Chi avesse ascoltato i commenti televisivi a Sanremo avrebbe appurato che tutti i cantautori, dagli implumi agli anziani, sono stati stupendi, meravigliosi, grandissimi poeti, bellissimi. Ma cosa si saranno fumato le gioiose conduttrici per essere così cinguettanti e paradisiache.
Questa storia dell’appellativo di poeti ai cantanti si afferma negli anni 80, visto che nel decennio precedente i giovani contestatori boicottarono il festival, presi com’erano dall’impegno verso la classe operaia. I poeti della generazione del ’40 esordirono negli anni 70, facendo i conti con un impegno pasoliniano ormai agli sgoccioli, con la neoavanguardia del Gruppo 63, che riteneva morta la poesia e con il 68, che voleva che i poeti si vergognassero di scrivere versi, invece di occuparsi della rivoluzione. La letteratura tutta era considerata terreno borghese, da evitare come la peste. Molti di noi smisero di scrivere o tornarono a scrivere versi quando l’ondata si era affievolita. Eppure circolavano a Roma giganti come Pier Paolo Pasolini, Sandro Penna, Alberto Moravia, Elsa Morante, Ignazio Silone e Amelia Rosselli. Per i ventenni come me era manna piovuta dal cielo. Tornai a scrivere la parola “io” che era stata bandita.
Cercammo di smarcarci dalla neo-avanguardia con l’antologia di Cordelli e Berardinelli: Il pubblico della poesia mentre io antologizzai la scuola romana del Novecento, intitolandola L’io che brucia. La poesia era ancora quella di sempre, che univa suono e parole nello stesso verso, non come le parole dei cantautori, che devono essere accompagnate da strumenti per ammaliare le folle. Ma già nel festival dei poeti internazionali di Castelporziano, nel ’79, i poeti furono contestati a forza di lanci di sabbia da trentamila giovani scatenati che pensavano si trattasse di un concerto. Erano sedicenti poeti che si ispiravano ai cantautori. La poesia ne uscì massacrata e dopo il decennio dello psiconano fu sfigurata ulteriormente, rendendo le nostre letture pubbliche cose per piccoli gruppi con problemi.
Nessuno delle nuove generazioni ha provato a riflettere sul loro modo di poetare. Come far versi di Majakovskij non lo legge più nessuno. La critica, se c’è, non sa cosa scegliere. Così, come per i romanzi, sulle pagine culturali è tutto un osannare. Fioriscono stupide antologie allestite da gente che vi inserisce tranquillamente amici e parenti. L’Arcadia settecentesca è tornata di moda. La poesia, quella vera, è in terapia intensiva. In primavera uscirà il mio nuovo libro di poesie, non a caso intitolato: Magic respiro. Non mi meraviglierei se, data la solitudine, i poeti pensassero di travestirsi in pastori e pastorelle per essere invitati in tv, nelle trasmissioni politiche dove sono assenti e magari nel prossimo festival di Sanremo.