La Francia è un paese malato di corruzione. L’affaire “Bismuth” lo ha rivelato alla luce del sole: quello che si è verificato il primo marzo scorso, al tribunale di Parigi, è un evento storico. Per la prima volta nella storia giudiziaria e politica della Francia, un ex presidente della Repubblica, Nicolas Sarkozy, è stato riconosciuto colpevole di “corruzione”, il più disonorevole dei reati per chi ha ricoperto una carica pubblica. Non solo. È anche la seconda volta che la giustizia di questo paese condanna un ex capo dello Stato per dei fatti che pregiudicano l’integrità pubblica. E questo precedente non risale alle calende greche, ma a meno di dieci anni fa, al dicembre 2011, quando Jacques Chirac (il predecessore di Sarkozy all’Eliseo), è stato riconosciuto colpevole di “appropriazione indebita di fondi pubblici” e “abuso di fiducia” nel caso dei lavori fittizi al municipio di Parigi. Sarkozy e Chirac hanno, sul piano giudiziario, un altro punto in comune: i loro rispettivi primi ministri, François Fillon per Sarkozy e Alain Juppé per Chirac, sono rimasti a loro volta impigliati nella rete della giustizia penale, che li ha condannati per reati legati alle loro funzioni pubbliche.
Politicamente, erano stati tutti seguaci, a diversi livelli, della teoria della tolleranza zero in materia di delinquenza, tranne per quella commessa dai colletti bianchi. Tutti, a vari livelli, si sono inoltre lanciati nelle più sfrenate speculazioni cospiratorie quando la polizia e la giustizia anticorruzione hanno cominciato a interessarsi un po’ troppo da vicino a loro e ai loro amici. Ma è innegabile che esiste un microclima giudiziario del sarkozysmo, una specificità letale di questo movimento politico che rischia di lasciare impresse nei libri di storia, come il berlusconismo in Italia o il trumpismo negli Stati Uniti, le stigmate di un clan sospettato di aver privatizzato il bene comune per scopi privati. Di essersi servito dello Stato più che di servirlo. Si tratta di un sistema unico nel suo genere se si osserva invece il numero gigantesco di fascicoli giudiziari che lo riguardano. Non c’è una sola figura politica vicina a Sarkozy che non abbia avuto problemi con la giustizia negli ultimi anni. La lista è vertiginosa: i mentori di Sarkozy (Charles Pasqua, Édouard Balladur), il suo primo ministro (François Fillon, dunque), gli amici di gioventù (Brice Hortefeux, Patrick Balkany), i consiglieri (Patrick Buisson, Boris Boillon), i principali ministri (Claude Guéant, Christine Lagarde), il tesoriere (Éric Woerth), l’associato storico del suo studio legale (Arnaud Claude), il suo stesso avvocato (Thierry Herzog), la sua spia personale (l’ex capo dei servizi segreti interni, Bernard Squarcini), il testimone di nozze (Nicolas Bazire), ecc. Alcuni sono stati condannati, altri saranno processati, altri ancora sono per il momento “solo” incriminati in inchieste in corso. Tutta questa rete fa pesare su una democrazia come la Francia un terribile sospetto: che un saccheggio è stato perpetrato alle spalle dei cittadini, il saccheggio della loro fiducia nella democrazia e anche del loro portafoglio, a dispetto delle regole elementari della decenza pubblica imposte dalle funzioni pubbliche ricoperte. Nel caso “Bismuth”, che è valso a Sarkozy una condanna a tre anni di prigione (di cui due con la condizionale) per “corruzione” e “traffico d’influenza” (a cui farà appello), la sentenza del tribunale, presieduto da Christine Mée, andrebbe letto e riletto più volte. L’abile difesa di Sarkozy non ha cambiato nulla: i fatti erano lì sin dall’inizio, in tutta la loro semplicità.
L’ex presidente è stato accusato di essersi servito, nel 2014, del suo avvocato e amico, Thierry Herzog, e di un alto magistrato della corte di Cassazione, Gilbert Azibert, per ottenere illegalmente informazioni su inchieste giudiziarie in corso, e di avere appoggiato, in cambio, la candidatura dello stesso Azibert a un posto sotto il sole di Montecarlo. Numerose intercettazioni lo hanno dimostrato. I giudici sottolineano la gravità dei fatti commessi da un ex presidente che doveva essere il “garante dell’indipendenza della giustizia”. La condanna di Sarkozy, che dovrà presto affrontare un altro processo per il finanziamento della sua campagna del 2012 (il caso “Bygmalion), e che è incriminato quattro volte per presunti finanziamenti illeciti della campagna del 2007 (il caso dei “fondi libici”), è al centro di una necrosi della vita pubblica francese che certi uomini politici e certi media di proprietà di miliardari amici di Sarkozy, stanno facendo di tutto per occultare. Sarkozy non è forse membro del consiglio di vigilanza del gruppo Lagardère, proprietario del Journal du Dimanche e di Paris Match, che non esitano a difendere l’idea del “complotto” nell’affaire dei fondi libici di Gheddafi? Nel gruppo Lagardère, Sarkozy non gioca forse il ruolo dell’arbitro tra due grandi figure del capitalismo francese, Vincent Bolloré e Bernard Arnault, a loro volta molto presenti nel mondo mediatico francese? Bolloré, proprietario di Canal+ e della tv CNews, non si è appena dichiarato colpevole in un caso di corruzione in Africa? Il secondo, proprietario dei quotidiano Les Echos e Le Parisien, non ha forse assunto l’ex capo dei servizi segreti interni di Sarkozy, Bernard Squarcini? L’intreccio tra poteri finanziari, politici e mediatici è uno dei lasciti del sarkozysmo trionfante. A questo proposito ci si può interrogare sui favori e sul sostegno simbolico che l’attuale presidente, Emmanuel Macron, non ha esitato a concedere a Sarkozy sin dal 2017, nominandolo suo ambasciatore personale in diversi paesi stranieri per degli eventi ufficiali. Si può immaginare anche solo per un momento che un uomo sospettato di rapine, furti o ancora criminalità organizzata si faccia affidare dalle massime autorità dello Stato il privilegio di rappresentare la Francia all’estero, senza che ciò non dia luogo a dibattiti e indignazioni di vario tipo? La risposta è ovvia: no. Allora perché i delinquenti in colletto bianco godono di un tale privilegio? Per giustificarsi, l’Eliseo ha avanzato l’argomento della presunzione di innocenza. Ma l’argomento della presunzione di innocenza, spesso avanzato da politici in difficoltà per mettere a tacere ogni tipo di discussione sulle inchieste imbarazzanti che li riguardano, non può spiegare tutto. Essere “presunto innocente” significa, nel diritto, che nessuno può essere considerato colpevole penalmente finché non è stato formalmente condannato da un tribunale. È normale.
Ma è anche bene ricordare che se una persona è presunta innocente, un concetto giuridico importante in ogni democrazia che si rispetti, è proprio perché è sospetta. Cioè perché i magistrati hanno ritenuto, dopo mesi o anni di inchieste, che esistono “indizi seri e concordanti” per giustificare la sua iscrizione al registro degli indagati, o che le “prove a carico” della persona in questione sono sufficienti a chiedere un processo pubblico contro di lei. Di fronte al principio del rispetto per la presunzione di innocenza, naturalmente dovuta a chiunque sia indagato (e non vale solo per i delinquenti in colletto bianco), Emmanuel Macron ha deliberatamente negato il più elementare principio di precauzione nei confronti di un uomo che la giustizia ha oggi giudicato colpevole di corruzione. E che dire dell’attuale ministro della Giustizia, Éric Dupond-Moretti, il quale non ha esitato un attimo a gettare discredito sul Tribunale nazionale finanziario, che ha rappresentato l’accusa al processo Bismuth-Sarkozy, dove uno degli imputati, comparso al fianco di Sarkozy, l’avvocato Thierry Herzog, non è altri che “un amico di sempre” del Guardasigilli, come lui stesso ha confermato? Il comportamento del ministro, che ha scatenato reazioni senza precedenti da parte dell’intera magistratura contro di lui, sono oggi al centro di un’indagine della Corte di giustizia della Repubblica (CJR) per “abuso di interessi”. È lo stesso tribunale che, giovedì scorso, ha giudicato (e alla fine assolto), nel processo sui finanziamenti illeciti della campagna del 1995, l’ex primo ministro Édouard Balladur, uno dei mentori politici di Nicolas Sarkozy. Una storia senza fine o la fine di una storia?
(Traduzione di Luana De Micco)