Mail box

 

Con McKinsey, Draghi privatizza la democrazia

Fatemi capire: abbiamo fatto crollare un governo molto popolare per mettere il migliore di tutti, e il migliore di tutti prende a esternalizzare le scelte politiche? A che ci serve allora Draghi? Mettiamo direttamente gli impiegati di McKinsey al governo, così potremo avere anche noi il meraviglioso e incantato mondo della privatizzazione della democrazia.

Giovanni Contreras

 

Giorgetti, un’amicizia imbarazzante per Mario

Tutti i giornali descrivono la relazione tra “The Best” e Giancarlo Giorgetti come di profonda stima, al limite dell’affetto reciproco. Qualcuno avrà avvertito “The Best” che Giorgetti è da almeno vent’anni uno dei più alti esponenti della Lega e quindi parte del gruppo dirigente che, come minimo, si è fatto sfilare sotto il naso i 49 milioni di euro spariti?

Eros Giacometti

 

I 5 Stelle di governo continuano a tacere

Qualche semplice considerazione sul M5S al governo: si nominano i ministri e nessuno fiata; si scelgono i sottosegretari e non si alza una voce; viene cacciato Arcuri e nessuno lo difende; si emana un dpcm, si moltiplicano le task force, si nominano gli esperti di Draghi e il M5S continua a stare in silenzio. I parlamentari 5 Stelle pensano di tacere per sempre annichiliti dal carisma di Draghi?

Salvatore Griffo

 

Adesso arriva Figliuolo, ma il problema è la sanità

Per decenni destra e pseudo sinistra hanno smantellato il Servizio sanitario nazionale, ma poi scese dal ciel a miracol mostrare l’Altissimo, Purissimo, Levissimo con il suo Figliuolo.

Maurizio Burattini

 

Zingaretti e Conte sono nel cuore dei cittadini

Spero che Zingaretti resista fino al 2023, forte della sua democratica elezione a segretario del Pd, e continui a opporsi all’esercito dei renziani appostati ovunque. Un augurio anche ai 5S e a Conte, sempre nel cuore e nella mente di tanti. Speriamo che quando la parola tornerà ai cittadini ci sarà un vero ricambio d’aria!

Alessandra Savini

 

Adesso la carta stampata sostiene unita il premier

Quanto avevate ragione nell’accusare gran parte della carta stampa di essere contro il precedente governo! Si capisce adesso che tutto il gruppo “StampRep”, inclusi direttori e commentatori radiofonici, è in un sol coro pro-Draghi.

Roberto Priotto

 

L’incoerenza di Renzi, da Trump a Bin Salman

La volpe di Rignano aveva fatto osservazioni a Conte, persona perbene, perché non aveva condannato Trump ed è andato a esaltare un assassino per soldi. Dovrebbe andare in Arabia Saudita e rimanerci.

Adriana De Tomas Colatin

 

Un appunto linguistico sull’abuso dell’inglese

In questo drammatico momento, le questioni linguistiche sono fra le meno rilevanti. Eppure certe storture appaiono veramente urticanti. Fra le ultime, va registrato l’omicidio di “ultra”, sostituito negli scorsi mesi dall’inglese “over”, che evidentemente suona più “dinamico, giovane, di tendenza”. Che cosa aveva fatto di male “ultra”? Con usi come questo, non si hanno le carte in regola per fare ironia sull’inglese di Renzi.

Luciano Allegra

 

La tragica situazione del Brasile di Bolsonaro

In Brasile è record di vittime per Covid-19. Dopo un anno dall’esplosione della pandemia, le terapie intensive sono al collasso, ma il presidente Bolsonaro, negazionista a oltranza, persevera nella sua politica scellerata. C’è una nota positiva: la gente scesa in piazza al grido “vattene” scandito dallo sbattere delle pentole. Ma c’è poco da sperare.

Marcello Buttazzo

 

Io, pagatore “cashless” ho devoluto il cashback

Ho ricevuto il “cashback” di dicembre e l’ho devoluto in beneficenza, perché considero quei soldi come piovuti dal cielo. Già pagavo normalmente con la carta, perciò donandoli non ci metto niente di “mio”. Mi permetto di renderlo pubblico, pensando che se altre 5/10 persone ne prendessero spunto ne sarei felice.

Antonio Colasuonno

 

La consonanza di vedute tra Pontani e Montanari

Gli articoli di Pontani e Montanari di sabato 6 e lunedì 8 marzo sembrano scritti in perfetta consonanza: uniti in un’accurata disamina di questo inquietante governo, ringrazio questo giornale per averli pubblicati. Vedrà poi Montanari di non essere poi così solo: finita la luna di miele saranno in molti a correre da un legale ad intentare cause di divorzio.

Raimondo Gerthoux

 

I NOSTRI ERRORI

Nell’articolo di ieri “La Borgonzoni assume il menestrello leghista” ho scritto erroneamente che il sottosegretario Borgonzoni abbia assunto il cantante Cardia al ministero dell’Istruzione. Invece, ovviamente, il ministero è quello della Cultura. Me ne scuso con gli interessati e con i lettori.

Gia. Sal.

Caro Toti, quanta ipocrisia su noi giovani e la chiusura delle scuole…

Gentile Presidente Toti, da ragazzo che frequenta l’ultimo anno di Liceo a La Spezia, la notizia dell’ennesima chiusura delle scuole ha suscitato rammarico e rabbia. Non sembra vero che dopo un anno dall’inizio di questa pandemia si torni a ripercorrere gli stessi passi, mettere i piedi nelle stesse orme che hanno solcato il 2020; i dati che ha mostrato in conferenza stampa sono chiari, e non mi permetto di contestare e di negare l’evidenza: il virus sta dilagando anche tra i giovani e cresce sempre di più fra i ragazzi, complice l’avvento delle varianti e, mi permetta, del disinteressamento nei confronti del virus dalla categoria di cui faccio parte. Sono giovane, ho appena compiuto 18 anni, quindi non reggerebbe l’ipotetica accusa di paternalismo: bisogna guardare la realtà in faccia, poiché con i miei stessi occhi vedo come una grande maggioranza di miei coetanei faccia finta che il virus non ci sia più o che, data la giovane età, non ci possa colpire. Si è rivelato tutto falso. Venendo alla decisione da lei presa sulle scuole, vorrei porle dei semplici interrogativi: pensa veramente, lei o chi per lei, che i giovani si contagino nelle scuole? Se fosse così crollerebbe tutto il castello di carta che avete montato in questi mesi, sia lei che il governo centrale, Conte o Draghi che sia; se le scuole superiori per lei devono essere richiuse significa che non sono così sicure come affermavate e questo, mi permetta, è un vostro fallimento. Non crede che la maggior parte dei contagi avvenga fuori dalle scuole, dove spesso non vengono effettuati i controlli, dove orde di miei coetanei si riuniscono senza dispositivi di protezione e senza distanziamento? Basta vedere le scene che provengono dalla vicina Lombardia, ma anche da Genova e inevitabilmente dalla mia città e da tutta Italia: si tratta di comportamenti poco virtuosi. E proprio per questo, gentile Presidente, ho sentito il dovere di scrivere questa lettera, seppur consapevole che la decisione da lei ormai presa sia irrevocabile. Mi permetta però di manifestare la mia rabbia e il mio sdegno, la mia delusione ma non rassegnazione: colpire nuovamente le scuole, dove fino a prova contraria si è in sicurezza, e gli studenti, coloro che come me devono sostenere un esame nel giro di pochi mesi, lo trovo un gesto che va alla ricerca di un capro espiatorio; anche questa volta la cultura e l’istruzione vengono prese di mira con una scelta a mio avviso poco razionale; ma si ricordi, gentile Presidente, che oggi ci stiamo giocando il futuro dei prossimi decenni e che la storia, almeno questa, non fa sconti a nessuno.

Giacomo Casabianca, 18 anni

Direttrice, direttora oppure direttore? Il nome della donna

Per le donne è stato un anno davvero orribile: nei 12 mesi di pandemia, il conto più caro l’hanno pagato loro. Il 98% di chi ha perso il lavoro a dicembre è donna, per non dire delle violenze domestiche, aumentate a causa dell’impossibilità di uscire di casa. In questi giorni di 8 marzo però stiamo parlando di parole. La polemica innescata a Sanremo (il Festival è un generatore automatico di polemiche) dalla richiesta di Beatrice Venezi di farsi presentare come “direttore d’orchestra” anziché “direttrice” è degna di una riflessione (le parole sono importanti). Lei l’ha spiegata così, in un’intervista al Corriere: “Il mio mestiere ha un nome preciso, si chiama direttore d’orchestra. L’ambiente da cui vengo è conservatore. Ci sono le figure del Maestro e del Direttore d’orchestra. La declinazione al femminile non solo non aggiunge niente — non sento la necessità del femminile per sentirmi riconosciuta — ma ci sono dei connotati peculiari: maestra rimanda alla maestra di scuola, un altro lavoro”.

Ieri è intervento il presidente dell’Accademia della Crusca, Claudio Marazzini: “Scegliendo la definizione ‘direttore‘ Beatrice Venezi ha adoperato un maschile cosiddetto inclusivo o non marcato. Una soluzione tradizionale, ben nota alla lingua italiana e che viene considerata tuttavia come una bestia nera da taluni, perché a loro giudizio non riconosce o occulta gli avanzamenti del dibattito di genere”. Sul piano propriamente lessicale, la Venezi aveva tre possibilità per definirsi: “Una più tradizionale (direttore) che però taluni accusano di essere ideologicamente arretrata; una declinata al femminile (direttrice) e una più innovativa (direttora). Ognuno ha quindi il diritto di fare la propria scelta, ma non può pretendere di imporla agli altri in maniera assoluta, né può pretendere che lo faccia qualche istituzione”. La questione si è posta in termini simili quando nel 2017 Laura Boldrini, allora presidente della Camera, impose con una circolare la declinazione di genere dei nomi non solo negli atti legislativi ma anche in quelli amministrativi. Le donne segretario parlamentare fecero ricorso. Erano contrarie per via del fatto che “segretaria” è una parola che esiste già, ma indica una mansione diversa: “La denominazione al maschile del termine scaturisce da rivendicazioni sindacali volte a superare una concezione riduttiva di una professionalità che, fino ad allora, veniva associata alla funzione di persona tuttofare”.

E quindi? Selvaggia Lucarelli ha scritto: “Certo, si dice ‘direttore d’orchestra’ perché prima le direttrici non esistevano, al massimo le donne potevano lucidare il violoncello con un panno caldo”, spiegando bene che la questione non è squisitamente lessicale, ma che la lingua nasconde un cortocircuito culturale e storico che non deve passare sotto silenzio. Non ci sono le parole perché fino a un quarto d’ora fa le donne non ricoprivano certi ruoli, non avevano possibilità di carriera al di là di essere “l’amministratore delegato della famiglia” (una boiata che per fortuna sentiamo sempre meno). C’è poi il suono: alcune parole declinate al femminile suonano cacofoniche, ma anche questo è un retaggio culturale. Altre parole al femminile hanno un significato diverso (idraulico/idraulica). Il punto è capire se forzare la lingua può essere d’aiuto a un cambio di paradigma avvenuto solo in parte : probabilmente sì (è un po’ la stessa dinamica delle quote rosa, misura in sé fastidiosa ma necessaria). Su questo tema chi scrive negli anni ha cambiato parzialmente idea (grazie soprattutto alle riflessioni intelligenti di alcune donne). Resta il tema della libertà individuale che non può essere superata per imposizione.

 

Vaccino olimpico. La nuova disciplina per furbetti, ricchi, politici e industriali

Visto che le Olimpiadi di Tokyo sono in forse, il Cio ha tempo per pensarci e introdurre una nuova specialità olimpica: il salto della fila. È una disciplina complicata: servono colpo d’occhio e capacità di fare gruppo; è uno sport di squadra, anzi di categoria, dove vince (una dose di vaccino) chi riesce a sedersi per primo davanti a un medico offrendo il braccio per la medaglia. Saremmo in zona podio, questo è certo. Non passa giorno, infatti, che non spunti qualche categoria, associazione, confraternita, Ordine professionale, setta, tipologia commerciale, che non chieda a gran voce di esser messa in lista prima di altri. Ha inaugurato la specialità il presidente della Campania Vincenzo De Luca, vaccinato il primo giorno “per dare l’esempio” (il che ha costretto il presidente Mattarella a fare la fila, per dagli una sberla). La senatrice Binetti si scalda e invia accorate mail ai colleghi perché si provveda a vaccinare prima i senatori. I giornalisti della Campania hanno chiesto (e ottenuto, sembra) di mettersi in fila subito dopo gli ottantenni, i sindaci premono per avere una corsia preferenziale, e c’è chi si è portato avanti col lavoro, tipo il sindaco di Corleone che si è fatto siringare e poi – beccato – ha annunciato le dimissioni, e via così. Consci del difficile lavoro sul piano vaccinale e delle polemiche che sempre possono divampare quando si tratta di diritti (la salute) che diventano privilegi (prima io), pubblichiamo una tabella definitiva per gestire precedenze e priorità.

I possessori di Ferrari Roma V8 Turbo Dct – Ambasciatori del made in Italy e propulsori della ripresa, non è possibile che non vengano protetti dal virus il prima possibile i dinamici proprietari di questa opera d’arte contemporanea da 200.000 euro (versione base). Chiedono una corsia preferenziale, consapevoli che in caso di sommossa popolare raggiungere il confine svizzero a bordo di un missile da 600 cavalli non sarà complicato.

I vertici di Confindustria – Un accorato appello viene da Viale dell’Astronomia: come faranno gli imprenditori a guidare la riscossa industriale del Paese senza essere vaccinati prima di altri? La priorità dovrebbe andare di pari passo con l’abolizione dello sblocco dei licenziamenti, così anche molti lavoratori potranno stare a casa al riparo dal contagio: un gesto di generosità – come consueto – della classe imprenditoriale italiana.

I capicorrente del Pd – Non bastano i vaccini. I croupier – Categoria trascurata dal fatto in zone arancione chiaro, arancione scuro, rosso e carminio nessuno va a giocare al Casino, i croupier reclamano la precedenza, in modo che la ripartenza delle roulette sia pronta e vivace ad emergenza finita. “E poi – dichiarano in un comunicato – siamo comunque più utili noi delle correnti del Pd”.

I proprietari di barche a vela – Impensabile che proprio mentre Luna Rossa si gioca una prestigiosa coppa, venga trascurata una categoria decisiva come i possessori di natanti dai dodici metri in su. Ferma restando la priorità per tutta la categoria, si caldeggia la precedenza per i proprietari di imbarcazioni che battono bandiera panamense, delle Bermuda o delle Isole Cayman, che non pesano – grazie, eroi – sulla macchina burocratica statale.

Le cassiere dei supermercati – Cazzi loro.

Attilio Fontana – Questo eroe della lotta alla pandemia, che ha affrontato l’emergenza a mani nude, col solo aiuto del cognato, merita senza dubbio un vaccino prima di tutti. Chiede soltanto di non prenotarlo con il sistema regionale lombardo, che lo rimanderebbe al 2089.

 

Riportiamo al centro il conflitto d’interessi

Ci voleva il governo dei “migliori” affinché si tornasse a parlare di conflitto di interessi in Italia. D’altro canto nemmeno il Berlusconi degli anni d’oro si era mai sognato di piazzare come sottosegretario alla Giustizia uno dei suoi avvocati. Ma nel governo dell’assembramento succede che le forze politiche che sostengono il governo chiedano a Renzi, sottovoce, di chiarire i suoi rapporti economici con i sauditi quando la sola cosa che andava pretesa erano le dimissioni.

D’altronde un senatore, già pagato profumatamente dal popolo italiano, che da Costituzione ha il dovere di rappresentare la Nazione e che, durante il suo mandato – nel bel mezzo di una crisi di governo da lui creata – va a Riyad per incensare il principe saudita, sospettato di essere mandante di un omicidio politico, e per incassare pantagruelici gettoni di presenza per la sua attività di conferenziere, non dovrebbe mettere più piede in Senato.

Ma siamo in Italia, il Paese in cui risolvere il conflitto di interessi è diventato diatriba politica e non un diritto da conquistare. Perché le istituzioni non saranno mai libere fino a che saranno infestate da portatori di interessi in conflitto. Alcuni palesi e scandalosi, altri nascosti o potenziali, ma potenzialmente più pericoli.

Da alcune settimane ormai, l’ex ministro dell’Economia Padoan non è più deputato. Ha lasciato la Camera e la commissione Bilancio per accomodarsi nel Cda di Unicredit di cui probabilmente verrà nominato presidente. Ciò significa che potrebbe trattare, per conto di Unicredit, l’acquisizione del Monte dei Paschi, la banca che proprio Padoan mantenne in vita con decreto. Con denaro pubblico, insomma. Tra l’altro Padoan, romano de Roma, nel 2018, un anno dopo aver salvato Mps è stato candidato dal Pd proprio nel collegio di Siena.

Padoan è uno dei tre ministri del governo Gentiloni ad aver lasciato lo scranno da parlamentare per accomodarsi su poltrone evidentemente più prestigiose e, forse, più remunerative. Gli altri sono Martina, ex ministro dell’Agricoltura passato alla Fao e Minniti, ex ministro dell’Interno e sottosegretario con delega ai Servizi che ha appena lasciato Montecitorio per dirigere la fondazione di Leonardo, colosso a partecipazione statale che si occupa di sicurezza, stesso campo del Minniti ministro.

Padoan non è l’unico ex ministro dell’Economia a passare alle banche private. Degli ultimi dieci, cinque hanno avuto a che fare con i colossi finanziari. Anche Saccomanni, recentemente scomparso, ministro dell’Economia nel governo Letta, una volta lasciato il Mef è andato a presiedere il Cda di Unicredit. Poi ci sono Grilli, Siniscalco, Fantozzi e Mario Monti. I primi due, esattamente come Mario Draghi, passarono dalla direzione generale del Tesoro alle banche d’affari. Siniscalco, ministro dell’Economia durante il secondo governo Berlusconi, uscito dal ministero divenne managing director e vicepresidente di Morgan Stanley, la banca d’affari con la quale lo Stato aveva sottoscritto contratti capestro sui derivati negli anni 90. Vittorio Grilli, ministro dell’Economia con Monti, nel 2014, venne assunto da JP Morgan come presidente del Corporate & Investment Bank. Augusto Fantozzi, ministro delle Finanze del governo Dini, è poi diventato senior advisor della banca d’affari Lazard. Mario Monti, uno degli ultimi otto presidenti del Consiglio, è fra i tre con un passato in Goldman Sachs. Gli altri due sono Prodi, consulente per la banca d’affari Usa dal 1990 al 1993 e Mario Draghi, assunto in Goldman Sachs dopo aver fatto il direttore generale del Tesoro e aver avallato privatizzazioni e fusioni tanto care proprio alle merchant bank internazionali. Sono esempi di revolving door, porte girevoli tra istituzioni e settore privato. Esempi pericolosissimi, ancor di più oggi in piena crisi economico-finanziaria.

Nel 1933, negli Usa che ancora soffrivano le conseguenze del crollo di Wall Street del ’29, il Congresso approvò il Glass-Steagall Act, una legge che separava le banche d’affari da quelle commerciali, per ridurre le attività di speculazione finanziaria. La legge restò in vigore fino a quando, nel 1999, con la presidenza Clinton, venne abrogata. Uno degli artefici dell’abrogazione, e dunque del “liberi tutti” al sistema finanziario, fu Robert Rubin, Segretario al Tesoro che aveva lavorato 26 anni in Goldman Sachs.

Affrontare il tema del conflitto di interessi, oggi ancor più di ieri, non significa essere anti-berlusconiani, ma amanti della Costituzione. Quella Costituzione che tutela il risparmio. Risparmio colpito anche dalle scelte di politici che di politica si interessano sempre meno e che, in molti casi, sono diventati sponsor del governo dei migliori. Sì migliori, dipende per chi.

 

L’egemonia reazionaria e la calata di brache delle forze di sinistra

La realtà è una successione infinita di gradini, livelli di percezione e doppi fondi. Uno stomaco è più reale per un medico che per una persona normale, ma è ancor più reale per un gastroenterologo. E si raggiunge un ulteriore livello di realtà in quel gastroenterologo specializzato in ulcere da Helycobacter, e un altro ancora nell’Helycobacter resistente a quella sorta di Darwin in compresse che è l’amoxicillina. Chi mi legge (tutto è possibile) conosce ormai lo schema situazionista (fatevi un favore, guardate questo filmato di Guy Debord: https://bit.ly/2O8GgNR) con cui interpreto le cose del mondo: le nostre vite subiscono l’azione indefessa di un Blocco politico-militare-finanziario-giornalistico-spettacolare, impegnato quotidianamente a produrre consenso ai rapporti sociali e di potere dominanti; il Blocco, dopo aver mandato in crisi il Welfare State, governa l’Occidente col precariato di massa, le politiche antisociali e le speculazioni finanziarie. Riassunto per Millennials e Zoomers: il Welfare State (Stato sociale) era un complesso di politiche pubbliche (diffuso in tutta Europa) con cui gli Stati miglioravano le condizioni di vita dei cittadini intervenendo nell’economia di mercato per ridurre le disuguaglianze economiche, e garantire diritti e servizi sociali (sanità, istruzione, previdenza, cultura, ambiente). Si viveva meglio, mentre oggi viviamo nell’incubo creato quarant’anni fa da Reagan e dalla Thatcher (e dal Capitale che continua a sostenere quel progetto mortifero). L’egemonia reazionaria è stata agevolata dalla calata di brache delle forze di sinistra: invece di opporsi al framing imposto dalla destra atlantica con le sue politiche (“Il Welfare State non funziona”), lo hanno introiettato, al punto da dotarsi di leader alla Blair, che tuttora spacciano il neo-liberismo per riformismo. Quando nacque il Pd (2007), qualcuno, a Decameron (La7), dichiarò: “Un parto frettoloso, deciso dall’alto, dopo gli insuccessi alle Amministrative. Fassino ha detto: ‘Il Pd è un partito che deve stare in sintonia con la società.’ Sintonia? Ma il comunismo nacque come critica del modo di produzione capitalista. Col Pd, sparisce la critica. Resta la gestione dell’esistente. Grazie a tutti. Avete fatto quello che potevate. Il Pd è come la morte per annegamento: una sensazione meravigliosa, dopo che smetti di lottare. Veltroni e D’Alema: ‘Il Pd è il primo partito post-ideologico’. No, quello era Forza Italia. ‘Il Pd sarà un partito liquido’. Eh, oggi in bagno ho pisciato mezzo Pd”. L’anno scorso D’Alema ha detto che “L’idea di un partito post ideologico, programmatico, era un’idea sbagliata”, che “va abbandonato il partito liquido” e che non c’è futuro a sinistra senza una “critica forte alla globalizzazione capitalistica”. Ben arrivato, Gentiluomo di Sua Santità. 13 anni dopo: appena in tempo. Forse la sinistra dovrebbe ascoltare chi ci aveva visto giusto da subito, poiché significa che i suoi criteri di giudizio sono migliori: per esempio Fabio Mussi, che si oppose, con argomenti ottimi, alla fusione Ds-Margherita.

I maggiorenti del Pd, adesso, invocano una visione, un progetto, un’identità, un leader, una ricostruzione: significa che il Pd non c’è più. Se resiste nella società è solo grazie all’opera di quei bravi amministratori locali che fanno politica nel senso nobile, cioè servendo in modo disinteressato, e cercando di fare del proprio meglio, la comunità di cui fanno parte, come capita in certe piccole realtà romagnole che conosco. Ripartire da lì. Più in generale: è possibile un equilibrio fra solidarietà sociale e profitto? Sì, e lo dimostrò Adriano Olivetti. Un obiettivo alto? Gli Stati Uniti d’Europa. Ce n’è, del lavoro da fare. (1.Continua)

 

Lo sfascio al Nazareno interessa meno del Festival di Sanremo

Il Pd perde un po’, i Cinque Stelle guadagnano qualcosa. La sensazione è confermata dai risultati dei nostri sondaggi. Ma queste tendenze sono davvero attendibili e destinate a diventare trend di lungo periodo? È ancora decisamente troppo presto per dirlo. Qualcosa è chiaro: nell’opinione pubblica si sta strutturando l’impressione che i dem stiano marciando (dis)uniti verso lo sfascio, mentre l’ingresso di un capo vero nei Cinque Stelle – anche se per adesso non c’è un annuncio ufficiale e la notizia è virtuale – produce una tendenza favorevole negli osservatori. Cosa succederà all’alleanza giallorosa? È davvero difficile fare una previsione, serve tempo. E aggiungo una riflessione: alla gente non sembra interessare così tanto. Diciamoci la verità: l’opinione pubblica si è scaldata molto più per il Festival di Sanremo che per le dimissioni di Zingaretti. Ho l’impressione che le oscillazioni nei sondaggi di questi due partiti spostino davvero poco nella vita degli italiani, che in questo momento hanno problemi più grandi e forse preferiscono distrarsi con questioni più leggere. Senza contare che al centro dell’attenzione ora c’è soprattutto il governo Draghi e la speranza che la posizione dell’Italia possa rafforzarsi un po’.

Il destino dei giallorosa dipende dai dem: rischiano la scissione

I primi sondaggi dicono che dopo le dimissioni di Zingaretti il Pd è in leggera flessione (un paio di punti) e dopo il sì di Conte il M5S in risalita. Sono solo flebili tendenze, per adesso, è ancora presto per capirne la profondità e le conseguenze. Intanto sarà interessante vedere se i punti in uscita dopo le dimissioni di Zingaretti andranno verso i Cinque Stelle oppure finiranno nell’astensione. Ma nel lungo periodo quello che conta davvero è come sarà composta la spaccatura che c’è nel Partito democratico. I dem sono divisi da tanto tempo tra due anime: una che guarda a un’alleanza strutturale – se non un vero e proprio soggetto unitario di centrosinistra – con il Movimento e con LeU, l’altra che rifiuta qualsiasi ipotesi di collaborazione con i grillini. Il problema, quindi, non sono le oscillazioni percentuali di breve periodo, ma cosa sarà del Pd tra 6 mesi o tra un anno, quando si ricomincerà a parlare di elezioni politiche. Molto dipenderà anche dalla legge elettorale: se dovesse rimanere un sistema maggioritario, l’incentivo ad allearsi sarà naturalmente molto forte. La partita in gioco comunque è la natura del Pd: non è diviso solo su Zingaretti ma sull’idea stessa del partito. Il palazzo è senza più fondamenta. Il rischio concreto è una scissione: una parte potrebbe andare a realizzare l’alleanza di centrosinistra, l’altra potrebbe buttarsi nel grande centro.

“Matteo, ma quanto ti piace Draghi?”

Tanti cari auguri, senatore! Il 48esimo compleanno di Salvini è il pretesto per una sapida, profonda, intensa, palpitante intervista con l’amica Annalisa Chirico, giornalista del Foglio, ma soprattutto direttrice della testata laChirico.it. Tra i due c’è un consolidato rapporto di fiducia e confidenza che tuttavia non impedisce all’intervistatrice di braccare Salvini con domande tanto ostiche: “Quanto le è piaciuto il presidente Draghi sul blocco dei vaccini all’Australia? Non è che lei sta influenzando il premier Draghi? Cos’è, anche lui un fanatico del sovranismo o solo una persona di buonsenso?”. L’intervistatrice ha talento da linguista, inventa figure retoriche senza farci caso: questo era un “doppio pettine”; liscia il pelo a Salvini e Draghi con un occhiolino solo. Chirico si è formata alla scuola del giornalismo anglosassone: si capisce dal piglio inflessibile. “Salvini, di lei c’è sempre l’idea di uno che lavora poco, invece ha fatto un sacco di cose… per tanti anni l’europarlamentare, ma pure il consigliere comunale… lei è arrivato in Parlamento relativamente tardi per il suo percorso”. Anche la chiusa è spettacolare: “Tanti auguri senatore. Si sente un uomo più risolto, maturo e saggio o ha ancora una vena da rivoluzionario?”.

Draghi motore immobile. Salvo i colpi di vento

Salvini è sempre il solito inaffidabile Salvini, quando per imbucarsi al governo fa finta di convertirsi all’europeismo salvo poi fare comunella (e prossimamente gruppo a Strasburgo) con i negazionisti dell’Ue e della democrazia, Orbán e camerati polacchi. Nessuno comprerebbe da lui un’auto usata soprattutto se a fare da garante c’è il Giorgetti, sempre più palo della banda dell’Ortica. Infatti, nello schema aggiornato di chi vince e di chi perde, la Lega non vince più da quando Giorgia Meloni dopo la destra si è pappata pure l’opposizione e un posto sul podio della popolarità. Sul fronte opposto, tutto è cambiato quella sera del sondaggio di Mentana quando i 5 Stelle a guida Giuseppe Conte in una botta sola hanno mangiato al Pd quattro punti.

Fu allora che Nicola Zingaretti, che non è nato ieri, prese cappello (“mi vergogno”) per salutare, vedetevela voi, e mettersi alla finestra in attesa di tempi migliori. Se riuscirà a rivitalizzare il Movimento, Conte potrà provare a federarlo con la sinistra di Speranza, Bersani e D’Alema e con quella parte del Pd (Zingaretti, Orlando, Franceschini) che non vuole ritrovarsi alla mercé di Matteo Renzi (i Guerini, Marcucci, Delrio). Con Meloni a destra e Conte a sinistra, Mario Draghi resta il motore immobile di un sistema abbastanza definito, salvo scosse di assestamento, che tra un anno eleggerà il nuovo inquilino del Quirinale. Un traguardo che, a meno di sfracelli nella corsa alla vaccinazione e ai fondi del Recovery Plan, vede super favorito l’ex presidente Bce (vero che spesso chi entra Papa esce cardinale, ma la legge dei grandi numeri è fatta per essere smentita). Dopodiché il nuovo presidente potrebbe sciogliere le Camere per andare al voto anticipato, come auspicato da Salvini e Meloni.

Almanaccare sul futuro non costa niente, perché sappiamo che basta un colpo di vento per scompaginare le carte sul tavolo e qualsiasi progetto. Come accadde un anno fa, quando pensavamo di essere padroni del nostro domani e l’indomani arrivò il lockdown.