L’agenzia per i giovani dà l’appalto da 4 mln a E&Y (da cui viene la direttrice)

L’ultimo appalto milionario porta la data di venerdì 5 marzo 2021. Quel giorno il gigante mondiale della consulenza Ernst & Young – un fatturato di 37,3 miliardi di dollari – ha ricevuto una bella notizia dall’Italia. Una delle sue controllate, EY Advisory Spa, si è aggiudicata la gara numero 7841608: un contratto di consulenza affidatole dalla Agenzia Nazionale per i Giovani, l’ente governativo che gestisce in Italia i programmi europei di istruzione giovanile come l’Erasmus. E proprio di questo si dovrà occupare Ernst & Young, una delle cosiddette Big Four della consulenza insieme a Deloitte, Pwc e Kpmg: aiutare l’istituzione italiana nella “gestione e attuazione dei programmi Erasmus+/Youth in action, European solidarity corps, degli analoghi programmi europei per i giovani del settennato 2021–2027 e delle iniziative proprie dell’Agenzia nazionale per i giovani”, si legge nel bando. Il tutto per un valore stimato dall’ente pubblico in 4,2 milioni di euro Iva esclusa. Fin qui niente di strano.

Da anni l’Italia, così come tante altre nazioni del mondo, affida infatti contratti di consulenza ai giganti mondiali del settore, come dimostra il controverso caso della McKinsey appena assoldata per assistere il ministero del Tesoro nella scrittura del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). L’appalto assegnato lo scorso 5 marzo ad Ernst & Young ha però una particolarità. È il nome della dirigente al vertice dell’ente statale che ha affidato l’incarico alla multinazionale britannica: Lucia Abbinante. Barese, 33 anni, esperta di educazione, la direttrice generale dell’Agenzia Nazionale per i Giovani fino a poco tempo fa lavorava infatti proprio per Ernst & Young.

I documenti letti da Il Fatto raccontano che è stata proprio Abbinante a comunicare ai suoi ex datori di lavoro l’aggiudicazione del contratto. La commessa è stata vinta al termine di una gara d’appalto e la multinazionale londinese se l’è aggiudicata grazie a un eccellente punteggio: 98,33 su 100. Il fatto di aver affidato un contratto milionario all’azienda che fino a poco tempo fa le pagava lo stipendio deve avere però creato qualche imbarazzo alla stessa Abbinante. Lo suggerisce quello che c’è scritto sul sito internet della Agenzia Nazionale per i Giovani o, per essere più precisi, quello che non c’è più scritto. Fino a poche settimane fa, cliccando sul nome di Lucia Abbinante l’utente veniva infatti reindirizzato al pdf del suo curriculum in formato europeo, mentre adesso il sistema rimanda a una più semplice pagina web in cui sono riassunte in forma discorsiva le esperienze lavorative della dirigente pubblica.

Dieci anni come coordinatrice di Radio Kreattiva, “la prima web radio antimafia italiana partecipata dagli studenti e dalle studentesse”. I progetti sviluppati per ong internazionali come Save The Children e Terres Des Hommes. Le “docenze in comunicazione e progettazione sociale”. La collaborazione con il dipartimento per le Politiche giovanili e quello per le Pari opportunità. Fino al ruolo di consigliere dell’ex ministro per le Politiche giovanili e lo Sport, Vincenzo Spadafora, l’esponente del Movimento 5 Stelle che lo scorso 7 agosto ha nominato la giovane project manager barese alla direzione generale dell’Agenzia Nazionale per i Giovani con uno stipendio annuale di 317mila euro (lordi) e un incarico che scadrà nel 2023.

Di tutte le esperienze citate sulla pagina web ora attiva sul sito dell’Agenzia ne manca una. Proprio quella in Ernst & Young, dove Abbinante ha lavorato a partire dal luglio del 2018 come consulente. Mansione svolta: “Servizio di supporto specialistico e assistenza tecnica presso il Comune di Bari per l’implementazione del Programma Operativo Nazionale Città Metropolitane”. Contattata per un commento, la dirigente conferma di aver lavorato per Ernst & Young “fino al settembre del 2019 come consulente junior”, si dice “dispiaciuta per il fatto che sul sito dell’Agenzia non sia più riportata quell’esperienza di lavoro”, ma garantisce che “l’affidamento della gara non ha nulla che fare con il mio passato: le decisioni sulle gare vengono prese da una commissione di cui io non faccio nemmeno parte”, spiega, “e comunque Ernst & Young lavora per l’Agenzia almeno dal 2016, ben prima che io arrivassi”. Il ministero incaricato di vigilare sull’Agenzia è quello delle Politiche giovanili e lo Sport. Oggi è guidato dalla 5 Stelle Fabiana Dadone.

Voti e ’ndrangheta: in cella Zambetti e Ambrogio Crespi

Concorso esterno in associazione mafiosa e voto di scambio. La condanna definitiva, sette anni e sei mesi, è arrivata ieri a tarda sera per l’ex assessore regionale lombardo Domenico Zambetti. L’ex politico era stato coinvolto nel 2012 in un’indagine dei carabinieri del Nucleo investigativo di Milano comandati all’epoca dal colonnello Alessio Carparelli e coordinata della Direzione distrettuale antimafia di Milano sulle infiltrazioni della ’ndrangheta nella politica lombarda. Quella di ieri è una delle poche condanne di tale genere per un politico regionale nella storia giudiziaria di Milano. In quel 2012 l’arresto di Zambetti mandò a gambe all’aria l’ultima giunta di Roberto Formigoni, poi coinvolto e condannato per il caso Maugeri. Chiuso il ciclo politico di FI, arrivò in giunta la Lega di Roberto Maroni. La decisione della Cassazione, che conferma il giudizio d’appello, è arrivata dopo che il procuratore generale aveva chiesto l’assoluzione per il reato di concorso esterno. Con Zambetti è stato condannato a sei anni per concorso esterno Ambrogio Crespi, fratello di Luigi, ex sondaggista di Berlusconi. Per entrambi le condanne sono esecutive. Zambetti, secondo il capo d’imputazione della Procura, “stipulava, in vista della competizione elettorale regionale 2010, con Giuseppe D’Agostino e Eugenio Costantino, che agivano quali referenti del cartello formato dalle più importanti famiglie mafiose della ’ndrangheta lombarda (…), un patto di scambio politico-mafioso, che prevedeva, a fronte della promessa dei rappresentanti delle cosche di (…) un pacchetto cospicuo di voti nella misura di circa 4 mila preferenze a suo favore, il suo impegno di erogare (…) 200 mila euro (50 euro a voto)”. Impegno “rispettato, una volta ottenuta la rielezione e la carica di assessore alla Casa della Regione Lombardia”.

Favorì un prof per la cattedra di Medicina. Indagato il medico personale del Papa

Il medico personale di Papa Francesco, Roberto Bernabei, è stato perquisito il 1º marzo su mandato della procura di Firenze ed è indagato di concorso in abuso d’ufficio per la nomina di un professore ordinario alla facoltà di medicina del capoluogo toscano.

Secondo l’accusa – il titolare del fascicolo è il procuratore aggiunto Luca Tescaroli e l’indagine è stata delegata alla Guardia di Finanza – Bernabei avrebbe commesso l’abuso d’ufficio, in qualità di componente della commissione esaminatrice, in relazione al concorso per professore di medicina interna che ha visto prevalere Andrea Ungar. Un vincitore “predeterminato” secondo la tesi degli inquirenti. La procedura si è conclusa poche settimane fa, nel febbraio scorso, con la chiamata di Ungar a svolgere il ruolo di professore ordinario. La Procura ha disposto la perquisizione dell’abitazione di Bernabei e del suo ufficio all’università Cattolica e l’analisi del sistema di messaggistica anche telefonica.

Figlio dell’ex direttore della Rai Ettore Bernabei e compagno dell’attrice Sydne Rome, Roberto Bernabei è docente di Medicina interna e geriatria all’Università Cattolica del Sacro Cuore a Roma. Contattato dal Fatto, Bernabei ha dichiarato: “Se avesse visto gli atti del concorso del professor Ungar si renderebbe conto che sono ben fatti e che si è trattato di un concorso regolare”. La vicenda avrà una ripercussione sul suo incarico di medico personale del Papa? “Su questo non parlo perché non ha senso ed è gravemente scorretto creare qualsiasi collegamento tra le due cose”. L’incarico in Vaticano di Bernabei, iniziato il 21 febbraio scorso, non ha infatti un collegamento con quanto gli viene contestato nell’inchiesta fiorentina condotta da Tescaroli.

Il fascicolo conta 30 indagati e punta a svelare l’esistenza di un vero e proprio “sistema” nell’organizzazione dei concorsi universitari nella facoltà di medicina. Ad alcuni indagati – ma non è il caso di Bernabei – è stata contestata l’associazione per delinquere. A ricevere un avviso di garanzia, nei giorni scorsi, anche il rettore dell’università di Firenze Luigi Dei. A darne notizia è stata proprio l’università toscana con un comunicato firmato dallo stesso rettore: “Il rettore Luigi Dei ha ricevuto un’informazione di garanzia relativa a un procedimento aperto nei suoi confronti nell’ambito di inchieste su concorsi universitari. Ogni documentazione ritenuta utile è stata acquisita dall’autorità giudiziaria per ogni opportuna valutazione. Sono sereno e fiducioso che ogni vicenda potrà essere chiarita”.

“Figli coppie gay, vuoto normativo da colmare”

Due sentenze diverse della Corte costituzionale ma un unico comune denominatore: la tutela dei bambini, della loro cura, affettività stabile; la necessità “indifferibile” che il Parlamento colmi il vuoto normativo. La Corte lo ha scritto nelle motivazioni delle sentenze che riguardano in un caso il ricorso, attraverso il Tribunale di Padova, di due donne separate e in conflitto e che hanno avuto due figlie nate in Italia da fecondazione eterologa all’estero. Alla madre “intenzionale” era stato precluso l’esercizio della responsabilità genitoriale. L’altro caso riguarda due uomini uniti civilmente, che hanno avuto un figlio in Canada con la maternità surrogata. Nella sentenza che riguarda la coppia di donne, relatrice la giudice Silvana Sciarra, si legge che “il grave vuoto di tutela dell’interesse del minore non sarà più tollerabile se si protrarrà l’inerzia del legislatore”. Spetta “prioritariamente” al legislatore intervenire affinché al minore sia assicurato il diritto “alla cura, all’educazione… al conforto di abitudini condivise”. Inoltre, si fa riferimento a precedenti decisioni della Corte che valorizzano la “genitorialità sociale” poiché “il dato genetico non è requisito imprescindibile della famiglia”. Per quanto riguarda la sentenza sul figlio nato da una madre surrogata, relatore il giudice Francesco Viganò, la Corte ha ritenuto inammissibile la questione sollevata dalla Cassazione sull’impossibilità di riconoscere in Italia una sentenza straniera di attribuzione dello stato di genitori a una coppia italiana che si è servita di una madre surrogata, ma allo stesso tempo ha invitato il Parlamento a intervenire nell’interesse dei bambini che si trovano in questa situazione. Ha, quindi, difeso il divieto in Italia di ricorrere all’utero in affitto che “risponde a una logica di tutela della dignità della donna e mira anche a evitare i rischi di sfruttamento” ma chiede nuove norme: “Un riconoscimento giuridico del legame del minore con la coppia che se ne prende cura”.

La lotteria degli 80enni: di notte, in fila per la dose

“Stiamo mettendo mano nel sistema informatico sulla gestione delle vaccinazioni perché qualcosa non ha funzionato”. Così ieri anche il presidente Attilio Fontana, è stato costretto ad ammettere che la macchina lombarda è un macinino. Nonostante il tentativo da salvare il salvabile (“Quella dei vaccini non deve essere una corsa a chi arriva prima. Altre regioni che sembravano la Ferrari sono già ferme”), ha dovuto bocciare la piattaforma della sua società Aria. Un catorcio costato 22 milioni soverchiato dai flop: dai camici acquistati dalla famiglia Fontana, agli antinfluenzali, fino al sistema di prenotazione vaccini.

Un libro degli errori che ogni giorno si arricchisce di un nuovo capitolo. L’ultimo l’ha svelato Radio Popolare, che, grazie a una sua ascoltatrice, ha dimostrato come per almeno due settimane chiunque abbia potuto prenotarsi per il vaccino e farselo somministrare all’Ospedale militare di Baggio. A prescindere da età e professione (potevano prenotarsi solo over80 e docenti).

Una scorciatoia possibile grazie a un link che dava accesso diretto all’agenda delle prenotazioni gestita dall’Asst San Carlo. Così i medici militari hanno vaccinato studenti e commercialisti (i due casi ricostruiti dall’emittente), ma è impossibile sapere in quanti ne abbiano approfittato. Il link per settimane ha girato di chat in chat. Tanto che il direttore dell’Ospedale, Giorgio Cattaneo, ha ammesso: “Ogni giorno eliminiamo dalle liste chi non appartiene alle categorie autorizzate”. Almeno 220 i “furbetti” che sono stati depennati.

Ma i modi escogitati per aggirare il sistema sono tanti. Come racconta al Fatto un lombardo classe 1940, che il vaccino lo ha fatto lo scorso weekend al Fatebenefratelli di Milano, senza ‘appuntamento.

“Una mia amica mi aveva avvisato che se avanzano le dosi, la sera le danno anche senza appuntamento – racconta –. Siccome mi ero iscritto il primo giorno sulla piattaforma, ma non avevo ricevuto alcuna risposta, ho provato. Sono andato una prima volta alle 17, ma non sono stato furbo: invece di attaccarmi alla porta dell’ambulatorio, mi sono seduto sulle sedie, ma sono arrivate 4 persone e mi sono passate davanti. Le dosi avanzate erano 4, non sono riuscito a farla”. Ma non si è dato per vinto: “Sono tornato il giorno dopo: eravamo in 4, ma le dosi erano 3. Allora il medico, gentilissimo, dopo aver controllato che avessi più di 80 anni, mi ha detto di tornare l’indomani. Così ho fatto ed ero in lista”. Carlo lo ha comunicato tra agli amici: “Ho chiesto per mia moglie, ma ha 75 anni, mi hanno detto no. Allora ho chiamato alcuni amici: uno è andato ieri, ma è arrivato tardi. E la moglie si è anche arrabbiata!”. E per la seconda dose? Come fanno a ottenerla, se sono fuori lista? “Sono organizzati. Ti danno un foglietto di carta, con la firma del medico e l’appuntamento”, spiega. “Ma mi raccomando non mettete nei guai quei dottori. Lo fanno perché altrimenti le dosi andrebbero sprecate. Son bravi”.

La Lombardia così rischia di ritrovarsi tutte le sere anziani che fanno la posta ai medici. Over 80 costretti a fare file clandestine, tentando la fortuna. Eppure, in altre Regioni, esistono sistemi che permettono di usare tutte le dosi inutilizzate giornalmente, sfruttando le liste di riserva. Senza umiliare le persone. Intanto oggi la vicepresidente e assessore Letizia Moratti, assieme a Marco Bonometti di Confindustria annunceranno il programma regionale di vaccinazioni aziendali. Per la locomotiva d’Italia riprende la corsa. Anche se, come dice il presidente Fontana sui vaccini, “la Lombardia non è una Ferrari”. E infatti non corre.

Vaccini, i tagli e i ritardi costeranno all’Italia oltre 10 miliardi d’euro

Quello annunciato ieri da Johnson&Johnson è l’ultimo di una serie di ritardi nella distribuzione dei vaccini che potrebbe far perdere all’Italia tra i 6 e i 10 miliardi di euro solo nel 2021. La Reuters ha rivelato che il colosso a stelle e strisce non potrà garantire tutte le 55 milioni di dosi (7,3 per il nostro Paese) promesse all’Ue nel secondo trimestre (su un totale di 200 mln), anche se in serata la multinazionale ha provato a smentire. L’approvazione dell’Ema, l’agenzia europea del farmaco, è fissata l’11 marzo. I ritardi costano. Ogni settimana il Pil italiano e comunitario calano rispettivamente di 2 e 18 miliardi. Ad aver fatto i calcoli è la compagnia di assicurazioni Allianz.

Il contatore è scattato a gennaio quando Astrazeneca, oltre a non aver consegnato le dosi previste per dicembre 2020, ha dilazionato le forniture attese per il primo trimestre 2021. Proprio sui quantitativi pattuiti con la società anglo-svedese, aveva scommesso l’Ue per coprire nell’immediato la sua domanda. Secondo fonti di Bruxelles, l’azienda guidata da Pascal Soriot, nasconderebbe nei suoi magazzini dosi destinate ai Paesi terzi, nonostante il blocco dell’export deciso dalla commissione europea. Le posticipazioni da parte delle varie case farmaceutiche rischiano di accumularsi, vista l’assenza di precise scadenze nei contratti di fornitura. “Le nostre elaborazioni mostrano che, a inizio anno, la vaccinazione nei paesi Ue aveva un ritardo di cinque settimane rispetto al raggiungimento dell’immunità di gregge (il 70% della popolazione adulta), necessaria per allentare le restrizioni che danneggiano le attività economiche”, spiega Patrick Krizan, ricercatore ad Allianz. Basandosi sulle proiezioni Eurostat, si è calcolato che ogni settimana di restrizioni sanitarie riduce la crescita trimestrale del Pil dello 0,4%. Pertanto, un ritardo di cinque settimane equivale a un calo del 2,0%, ovvero 90 miliardi di euro in meno. Con 9,85 miliardi di potenziali perdite l’Italia sarebbe il quarto paese più penalizzato dopo Spagna (15,15), Francia (15,05) e Germania (13,85). Stando a dati più recenti di quelli analizzati da Allianz, nelle ultime settimane i principali Stati membri hanno raddoppiato la percentuale media della popolazione vaccinata giornalmente rispetto all’iniziale 0,12%, accorciando il distacco rispetto a Regno Unito, e Usa (dove la velocità era quattro volte superiore). Seppur ancor lento, il ritmo attuale aumenterebbe la probabilità di immunizzare almeno le categorie più vulnerabili (20-30% della popolazione). In un tale scenario, si arriverebbe nella seconda metà dell’anno con una ripresa sostenibile (ossia compatibile con la tenuta del sistema sanitario), ma non totale. Cioè l’Ue non raggiungerebbe neanche entro il prossimo autunno l’immunità di gregge, come sperato dalla commissione europea (che inizialmente aveva fissato il traguardo a quest’estate).

Il pronosticato rialzo del Pil (per l’Italia 5,5 e 4,4 % nel 2021 e 2022, dopo il crollo dell’8,8% nel 2020) verrebbe quindi rivisto al ribasso. Resterebbe infatti un ritardo di tre settimane che costerebbe complessivamente 63 miliardi di euro. Per recuperarlo del tutto si dovrebbe accelerare ulteriormente, raggiungendo un tasso di vaccinazione quotidiano pari all’1% della popolazione. “Ciò sarebbe concepibile se i colli di bottiglia nella produzione si dissipassero alla fine del primo trimestre del 2021 grazie a nuovi siti di produzione o vaccini, meglio se monodose (come appunto quello di Johnson&Johnson)”, conclude lo studio. Siamo però già a marzo inoltrato e le tempistiche sono incerte. Passeranno ancora mesi prima che sbarchino, oltre al vaccino di Sanofi, quelli dell’altra francese Valneva e della statunitense Novavax, con le quali Bruxelles è attualmente in trattative. La penuria di dosi in cui si ritrova l’Ue (al trentesimo posto mondiale per copertura vaccinale) viene imputata anche ad errori di pianificazione. “La commissione è partita bene negoziando l’acquisto collettivo dei vaccini per tutti gli Stati membri, ma ha sbagliato ad aspettare ad fino all’autunno 2020 per ordinare, peraltro in quantitativi troppo limitati, i vaccini di Pfizer e Moderna che avevano dimostrato elevati livelli di efficacia prima degli altri”, commenta Scott Marcus, esperto al centro di ricerca Bruegel. Il team della presidente Ursula von der Leyen solo a fine febbraio ha comprato dosi aggiuntive dalle due multinazionali americane, appreso del taglio di Astrazeneca.

Stretta, il governo è diviso. Ma Rt e contagi aumentano

Forse decidono oggi, non è neanche detto. Palazzo Chigi non conferma che la stretta arriverà prima del weekend. Nel governo si fronteggiano almeno due linee: il ministro della Salute Roberto Speranza farebbe anche più di quello che “raccomanda” il Comitato tecnico scientifico, ovvero zone rosse dove si superano i 250 casi a settimana ogni 100 mila abitanti e i weekend rossi sul modello di Natale anche in zona gialla; la Lega di Matteo Salvini si oppone a ulteriori chiusure e gli altri si collocano variamente tra i due estremi. Deciderà Mario Draghi con la cabina di regia dei ministri, forse oggi. Una stretta generalizzata è possibile, ma non fino al lockdown nazionale.

Il Cts, nel verbale di ieri, evidenzia “il peggioramento della contingenza epidemica” e la “rapida diffusione sull’intero territorio di varianti virali a maggiore trasmissibilità” che “richiede analogamente ad altri Paesi europei un immediato rafforzamento e innalzamento delle misure di mitigazione e di contenimento”, queste ultime necessarie in particolare per “varianti a potenziale, sebbene al momento non provato, rischio immune escape”, cioè resistenti ai vaccini. Sono la variante brasiliana, quella sudafricana e quella inglese con la mutazione E484K. Si lavora sui campioni raccolti in Umbria e non solo, qualche decina di operatori sanitari che si sarebbero infettati dopo la seconda dose. Nessuno è grave, non è chiaro se siano contagiosi. Intanto il direttore della Prevenzione del ministero della Salute, professor Gianni Rezza, ha annunciato un modello matematico sull’impatto delle vaccinazioni: “Se assumiamo che il vaccino protegga dall’infezione e che la protezione duri almeno per 2 anni, vaccinando 240.000 persone al giorno riusciremo in 7-13 mesi a tornare alla normalità”. Se i vaccini arrivano si può fare prima.

Tra gli allegati al verbale del Cts trasmessi a Palazzo Chigi c’è scritto che Rt continua ad aumentare: lo dice la stima al 23 febbraio, quattro giorni dopo l’ultimo dato reso noto venerdì scorso (media nazionale era a 1,06, per la prima volta sopra 1 dopo 7 settimane). La Campania, già rossa su sua richiesta da lunedì, sale da 0,96 a 1,76; il Lazio, ancora giallo, da 0,98 a 1,3, che sarebbe un dato da rosso (sopra 1,25); la Puglia, pure gialla, da 0,92 a 1,23; aumenta l’Emilia-Romagna, arancione ma con Bologna e ampie porzioni di territorio rosse o “arancione rafforzato”, da 1,13 a 1,39; il Veneto (arancione) da 1,08 a 1,38. Migliora però la Lombardia, che al 23 febbraio aveva 0,95 contro 1,13 del 17.

Le stime più recenti dell’Iss sono indicate come Rt augmented, cioè calcolato su dati più ravvicinati secondo una formula che tiene conto del ritardo – fino a 16/17 giorni – con cui alcune Regioni trasmettono i dati completi. Il centrodestra chiede di utilizzare dati più recenti, ma gli esperti scrivono che solo dopo 13 giorni la completezza dei dati arriva al 90%, mentre si ferma al 60% dopo 6 giorni e così il margine d’errore cresce, anzi “la stima fornita è tendenzialmente ottimistica”.

Il resto lo vediamo da soli: i contagi crescono, l’incidenza nazionale è a 240 a settimana ogni 100 mila abitanti contro i 195 dell’ultimo monitoraggio; aumentano i pazienti nelle terapie intensive, da ieri occupate al 31% di occupazione (la soglia d’allerta è il 30%) a livello nazionale, sono oltre il limite nove Regioni e le due Province autonome. Anche i reparti ordinari si riempiono: sono al 35%, si avvicina la soglia del 40%. In gran parte del Paese sono state sospese attività chirurgiche programmate e ambulatoriali.

L’acceleratore di vaccini

La fortuna di Conte fu che i giornaloni lo dipingevano come una tale pippa che poi, quando si scopriva che era bravino o almeno non ci portava all’apocalisse, la gente simpatizzava. Draghi invece viene esaltato come un tale fenomeno che, se poi si scopre che anche lui fa quel che può, la gente s’incazza e lo maledice. Prendete i vaccini. A gennaio l’Italia era prima in Europa. Poi Big Pharma iniziò a tagliare le dosi e finimmo alla pari degli altri. Con Draghi, giornali e tg hanno inaugurato la rubrica fissa “Draghi accelera”. Come se esistesse al mondo un politico che rallenta. Il guaio è che in Europa i vaccini arrivano col contagocce grazie ai furbi di Big Pharma e ai fessi di Bruxelles. Repubblica: “Task force del generale Figliuolo per accelerare”. Corriere: “Draghi sente Von der Leyen: ora accelerare sui vaccini”, “Draghi accelera sui vaccini”, “Vaccini, si accelera”, “Piano vaccinale, ora si accelera”, “Draghi: serve accelerare”, “Draghi: ‘Un’accelerazione’”. Stampa: “Piano vaccini, l’accelerazione del governo”. Giornale: “Draghi accelera sui vaccini”. Torna la prosa atletico-militaresca dei bei tempi di Monti e dell’Innominabile. Foglio: “Draghi sceglie la via muscolare”, “Tridente anti-Covid: Draghi tratterà con l’Europa, Figliuolo troverà i vaccini e Curcio li distribuirà”. Uno veni, uno vidi, il terzo vici.

A scandire ogni pagina, termini ginnico-futuristi: svolta, scatto, mossa, sprint, spinta, regìa, attacca, sferza, incalza, sveglia, strapazza, lancia, rilancia, batte i pugni, stop, alt, altolà, a tappeto, a raffica, di massa, pressing, spinta, subito, ora, cambiare piano/ passo/ marcia/ linea/ verso/ strategia. Sui contenuti, tutto e il suo contrario. Rep: “Vaccini porta a porta”, anzi “Iniezioni nei drive through dei tamponi”. Stampa: “I vaccini si fanno al drive-in”. Corriere: “Vaccini in stazioni e tende”. Per non parlare dei numeri. Rep: “2 milioni di vaccinati in più l’obiettivo immediato”, poi “Ad aprile arriveranno 30 milioni di fiale”. Giornale: “2 miliardi ai vaccini e 20 milioni di dosi tra aprile e giugno”. Verità: “Figliuolo vuol cambiare marcia: ‘Arrivano 7 milioni di dosi”. Corriere: “Entro giugno 60 milioni di dosi”, ma “su due binari”. Stampa: “In arrivo 13 milioni di fiale”, anzi “Immunità di gregge in 41 giorni” (non uno di meno né di più). Foglio: “20 milioni di vaccini in più a trimestre”. Messaggero: “14 milioni al mese”. Chi offre di più? Giornale: “Arriva il supergenerale. Piano d’emergenza: 200mila dosi al giorno”. Corriere: “Oltre 600mila dosi al giorno”. Rep: “Obiettivo 700mila iniezioni al giorno”, anzi no: “Il piano Draghi per salire a 200mila al giorno grazie a Johnson&Johnson”. Che ieri ci ha fatto il gesto dell’ombrello. Però si accelera. Brumbrum, roarrr, ratatatatà, perepé perepé

Proust, Jackson, Warhol e altri noti ipocondriaci

Darwin. Darwin teneva un dettagliato registro delle proprie flatulenze.

Corna. Nel saggio Del non fingersi malato Montaigne sostiene che un re italiano, avendo sognato per tutte la notte di avere sulla testa delle corna, se le fece poi spuntare davvero per forza d’immaginazione.

Proust. Proust non sapeva accendere un fuoco né aprire una finestra (Jacques Rivière, Proust et l’esprit positif).

Gould. Glenn Gould, prima di suonare, immergeva le braccia nell’acqua bollente, se andava in tournée non voleva che qualcuno lo osservasse mentre mangiava, d’altra parte durante le registrazioni si nutriva solo di biscotti alla maranta, negli anni Settanta consumava un solo pasto nelle ventiquattr’ore, tra le quattro e le sette del mattino, in una tavola calda vicina a casa sua, e questo pasto consisteva in uova strapazzate, insalata, toast e tè.

Anonimato. “Penso che all’artista si debba concedere, per il bene suo e del pubblico – e voglio chiarire subito che parole come “pubblico” e “artista” non mi vanno affatto a genio –, si debba concedere, dicevo, il beneficio dell’anonimato” (Glenn Gould).

Scomparire. “La più grande invenzione americana: essere in grado di scomparire” (Andy Warhol)

Barriera. Michael Jackson, che voleva piazzare una barriera in perspex tra sé e il pubblico. Poi lo convinsero a rinunciare.

Warhol. Andy Warhol, che aveva perso i capelli a vent’anni, si coprì dapprima con un toupet castano, passò poi a colori via via sempre più chiari fino ad arrivare a un grigio quasi bianco. Spiegò: “Ho deciso di diventare grigio per non far capire a nessuno quanti anni ho, con i capelli grigi tutti mi avrebbero trovato più giovane della mia età reale. Altri vantaggi nel diventare grigio: 1. avrei avuto i problemi dei vecchi, problemi che ritenevo più semplici dei problemi dei giovani, 2. tutti sarebbero rimasti impressionati da come portavo bene i miei anni, 3. sarei stato esentato dalla responsabilità di comportarmi da giovane – potevo occasionalmente avere atteggiamenti eccentrici o senili e nessuno ci avrebbe trovato nulla da ridire perché avevo i capelli grigi”.

Warhol. Warhol andò in sala operatoria con la parrucca grigia e morì poi avendo ancora in testa questa parrucca grigia (22 febbraio 1987).

Asciugamani. Proust teneva in bagno venticinque asciugamani e non voleva mai adoperare lo stesso due volte. La sua domestica, Céleste Albaret, gli fece notare che si trattava di uno spreco, e Proust le spiegò: “Un asciugamano usato due volte si inumidisce troppo e mi screpola la pelle”.

Odori. Proust terrorizzato dagli odori. Quando Odilon lo portava alla Valle di Chevreuse per vedere i meli e i biancospini in fiore, Proust preferiva restare in macchina, in modo da ammirare gli alberi da una distanza di sicurezza. Una volta chiese a Odilon di recidere un ramo, limitandosi però ad avvicinarlo al finestrino. Sistemarono quindi il ramo nel baule della macchina e lo portarono a casa, lasciandolo sul pianerottolo delle scale di servizio dove Céleste fu spedita ad osservarlo per poi riferire. Il rapporto di Céleste non convinse Proust che la rispedì a osservare meglio i fiori, in modo da fargliene una relazione più accurata.

Warhol. “Vidi camminare per la strada una ragazza dalla pelle bicolore e ne fui così affascinato da seguirla. Due mesi dopo ero bicolore anch’io” (Andy Warhol).

Notizie tratte da Brian Dillon “Vite di nove ipocondriaci”, Il Saggiatore

 

75 anni vissuti da diva pericolosamente libera

Per Federico Fellini il successo fu “fare l’aggettivo”, per Jane Birkin fare la borsa. Quando nel 2018 andò a cantare alla Carnegie Hall di New York si sentì chiedere: “Birkin come la borsa?”. Solo gli ignoranti, dunque i fashion influencer, potrebbero però ridurre l’attrice, cantautrice, modella e scrittrice inglese all’altrettanto celebre sac à main di Hermès, che nel 1984 ispirò al presidente della maison francese Jean-Louis Dumas, lamentandosi sul volo Parigi-Londra di non trovare una borsa adatta alle sue esigenze di giovane madre.

Jane nasce a Chelsea, Londra nel 1946, molto bene: la madre è l’interprete teatrale Judy Campbell, famosa per i musical di Noël Coward; il padre David un capitano di corvetta David che si distinse a Dunkerque, oltre che per operazioni di spionaggio, nella Seconda Guerra Mondiale. A diciannove anni sposa il compositore premio Oscar John Barry, da cui nel 1967 avrà Kate, suicida a Parigi nel 2013: un lutto che la segnerà indelebilmente. Esordisce sul grande schermo in Non tutti ce l’hanno (1965) di Richard Lester, titolo perfetto se riferito alla sua bellezza e al suo fascino: incarnerà quasi simbolicamente la rivoluzione che sta per arrivare. L’anno seguente è la volta di Blow Up di Michelangelo Antonioni, un titolo che ne proietta la silhouette elegante e sensuale nel firmamento cinéphile. Ma è un’altra relazione, con annessi artistici, a darle fama planetaria: innamoratasi di Serge Gainsbourg, ne diviene la musa, fissando la scandalosa Je t’aime… moi non plus – originariamente intesa per Brigitte Bardot – nell’immaginario collettivo. Al netto della censura che il pezzo, verbalmente esplicito e corredato dai suoi gemiti, subisce in Italia, Spagna e Regno Unito, la coppia Serge & Jane è sulla bocca, e negli orecchi, di tutti.

La Birkin se ne compiace, ma fino a un certo punto: “È molto lusinghiero – tirerà le somme ex post – avere le canzoni più belle, probabilmente, in lingua francese scritte per te. Ma quanto talento avevo davvero? Forse non così tanto”. Il passato nondimeno non è una terra straniera: da Gainsbourg ha Charlotte, dal regista Jacques Doillon Lou, entrambe destinate a seguirne le orme tra cinema e musica. In carnet un centinaio di film, tra cui La piscina, Assassinio sul Nilo, Daddy Nostalgie, La bella scontrosa, La figlia di un soldato non piange mai, e una ventina di album, Jane il prossimo 14 dicembre compirà 75 anni, prevalentemente vissuti nel libero arbitrio, nella seduzione sottile, nella capacità immaginifica. Altro che borsa.