l’aumento della produzione. Ovviamente quelli che ci sono vengono accaparrati dai Paesi più ricchi. Sospendendo i brevetti, molte aziende in possesso del know-how e delle tecnologia potrebbero invece mettersi a produrre e così aumenterebbe rapidamente la disponibilità di dosi.

Lucia Aleotti, presidente di Menarini, ha detto che chi chiede la sospensione dei brevetti fa “populismo”: “La carenza di vaccini non dipende dai brevetti”, dice, “ma dalle limitate dimensioni e potenzialità degli impianti”.

Bella scusa. Le case farmaceutiche proprietarie dei brevetti oggi non sono in grado di produrre vaccini per tutti, l’unica soluzione è aprire alla possibilità che altri possano produrli, ma questo significa di fatto rinunciare ai brevetti.

Senza i brevetti, pensa che le aziende farmaceutiche avrebbero comunque investito nella ricerca e sarebbero arrivate a produrre vaccini in meno di un anno?

Il risultato dal punto di vista scientifico è stato eccezionale, ma non dimentichiamoci che una parte dei fondi con cui è stata realizzata la ricerca è pubblica.

L’altra parte però è privata.

Certo, qui però bisogna fare un appello alla coscienza di tutti. Se le aziende rinunciassero a fare profitti per alcuni mesi non andrebbero certo in rovina. Si chiede loro di sospendere i brevetti temporaneamente, fino a quando la pandemia verrà ridotta ai livelli di una normale influenza.

Nella vostra petizione citate il caso dell’Hiv. Perché?

Fino a prima della liberalizzazione dei brevetti sui farmaci retrovirali, se ne producevano pochi e ad altissimo prezzo, e questo ha provocato una quantità di morti impressionante. Solo con la liberalizzazione dei farmaci i prezzi si sono abbassati e si è riusciti a controllare l’infezione. Lo stesso vale per il Covid. Se i vaccini non verranno liberalizzati temo che ci saranno ancora tantissimi morti.

Avete scritto una lettera a Draghi per chiedergli di appoggiare la proposta di India e Sudafrica. Risposta?

Per ora nessuna. Speriamo che la prenda in considerazione.

I vaccini ai politici-avvocati mentre gli anziani aspettano

In Toscana molti over 80 non sanno ancora quando potranno vaccinarsi – a ieri la prima dose di Pfizer è stata somministrata solo a 43.000 anziani su un totale di 324.000 (poco più del 13%) –, ma per una settimana gli avvocati hanno potuto ricevere la prima dose di Astrazeneca e tra questi ci sono anche diversi esponenti politici di tutti i partiti – da Italia Viva al Pd passando per la Lega e Fratelli d’Italia – che sono al contempo iscritti all’albo dell’Ordine degli Avvocati anche se, in alcuni casi, non esercitano la professione da anni. La Toscana, interpretando una circolare del ministero della Salute, dal 19 febbraio scorso, su richiesta dell’Ordine forense, ha dato infatti la possibilità a tutto il personale giudiziario di registrarsi e ricevere la prima dose di AstraZeneca, inserendo avvocati e personale del- l’amministrazione della giustizia, cancellieri compresi, tra le categorie che, al pari degli insegnanti, forniscono un servizio essenziale. Così gli avvocati – non solo in Toscana, a dir la verità, ma in tutta Italia – hanno chiesto di essere inseriti per “difendere” dal virus le aule dei Tribunali. E, alla fine, molti amministratori ed esponenti politici che sono iscritti all’albo degli Avvocati ne hanno “approfittato”: tutto legittimo, è nelle regole, ma la questione ha scatenato una bagarre in un momento in cui la campagna vaccinale procede a rilento per alcune categorie.

Il caso che ha destato più clamore è stato quello dell’ex assessore alla Salute renziana Stefania Saccardi, oggi vicepresidente della giunta regionale, che in un post su Facebook ha ammesso di aver ricevuto la prima dose in quanto iscritta “all’albo dal 1989” ma senza specificare da quanto non eserciti più la professione. E giù sulla sua bacheca una marea di commenti indignati: “Ho 60 anni, sono paziente oncologica e cardiopatica e ancora non sono stata chiamata per il vaccino” scriveCheti. E ancora: “Ma non si vergogna un po’, non ha rispetto delle persone che non sanno dove sbattere la testa per vaccinarsi? Difendete i vostri privilegi, è una vergogna”, si sfoga Paolo.

Anche tre assessori-avvocati della giunta di Dario Nardella a Firenze hanno fatto il vaccino: Cecilia Del Re, Federico Gianassi e Benedetta Albanese, tutti del Pd. Quando è emerso il caso e le opposizioni – Lega e Fratelli d’Italia in particolare – hanno annunciato interrogazioni sul tema, Palazzo Vecchio ha diramato una nota per difendere i propri assessori e parlando di “rischio di deriva populista” che può portare a “pericolose campagne no vax per chi esercita funzioni pubbliche”. Ma le polemiche sui politici toscani vaccinati riguardano anche la Lega e FdI con il sindaco di Massa del Carroccio Francesco Persiani che ha ricevuto la prima dose ma anche gli assessori meloniani a Siena e Pistoia, Francesco Michelotti e Margherita Semplici. Anche il senatore fiorentino molto vicino a Matteo Renzi, Francesco Bonifazi, si è vaccinato nei giorni scorsi in quanto avvocato. A fine ottobre aveva contratto il Covid.

Dopo le polemiche la Regione Toscana ha deciso di fare marcia indietro: da lunedì è stato abbandonato il criterio delle categorie, dando la precedenza alle fasce di età e alla patologia. In una settimana però negli uffici giudiziari toscani sono stati vaccinate 8.100 persone. Ma la Toscana non è l’unica regione dove gli avvocati hanno potuto ricevere la prima dose.

Anche in Sicilia si è iniziato due giorni fa a somministrare AstraZeneca agli avvocati, mentre in Campania la vaccinazione partirà nei prossimi giorni. Potenzialmente, la platea relativa alle tre regioni interessata è di circa 50.000 avvocati. In Campania la giunta De Luca ha inviato una lettera agli ordini forensi regionali per avvertirli, mentre in Sicilia siamo già a un migliaio di somministrazioni. Chissà se l’assessore alla sanità siciliana, Ruggero Razza, avvocato anche lui, sarà tra i “fortunati” iscritti.

Pallanzani

Tra i “colleghi” affetti da incontinenza delle ghiandole salivari, aveva destato un estasiato stupore il Draghi che “fa la fila al supermercato”: segno che qualcuno lo sospettava di farsi largo tra gli avventori col machete fino alle casse. Ora la stessa ammirata meraviglia si effonde su Mattarella allo Spallanzani che, prima del vaccino “attende il suo turno con gambe incrociate, mani in grembo e regolare dispositivo di protezione fpp2 assieme ai coetanei”, devoto com’è al “valore della normalità”, dunque è “uno di noi” e la sua foto “resterà nella storia” (Gabriele Romagnoli, Stampa). Evidentemente il Romagnoli si aspettava che il capo dello Stato irrompesse allo Spallanzani col bazooka spianato per saltare la fila. Che si facesse carrucolare sul tetto dal verricello di un elicottero. Che strillasse “Fermi tutti, fate largo o vi spiezzo in due, io so’ io e voi nun siete un cazzo?”. Che le mani e le gambe le mulinasse per prendere a pugni, calci e ginocchiate gli altri pazienti. O che portasse una mascherina tarocca o se la calasse per sputacchiare sugli astanti. Insomma, l’aveva scambiato per un incrocio fra il marchese del Grillo e Ivan Drago (al singolare) di Rocky IV. Sul Messaggero, Mario Ajello è incredulo e rapito per la sua “lezione a furbetti e no vax”. Pensate: “è entrato nel salone delle vaccinazioni, gli han fatto l’iniezione ed è uscito” (anziché okkupare il locale e dormire nel sacco a pelo, come le Sardine al Nazareno). Non contento, “si è seduto su una poltroncina” (non su un trono dorato, o una sedia sulle spalle di quattro corazzieri). E, “fatta la siringa, ha indossato di nuovo cravatta, gilet e giacca”, quando tutti scommettevano che sarebbe uscito in mutande a torso nudo. Queste estrose stravaganze, commesse peraltro con “semplicità e normalità”, han colto di sorpresa i suoi coscritti, che “hanno faticato a riconoscerlo: ma è Mattarella? Possibile? Così, senza i corazzieri?”. Eh sì, è andata così: o se li era scordati a casa, oppure avevano pilates.

Sono tempi sorprendenti. L’altra sera, per dire, chi si sarebbe mai aspettato che Draghi esponesse la “Grammatica del Draghismo” nel noto e raro Videomessaggio “sobrio e solenne” con “postura statica, se non fosse per il braccio e la mano destri che si muovono per sottolineare alcuni passaggi del discorso”? Noi, diversamente da Massimiliano Panarari della Stampa, non ci avevamo fatto caso. E adesso siamo qui a domandarci in ambasce: e il braccio e la mano sinistri? Reumatismi? Gomito del tennista? Paresi da freddo? Captatio a Salvini e B.? Ma no, dài. Quando, dopo la Grammatica, Draghi vorrà declinarci pure la Sintassi, vedrete che inizierà a muovere, sobriamente ma solennemente, anche la parte sinistra.