Immaginate di dover fare una cena con un politico per piacere personale. Niente lavoro, niente doveri: una cena tra amici, o tra persone che vorrebbero divenire tali. A quanti nomi arrivereste tra i parlamentari italiani? Io faticherei a giungere a 5. Probabilmente anche meno. Di sicuro, tra quei cinque, inserirei Pierluigi Bersani. Probabilmente al primo posto. Mi è sempre sembrata una brava persona. E del resto era uno dei preferiti di Edmondo Berselli, uno che non sbagliava mai (o se sbagliava lo faceva apposta: per vedere l’effetto che fa). Oltre alla piacevolezza dell’uomo, Bersani capisce come pochi di musica. È un politico serio. Ed è uno che, non avendo più ruoli di primo piano, è oggi più libero di prima quando si lascia intervistare. Non fa parte di un partito che macina consensi, ma è amato dai salotti televisivi perché garantisce schiettezza e ascolti. Binomio rarissimo, ancor più tra le carampane contemporanee. A volte mi chiedo se, tra il 2012 e il 2013, io come questo giornale siamo stati troppo critici nei confronti di Bersani. È possibile, anche se quel Bersani era diverso da questo e – soprattutto – eravamo diversi noi. Era proprio diverso il contesto.
Bersani ripete spesso che i 5 Stelle hanno detto “sì” a tutti tranne che a lui, ed è vero. Come è vero che, dopo quello streaming imbarazzante, Lombardi e Crimi avrebbero dovuto abbandonare in eterno la politica (invece no, e il secondo fa addirittura finta di essere leader). Ma è anche vero che, nel 2013, dopo avere “non vinto” le elezioni per una serie di eventi ed errori, Bersani non chiese ai 5 Stelle di fare un governo insieme bensì un mero appoggio esterno. Opzione irricevibile, per il M5S di allora. Sia come sia, da anni Bersani è per distacco uno dei politici più condivisibili e intellettualmente onesti del circondario. Ha lanciato Speranza, uno dei ministri che più riscontra i favori delle persone (Salvini e Meloni a parte, ma loro non fanno testo). Si batte come nessuno per quel “campo progressista”. Ed è uno dei pochi che, a sinistra, ha il coraggio di sottolineare l’atteggiamento scriteriato di troppi giornaloni e pseudo-pensatori sinistrorsi, gli stessi che per mesi hanno invocato Draghi e ora già se ne lamentano (senza però ammetterlo, perché intellettualmente disonesti come nessuno).
Giovedì scorso, a Piazzapulita, Bersani ha fatto garbatamente scempio dell’ennesimo polletto di allevamento del quasi-giornalismo nostrano. Il tipetto, di cui non farò il nome perché né io né voi abbiamo tempo da perdere, era armato di quel consueto livore madido (mal) travestito da rispetto istituzionale. Egli inveiva dunque su Bersani, reo di avere accettato tutto da Conte, notoriamente il Padre di ogni Male secondo i “sinistrati per Salvini”. Bersani, con fermezza rara, ha rovesciato in un amen l’assioma: “Non sono io a dover spiegare la mia difesa di Conte, casomai siete voi giornalisti che dovreste spiegare perché lo avete sempre massacrato”. Il tipetto non lo ammetterà mai, e forse neanche se n’è accorto, ma non si vedeva una simile macellazione mediatica dai tempi di Madama Boschi ospite di Lilli Gruber qualche mese fa.
Non è dato sapere se il Pd del futuro vorrà somigliare di nuovo a Renzi o Bersani. Tenendo conto che è popolato da troppi Marcucci e dunque le sbaglia tutte, temo la prima.
Pazienza: vorrà dire che Bersani continuerà a predicare nel deserto. Per poi sentirsi dire, quando ovviamente sarà troppo tardi, che aveva ragione lui.