La Procura di Milano ha chiesto il processo per l’ex eurodeputata di Forza Italia, Lara Comi, imputata di “truffa aggravata” ai danni del Parlamento europeo. Nel dicembre scorso, per gli stessi fatti, il giudice per le indagini preliminari aveva disposto un decreto di sequestro per equivalente di 525mila euro. Ora i pm Silvia Bonardi, Adriano Scudieri e Luigi Furno hanno mandato al giudice per l’udienza preliminare la richiesta di rinvio a giudizio per l’ex fedelissima di Silvio Berlusconi, già in stretti rapporti con l’ex coordinatore di FI a Varese Nino Caianiello. Tre gli imputati, oltre alla Comi, e due i capi d’accusa, entrambi per “il conseguimento di erogazioni pubbliche” (640-bis). Al centro, rispetto al primo titolo di reato, vi è l’assunzione di Enrico Saia come “assistente locale nominato dall’europarlamentare”. Qui “l’ingiusto profitto con danno per l’istituzione comunitaria” è consistito nei contribuiti erogati dal Parlamento per “un’attività (…) prestata solo in minima parte”, tra il 2014 e il 2017. Totale: 105mila euro. Parte del denaro, secondo l’accusa, veniva inviato dal Parlamento al “terzo erogatore” Gianfranco Bernieri (imputato) incaricato di gestire i rapporti contrattuali con gli assistenti della Comi. Dopodiché i soldi venivano “drenati dagli indagati” in due modi: Bernieri, ha ricostruito l’accusa, consegnava il contante (anche con assegni) alla Comi o ai familiari. In altri casi i soldi venivano bonificati o sul conto della rappresentante di FI in Europa o, si legge nell’atto, sul conto “dell’associazione Europe4You riconducibile alla Comi”. Scrive la Procura: “A fronte di tali percezioni, Saia non svolgeva (…) né veniva incaricato di svolgere alcuna attività”. La seconda accusa riguarda contratti per 522mila euro dal 2010 al 2015 per la nomina da parte “dell’onorevole Lara Comi” di “Maria Ponzini” come “assistente locale”. Quest’ultima, stando alle indagini, risultava almeno all’epoca “coniuge” del “terzo erogatore” Bernieri. Scrive la Procura: “Il denaro confluito sui conti del terzo erogatore (…) veniva in parte drenato in favore della Comi (…) o dei genitori della stessa mediante bonifici con causali fittizie sui conti della Comi” oppure “mediante consegna in contanti per un ammontare di retrocessioni pari a 303mila euro”. A fronte di questo, conclude la Procura, la stessa Ponzini, oltre a svolgere in minima parte l’incarico per cui era stata assunta, veniva usata “per attività estranee al contratto” come “prenotazioni di biglietti di taxi, di alloggio e di aerei”.
Mr. Cepu arrestato per bancarotta: sequestrati 28 mln
La “volontà” era quella di “distrarre somme di denaro per scopi estranei agli interessi della società”, al fine di “portarla a decozione e spogliarla di risorse”. Fino a raggiungere, secondo gli inquirenti, “nell’arco di 15 anni” una “omissione tributaria e contributiva” totale di “almeno 150 milioni di euro”. Francesco Polidori è accusato dalla Procura di Roma di bancarotta fraudolenta, autoriciclaggio e sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte. Conosciuto come “Mister Cepu”, l’imprenditore 73enne è finito ieri agli arresti domiciliari, indagato con altre cinque persone nell’inchiesta romana sul crac di Cesd srl e Scil srl.
Polidori è il fondatore del Cepu Education Group, il noto brand che si occupa di istruzione e formazione a distanza e che vede al suo interno anche l’università telematica E-Campus. Gli affari, formalmente, sono passati di mano ai figli Pietro Luigi e Martina (estranei all’inchiesta), ma a quanto scrivono i pm “sono numerosissime le conversazioni intercettate che dimostrano come, sino in epoca recente, Francesco Polidori sia l’assoluto dominus del Gruppo”. Fra queste conversazioni, ci sono quelle con Ubaldo Livolsi, estraneo all’inchiesta, descritto dagli inquirenti come “consulente amministrativo” del gruppo.”. Livolsi negli anni ’90 è stato direttore finanziario e a.d. di Fininvest e Mediaset, nonché membro dei cda di Modadori, Medusa Film e Pagine Italia. Il suo non è l’unico nome collega il mondo berlusconiano a Polidori. Alla E-Campus, infatti, ha insegnato anche l’ex senatoreMarcello Dell’Utri.
La Procura ha disposto anche il sequestro delle quote del capitale sociale della Studium srl, società – scrive il gip – “neo costituita in epoca immediatamente antecedente il fallimento della Cesd srl, al solo scopo di ricevere in locazione la totalità degli asset produttivi”. I beni sequestrati dalla Guardia di Finanza raggiungono in totale il valore di circa 28 milioni.
Lav, studio sul costo “nascosto” della carne: 37 mld all’anno di danni a salute e ambiente
Un hamburger di manzo da 100 grammi non costa solo il prezzo visibile sullo scontrino. C’è un prezzo ‘nascosto’, aggiuntivo, che corrisponde al valore economico dei danni ambientali (1,35 euro) e sanitari (0,54 euro) prodotti durante il ciclo di vita di quell’etto di carne di bovino. Significa 19 euro al chilo. Stessa cifra anche per la carne di maiale lavorata: un chilo di prosciutto, però, costa in media 5 euro per i danni ambientali e ben 14 euro per quelli sanitari. Circa 5 euro per ogni chilo di pollo. Sono i numeri di uno studio indipendente realizzato per Lav (Lega Anti Vivisezione) dalla onlus Demetra. Il costo nascosto della carne che ricade sulla collettività, stima la ricerca, ammonta a 36,6 miliardi di euro l’anno. Il dossier viene anticipato in esclusiva su ilfattoquotidiano.it e gli utenti Sostenitori lo riceveranno in anteprima. Domani pomeriggio, alle ore 17, #carissimacarne sarà il titolo della diretta sulla nostra pagina Fb con la partecipazione di Giulia Innocenzi, che oggi scriverà anche per i nostri abbonati, nella newsletter “Fatto For Future”.
“Aspi, 42 intercettazioni ora incastrano i vertici”
La prova più importante, quella che per l’accusa dimostra come i vertici di Autostrade per l’Italia fossero consapevoli del degrado del Ponte Morandi, è racchiusa in 42 audio. Si tratta di registrazioni di riunioni riservate, avvenute fra il 2016 e il 2017, di durata che varia da 1 a 2 ore l’una. Colloqui precedenti la strage che il 14 agosto 2018 ha provocato la morte di 43 persone. La tensione sui temi della sicurezza era tale che due dirigenti di Spea (società del gruppo Atlantia che effettuava i controlli) registravano i manager di Autostrade, abitudine che si è trasformata in un’arma insperata per i pm di Genova.
I magistrati, dunque, hanno a disposizione una fotografia dei due anni precedenti l’inizio delle indagini. E, soprattutto, conversazioni in cui ritornano alcuni temi fondamentali: la corrosione dei cavi, la perdita di tensione dei tiranti, la necessità di intervenire in modo urgente e di velocizzare i lavori di ristrutturazione rinviato per oltre tre anni. Nei giorni scorsi tutto questo materiale è stato depositato agli atti dai finanzieri del Primo Gruppo (coordinati dal colonnello Ivan Bixio) e del Nucleo Metropolitano (guidati dal colonnello Giampaolo Lo Turco). L’archivio di file era stato trovato durante le perquisizioni ai computer di Marco Vezil e Massimiliano Giacobbi, quadri di Spea, fra i 71 indagati per il disastro. Negli audio ritorna spesso Michele Donferri Mitelli, ex capo delle manutenzioni Aspi e braccio destro dell’ex amministratore delegato Giovanni Castellucci. Le sue direttive, per i pm, sono indicative delle pressioni esercitate dai vertici della società per rinviare i lavori e addomesticare i report sui viadotti, comportamenti ispirati da “finalità di lucro”. In una delle intercettazioni clou Donferri spinge per fare “abbassare” i voti dei report sui viadotti: più un valore è alto, e più è urgente la manutenzione da fare. Fino al limite di 70, soglia che impone la chiusura: “Ma che sono tutti questi 50? – dice Donferri – me li dovette toglie tutti. Adesso gli riscrivete e fate Pescara a 40, perché il danno di immagine è un problema di governance”. Sull’argomento interviene un altro dirigente Aspi, Gianni Marrone: “La realtà dei voti la so che è sottostimata, ma non lo so da adesso, lo so da parecchio”. Risposta di Donferri: “Allora, scusame un attimo, mo’ fama finta de niente … perché se è sottostimata e qualcuno non ti ha messo in evidenza ‘sti errori .. vaffanculo”. Donferri, riprende i tecnici di Spea che rivedono i voti al rialzo: “Me fai alzà i voti? Che cazzo fai alzà? Ma sei scemo?”.
Le registrazioni hanno portato all’apertura di una nuova inchiesta della Procura di Firenze sui falsi report. Per il gip Angela Nutini “l’obiettivo primario dei tecnici non era fornire la risposta tecnicamente corretta, ma far sì che sulla carta tutto fosse coerente, disinteressandosi alla realtà fattuale, lavorando alacremente per fornire dati quanto più incompleti al Ministero”.
Matteo a Dubai. Adesso Tpi vuole querelare il senatore
Il querelatore seriale ha colpito ancora, ma stavolta rischia di essere querelato pure lui. Matteo Renzi ha citato in giudizio La Stampa e The Post Internazionale, le due testate che hanno pubblicato la notizia del suo soggiorno a Dubai, nell’hotel extra lusso Burj al-Arab Jumeirah, una gigantesca vela d’acciaio e cemento con suite da almeno 1.500 euro a notte.
Il motivo del viaggio non è noto (né il premier né il suo portavoce hanno voluto renderlo pubblico) mentre l’interesse della notizia è piuttosto evidente: è il ritorno di Renzi “tra gli sceicchi” (come ha titolato La Stampa) dopo l’incredibile duetto-spot con il principe saudita Bin Salman a fine gennaio a Riyad.
Renzi non ha anticipato ai destinatari delle sue querele le ragioni delle azioni legali (al direttore della Stampa Massimo Giannini ha detto che le potrà leggere “nell’atto di citazione”).
Stavolta però la nuova minaccia legale dell’ex premier potrebbe trasformarsi in un boomerang. Giulio Gambino, direttore di Tpi, ha detto di esser pronto a rispondere all’azione intimidatoria del senatore “anche attraverso gli strumenti di contrasto alle querele temerarie riconosciuti dalla giurisprudenza europea”. Per Tpi è “solo” la seconda querela che arriva da Renzi, ma per una testata indipendente i costi per affrontare queste battaglie rischiano di diventare micidiali.
Il senatore avrebbe già proposto al direttore di Tpi (informalmente) una conciliazione economica non troppo onerosa, che però è stata respinta. “Non è questione di soldi – spiega Gambino – per noi sarebbe come riconoscere che abbiamo scritto qualcosa di diffamato rio”.
La querela temeraria è lo strumento più immediato per il potere politico ed economico per scoraggiare la pubblicazione di notizie sgradite. “Dopo aver detto di essere invidioso del ‘Nuovo Rinascimento’ saudita – ironizza il direttore di The Post internazionale – forse ora Renzi pensa che anche in Italia sia lecito intimidire o reprimere la libertà di stampa”.
“Jamal mercante d’armi”: una fake news col Bollino
A tutti può capitare di sbagliare, l’importante è chiedere scusa. In questo caso Nicola Porro lo fa subito: “È stato un errore mostruoso, per di più nei confronti di un giornalista ucciso mostruosamente. Non posso che scusarmi”. Cosa è successo? Jamal Khashoggi, editorialista del Washington Post ucciso dagli sgherri del regime saudita, è stato definito un ‘mercante di armi’ e la falsità è rimasta on line per 30 giorni sul sito www.nicolaporro.it. “Alla mia piccola redazione e al sottoscritto – spiega Porro – è sfuggito”. Chi non si è scusato pubblicamente per il post (più di 4 mila visualizzazioni) è l’autore: Carlo Andrea Bollino. Non un giovane blogger, ma un 66enne prof ordinario di Economia all’Università di Perugia. Vanta un curriculum di 13 pagine piene di docenze: Luiss, scuola superiore pubblica amministrazione; master La Sapienza e Tor Vergata. Già presidente del GSE e attuale presidente degli economisti dell’energia. Dall’alto di cotanta scienza, il 2 febbraio Bollino pubblica sul sito di Porro l’articolo “Gli 8 misteri sull’embargo all’Arabia Saudita”. Bollino scrive: “Ci sono lati oscuri nel comportamento del governo sull’affare vendita di armi all’Arabia Saudita”.
Per Bollino il lato oscuro non è nel governo Saudita, ma in quello italiano che non vendere più le armi a Riyad. Il pezzo-post attacca così: “Innanzitutto occorre riflettere sul fatto che: 1) L’Arabia Saudita (…) ha sostanzialmente avallato l’apertura della ambasciata degli Emirati in Israele. Fatto di portata storica nel mondo (molto più dei Dpcm di Conte)”. Al punto 4 arriva la bomba: “Khashoggi non era solo un giornalista ma anche un mercante di armi e nessuno di noi sa ancora veramente cosa è successo”. Bum. Sorvolando sul fatto che sul rapimento-omicidio si sa molto, il prof Bollino dà a un giornalista ucciso del mercante di armi proprio nel giorno dell’embargo ai sauditi, chiesto anche per la sua morte. Il pezzo si conclude così: “Il giovane principe Mohammed bin Salman, trentenne (…)per i giovani ha modernizzato il Paese: ha levato il divieto di guida alle donne, ha fatto aprire i cinema (…), ha aperto al turismo il Paese”. Non solo: il primo febbraio 2019 “al Winter Festival di Tantora a Al Ula il tenore Andrea Bocelli si è esibito presso il teatro Maraya Concert Hall, incantando il pubblico”.
Appena il post esce, due lettori, tali Thomas e Davide, postano commenti per far notare al prof. che il mercante di armi al massimo era lo zio Adnan Khashoggi. Non Jamal.
Nel nostro piccolo anche noi segnaliamo l’errore con un tweet taggando Porro, ma per 30 giorni non succede nulla. “Non ho visto quel tweet, purtroppo”, spiega Porro. Il 4 marzo scriviamo una email a Bollino che ammette di aver scambiato lo zio per Jamal e si giustifica “può succedere in un blog frettoloso”. In serata finalmente ci scrive “Grazie alla sua segnalazione ho mandato or ora un messaggio di correzione al blog”. Il punto 4 però restava intatto e l’ammissione dell’errore era solo in una replica al commento del lettore. In tarda serata, a seguito delle nostre email, Bollino si è deciso a togliere del tutto l’articolo.
Il professore è visiting researcher al King Abdullah Petroleum Studies and Research Center creato e finanziato dal governo saudita per fare ricerche, come si legge sul sito “indipendenti” e soprattutto “senza il bisogno di raccogliere capitali”. Bollino quindi svolge ricerche in un centro finanziato dal Regime che loda nei suoi blog. “L’attività di ricerca scientifica”, spiega al Fatto, “è svolta a titolo occasionale e gratuito, e quindi senza necessità di autorizzazione da parte del Senato Accademico”. Sarebbe meglio però dirlo ai lettori quando si commentano fatti che interessano il Regime e le sue vittime. Anche perché Bollino insegna alla Scuola di giornalismo di Perugia della Rai. Il caso Khashoggi e il suo commento contro il ‘mercante di armi’ Khashoggi e a favore del giovane principe MbS (mandante del rapimento o dell’uccisione, secondo gli Usa) potrebbe essere un tema perfetto per una bella lezione sulle fake news provenienti dall’alto. La lezione potrebbe chiamarsi “fake news con il Bollino”.
“Renzi con mbs? Così legittima i sauditi”
Matteo Renzi avrebbe dovuto essere molto più consapevole del conflitto di interessi e di come il suo nome e il suo profilo stanno contribuendo a legittimare l’Arabia”. Agnès Callamard è la ricercatrice che per prima, in un rapporto pubblicato oltre un anno e mezzo fa, ha puntato il dito verso le responsabilità del principe Muhammed bin Salman (MbS) nell’omicidio di Jamal Khashoggi, il giornalista ucciso il 2 ottobre del 2018 nel consolato saudita di Istanbul. Esperta di diritti umani, Agnes Callamard è una delle relatrici speciali per le esecuzioni extragiudiziali, sommarie o arbitrarie del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite. Dopo aver svolto le sue indagini, nel suo rapporto finale di giugno 2019 scrisse di “prove credibili che richiedono ulteriori indagini, sulle responsabilità individuali di funzionari sauditi di alto livello, compreso il principe ereditario”. Ossia MbS, lo stesso davanti al quale, nel gennaio scorso, l’ex premier Renzi elogiava l’Arabia come culla del “nuovo Rinascimento”.
Agnès Callamard, lei spesso dice che parla come “esperto indipendente”, non a nome delle Nazioni Unite. Può spiegare come svolge il suo ruolo e come è iniziato il suo lavoro sul caso Khashoggi?
Come Relatore Speciale posso decidere cosa fare, non rispondo a nessun governo. Non agisco su commissione. Alla fine di dicembre, quando ho capito che nessuno avrebbe indagato, ho deciso di farlo io stessa. Devo dire purtroppo che non ho avuto molto sostegno da parte dell’Onu. Penso fossero un po’ preoccupati per l’indagine e per questo mi hanno fornito un supporto molto limitato.
Il 25 febbraio è stato rilasciato il rapporto della Direzione Nazionale dell’Intelligence Usa. Sono solo 4 pagine, il suo rapporto è di 100. Ci si poteva aspettare qualcosa di più dagli Usa?
Assolutamente! Avremmo dovuto avere più informazioni. Per un certo verso, il rapporto è una buona cosa. Sono contenta che gli Stati Uniti abbiano fatto quel che hanno fatto, è un bene per la democrazia. Fino a questo momento la Casa Bianca aveva imposto un veto su quel rapporto. Ma sono anche delusa: il rapporto non fornisce prove materiali, nè fatti, fornisce solo una conclusione. La maggior parte delle informazioni raccolte dalla Cia sono rimaste segrete. Inoltre il governo ha detto: ‘Non prenderemo alcuna azione perché è un Paese con cui abbiamo relazioni diplomatiche’. Questo tipo di messaggio è pericoloso: dà l’impressione che se tu sei un capo di Stato o un quasi capo di Stato (come il principe MbS, Ndr) puoi fare quello che vuoi.
I Paesi occidentali, tra cui l’Italia, dovrebbero varare sanzioni?
Appoggio completamente i governi pronti a intraprendere sanzioni individuali. Io chiedo sanzioni contro gli individui implicati nell’uccisione di Khashoggi e ciò include MbS. Finora tutti quelli che lo circondano sono stati sanzionati, tranne lui. Mi torna in mente l’uccisione in Egitto di Giulio Regeni. In fondo si tratta dello stesso scenario: secondo l’indagine italiana, quello di Regeni è stato un omicidio di Stato. L’Italia ha condotto un’inchiesta approfondita, ma anche in questo caso c’è assenza d’impegno da parte della comunità internazionale.
L’ex premier italiano Matteo Renzi dal 2019 ha partecipato alla Davos nel deserto organizzata a Riyad dal Future Investment Initiative (Fii) e da più di un anno è diventato membro del board pagato 80 mila dollari l’anno da questo istituto creato con decreto del Re. Come giudica questo comportamento?
Respingo le attività di persone che dovrebbero avere un quadro ben chiaro della situazione. Proprio in virtù del passato e del presente politico di Renzi, egli ha una visibilità e una credibilità che viene utilizzata per legittimare ciò che sta accadendo in Arabia Saudita. Non è un uomo d’affari qualsiasi, non è un italiano qualsiasi, è un italiano che ha una grande storia alle spalle ed è per questo che è stato avvicinato dall’Arabia Saudita. Avrebbe dovuto essere molto più consapevole, secondo me, del conflitto di interessi e di come il suo nome e il suo profilo stiano contribuendo a legittimare l’Arabia. Fa parte di una campagna di pubbliche relazioni molto efficace lanciata dall’Arabia con il sostegno delle corporation occidentali. Renzi dovrebbe aver capito che la sua presenza viene strumentalizzata allo scopo di legittimare e creare un’immagine dell’Arabia Saudita.
Mentre svolgeva la sua indagine su Khashoggi non ha avuto paura? Non si è mai sentita sola?
Nel corso di questi cinque anni ho potuto spesso contare sull’impegno di singole persone, sempre gratuitamente. Quindi, non si è mai del tutto soli. E no, non ho paura, ma non sono un’ingenua. Sono consapevole delle minacce che mi sono state rivolte da parte dell’Arabia Saudita e da altri Stati. Ho preso alcune precauzioni anche per quanto riguarda il mio telefono, il mio computer. Ma non ho paura, non lascio che siano loro a dettare come io mi debba sentire.
Vaccini a Firenze: “Le dosi avanzate le danno agli amici o le buttano via”
Dosi avanzate di vaccino anti Covid iniettate “agli amici degli amici”. E, quando finiscono anche i fortunati conoscenti, vengono buttate. Succede al centro vaccinale del Mandela Forum di Firenze, a quanto emerge da un servizio delle Iene, che andrà in onda nella puntata di questa sera su Italia1. “Complice” della iena Filippo Roma è Francesco Torselli, consigliere regionale di Fratelli d’Italia, che presentandosi in ispezione al Mandela Forum ha ricevuto una dose di Astrazeneca, pur non avendone diritto. “I vaccini che alla fine non vengono somministrati – dice il consigliere toscano – vengono buttati, perché ci hanno detto che erano praticamente aperti dalla mattina e pare abbiano una validità intorno alle 12 ore”. Una situazione simile si era presentata a Modena, nel mese di gennaio, con i vaccini Pfizer, somministrati ai parenti del personale sanitario una volta interrotta la catena del freddo. Ma è la prima volta che il tema si pone con Astrazeneca, che ha minori difficoltà di conservazione. Nel Lazio, sul modello israeliano, ad esempio, è stato invece concepito il sistema della “panchina”, che consente di allertare aventi diritto in coda e non sprecare nemmeno una dose.
“Il Covid travolse tutti e poi Arcuri ha fatto un grande lavoro”
Un anno fa, domenica 8 marzo, il Dpcm chiudeva la Lombardia e province in altre regioni, l’11 tutta l’Italia. Francesco Boccia era ministro degli Affari regionali.
C’era stata una riunione il 4 marzo a Palazzo Chigi, poi è risultato positivo Nicola Zingaretti. Restiamo chiusi in casa Franceschini, Provenzano, Guerini e io che avevamo partecipato. Vengono i militari a farci i tamponi e c’è l’esodo dal Nord.
Un errore far circolare la bozza del decreto?
In buona fede, dalla Salute o da Chigi mandano la bozza alle Regioni e finisce sui siti. Il coordinamento con le Regioni non c’era, è nato così. Dopo il tampone negativo, alle 16 del 7 marzo mi sposto in Protezione civile e ci resto due mesi: una riunione alle 9 e una alle 15 con le Regioni, tutti i giorni. Dall’11 marzo abbiamo portato 1.500 medici e infermieri volontari dal Sud al Nord. Ricordo Bergamo, spettrale. Solo ambulanze attorno all’ospedale. Ministri di altri Paesi ci prendevano per untori. La nostra forza è stata la solidarietà e la rete di sanità pubblica che ancora c’è. Infatti le Regioni che sono andate più in crisi sono quelle che l’hanno smantellata, mentre Regioni che passavano per sprecone sono state un’eccellenza. Come il Lazio. Tra quei volontari c’erano tante donne, anche giovani nonne. Un medico in pensione, una signora di Catania, mi raccontò di aver detto alle figlie e alle nipoti: ‘La nonna il camice l’ha sempre avuto addosso’. Mancavano anestesisti e infettivologi. Non c’erano mascherine e ventilatori. Abbiamo mandato l’esercito per accelerare la produzione. Un lavoro di raccordo voluto da Giuseppe Conte. Trovo follemente ingenerose le critiche a Domenico Arcuri.
Eravamo anche molto impreparati.
Eravamo tutti impreparati, il mondo lo era, il nuovo virus era stato scambiato per un’influenza
Ma noi non avevamo neanche i piani antinfluenzali aggiornati.
Anche altrove. Mi stupisco che il Regno Unito sia preso a modello: erano negazionisti all’inizio e tre mesi dopo chiedevano a Roberto Speranza i nostri decreti. Avevamo un debito verso gli 80/90enni, non ci ho visto più quando da destra ho sentito: ‘Si ammalano comunque, si può morire anche di un crac economico’. Dobbiamo essere orgogliosi della linea tenuta, la stessa del governo Draghi. Oggi abbiamo tutto, un anno fa eravamo nel deserto senz’acqua.
Si riparla di lockdown.
Noi abbiamo fatto un lockdown durissimo che è costato molto, ma ci ha consentito di salvare il Paese, di produrre le mascherine, di regolare il prezzo a 50 centesimi come nessun altro Paese, di distribuire ogni mattina nelle scuole 11 milioni di mascherine. Un’intuizione di Arcuri. E il sistema Cross della Protezione civile, il cui protagonista fu Angelo Borrelli, ha portato 120 pazienti lombardi in altre Regioni e in Germania. Quel lockdown ne ha evitati altri, il Regno Unito è fermo da novembre.
Servì Arcuri perché la Protezione civile fu travolta.
Servivano manager, funzionari, sviluppatori di sistemi. Ora alla Protezione civile arriva Fabrizio Curcio che è bravo e conosce la macchina.
Al posto di Arcuri c’è un ufficiale dell’esercito.
Ogni presidente del Consiglio ha il suo stile di guida, ma le forze armate c’erano già. Il problema non è chi fa le iniezioni, ho fiducia nelle Regioni.
Metà dei vaccini AstraZeneca resta in frigo.
Non in tutte le Regioni. Ma organizzare la logistica è decisivo.
La Germania, Stato federale, aveva il piano pandemico e si vede.
Vero, ma anche lì hanno avuto scontri con i Länder e fatto mediazioni. Alle Regioni abbiamo dato le linee guida, che competono allo Stato, chi non le ha attuate si è visto leggi e ordinanze impugnate. Sabino Cassese parlava dell’articolo 120 (il potere dello Stato di sostituirsi alle Regioni, ndr), ma in emergenza devi salvare vite umane, non litigare. Il regionalismo italiano va corretto e integrato, ma ha retto meglio di sistemi federali come Brasile e Usa.
Brescia come un anno fa. Terapie sature al 90%
“Non sta andando affatto bene. I numeri sono in crescita, anche se non abbiamo mai potuto vedere le proiezioni”. Così il dottor Guido Marinoni, membro del Cts lombardo, commenta l’evolversi dell’epidemia in Lombardia. Dove il Covid galoppa, tanto che da ieri in tutte le strutture sanitarie è scattata la Fase 4, come svelato dal Fatto. È il livello più alto di allarme, prevede infatti “l’apertura di 1.005 letti di Terapia intensiva e 7.250 letti di degenza per acuti”, nonché “la sospensione dell’attività di ricovero e dell’attività chirurgica procrastinabile”. A spaventare è l’aumento dei ricoveri in Rianimazione, cresciuti tra il 26 febbraio e il 3 marzo di 100 unità. Un’esplosione che tocca tutte le provincie, trainate da Brescia, dove a fronte dei 2.297 ricoveri totali di febbraio, tra il 1° e il 4 marzo si era già toccato quota 675: e ieri le terapie intensive hanno sfiorato come saturazione la quota del 90%. Va male anche a Como (410 a febbraio, 128 a marzo), Cremona (272 a febbraio, 115 a marzo), Monza-Brianza (676 febbraio, 213 a marzo). Nei primi quattro giorni del mese i nuovi ricoveri sono stati 2.282. E il trend è in crescita. E ieri sono stati 2.301 i nuovi positivi, con ricoveri che crescono sia per le terapie intensive (597, +24) sia negli altri reparti (5.200, +142). Sono stati invece 52 i decessi. Per province, 676 sono i casi a Milano, 485 a Brescia, 309 a Monza, 199 a Bergamo, 152 a Como. Da qui la decisione del nuovo dg Welfare, Giovanni Pavesi, di sospendere o ridurre drasticamente l’attività elettiva degli ospedali non hub, per quanto riguarda “le patologie di minore gravità clinica”. A rimodulare le prestazioni sono gli ospedali pubblici, le cui funzioni sono dirottate sul privato.
Siamo tornati alla scorsa primavera, con la Lombardia piegata dalla variante inglese. E a poco è servito il piano in extremis di vaccinare prima le aree più colpite dal virus, per creare un “cordone” di contenimento. E ieri – con ritardo rispetto alle altre Regioni – sono iniziate le somministrazioni per i docenti (almeno per quelli che hanno ricevuto l’sms con l’appuntamento). Le dosi inoculate sono state circa 5 mila, a fronte di una platea registrata di 137.469 persone. Nomi però che il Pirellone dovrà verificare uno a uno, visto il bug che per tre giorni ha permesso a tantissimi “abusivi” di iscriversi per il vaccino. Gli over 80 che in tre settimane hanno ricevuto almeno una dose sono invece 124.054, il 22% dei 575.219 iscritti (su un totale di 700.000 persone). Il Pirellone prevedeva che nelle prime tre settimane fossero vaccinati in 165.000: mancano all’appello circa 41 mila persone. E ancora non si sa quando si inizierà con i fragili (un milione di persone). Molti dei ritardi sono dovuti agli errori della piattaforma gestita dalla spa regionale Aria (costata 22 milioni), che sarà presto sostituita da Poste. Con disservizi tali, ormai certificati, che ieri pure Matteo Salvini ha dichiarato: “Se qualcuno ha sbagliato paga, anche nella macchina tecnica di Regione Lombardia, se c’è qualcuno che non è all’altezza del compito”. Tradotto: in Aria (controllata dalla Lega) qualche testa cadrà, ma non si toccano quelle di chi comanda: Fontana, Moratti e Bertolaso.